I promessi sposi. - 17
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tardato tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che credeva più
atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbattè nel principe, il quale
pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si congratulò delle
buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. Il principe
era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella
notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di
corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un
giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è
questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e di
divertimenti. E neppure descriveremo, in particolare e per ordine, i
sentimenti dell'animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia di
dolori e di fluttuazioni, troppo monotona, e troppo somigliante alle
cose già dette. L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti, quello
svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria aperta,
le rendevan più odiosa l'idea del luogo dove alla fine si smonterebbe
per l'ultima volta, per sempre. Più pungenti ancora eran l'impressioni
che riceveva nelle conversazioni e nelle feste. La vista delle spose
alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitato, le
cagionava un'invidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto
di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare
quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità. Talvolta la
pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichío e il
fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ardor
tale di viver lieto, che prometteva a sè stessa di disdirsi, di
soffrir tutto, piuttosto che tornare all'ombra fredda e morta del
chiostro. Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano alla considerazione
più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in viso al
principe. Talvolta anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre
que' godimenti, gliene rendeva amaro e penoso quel piccol saggio; come
l'infermo assetato guarda con rabbia, e quasi respinge con dispetto
il cucchiaio d'acqua che il medico gli concede a fatica. Intanto il
vicario delle monache ebbe rilasciata l'attestazione necessaria, e
venne la licenza di tenere il capitolo per l'accettazione di Gertrude.
Il capitolo si tenne; concorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi
de' voti segreti ch'eran richiesti da' regolamenti; e Gertrude fu
accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora
d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c'era
sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la
sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo
dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si
trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva,
o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o
ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre.
È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione
cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia
congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato
c'è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per
metterlo in opera, a qualunque costo; se non c'è, essa dà il modo di
far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità
virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch'è stato intrapreso
per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che è
stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma
che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur
francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta
che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad
essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza
e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con questo
mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta,
comunque lo fosse divenuta. Ma l'infelice si dibatteva in vece sotto il
giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse. Un rammarico
incessante della libertà perduta, l'abborrimento dello stato presente,
un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti,
tali erano le principali occupazioni dell'animo suo. Rimasticava
quell'amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circostanze
per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente col
pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sè di dappocaggine,
altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva. Idolatrava insieme e
piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi
in un lento martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna,
in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente
godersi nel mondo que' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a tirarla là
dentro, le era odiosa. Si ricordava l'arti e i raggiri che avevan
messi in opera, e le pagava con tante sgarbatezze, con tanti dispetti,
e anche con aperti rinfacciamenti. A quelle conveniva le più volte
mandar giù e tacere: perchè il principe aveva ben voluto tiranneggiar
la figlia quanto era necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto
l'intento, non avrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse
d'aver ragione contro il suo sangue; e ogni po' di rumore che avesser
fatto, poteva esser cagione di far loro perdere quella gran protezione,
o cambiar per avventura il protettore in nemico. Pare che Gertrude
avrebbe dovuto sentire una certa propensione per l'altre suore,
che non avevano avuto parte in quegl'intrighi, e che, senza averla
desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate e ilari,
le mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse non
solo vivere, ma starci bene. Ma queste pure le erano odiose, per un
altro verso. La loro aria di pietà e di contentezza le riusciva come
un rimprovero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica;
e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le spalle, come
pinzochere, o di morderle come ipocrite. Forse sarebbe stata meno
avversa ad esse, se avesse saputo o indovinato che le poche palle nere,
trovate nel bossolo che decise della sua accettazione, c'erano appunto
state messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel comandare,
nell'esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di complimento
da persone di fuori, nello spuntar qualche impegno, nello spendere la
sua protezione, nel sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni!
