Il ritratto del diavolo - 03

Süzlärneñ gomumi sanı 4513
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1605
38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
52.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
l'ho veduto e riconosciuto alla bella prima, non dubitare. Come avrei
capito il resto, se non avessi indovinato il principio? Per altro,
bada, ragazzo mio; lasciando passare la faccenda del ritratto, io mi
ero proposto una certa cosa.
--Quale?
--Se questo ragazzo mi si svia,--continuò mastro Jacopo,--se non mi
diventa un gran pittore, lo mando diritto a quel paese. Fortuna, per
te, che ti sei conservato un buon figliuolo ed hai risposto alla mia
fede. Dunque, siamo intesi, il miracolo sarà fatto!
--Non temete, sarà fatto. Lasciatemi qui, nel Duomo, a prendere
inspirazioni dal luogo. Mi sento una forza da leone. Ma ditemi,
maestro, il Miracolo di san Donato non è di aver fatto morire un
serpente che infestava il paese?
--Già, è una semplice benedizione.
--Andate dunque, maestro; io penso al soggetto, e spero che, prima di
escire dal Duomo, mi sarà venuta un'idea.--
Mastro Jacopo sorrise una seconda volta, fece a Spinello un cenno
amorevole con la mano e se ne andò giù per la scala a piuoli.
Rimasto solo sull'impalcatura, Spinello Spinelli prese il lapis rosso
di Lamagna e incominciò a segnare alcuni tratti sul cartone. Ma subito
dopo si fermò. Aveva il cervello in volta; pensava a madonna
Fiordalisa e alla possibilità, che per la prima volta gli arrideva, di
far sua quella divina creatura.
--Sarebbe stato meglio andar subito a casa,--pensò egli,--e poi
mettermi a lavorare; mi sarei ispirato.--
Ma fatto appena quel ragionamento, trovò che era sbagliato di pianta.
--No,--soggiunse egli,--bisogna anzitutto aver meritato di vederla. Se
mi vien fatto un bel partito, sarà segno che l'avrò meritato.--
Così dicendo, si avanzò verso l'orlo dell'impalcatura e volse
un'occhiata a quel punto della navata in cui per la prima volta aveva
veduto madonna Fiordalisa, gittò un bacio laggiù, sulla punta delle
dita, e col bacio una ardente preghiera, una giaculatoria mentale. Era
la prima, di sicuro, che facesse nella casa di Dio il giuoco di
scendere, anzi che di salire.
Quindi, invasato dall'estro, si pose a lavoro con ansia quasi
febbrile. L'idea e la forma gli escivano insieme, nello stesso tocco
dal disegnatoio, che scorreva veloce sulla carta.
Spinello immaginò il Santo nell'atto in cui muovendo incontro al
serpente, lo fulmina col gesto della mano destra, levata in alto,
mentre con l'altra sembra infonder coraggio ad una turba di cittadini
spaventati, quali già volti in fuga, quali inginocchiati per invocare
il soccorso del cielo. Il Santo si vedeva ritto, in aria di persona
commossa, ma non vinta da timore, e la fralezza delle membra e la
soavità dell'aspetto in quella che facevano contrapposto all'orrida
fierezza del mostro, sembravano raffigurare l'alto concetto della
retta coscienza che sta salda innanzi ai maggiori pericoli, o della
fede in Dio che vince animosa ogni ostacolo. Il serpente, nella forma
delle zampe, delle fauci e dello scaglie ond'era protetto il suo
dorso, arieggiava i coccodrilli egiziani, nelle ali i favolosi
dragoni, che erano tanto in voga a quei tempi, per la leggenda
popolare di San Giorgio di Cappadocia. La mala bestia guardava
tuttavia il suo poco temibile avversario, e con le fauci aperte pareva
volesse ingoiarlo; ma già il corpo si piegava, gli anelli del ventre
si contorcevano, le zampe spaventosamente unghiate si stendevano nello
spasimo e graffiavano l'aria. Era alcun che di terribile, a contrasto
col tranquillo atteggiamento dell'uomo miracoloso, dalla cui mano
levata intendevate essersi allora allora sprigionata la virtù
fulminatrice.
