Galatea - 03

Süzlärneñ gomumi sanı 4585
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1800
32.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
47.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
53.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
geologo, lo scienziato della spedizione. A buon patto, non è vero? Ma io
non ne abuso, e mi chiudo tosto in un prudente riserbo. Troppo
vorrebbero saper ora da me le graziose signore, specie in materia di
botanica, e più che io non mi ricordi d'averne imparato a pezzi e
bocconi.
Seguendo i capricci del sentiero, si passa l'acqua almeno una dozzina
di volte; si beve a tutti gli zampilli delle balze circostanti; si
assaggiano tutti i frutti che offre la macchia. Abbondano le bagole,
piccoli chicchi d'uva nera, che nascono dai ramicelli d'una specie di
mirto, tanto graditi nell'autunno agli uccelli di passo; si trovano
perfino le nespole selvatiche, piccine, ma più fresche al palato e più
gustose delle domestiche. La signorina Wilson fruga per tutte le
siepi, e ad ogni frutto che vede, domanda a me se può metterci il
dente. "Mangi pure, signorina; queste bacche dal colore dell'indaco
son le prune selvatiche, le madri delle nostre susine; asprigne, ma di
gusto piacevole. Non ne abusi, per altro; si attacchi piuttosto alle
fragole montanine, ai lamponi." Così ragionando, assaggiando di qua e
di là il pasto degli uccelli, si sale, si sale ancora, fino al borro
dove ha le sue sorgenti il fiume, diventato una cosa da nulla, e
donde, chiuso il cammino dalla gran parete del monte, bisogna
inerpicarsi da un lato sulla ripida costiera, per un sentiero a
sghembi, che a vederlo di lì si direbbe un passo da capre. Ma ardito
ci si arrampica il ciuco, e lo seguono i muli; ci arrampichiamo
allegramente anche noi. La signora Berti è rimasta più ultima che mai;
la regge e governa un fiero alpinista, il commendator Matteini. La
contessa Quarneri ci ha i suoi tre satelliti; la segretaria comunale,
la signora Wilson e le tre Berti, carine adolescenti, obbediscono ai
cenni di Terenzio Spazzòli, sempre severo in ogni cosa che faccia,
sempre sicuro di sè. I ragazzi trottano come puledri, ficcandosi tra i
piedi dei grandi, inciampando, ruzzolando, saltellando e facendo il
diavolo a quattro. Io prendo le mie vendette d'un troppo lungo restare
in serrafila; sono in testa di colonna, e la signorina Wilson mi
segue.
Gran montanara, gran camminatrice nel cospetto di Dio! E non suda, o
non pare, mentre io grondo come una fonte. Ma è questo il mio solito;
e non mi sento men forte, per ciò, meno voglioso di muovermi. In
questo essa è come me; sente il piacere di andare in alto, sente come
me il piacere di guardarsi indietro. Questo, poi, diciamo pure che può
esserle venuto dalla moglie di Lot. Per fortuna non ci resta di sale.
Quantunque, ad un certo punto della nostra salita, e in una delle
nostre più belle fermate, la gran diavola fu per rimanermi di stucco.
Contemplavamo la valle, così larga e così pittoresca davanti a noi,
con tanti casolari sospesi come nidi sui fianchi verdi dei monti, con
quella linea della strada che biancheggiava a tratti nel fondo, da
qualche radura della frappa, allorquando la mia compagna diede un
grido di maraviglia.
--Il lupo, signor Morelli, il lupo! Oh che bella cosa!
--Non tanto, signorina;--risposi.--Ma dove?
--Laggiù, veda; guardando diritto a quella sporgenza della montagna;
più sotto, di qua dal grande albero....
--Ci sono, ci sono. Ma non è un lupo, quello; sarà un suo parente;
voglio dire un cane.
--Già; e lo pensavo ancor io; ma volevo vedere che atteggiamento mi
prendeva Lei, colla sua mazza babilonese. Proprio un cane; e come
corre!