Il cuore, trovandosene così poco appagato, avrebbe voluto di quando in
quando aggiungervi, e goder con esse le consolazioni della religione;
ma queste non vengono se non a chi trascura quell'altre: come il
naufrago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo in salvo sulla
riva, deve pure allargare il pugno e abbandonar l'alghe, che aveva
prese, per una rabbia d'istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta maestra
dell'educande; ora pensate come dovevano stare quelle giovinette,
sotto una tal disciplina. Le sue antiche confidenti eran tutte uscite;
ma lei serbava vive tutte le passioni di quel tempo; e, in un modo o
in un altro, l'allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in
mente che molte di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale
essa era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio,
un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava,
faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti un
giorno. Chi avesse sentito, in que' momenti, con che sdegno magistrale
le gridava, per ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una donna
d'una spiritualità salvatica e indiscreta. In altri momenti, lo stesso
orrore per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava
in accessi d'umore tutto opposto. Allora, non solo sopportava la
svagatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mischiava
ne' loro giochi, e li rendeva più sregolati; entrava a parte de' loro
discorsi, e li spingeva più in là dell'intenzioni con le quali esse
gli avevano incominciati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalío
della madre badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne faceva una
scena di commedia; contraffaceva il volto d'una monaca, l'andatura
d'un'altra: rideva allora sgangheratamente; ma eran risa che non la
lasciavano più allegra di prima. Così era vissuta alcuni anni, non
avendo comodo, nè occasione di far di più; quando la sua disgrazia
volle che un'occasione si presentasse.
Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per
compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in
un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa
abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che,
in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati,
potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle
leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato.
Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel
quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar
lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà
dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata
rispose.
In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo,
ma viva. Nel vôto uggioso dell'animo suo s'era venuta a infondere
un'occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma
quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà
ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a
sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità
in tutta la sua condotta: divenne, tutt'a un tratto, più regolare,
più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolío, si mostrò anzi
carezzevole e manierosa, dimodochè le suore si rallegravano a vicenda
del cambiamento felice; lontane com'erano dall'immaginarne il vero
motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che
ipocrisia aggiunta all'antiche magagne. Quell'apparenza però, quella,
per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con
quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti
dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l'imprecazioni
e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in
un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però,
ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran
cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore
sopportavano alla meglio tutti questi alt'e bassi, e gli attribuivano
all'indole bisbetica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un
giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che
pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la
finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra
un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che
lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. Da
quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto
tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a' suoi ufizi
consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata
ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira,
dalla cima al fondo; non c'è in nessun luogo. E chi sa quali congetture
si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperta una
buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse
sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne' contorni, e
principalmente a Meda, di dov'era quella conversa; si scrisse in varie
parti: non se n'ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe
potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato
vicino. Dopo molte maraviglie, perchè nessuno l'avrebbe creduta capace
di ciò, e dopo molti discorsi, si concluse che doveva essere andata
lontano, lontano. E perchè scappò detto a una suora: «s'è rifugiata
in Olanda di sicuro,» si disse subito, e si ritenne per un pezzo, nel
monastero e fuori, che si fosse rifugiata in Olanda. Non pare però
che la signora fosse di questo parere. Non già che mostrasse di non
credere, o combattesse l'opinion comune, con sue ragioni particolari:
se ne aveva, certo, ragioni non furono mai così ben dissimulate; nè
c'era cosa da cui s'astenesse più volentieri che da rimestar quella
storia, cosa di cui si curasse meno che di toccare il fondo di quel
mistero. Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava. Quante volte
al giorno l'immagine di quella donna veniva a cacciarsi d'improvviso
nella sua mente, e si piantava lì, e non voleva moversi! Quante volte
avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che
averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno
e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile!
Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque
cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell'intimo
dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce,
e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un'insistenza
infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai!
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu presentata
alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio al quale siam rimasti col
racconto. La signora moltiplicava le domande intorno alla persecuzione
di don Rodrigo, e entrava in certi particolari, con una intrepidezza,
che riuscì e doveva riuscire più che nuova a Lucia, la quale non
aveva mai pensato che la curiosità delle monache potesse esercitarsi
intorno a simili argomenti. I giudizi poi che quella frammischiava
all'interrogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno strani.
Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto
di quel signore, e domandava se era un mostro, da far tanta paura:
pareva quasi che avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia
della giovine, se non avesse avuto per ragione la preferenza data a
Renzo. E su questo pure s'avanzava a domande, che facevano stupire e
arrossire l'interrogata. Avvedendosi poi d'aver troppo lasciata correr
la lingua dietro agli svagamenti del cervello, cercò di correggere e
d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non potè fare che a
Lucia non ne rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un confuso
spavento. E appena potè trovarsi sola con la madre, se n'apri con lei;
ma Agnese, come più esperta, sciolse, con poche parole, tutti que'
dubbi, e spiegò tutto il mistero. «Non te ne far maraviglia,» disse:
«quando avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son cose
da farsene maraviglia. I signori, chi più, chi meno, chi per un verso,
chi per un altro, han tutti un po' del matto. Convien lasciarli dire,
principalmente quando s'ha bisogno di loro; far vista d'ascoltarli sul
serio, come se dicessero delle cose giuste. Hai sentito come m'ha dato
sulla voce, come se avessi detto qualche gran sproposito? Io non me ne
son fatta caso punto. Son tutti così. E con tutto ciò, sia ringraziato
il cielo, che pare che questa signora t'abbia preso a ben volere, e
voglia proteggerci davvero. Del resto, se camperai, figliuola mia, e
se t'accaderà ancora d'aver che fare con de' signori, ne sentirai, ne
sentirai, ne sentirai.»
[Illustrazione: La sventurata rispose.... (pag. 158)]
Il desiderio d'obbligare il padre guardiano, la compiacenza di
proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva fruttare la
protezione impiegata così santamente, una certa inclinazione per Lucia,
e anche un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente,
nel soccorrere e consolare oppressi, avevan realmente disposta la
signora a prendersi a petto la sorte delle due povere fuggitive. A sua
richiesta, e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della
fattoressa attiguo al chiostro, e trattate come se fossero addette al
servizio del monastero. La madre e la figlia si rallegravano insieme
d'aver trovato così presto un asilo sicuro e onorato. Avrebber anche
avuto molto piacere di rimanervi ignorate da ogni persona; ma la cosa
non era facile in un monastero: tanto più che c'era un uomo troppo
premuroso d'aver notizie d'una di loro, e nell'animo del quale, alla
passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza d'essere
stato prevenuto e deluso. E noi, lasciando le donne nel loro ricovero,
torneremo al palazzotto di costui, nell'ora in cui stava attendendo
l'esito della sua scellerata spedizione.
CAPITOLO XI.
Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, tornano
mortificati verso il padrone, co' musi bassi, e con le code ciondoloni,
così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto
di don Rodrigo. Egli camminava innanzi e indietro, al buio, per una
stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispondeva sulla spianata.
Ogni tanto si fermava, tendeva l'orecchio, guardava dalle fessure
dell'imposte intarlate, pieno d'impazienza e non privo d'inquietudine,
non solo per l'incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze
possibili; perchè era la più grossa e la più arrischiata a cui il
brav'uomo avesse ancor messo mano. S'andava però rassicurando col
pensiero delle precauzioni prese per distrugger gl'indizi, se non i
sospetti.--In quanto ai sospetti,--pensava--me ne rido. Vorrei un po'
sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c'è o non c'è
una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto. Venga
il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia?
Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, nè un matto. E a Milano?
Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che
ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno nè anche
un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura. Come rimarrà
Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io fo ciarle o fatti. E poi...,
se mai nascesse qualche imbroglio.... che so io? qualche nemico che
volesse cogliere quest'occasione,... anche Attilio saprà consigliarmi:
c'è impegnato l'onore di tutto il parentado.--Ma il pensiero sul quale
si fermava di più, perchè in esso trovava insieme un acquietamento de'
dubbi, e un pascolo alla passion principale, era il pensiero delle
lusinghe, delle promesse che adoprerebbe per abbonire Lucia.--Avrà
tanta paura di trovarsi qui sola, in mezzo a costoro, a queste facce,
che.... il viso più umano qui son io, per bacco.... che dovrà ricorrere
a me, toccherà a lei a pregare; e se prega....--
Mentre fa questi bei conti, sente un calpestío, va alla finestra,
apre un poco, fa capolino; son loro.--E la bussola? Diavolo! dov'è
la bussola? Tre, cinque, otto: ci son tutti; c'è anche il Griso; la
bussola non c'è: diavolo! diavolo! il Griso me ne renderà conto.--
Entrati che furono, il Griso posò in un angolo d'una stanza terrena il
suo bordone, posò il cappellaccio e il sanrocchino, e, come richiedeva
la sua carica, che in quel momento nessuno gl'invidiava, salì a render
quel conto a don Rodrigo. Questo l'aspettava in cima alla scala; e
vistolo apparire con quella goffa e sguaiata presenza del birbone
deluso, «ebbene,» gli disse, o gli gridò: «signore spaccone, signor
capitano, signor _lascifareame_?»