--Ah, finalmente!--gridò Spinello, appena gittati sulla carta i
contorni della sua composizione.--Non lo cancelleremo, questo quadro,
non lo cancelleremo!--
Poco stante, data l'ultima mano al disegno, ne fece un rotolo e
discese dal ponte.
--Così tardi escite da lavoro?--gli chiese il sagrestano del Duomo,
vedendolo attraversare la navata di mezzo.--Ma che c'è? Avete l'aria
di un uomo che ha ricevuta una lieta novella.
--Lieta, sicuramente;--rispose il giovane pittore.--Quantunque, a voi
forse non parrebbe tale.
--Se potrò rallegrarmene per voi, perchè non mi parrà lieta? Ditela
su!--
Spinello si avvicinò al prete, accostò le labbra alla guancia di lui e
gli bisbigliò all'orecchio:
--Prendo moglie.--
Il sagrestano si trasse indietro per guardare in volto Spinello; indi
battè le labbra, come un uomo che s'aspettasse tutt'altro, e che ad
ogni modo non vedesse una grande felicità nel settimo sacramento.
--Prendete moglie, Spinello?--esclamò.--Siate felice. Per altro, avrei
creduto che, per voi, la moglie dell'artista dovesse esser qui.--
E col dito accennava la testa, dove abita madonna fantasia.
--No, v'ingannate;--rispose prontamente Spinello.--La moglie
dell'artista è qui.--
Ed accennò il cuore, dove sta di casa la passione.
--Avrete ragione;--disse il sagrestano, inchinandosi.--Purchè non si
soffra, lì dentro. Nel qual caso, addio arte!
Spinello pensò che il povero prete non era fatto per intendere certe
cose, e, datagli una di quelle occhiate patetiche, le quali sembrano
dire tante cose, forse perchè non ne dicono alcuna, infilò la porta
del Duomo. Affrettava il passo, perchè quel giorno era invitato a
desinare dal maestro, e l'ora, come si è detto, era tarda.
Fra pochi istanti avrebbe veduta madonna Fiordalisa. Ma come avrebbe
osato posar gli occhi su lei, dopo quel doloroso discorso di mastro
Jacopo? Fortunatamente, dalla tranquilla accoglienza che Fiordalisa
fece al futuro Apelle, gli fu agevole intendere che mastro Jacopo non
aveva creduto opportuno di dir nulla alla sua bella figliuola. E
Spinello gliene fu grato, perchè, libero da ogni soggezione, avrebbe
potuto guardare in volto Fiordalisa, contemplarla a sua posta, e
pensare tra sè con gioia infantile:--tu non sai, bambina, tu non sai
quel che so io; sarai mia, bella creatura, sarai mia; il pegno della
vittoria è là, in quel rotolo di carta, che io ho riposto su quel
canterano di noce.--
Mastro Jacopo, prima di mettersi e tavola, tirò in disparte il
prediletto discepolo e gli disse:
--Orbene, t'è venuta l'idea?
--Sì, maestro, è venuta.
--E ne sei contento?--
Spinello fece un cenno del capo, che voleva dire: così così; ma le sue
labbra si atteggiavano ad un malizioso sorriso.
--Ah, briccone!--esclamò il vecchio pittore. Tu sei contento e non
--vuoi confessarlo. Fammi vedere il disegno.
--No, maestro, non ora. Se permettete, sarà per domani. Non sono
ancora ben sicuro del mio concetto. Nell'ebbrezza del comporre, mi è
parso bello; ma ora, pensando alla grandezza del premio,--e così
dicendo Spinello volgeva gli occhi a Fiordalisa, il cui elegante
profilo si disegnava sul fondo luminoso della mensa apparecchiata,--ho
una gran paura di aver fatto un pasticcio. Aspettate domani. Intanto,
ci dormirò su e poi vedrò di ritoccarlo.