--Se non sapessi che è sotto chiave,--soggiunsi,--direi....
--Lo dica; abbia fede, signor Morelli, lo dica. È lui, il nostro
Buci.--
Il nostro Buci! Questo suonava più grato dell'accenno alla mia mazza
babilonese e all'atteggiamento che la signorina Wilson si riprometteva
da me per far fronte al pericolo. Ed anche, diciamo pur tutto, poteva
far piacere l'idea di posseder qualche cosa in società con una bella
ragazza; fosse pure un cane di villa.
Era lui, povero cane; era lui veramente, che aveva delusa la vigilanza
del padrone, ed era corso sull'orma dei suoi protettori. Quanta strada
aveva dovuto fare, per raggiungerci! Ma n'era finalmente venuto a
capo; ed arrivando a noi, ansante, trafelato, con un palmo di lingua
fuori, faceva ancora una mezza dozzina di salti buffi, mugolando ed
alzando le froge per mostrarci tutti i suoi denti in un riso. Terenzio
Spazzòli non sarebbe più stato solo a rider così.
Vorremmo concedere qualche minuto di riposo a Buci; ma egli non mostra
di averne voglia; perciò ripigliamo la salita, restando d'un bel
tratto i primi della comitiva. Sull'ultimo scaglione del monte ci
fermiamo ad aspettarla.
--Che bellezza!--gridai, dando un'occhiata in giro a tutta quella
gloria di vette, digradanti di prospettiva e di colore.
--Bravo! e Lei che non voleva venirci!
--Ma no, signorina. Ho accettato, appena me lo ha detto Lei.
--Con qualche restrizione. I suoi posteri, per esempio, che non lo
avrebbero creduto....
--È vero; ma quando Lei mi ha soggiunto che non lo avrebbero
saputo....
--A proposito, signor Morelli.... I posteri, voglio sperare, sapranno
il suo nome di battesimo, mentre io, sua contemporanea, non ho ancora
questa fortuna.
--Fortuna! Vogliamo dire? Mi chiamo Rinaldo.
--Rinaldo!--ripetè ella.--Un nome di paladino.
--Che non sarà mai esistito, se Dio vuole. E Lei? Sentiamo il suo,
ora.
--Un brutto nome; sicuro, ne giudichi; Caterina.
--Bellissimo, anzi. E se ne possono cavare anche parecchi
vezzeggiativi.
--Cominciando da Càtera, non è vero?
--No, lasciamo Càtera a Mercato Vecchio, C'è Rina, non Le garba?
--Ah!--esclamò essa ridendo.--Lei vuole accostarmi a Rinaldo.
--Senza sforzo, se mai; ed è il vezzeggiativo più signorile di
Caterina. Ci sono poi le forme esotiche; le inglesi, prima di tutto,
poichè Lei ha già inglese il casato. Kathleen, che è così dolce; Kate,
che è così fine; Kitty, che è così birichino....
--Si fermi, e levi l'epiteto. Così per l'appunto mi chiamano in
famiglia. Del resto, ci ho parecchi altri nomi, a registro; Frances,
Evelyn, Dorothea.--
Il mio pensiero volò a Galatea e all'ode d'Orazio che il giorno
innanzi le era caduta sott'occhio. Volevo ripigliare; ma in quel punto
si affacciavano dalla salita le signorine Berti, e la nostra
conversazione s'interruppe di schianto. Ed altri seguivano per l'erta,
tutti affrettando il passo, a mala pena ebbero veduto noi, con quella
furia montanina che è così naturale alla vista del luogo dove si farà
la fermata. Là, poi, tutti si voltarono ad ammirare la valle, e si diè
tempo di arrivare anche agli ottantanove chilogrammi della signora
Berti, guardati, conservati e ipotecati per allora dal giubilato e
giubilante commendator Matteini. Per la coppia ultima venuta bisognava
allungare la stazione; e la signorina Kitty volle approfittare
dell'indugio, correndo più in là a visitare una grande e folta
piantata di faggi; vecchi faggi secolari, come se ne vedono più pochi
sulle nostre montagne, poichè il bisogno e l'ingordigia hanno
appiccicata all'umanità sprecona la malattia del far assi a tutto
spiano. E si contentasse ancora di ciò! Dove ho letto io l'altro
giorno che si pensa ad usare come forza motrice la cascata delle
Marmore, cantata dal Byron? e che in Francia si pensa a fare il
somigliante delle "chiare, fresche e dolci acque" di Valchiusa? Gli
uomini son vandali su tutta la faccia della terra; e un giorno, ne ho
fede, verrà un altro diluvio per castigarli. Spoglino per intanto le
montagne, e vedranno.