--Sia come tu vuoi;--disse mastro Jacopo.--Andiamo a tavola. Io non mi
nutro con gli occhi, come te, ed ho una fame assaettata.--
La mattina seguente Spinello ritornò sull'opera sua. Gli pareva
manchevole, e certamente era, come tutte le cose tirate giù in fretta.
Ma delle cose fatte in fretta aveva anche i pregi, cioè a dire,
insieme con qualche ridondanza facilmente correggibile, unità di
concetto e franchezza di esecuzione. Rimutò qualche parte, rifece il
disegno, accrebbe con alcuni tocchi l'espressione dei volti, e
finalmente come gli parve di aver migliorato il suo lavoro, si
arrischiò a metterlo sotto gli occhi del maestro.
Tremava, il povero Spinello; tremava, vedendo il vecchio pittore
atteggiato a giudice davanti al suo disegno, e raccolto in un silenzio
che non gli prometteva niente di buono.
Mastro Jacopo guardava sempre così. La sua attenzione era concentrata
nel soggetto, non si perdeva mai in esclamazioni, o inarcamenti di
ciglia. Quando aveva considerato per ogni verso ciò che doveva
giudicare, meditato, vagliato, pesato tutto sulle bilance dell'orafo,
allora soltanto si lasciava sfuggire un bene, o un male, secondo che
gli pareva, ma niente di più.
Quella volta, per altro, si mostrò più corrivo.
--Bene!--diss'egli, dopo una lunga disamina. Sono contento di te. La
--composizione è saviamente immaginata. L'atteggiamento del Santo è
--sobrio e dice molto. Se ti riesce sul muro quell'aria di testa, come
--t'è riescita sulla carta, hai vinto per mia fede un gran punto.--
Spinello, fuori di sè dalla gioia, buttò le braccia al collo del
maestro.
--Via, via,--ripigliò il vecchio pittore, schermendosi male da quella
dimostrazione d'affetto.--Non son mica Fiordalisa!
--Padre mio, perdonate;--gridò Spinello.--Sono tanto felice! La vostra
lode è per me il più grande, il più ambito dei premi.
--Sì, dopo la mano di Fiordalisa;--borbottò mastro Jacopo.--Ma già si
capisce, ed io non mi lagno. Del resto, la lode del babbo e la mano
della figlia non son tutta roba di casa mia?
Spinello chiese licenza al maestro di poter cominciare quel medesimo
giorno a far la macchia, per ottenere una giusta intonazione di tinte.
La mattina seguente mise mano al cartone. Aveva misurato lo spazio su
cui doveva essere dipinta la storia del Santo e fatto il conto dei
fogli di carta che gli bisognavano per quel tratto di muro. Non gli
restava che di congiungerli ad uno ad uno per gli orli, con la colla
di farina cotta al fuoco. Ciò fatto, e come il cartone fu rasciugato
sulle giunture, lo stese al muro, incollandolo sui lembi; indi, tirate
sul suo primo disegno tante righe orizzontali e perpendicolari che lo
riducessero ad una fitta rete, segnò lo stesso numero di linee sul
cartone, a distanze proporzionatamente eguali, affinchè gli fosse
facile di condurre il suo primo disegno alla misura dell'affresco che
aveva immaginato di fare.
Spinello lavorava per quattro, e al paragone suo anche Luca Giordano,
soprannominato Luca Fa presto, avrebbe potuto andarsi a riporre.
Finito il suo graticolato, mise un pezzo di carbone in capo ad una
canna, e là, ritto davanti al muro, con un occhio al disegno primitivo
e l'altro al cartone, incominciò a riportare su questo i contorni
dell'altro. Due giorni dopo, il cartone del Miracolo di san Donato era
fatto, con grande soddisfazione di mastro Jacopo, il quale per tutto
quel tempo non aveva voluto nessuno dei suoi giovani in chiesa. Già, a
che cosa gli sarebbero serviti quei lasagnoni? A mesticargli i colori?
Mastro Jacopo, per quei due giorni, mesticò i suoi colori da sè, come
avrebbe fatto ogni artista novellino. Tanto è vero che ognuno, purchè
voglia, più passarsi dell'opera d'un altro, sia egli servitore od
aiuto!
Per contro, il vecchio pittore aveva anche dato una mano al suo
prediletto scolaro, facendogli costrurre il ponte nella cappella in
cui doveva dipingere. E come il cartone fu condotto a termine chiamò i
muratori perchè dessero un'arricciatura grossa sul muro, debitamente
scrostato; indi fece incrostare di nuovo tanta superficie di muro,
quanta Spinello credeva di poterne colorire in un giorno.
Spianato per benino l'intonaco, il giovine artista vi stese il cartone
e calcò su quello il disegno della sua composizione, per avere i
contorni precisamente tracciati. Indi prese a mettere il colore, come
gli era dato dal bozzetto, che aveva preparato in anticipazione.
Il giorno in cui Spinello aveva incominciato a dipingere, mastro
Jacopo, sceso dal suo ponte verso l'ora di vespro, andò sul ponte
dello scolaro, a vedere come se la fosse cavata.
--Bene, perdiana!--gli disse, vedendo già dipinta tutta la figura del
Santo, e con un'aria di festa che meglio non si sarebbe potuto
desiderare.--Per questa volta son io che abbraccio te.--
Immaginate l'allegrezza di Spinello; io rinunzio a descriverla.
Mastro Jacopo ripigliò:
--Per far bene, è dunque mestieri d'essere innamorati? Ahimè, ragazzo
mio, a questo patto io non farò più nulla di buono, poichè la stagione
degli amori è passata.--
Quel medesimo giorno, escito di chiesa un'ora prima del solito, mastro
Jacopo passò da Luca Spinelli, per fargli un certo discorso che
ricolmò di contentezza il paterno cuore del vecchio fiorentino. Indi,
arrivato a casa, prese la sua Fiordalisa in disparte e senza tanti
preamboli le disse:
--Sai? Ho deliberato di maritarti.--
Fiordalisa si fece rossa, ma non tremò. Aveva indovinato, e accolse
l'annunzio del padre con un eloquente silenzio. Eloquente per noi, che
sappiamo tutto; non per Jacopo di Casentino, che non sapeva nulla
dell'animo di sua figlia.
--Orbene,--disse egli, dopo un istante di pausa,--così ricevi la mia
notizia?
--Padre mio.--balbettò Fiordalisa, chinando la fronte,--quello che voi
farete... sarà ben fatto.
--Sì, questo va bene;--ripigliò mastro Jacopo, che aveva voglia di
ridere;--ma se per avventura si trattasse di uno che non ti andasse ai
versi?--
Fiordalisa chinò la fronte un po' più che non avesse fatto prima, e si
pose a tormentare con le dita i lembi del suo grembiule.
--Veniamo alle corte, poichè tu stai zitta e non rispondi;--continuò
mastro Jacopo.--Che penseresti tu di Spinello Spinelli?--
Fiordalisa ebbe una scossa al cuore, ma una scossa piacevole oltre
ogni dire. Arrossì da capo, e, con un fil di voce, così rispose a suo
padre;
--Quello che voi farete....
--Sarà bene fatto; conosco già il ritornello;--rispose mastro Jacopo,
dando un buffetto sulla guancia di sua figlia.--E sia dunque ben
fatto, poichè questa è la tua opinione, com'era da un pezzo la mia. Su
il viso, bambina, e preparati a ricevere il tuo fidanzato. Mi par di
sentire il suo passo per le scale.--
Fiordalisa, che non aveva ancor avuto tempo a riprendere il suo color
naturale, aggiunse vermiglio a vermiglio, quando si vide dinanzi
Spinello. Questi non sapeva ancor nulla dei discorsi fatti tra mastro
Jacopo e suo padre, né dell'annunzio che il vecchio pittore aveva dato
alla figlia. Ma quella scena muta e il rossore di madonna gliene
dissero abbastanza per farlo rimanere sconcertato davanti a lei,
com'ella era turbata davanti a lui.