Corsi dietro alla signorina Kitty, per trattenerla.
--Non vada laggiù; ci son buche e tradimenti.
--Come! tra i faggi?
--Per l'appunto, tra i faggi vecchi. Cascano i più vecchi e marciscono
sotto le nevi; tra rami, foglie, licheni e borraccina, si forma su
quell'intreccio di tronchi uno strato che inganna; par di andare sul
sodo, e ad un tratto cricche, ci si può lasciare una gamba. Ha capito?
Le proibisco di andare.--
La signorina Kitty abbassò il capo, alzando le pupille a guardarmi di
traverso.
--Come comanda bene!--mormorava frattanto.
--Ho piacere che l'osservi;--risposi.--E Lei obbedisca bene.--
Mi fece il muso lungo lungo; poi scoppiò in una risata, che fece
ridere anche me. Gran diavola e buona compagnona!
Si ripigliò la strada, costeggiando il bosco dei faggi, così nero
sotto il denso fogliame, che alle nove del mattino si distinguevano
appena le prime cinque o sei file di tronchi, e tutto l'altro era
sepolto nell'ombra. Mezz'ora dopo, si afferrava la vetta; non la più
alta del San Donato, ma uno dei suoi sproni, e il più prossimo, tra il
quale e la cima del monte si stendeva una lunghissima prateria, tutta
liscia e verde di smeraldo. Dall'orlo di questa, affacciandosi verso
mezzodì, si offriva ai nostri occhi una scena stupenda. "Thalatta!
Thalatta!" avrei gridato io, se fossi stato certo che i miei compagni
gradissero il greco. "Il mare! il mare!" gridarono essi, tutti
accorrendo, perfino la signora Berti, che prese un'ipoteca temporanea
sul braccio del commendator Matteini.
Scena stupenda, per verità, incantevole, divina, come una di quelle
che immaginiamo qualche volta essere arrise nei luoghi eccelsi alle
albe del genere umano. Gran verde ai nostri piedi; poi subito un gran
vano, come un abisso spalancato, profondo, buio alla prima vista, ma
pieno di cose e di colori indistinti; di là dall'abisso un lungo
disordine, ma severo e solenne, di dorsi montuosi, di picchi e di
guglie rocciose; di là ancora, oltre una riva non vista, l'ampia
infinita distesa del mare, calma superficie tra turchiniccia e
verdognola, solcata per lungo da liste di bianco, sfumata qua e là da
chiazze irregolari di grigio; e tutto fremente, tutto sfavillante
d'una luce vaporosa, come sotto un mobile polviscolo d'argento e
d'oro. Immobili a fior d'acqua, come ninfe marine, apparivano le prime
isole del Tirreno: la Gorgona e la Capraia, minuscole, quasi
burchielli arrovesciati sui flutti; l'Elba, più vasta, in forma d'un
lungo scudo sannitico; e laggiù, a destra, sull'orizzonte, bianca
scogliera rilucente al sole, la punta settentrionale della Corsica.
Bellissimo! bellissimo! E non si sapeva dir altro. Bellissimo,
infatti, com'è sempre il bello, quando si vede da lontano, e lascia
modo a pensarci, a fantasticarlo secondo i nostri desiderii.
Ho sonno; finirò domani.


VI.
In alto, e in basso.