--E così? Non vi dite nulla!--gridò mastro Jacopo.--Perchè mi state lì
grulli e confusi?--Vedi un po', Fiordalisa; eccolo lì, l'uomo che non
ardisce mai. Ci scommetto che, con la sua paura di non venire a capo
di nulla, non ha neanche creduto di ricordarsi che ci voleva un
anello.
--Oh, questo poi!--esclamò Spinello toccato sul vivo.
E posta la mano al borsellino che gli pendeva dalla cintola, ne trasse
un cerchietto d'oro; indi si accostò alla fanciulla, e prese la sua
mano tremante, e le disse:
--Madonna, non so se sarà abbastanza piccolo per il vostro ditino
d'angiola. Ma, se voi non lo sgradite...--
Madonna non rispose nè sì, nè no. Si era lasciata prender la mano; si
lasciò mettere in dito l'anello.
Il giovine innamorato cadde in ginocchio e baciò la mano della sua
fidanzata. Indi, rialzatosi, le si accostò peritoso o guardandola con
occhi ardenti d'amore le bisbigliò all'orecchio:
--Son più felice di un re.--
Mastro Jacopo si era allontanato, per non farci la figura del terzo
incomodo. Le confidenti espansioni di due cuori innamorati non voglion
testimoni, neanche quando essi siano gli autori della vostra felicità.
Era già l'ora di cena, ma Jacopo di Casentino non parlava ancora di
mettersi a tavola, il vecchio pittore aspettava qualcheduno.--
Poco stante si udì un rumore di passi nella camera attigua, e Tuccio
di Credi apparve sulla soglia. Il povero Tuccio aveva per solito una
faccia rabbuiata, ma quel giorno aveva senz'altro una cera da
funerale.
--Maestro,--diss'egli,--è qui messer Luca Spinelli.
--Ah, bene, fallo entrare;--gridò mastro Jacopo.--Ragazzi miei, prima
di tornare a casa ero passato da Luca Spinelli, mio ottimo amico, e lo
avevo pregato di volere essere dei nostri. In questo giorno così
lieto, per voi, i due babbi debbono essere uniti, non vi pare?
Peccato,--soggiunse mentalmente, reprimendo un sospiro,--che non ci
siano le mamme!--
Tuccio di Credi, che precedeva di pochi passi il nuovo venuto, si tirò
da un lato per lasciarlo passare. Il vecchio fiorentino entrò, strinse
la mano che gli offriva il pittore, e andò a baciare in fronte la sua
futura nuora. Se aveste veduto in quel punto il povero Tuccio di
Credi!
--Messer Luca,--disse Jacopo di Casentino,--quello d'oggi non è un
invito in pompa magna. Si faranno quattro chiacchiere tra noi, mentre
i nostri ragazzi ne faranno mille tra loro, senza dar retta alle
nostre. Ma questi sponsali vogliono essere celebrati con una festa di
famiglia, che faremo domenica, se vi piace. Tuccio di Credi avvertirà
intanto i suoi compagni di bottega, i quali saranno padroni di
spargere la notizia ai quattro punti cardinali.--
Tuccio di Credi rispose con un cenno d'assentimento a quell'ultima
parte del discorso di mastro Jacopo.
--Mi congratulo con voi, maestro,--disse egli,--e mi congratulo con
gli sposi. Quando si faranno le nozze?
--Tra due mesi,--rispose mastro Jacopo,--quando il vostro compagno
avrà condotto a termine un'opera testè incominciata nel Duomo vecchio.
Desidero che impariate da ciò, ragazzi; desidero che impariate a
lavorare di buona voglia. Spinello Spinelli è l'ultimo venuto, ed
eccolo già molto innanzi a tutti voi. Non ve l'abbiate per male.
--Perchè dovremmo avercelo a male?--chiese Tuccio di Credi,
stringendosi nelle spalle con aria di profonda noncuranza.--Chi è da
più degli altri ha ragione di stimarsi fortunato. A noi basterà che
voi non ci togliate la vostra benevolenza.
--L'avete, andate là;--rispose mastro Jacopo, col suo piglio tra il
burbero e il faceto;--sebbene qualche volta mi facciate disperare, da
quei ragazzacci che siete. A domenica, dunque, e preparate le vostre
più belle canzoni. Si starà allegri.--
Tuccio di Credi salutò gli astanti e se ne andò verso l'uscio.
Quel giorno Tuccio di Credi era rimasto l'ultimo in bottega. E a lui
era toccato di ricevere Luca Spinelli, venuto a quell'ora insolita e
con aria misteriosa a cercare mastro Jacopo. A lui, proprio a lui, era
toccato di aver le primizie di quell'annunzio matrimoniale,
altrettanto doloroso quanto inaspettato.
Tuccio di Credi non sapeva che pensare; non sapeva che dire; aveva
perduta la testa. Poco mancò che dimenticasse perfino di chiudere la
bottega. Escito di là, andò macchinalmente per le vie d'Arezzo, fino
all'osteria del Greco, dove c'era la combibbia serale dei garzoni di
mastro Jacopo. Aveva una faccia così scura, che i suoi compagni
lasciarono tosto di ridere, per domandargli se si sentisse male.
--Vuoi un confortino? Un cordiale? Un lattovaro?--gli disse il
Chiacchera.--Prendi questo; è Montepulciano, e il Greco giura di non
averlo annacquato.--
Tuccio di Credi ricusò brevemente, col gesto, il bicchiere che gli
offriva il Chiacchiera.
--Sapete la novella?--disse egli.
--Quale novella?--chiese Cristofano Granacci.
--Se non la spifferi, come possiamo saperla?--soggiunse il
Chiacchiera.
Tuccio di Credi rimase un momento sopra di sè, come se volesse
raccogliere le proprie forze; indi, con voce sepolcrale, diede il
triste annunzio ai compagni:
--Spinello Spinelli, l'ultimo venuto a bottega, sposa la figlia di
mastro Jacopo.--
Un grido di meraviglia accolse le parole di Tuccio.
--Come lo sai?--domandò il Chiacchiera.
--Lo so da mastro Jacopo, che c'invita per domenica alla festa degli
sponsali e ci raccomanda di preparare le nostre più belle canzoni.
--Oh, le avrà!--disse il Chiacchiera.--Ti assicuro io che le avrà. Un
così bel matrimonio! Ci vorranno anche i giullari!
--Già,--osservò tranquillamente Parri della Quercia,--dovevamo
immaginarcelo.
--Immaginarcelo! E perchè?--disse Tuccio di Credi.
--Perchè era facile di scorgere che mastro Jacopo vedeva assai di buon
occhio Spinello Spinelli.
--Come scolaro, non nego;--ribattè Tuccio di Credi.--Mastro Jacopo ha
le sue debolezze, come le ha avute sant'Antonio. Ma neanche
sant'Antonio ha portato il suo protetto in paradiso. E non era da
immaginare che mastro Jacopo dovesse dare sua figlia a Spinello
Spinelli. Sapete che già gliel'avevano domandata parecchi: tra gli
altri il Buontalenti, che è un ricco sfondato.
--È vero;--disse Parri della Quercia;--ma tu ricorderai per qual
ragione mastro Jacopo non gliel'ha voluta dare. Egli ha sempre detto
che la sua Fiordalisa avrebbe sposato uno dell'arte sua. Spinello
Spinelli è un pittore; dunque....
--Adagio, Biagio!--entrò a dire il Chiacchiera.--Spinello Spinelli è
un mastro Imbratta, finora, un fattore come noi altri, e non può
neanche misurarsi con te, Parri della Quercia, che hai già fatto un
trittico a tempera, e n'hai avuto lode dagli intendenti.--
Parri della Quercia sorrise e ringraziò con un cenno del capo.
--Ma infine,--diss'egli di rimando,--se non ha anche dipinto a
tempera, non si può tuttavia bollarlo col titolo di mastro Imbratta.
Rammentate i suoi tocchi in penna.
--Ah sì, bella forza!--gridò il Chiacchiera.--Come se quella fosse
arte! Il pittore s'ha a vederlo sulla tavola.