_18 luglio 18..._
Le signore hanno protestato di non voler salire più oltre. L'ultima
punta del San Donato è alta ancora un centinaio di metri; ma che cosa
si potrà vedere di lassù, che non si veda dall'orlo del prato? la
Sardegna, forse? o la costa d'Africa? Dunque, fermi lì, dove si sta
così bene. Terenzio Spazzòli è interrogato da una quindicina di
sguardi, più o meno supplichevoli; Terenzio Spazzòli si arrende al
desiderio dei popoli, ma con la dignità di un re, che sembra dire
coll'atto: era questo il parer mio per l'appunto. E subito comanda ai
serventi di portare le provvigioni di bocca in un vicino boschetto di
faggi, che già aveva adocchiato arrivando.
--Non là;--disse la signorina Kitty, gittando verso di me un'occhiata
maliziosa.--Ci saranno delle buche, tra i faggi.
--Non c'è pericolo; rispose l'esperienza paesana, per bocca di uno dei
mulattieri.--È una faggeta di pochi anni, e c'è sodo come sulla strada
battuta.--
Si va a vedere, seguendo le nostre salmerie. Il luogo è adatto e
grazioso; una selvetta che par pettinata mezz'ora prima dalla madre
natura, tutta a masse ben distribuite, tutta viali, sentieri, redole,
andirivieni, che paion tracciati a disegno. Fatti un cento di passi,
ecco una bella radura, con una fontana nel fondo, certamente più alta
di tutte quelle che danno origine al fiume. Sgorga l'acqua da un
fiorellino, tra ciuffi di felci e capelveneri; zampilla, gorgoglia,
sussurra per un po' di cammino fra i sassi, andando a far lago in una
buca di forse due metri, che s'è scavata nella zolla del prato; donde
poi straripa e scivola a valle, immollando per un buon tratto il
terreno. Acqua limpida e fredda, dove la signorina Wilson è già corsa
a tuffar le mani con gioia infantile, io l'amo e la venero come tutte
le fonti, in ciò sentendomi veramente pagano. Terenzio Spazzòli si
affretta a profanarla, ficcandoci dentro non meno di trentasei
bottiglie, fra segni non dubbi di approvazione e di ammirazione da
parte dei saggi. A che altro, di grazia, dovrebbero servire le fonti,
se non a tenere in fresco il vino, specie quando le bottiglie, mal
difese dal tessuto delle ceste, si sono scaldate al sole in tre ore di
marcia?
Terenzio Spazzòli è l'uomo sapiente che nessuna cosa vale a turbare, o
solamente a commuovere. Potrà essere uno sciocco; ma è certamente un
personaggio destinato al comando, solo che altri lo tenga da ciò,
riconoscendo la mediocrità di lui quanto bisogna per non sentirne
invidia; donde ha origine un bel moto dell'anima, e la voglia matta di
spingerlo in alto. Egli frattanto può raccomandarsi benissimo
all'attenzione de' suoi simili, rendendosi utile e tenendosi
abbastanza prezioso. È a buon conto uno di quegli uomini che fanno di
tutto: non eccessivamente bene, capisco; ma ogni eccesso non è forse
difetto? Gran gente, i mediocri, quando sono operosi, attenti e
pacati. Non hanno scatti di pensieri, di affetti, di risoluzioni;
fanno quel che possono e sanno, magari quel che non sanno, ma con
tanta buona volontà! Chi crede di far meglio si faccia avanti; essi
hanno data la loro misura, non facendosi pregar troppo, non
ispaventandosi di nessuna malleveria. E riescono, il più delle volte;
se non riescono, sarà ancora un bel merito aver provato di fare. Sono
utili, così; diventano necessarii; chi ne rideva da principio, si
avvezza a loro, non vede che loro, non sa passarsi più dell'opera loro
e della loro persona. Mediocri, io vi saluto; se stèsse in me, vi
adoprerei tutti al governo.