--O sul muro;--soggiunse Parri.--Spinello Spinelli può dirsi oramai un
frescante. Mastro Jacopo gli ha dato a fare qualche cosa sulle sue
ultime composizioni.
--Sì, gli ha dato da calcare i suoi cartoni sul muro e da mettere il
colore sui fondi.
--Ahimè, dell'altro ancora, dell'altro;--entrò a dire Tuccio di Credi.
--Dell'altro? Che cosa?
--Gli ha dato da dipingere un'intera medaglia nel Duomo vecchio. Mi
capite? un'intera medaglia. E Spinello ha ideata lui la composizione,
ha fatto lui il cartone, tutto lui! Ma non potrebbe anche darsi che il
maestro avesse ritoccato il disegno, data l'intonazione del bozzetto e
via via?
--Non c'è dubbio;--esclamò il Chiacchiera.--E fors'anche avrà ideata
la composizione.
--È possibile,--ripigliò Tuccio di Credi.--Tutto si può
credere,-perchè il lavoro si fa in Duomo, sulle impalcature, dove il
maestro non ha più voluto vedere nessuno di noi.
--Gatta ci cova!--sentenziò Cristofano Granacci.--Intanto eccolo
pittore. E che lavoro è, quello che fa, il sornione?
--Un San Donato che ammazza il serpente con una benedizione;--rispose
Tuccio di Credi.
--Tu l'hai veduto?
--Io no, l'ho risaputo dallo scaccino della chiesa. Ma su questo non
ho a dirvi di più;--soggiunse Tuccio, già quasi pentito di aver
toccato quel tasto.
Ma gli altri non avevano bisogno di più estesi particolari, e non ci
badarono neanco. Erano su tutte le furie, e non ci vedevano lume.
--Ah! è troppo!--gridò Lippo del Calzaiolo.--Mastro Jacopo ci ha i
suoi beniamini. Se avesse adoperato egualmente con noi! Se ci avesse
consigliati, aiutati, messi avanti, saremmo pittori anche noi. Bella
forza! fare il lavoro d'uno scolaro e poi gabellarlo per pittore! E
non si fa celia; pittore frescante! Purchè i massari del Duomo gli
lascino passar la burletta!
--Che cosa ha da importarne ai massari?--disse Tuccio di Credi.--Se
l'opera piacerà, non andranno a cercare cinque piedi al montone.
--E noi lasagnoni! Noi buoni a nulla!--gridò Cristofano Granacci.--Ah,
caro e riverito mio mastro Jacopo di Casentino, dite che non son più
io, se non vi pianto lì su' due piedi.
--O su quanti vorresti piantarlo?--domandò il Chiacchiera, che non
rinunciava mai all'occasione di metter fuori una celia.
--Dico che me ne vado,--urlò il Granacci,--posso allogarmi a Firenze
dal Giottino, o a Siena dal Berna, che tutt'e due mi vogliono.
--Per che fare?
--Quello che tu non farai, Tuccio, se pure tu campassi
mill'anni:--ribattè il Granacci.
--Via, non ci guastiamo il sangue;--entrò a dire Lippo del
Calzaiolo.--Cristofano ha ragione, ed io seguirò il suo esempio; me ne
andrò a bottega da Agnolo Caddi, in Firenze. Tanto qui non s'impara
nulla.
--È vero, questo;--notò il Chiacchiera.--Mastro Jacopo ha l'aria di
tenerci per misericordia, come si tengono gl'infermi all'ospedale. Non
c'è che Spinello, in Arezzo! E a lui concede anche la mano di sua
figlia. Questa, poi, è grossa. Di che diamine s'è innamorato?
--Forse del ritratto che Spinello ha inteso di fare a madonna
Fiordalisa:--osservò Lippo del Calzaiolo.
--Almeno sapesse farli i ritratti!--esclamò il Granacci.--I quattro
segni d'un tocco in penna a me mi servono poco. In un'opera grande,
voglio vederlo.
--Lo vedrete nel San Donato;--disse Parri della Quercia.