Si fanno grandi apparecchi intorno alla fontana; ed anche poco
distante, tra i faggi, dove sono state condotte e scaricate le bestie
da soma. I serventi son tutti in faccende, obbedendo agli ordini di
Terenzio Spazzòli. Hanno perfino improvvisato un focolare, di cui
sentiamo crepitare la stipa. Che cosa vorrà essere la nostra refezione
all'aperto? Terenzio viene modestamente a consigliarsi con le signore;
propone un pasto che sia colazione e desinare ad un tempo, osservando
che due pasti separati da troppo breve intervallo si guasterebbero
l'un l'altro. La sua osservazione è giudiziosa, quasi profonda, come
tutto ciò che gli esce di bocca. Terenzio bocca d'oro! E niente
insuperbito dell'approvazione universale, si volge a me, domandando
come si potrebbe chiamare il pasto consigliato da lui. A me? certo, ed
anche naturalmente: non son io, per decreto delle signore, lo
scienziato della spedizione? Propongo di chiamarlo "colazione
desinatoria", corroborando la mia proposta con la "_coulassion
disnoira_" dei Piemontesi e col "_dèjeuner dinatoire_" dei Francesi.
La necessità di copiare è evidente; se c'è la cosa, perchè dovrà
mancar la parola? e se degli italiani l'han trovata in dialetto,
perchè non si dovrebbe farla passare nella lingua?
Accettata la parola, o le parole, si aspetta con desiderio la cosa. La
camminata lunga e l'aria montanina hanno recati i loro effetti
maravigliosi; gli stomachi vuoti rimordono, come altrettante coscienze
aggravate. Ma bisogna aver pazienza un momentino; quel tal momentino
che diventa un quarto d'ora per via. Non è molto, poi; ed anche è bene
speso quel po' di tempo, perchè sono arrivate le scodelle e
distribuite sui tovagliuoli, davanti ai commensali, adagiati
sull'erba; e dietro le scodelle arrivano parecchie latte di brodo
fumante. "Questo ristora" osserva Terenzio Spazzòli, facendosi attorno
col cucchiaione, per servir le signore. I fabbricatori di conserve
alimentari hanno fatto il miracolo; il fuoco l'ha compiuto, dando una
scaldata alle latte; nondimeno, si dà merito di tutto a Terenzio
Spazzòli. Infatti, è giusto; l'idea di ristorare gli stomachi, prima
di nutrirli con le vivande fredde, l'ha avuta lui, e gliene va data la
lode. Notate ancora: arrivato il brodo, a parecchi viene l'idea di far
la zuppa del cane, rompendoci dentro una mezza pagnottina. Ma no, non
c'è bisogno di questo; Terenzio Spazzòli ha pensato egualmente ai
piccoli dadi di pane tostato nel burro. Sarà la zuppa del viaggiatore,
se mai; zuppa da persone di garbo, che vogliono dare la sua parte
anche all'occhio. E sia pure zuppa del cane anche questa, ma solo
quando ne avrà assaggiato il povero Buci, che va trottolando,
scodinzolando, mugolando, fiutando, dalla fontana alla cucina, dalla
cucina alla fontana; certo, all'apparenza, il più affaccendato di
tutti. Il brodo caldo ha ristorati gli stomachi: ora vengono i freddi:
prosciutto, mortadelle, polli arrosto, galantine, gelatine, burro,
sardelle di Nantes, bottarghe e via discorrendo; tutta roba che dà
buon bere agli uomini. Ed anche le signore non canzonano; è bello
vederle all'opera, sgranocchiare allegramente d'ogni cosa, rinunziando
volentieri alle forchette e ai coltelli, dove possono bastare le mani,
non badando ad ungersi un pochino le dita, e magari gli angoli della
bocca. Ai miei tempi sono stato romantico anch'io, e poco mi piacevano
le donne in atto di mangiare; cresciuto negli anni, nella esperienza e
nel sentimento della vita, amo vederle a tavola, occupate
graziosamente a morsicchiar petti di pollo e pasticcini di Strasburgo;
senza contare che la tavola meglio imbandita, dov'esse manchino, è
triste. Per passare la musoneria, lo so bene, ci si beve di più; ma
allora, peggio che andar di notte, corrono i discorsacci, volano i
motti pungenti e si risica di finire come alle nozze di Pulcinella,
che le furon legnate. Colle donne a tavola, c'è sempre in ogni piatto
il condimento della grazia, che vi farebbe parer buona anche una
frittata senz'ova; c'è l'allegria contenuta, la celia garbata, il
desiderio di piacere, la cura di non esser noiosi; tutte le buone
qualità dell'uomo sono in mostra, e le cattive abilmente dissimulate;
sicchè par proprio di ritrovarsi fra gente civile.