--Ma se non è suo!--rispose il Granacci.--Lo vogliamo giudicare da
un'opera fatta da lui sotto i nostri occhi, non già in un affresco di
mastro Jacopo, gabellato per suo.
--Chi dice che non sia suo?--chiese timidamente Parri della Quercia.
--Non hai inteso? Lo dice Tuccio di Credi.
--Adagio, Cristofano; io non ho detto nulla,--si affrettò a rispondere
Tuccio di Credi.--Almeno non ho fatto che accennare un sospetto; anzi,
la possibilità d'un sospetto. Ma se mi domandate che cosa ne penso, vi
dirò che io non sospetto nulla, e credo che Spinelli darà tutta farina
del suo sacco. È un gran pittore che nasce di schianto; nasca a sua
posta, e facciamola finita. Parliamo d'altro; anzi, non parliamo di
nulla. Poc'anzi volevate darmi un confortino, un lattovaro, un
cordiale? Ho più fame che sete, e prenderei qualche cosa di sodo.--


IV.

Le avete mai viste, le pecore matte, che Dante Allighieri, esule
vagabondo, ha osservate tante volte e descritte nel poema sacro?
Escono dal chiuso, ad una, a due, a tre, si seguono alla cieca e ciò
che fa la prima fanno tutte le altre, anco se si tratti di andar sullo
scrimolo d'un precipizio, a risico di fiaccarsi il collo tutte quante.
I garzoni di mastro Jacopo non potevano mandar giù la fortuna del
nuovo venuto e meditavano una grande risoluzione. Escludo dal numero
Parri della Quercia, che non partecipava alle loro malinconie per
dolcezza di carattere, e Tuccio di Credi che aveva scagliato il sasso
e nascondeva la mano.
Parri della Quercia, come vi ho già detto, era onesto e riconosceva
l'ingegno di Spinello Spinelli. Ma egli era d'animo mite, e per
conseguenza un po' timido. Il suo giudizio lo portava a vedere di
primo acchito il bene ed il male; la sua indole lo faceva alieno da
ogni resistenza e desideroso di tirarsi sempre in disparte. Egli era
uno di quegli uomini che conoscono il mondo, o l'indovinano, e non
vogliono prender gatte a pelare. Amava l'arte sua e l'esercitava con
diligenza, che è come a dire senza ardore soverchio. Di certo, anche
se fosse vissuto cent'anni prima, non sarebbe stato lui che avrebbe
liberata la pittura dalle pastoie bisantine; ma si può ammettere che,
vivendo a lungo, sarebbe giunto a dipingere le più aggraziate Madonne
e i Cristi meno arcigni dello stampo antico. Nato nel secolo
decimoquarto e fatto discepolo dei novatori, andava sulla falsariga
dei Giotteschi, senza vedere più in là. E quale era l'artista, tale
era l'uomo. Buono e cauto, giudizioso e misurato in ogni cosa sua,
dissimulava con la dolcezza dei modi il vizio organico che doveva
condurlo pochi anni dopo alla tomba. E voi potete intendere da questo
come avvenisse che Parri della Quercia lasciasse correre le bizze dei
compagni, senza riscaldarsi il sangue a metterli in pace.
Quanto a Tuccio di Credi, avete veduto come egli, dopo aver data la
notizia e lasciato cadere il sospetto, si fosse affrettato a dire che
la cosa non poteva esser vera, e che Spinello Spinelli era un ingegno
nato di schianto, una nuova speranza dell'arte. Si era egli ricreduto,
parlando? O seguiva in ciò il filo d'un riposto disegno?
Comunque fosse, Lippo del Calzaiolo, Cristofano Granacci e Angiolino
Lorenzetti, detto il Chiacchiera, non avevano mestieri del suo aiuto
per dar di fuori; erano giunti a tal segno, che le sue esortazioni
pacifiche, se pure egli avesse creduto di farne, avrebbero sortito un
effetto contrario.
--La vedete così?--aveva detto in fine Tuccio di Credi.--Accomodatevi.
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Çirattagı - Il ritratto del diavolo - 04
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  • Il ritratto del diavolo - 02
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