Così pensano i classicisti, che oramai tengono il campo. Ma ecco,
mentre clan volta i romantici, venir fuori un'altra razza di
guastamestieri, gli uomini politici e i politicanti, coi loro
banchetti mascolini a un tanto a testa, colla minestra cotta stracotta
e raffreddata per via, colle salse andate a male, col pesce passato,
col servizio fatto a casaccio; e tutto ciò per il maledetto gusto di
sorbirsi alle frutta un bicchiere di vinello che la pretende a
Sciampagna, e una tantafera sconclusionata che la pretende a discorso.
Ma ne sono quasi sempre puniti; perchè, se il bicchiere è uno, son due
i discorsi, tre, cinque, sette; e qualche volta, data la gravità del
fallo, s'aggiunge il castigo di Dio d'un sonetto, improvvisato per
l'occasione la sera innanzi, o quell'altro del personaggio cupo che si
leva ultimo, incominciando: "Signori, io non sono oratore..." e cava
dalla tasca del soprabito uno scartafaccio enorme.
Sono di cattivo umore, io. E non erano così, l'altro ieri, i miei
compagni di San Donato. Alle frutta non si fecero discorsi, quantunque
fossero molto bene snodate le lingue. Venne e fu aperto sotto i nostri
occhi il vaso di Pandora; voglio dire il canestro misterioso, per cui
si erano fatte tante ciarle e tante supposizioni durante il viaggio.
Ne uscirono fuori chicchere, piattini, cucchiaini, caffettiera,
zuccheriera, tutto un servizio da caffè. Dio degli Dei! e già dalla
cucina nascosta tra i faggi si spandeva, giungendo fino a noi, l'aroma
della bevanda celestiale, che staccava il bollore nel bricco.
Terenzio Spazzòli fu proclamato ad unanimi voti un grand'uomo. Lo
avremmo levato sugli scudi, se non ci fossero mancati gli arnesi da
ciò, e se non fosse stato necessario levarci noi da sedere. Il nostro
condottiero accolse con tacita compiacenza le lodi, e attese egli
stesso al servizio, presentando la chicchera fumante alle dame. Lo
aiutava la signorina Wilson, presentando la chicchera ai cavalieri;
gran degnazione in lei, nuovo pregio che si aggiungeva alla cosa, e
per cui Galatea si tramutava in Ebe. La seconda immagine non è mia; è
del commendator Matteini, giubilato come conservator d'ipoteche, ma
non ancora come conservatore delle buone tradizioni letterarie. Ed era
graziosa, quell'Ebe; ma forse un po' troppo gloriosa, avendo l'aria
d'essere stata a parte del segreto. Anzi, diciamo tutto, ad un certo
punto se lo lasciò sfuggire di bocca. "Ma sì, volevamo fare una
improvvisata." Ahi, questo non è bene. Dunque la signorina Kitty ci ha
l'uso delle partecipazioni? Infatti, può dire a me: "il nostro Buci";
a Terenzio Spazzòli: "il nostro caffè."
La signorina Kitty conosce anche il segreto della cesta? Ma sì,
figuriamoci se non ne ha la sua parte! Non ho ancora digerito il
caffè, e già mi danno l'assenzio. Il taciturno condottiero ha lasciata
la compagnia, sottraendosi al coro dei suoi lodatori. Ed anche lei si
muove, andando tra i faggi, verso il deposito delle provvigioni. C'è
del nuovo, per aria, e si sente. Quando ritorna, con la sua aria
birichina e col suo risolino malizioso, va a discorrere sottovoce
colla contessa Quarneri. Non afferro che questa frase, con cui ella
finisce: "ci sta Lei?"
--Ma sì,--risponde la luminosa contessa, è un'idea stupenda. A mille
--metri sopra il livello del mare! Non potranno vantarsene molti.
--Che c'è?--domandano le signore, poichè la contessa ha parlato a voce
alta, e non vuol far mistero di nulla.--Un'altra improvvisata?
--E come! un _lawn-tennis_ su quella prateria, che par fatta a bella
posta.--
Un _lawn-tennis_! Le ragazze Berti saltano dalla gioia. La mamma loro
non farà certamente quell'esercizio ginnastico; ma in fondo non le
dispiace, dopo desinare, godersi un po' di spettacolo. La signora
Wilson madre non può sgradire un divertimento della sua patria
d'adozione. La signora segretaria comunale non lo conosce ancora da
vicino; sarà felice di essere ai primi posti, per assistere ad una
delle tante inezie della moda. I tre satelliti della contessa amano
tutto ciò che ama il loro astro dominatore. Il commendator Matteini
non ha opinioni in proposito; rammenta d'essere stato ai suoi tempi un
dilettante di pallone; si adatterà volentieri a veder giuocare alla
palla; condizione di spettatore tranquillo, che può pensare intanto a
tutt'altro, magari alla "città dell'anima" Quanto a me, dovevo
immaginarmelo, questo tiro mancino. Abomino il _lawn-tennis_, più
ch'io non faccia i miei peccati di gioventù, pensieri, opere ed
ommissioni; e proprio a me doveva toccare questa delizia, a mille
metri, anzi a mille e diciannove, sul livello del mare.
Ho fatto di necessità virtù, accompagnando la brigata sulla prateria
destinata. Avrei fatta anche la fatica di andare attorno, in cerca di
petroni, per far sedili alle signore. Ma c'erano i ripieghini, utili e
maneschi sederini di tela, coi due staggi mastiettati a iccase, che
venivano a fare l'ufficio loro in buon punto. Il saggio Terenzio
Spazzòli aveva proprio pensato a tutto, perfino agli ottantanove
chilogrammi della signora Berti.
E già, in quella sua breve assenza dalla fontana, aveva fatto prodigi.
Aiutato dai serventi che gli tenevano le cordicelle tese, e dai due
piccoli Berti che gli portavano il gesso, aveva segnate le doppie
linee parallele del campo di giuoco; poi, piantati i piuoli, aveva
rizzata nel mezzo la rete, che fa nel _lawn-tenis_ l'uffizio del
cordino nel giuoco del pallone, e che bisogna sempre trapassare con la
palla, perchè il giuoco sia buono. Le racchette erano a posto sulle
due estremità del campo; a posto sulla battuta le palle di guttaperca,
in numero di sei, per averne sempre una in pronto, se un'altra si
crepasse, e un'altra o parecchie volassero di qua o di là fuor del
confine. Per quelle, poi, vigilavano i ragazzi, sempre vogliosi di
correre. Così tutte disposte le cose, in mezzo a due file di
spettatori si distribuirono le coppie dei giuocatori e le mute
rispettive. Primi a giuocare furono da una parte la contessa Quarneri
con Terenzio Spazzòli, dall'altra la signorina Wilson col primo (è poi
veramente il primo?) dei famosi satelliti. Anche a me fecero cortesia,
invitandomi a giuocare. Mi sono scusato, confessando d'essere ad ogni
giuoco una sbercia.
Non è meno sbercia (sia detto con tutto l'ossequio dovuto a tanti
pregi fisici e intellettuali) non è meno sbercia di me la contessa
Quarneri, che con una sequela di falli conduce in perdizione il suo
compagno di giuoco e sè stessa. Pure, aveva contrario uno dei fidi
satelliti, che lavorava con ogni suo potere a farla guadagnare, non
azzeccandone mai una. Ma vegliava accanto a lui la signorina Kitty,
che le imbroccava tutte, e che, com'ebbe visto far cilecca il
compagno, prese a levargli la mano, muovendosi lei, leggera come una
ninfa, e sopramano e sottomano, come le veniva fatto, rimandando la
palla; ma, da furba, non mai dalla parte di Terenzio Spazzòli.
Ho detto che le imbroccava tutte, e non mi disdico, sebbene due le
uscissero dalle righe. Ma quelle due le aveva gettate a bella posta
fuori del giuoco. Scambio di rimandarle alla parte avversaria, con un
abile giro di racchetta le scagliava verso di me, una facendone
ruzzolare fino a' miei piedi, e l'altra, poi, accoccandomela senza
misericordia sul mio cappello di sparto; senza averne l'aria, si
capisce, mentre io stavo discorrendo colla contessa Quarneri, che si
era stancata alle prime partite, e uscita di giuoco e surrogata dalla
maggiore delle Berti, era venuta a sedersi presso di me, rimasto a
caso in disparte. Non più Ebe, no davvero, Galatea da capo; e non già
quella di Orazio, che si metteva in viaggio; non già quella di
Teocrito, che tradiva Polifemo per Aci; la Virgiliana, dico, della
quale cantò Darneta nella terza delle Bucoliche:
_Malo me Galateo, petti, lasciva puèlla,
Et fugit ad salices et se cupit ante videri._

Ad un certo punto, approfittando della distrazione di uno dei ragazzi,
viene a raccogliere una palla a poca distanza da me. Avrei dovuto
alzarmi io a raccoglierla; ma mi tratteneva nel dialogo una battuta un
po' lunga della contessa Quarneri. Passando leggera davanti a noi, la
signorina Wilson mi gitta poche parole, che rompono a mezzo il
discorsetto della mia interlocutrice.
--Non è vero, signor Rinaldo, che è bello il _lawn-tennis_?--
Le rispondo che è bellissimo; ma ella è già trascorsa veloce,
sorridente, graziosa; si curva sulla vita, raccoglie la palla, e fugge
al suo posto di combattimento. Gran diavola di ninfa! Non offre
all'occhio che belle linee flessuose, elegantissime nella loro
mobilità: ogni atto, in lei, ogni gesto, ogni movenza, è un prodigio
di grazia. Ci ha parte sicuramente il _lawn-tennis_, con tanta varietà
di movimenti che richiede; ed è forse per questo che le signorine
giuocano volentieri al _lawn-tennis_.
Ma ogni bel giuoco dura poco, anche quando pare una gran novità, a
mille diciannove metri sul livello del mare. La signora Wilson e la
signora Berti, madri, ed arbitro del campo, hanno guardato l'orologio
e fatto un gesto a Terenzio Spazzòli. La signora Berti è anche un po'
di cattivo umore. Perchè? Immagino che le dia noia la luminosa bionda
che ha tre serventi, mentre le sue figliuole non ne hanno nessuno.
Eppure son tanto carine! Ma che mania, scusi, è la sua, di condurle da
per tutto in mostra, a far numero tra le donne di sboccio, tra quelle,
io vo' dire, che stanno sulle mode e sugli spassi, che son vaghe di
conversazioni, di teatri e di feste da ballo? Giuro, anzi scommetto,
che a far così non troveranno marito. Uno che abbia la vocazione di
prender moglie, o cerca una dote vistosa, o si appiglia a qualità più
modeste. Le sue care figliuole hanno tutte le mode ultimissime,
scorrazzano su tutti i marciapiedi, si fanno vedere a tutte le prime
rappresentazioni, a tutte le feste, a tutti i ricevimenti solenni. È
una cattiva strada, quella che prende la signora Berti degnissima. E
ci ha, dopo tutto, un cuor d'eroina: per il suo nobile errore si
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Çirattagı - Galatea - 04
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