«L'è dura,» rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino,
«l'è dura di ricever de' rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e
cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle.»
«Com'è andata? Sentiremo, sentiremo,» disse don Rodrigo, e s'avviò
verso la sua camera, dove il Griso lo seguì, e fece subito la relazione
di ciò che aveva disposto, fatto, veduto e non veduto, sentito, temuto,
riparato; e la fece con quell'ordine e con quella confusione, con
quella dubbiezza e con quello sbalordimento, che dovevano per forza
regnare insieme nelle sue idee.
«Tu non hai torto, e ti sei portato bene,» disse don Rodrigo: e hai
fatto quello che si poteva; ma.... ma, che sotto questo tetto ci fosse
una spia! Se c'è, se lo arrivo a scoprire, e lo scopriremo se c'è,
te l'accomodo io; ti so dir io, Griso, che lo concio per il dì delle
feste.»
«Anche a me, signore,» disse il Griso, «è passato per la mente un tal
sospetto: e se fosse vero, se si venisse a scoprire un birbone di
questa sorte, il signor padrone lo deve metter nelle mie mani. Uno che
si fosse preso il divertimento di farmi passare una notte come questa!
toccherebbe a me a pagarlo. Però, da varie cose m'è parso di poter
rilevare che ci dev'essere qualche altro intrigo, che per ora non si
può capire. Domani, signore, domani se ne verrà in chiaro.»
«Non siete stati riconosciuti almeno?»
Il Griso rispose che sperava di no; e la conclusione del discorso fu
che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo, tre cose che colui
avrebbe sapute ben pensare anche da sè. Spedire la mattina presto
due uomini a fare al console quella tale intimazione, che fa poi
fatta, come abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda, per
tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse, e sottrarre a ogni
sguardo la bussola fino alla notte prossima, in cui si manderebbe a
prenderla; giacchè per allora non conveniva fare altri movimenti da dar
sospetto; andar poi lui, e mandare anche altri, de' più disinvolti e
di buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar qualcosa intorno
all'imbroglio di quella notte. Dati tali ordini, don Rodrigo se n'andò
a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte
lodi, dalle quali traspariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo
degl'improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.
Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno. Povero Griso!
In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare
il pericolo di cader sotto l'unghie de' villani, o di buscarti una
taglia _per rapto di donna honesta_, per giunta di quelle che hai già
addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso
gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che
qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto
o tardi, anche in questo mondo. Va a dormire per ora: che un giorno
avrai forse a somministrarcene un'altra prova, e più notabile di questa.
La mattina seguente, il Griso era fuori di nuovo in faccende, quando
don Rodrigo s'alzò. Questo cercò subito del conte Attilio, il quale,
vedendolo spuntare, fece un viso e un atto canzonatorio, e gli gridò:
«San Martino!»
«Non so cosa vi dire,» rispose don Rodrigo, arrivandogli accanto:
«pagherò la scommessa; ma non è questo quel che più mi scotta. Non
v'avevo detto nulla, perchè, lo confesso, pensavo di farvi rimanere
stamattina. Ma.... basta, ora vi racconterò tutto.»
«Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare,» disse il cugino,
dopo aver sentito tutto, con più serietà che non si sarebbe aspettato
da un cervello così balzano. «Quel frate,» continuò, «con quel suo
fare di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche, io l'ho
per un dirittone, e per un impiccione. E voi non vi siete fidato di
me, non m'avete mai detto chiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi
l'altro giorno.» Don Rodrigo riferì il dialogo. «E voi avete avuto
tanta sofferenza?» esclamò il conte Attilio: «e l'avete lasciato andare
com'era venuto?»
«Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?»
«Non so,» disse il conte Attilio, «se, in quel momento, mi sarei
ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerario
birbante; ma via, anche nelle regole della prudenza, manca la maniera
di prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saper
raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si può
impunemente dare un carico di bastonate a un membro. Basta; ha scansato
la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia
protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si parla
co' pari nostri.»
«Non mi fate peggio.»
«Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da amico.»
«Cosa pensate di fare?»
«Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate. Ci penserò,
e... il signor conte zio del Consiglio segreto è lui che mi deve fare
il servizio. Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo
posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro
sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.»
Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il discorso
d'un affare di quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con
disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la
sua amicizia per il cugino, e l'onore del nome comune, secondo le idee
che aveva d'amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva tenersi di
non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita. Ma don Rodrigo,
ch'era in causa propria, e che, credendo di far quietamente un gran
colpo, gli era andato fallito con fracasso, era agitato da passioni
più gravi, e distratto da pensieri più fastidiosi. «Di belle ciarle,»
diceva, «faranno questi mascalzoni, in tutto il contorno. Ma che
m'importa? In quanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n'è;
quando ce ne fosse, me ne riderei ugualmente: a buon conto, ho fatto
stamattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione
dell'avvenuto. Non ne seguirebbe nulla; ma le ciarle, quando vanno
in lungo, mi seccano. È anche troppo ch'io sia stato burlato così
barbaramente.»
«Avete fatto benissimo,» rispondeva il conte Attilio. «Codesto
vostro podestà.... gran caparbio, gran testa vôta, gran seccatore
d'un podestà.... è poi un galantuomo, un uomo che sa il suo dovere;
e appunto quando s'ha che fare con persone tali, bisogna aver più
riguardo di non metterle in impicci. Se un mascalzone di console fa una
deposizione, il podestà, per quanto sia ben intenzionato, bisogna pure
che....»
«Ma voi,» interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo, «voi guastate
le mie faccende, con quel vostro contraddirgli in tutto, e dargli
sulla voce, e canzonarlo anche, all'occorrenza. Che diavolo, che un
podestà non possa esser bestia e ostinato, quando nel rimanente è un
galantuomo!»
«Sapete, cugino,» disse guardandolo, maravigliato, il conte Attilio,
«sapete, che comincio a credere che abbiate un po' di paura? Mi
prendete sul serio anche il podestà....»
«Via via, non avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?»
«L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò vedere che
non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta l'animo di far per voi? Son
uomo da andare in persona a far visita al signor podestà. Ah! sarà
contento dell'onore? E son uomo da lasciarlo parlare per mezz'ora
del conte duca, e del nostro signor castellano spagnolo, e da dargli
ragione in tutto, anche quando ne dirà di quelle così massicce. Butterò
poi là qualche parolina sul conte zio del Consiglio segreto: e sapete
che effetto fanno quelle paroline nell'orecchio del signor podestà.
Alla fin de' conti, ha più bisogno lui della nostra protezione, che voi
della sua condiscendenza. Farò di buono, e ci anderò, e ve lo lascerò
meglio disposto che mai.»
Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì, per andare
a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietà il ritorno del
Griso. Venne costui finalmente, sull'ora del desinare, a far la sua
relazione.
Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso, la sparizione
di tre persone da un paesello era un tale avvenimento, che le ricerche,
e per premura e per curiosità, dovevano naturalmente esser molte e
calde e insistenti; e dall'altra parte, gl'informati di qualche cosa
eran troppi, per andar tutti d'accordo a tacer tutto. Perpetua non
poteva farsi veder sull'uscio, che non fosse tempestata da quello e da
quell'altro, perchè dicesse chi era stato a far quella gran paura al
atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbattè nel principe, il quale
pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si congratulò delle
buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. Il principe
era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella
notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di
corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un
giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è
questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e di
divertimenti. E neppure descriveremo, in particolare e per ordine, i
sentimenti dell'animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia di
dolori e di fluttuazioni, troppo monotona, e troppo somigliante alle
cose già dette. L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti, quello
svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria aperta,
le rendevan più odiosa l'idea del luogo dove alla fine si smonterebbe
per l'ultima volta, per sempre. Più pungenti ancora eran l'impressioni
che riceveva nelle conversazioni e nelle feste. La vista delle spose
alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitato, le
cagionava un'invidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto
di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare
quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità. Talvolta la
pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichío e il
fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ardor
tale di viver lieto, che prometteva a sè stessa di disdirsi, di
soffrir tutto, piuttosto che tornare all'ombra fredda e morta del
chiostro. Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano alla considerazione
più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in viso al
principe. Talvolta anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre
que' godimenti, gliene rendeva amaro e penoso quel piccol saggio; come
l'infermo assetato guarda con rabbia, e quasi respinge con dispetto
il cucchiaio d'acqua che il medico gli concede a fatica. Intanto il
vicario delle monache ebbe rilasciata l'attestazione necessaria, e
venne la licenza di tenere il capitolo per l'accettazione di Gertrude.
Il capitolo si tenne; concorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi
de' voti segreti ch'eran richiesti da' regolamenti; e Gertrude fu
accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora
d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c'era
sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la
sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo
dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si
trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva,
o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o
ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre.
È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione
cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia
congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato
c'è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per
metterlo in opera, a qualunque costo; se non c'è, essa dà il modo di
far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità
virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch'è stato intrapreso
per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che è
stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma
che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur
francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta
che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad
essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza
e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con questo
mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta,
comunque lo fosse divenuta. Ma l'infelice si dibatteva in vece sotto il
giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse. Un rammarico
incessante della libertà perduta, l'abborrimento dello stato presente,
un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti,
tali erano le principali occupazioni dell'animo suo. Rimasticava
quell'amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circostanze
per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente col
pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sè di dappocaggine,
altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva. Idolatrava insieme e
piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi
in un lento martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna,
in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente
godersi nel mondo que' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a tirarla là
dentro, le era odiosa. Si ricordava l'arti e i raggiri che avevan
messi in opera, e le pagava con tante sgarbatezze, con tanti dispetti,
e anche con aperti rinfacciamenti. A quelle conveniva le più volte
mandar giù e tacere: perchè il principe aveva ben voluto tiranneggiar
la figlia quanto era necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto
l'intento, non avrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse
d'aver ragione contro il suo sangue; e ogni po' di rumore che avesser
fatto, poteva esser cagione di far loro perdere quella gran protezione,
o cambiar per avventura il protettore in nemico. Pare che Gertrude
avrebbe dovuto sentire una certa propensione per l'altre suore,
che non avevano avuto parte in quegl'intrighi, e che, senza averla
desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate e ilari,
le mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse non
solo vivere, ma starci bene. Ma queste pure le erano odiose, per un
altro verso. La loro aria di pietà e di contentezza le riusciva come
un rimprovero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica;
e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le spalle, come
pinzochere, o di morderle come ipocrite. Forse sarebbe stata meno
avversa ad esse, se avesse saputo o indovinato che le poche palle nere,
trovate nel bossolo che decise della sua accettazione, c'erano appunto
state messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel comandare,
nell'esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di complimento
da persone di fuori, nello spuntar qualche impegno, nello spendere la
sua protezione, nel sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni!
Il cuore, trovandosene così poco appagato, avrebbe voluto di quando in
quando aggiungervi, e goder con esse le consolazioni della religione;
ma queste non vengono se non a chi trascura quell'altre: come il
naufrago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo in salvo sulla
riva, deve pure allargare il pugno e abbandonar l'alghe, che aveva
prese, per una rabbia d'istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta maestra
dell'educande; ora pensate come dovevano stare quelle giovinette,
sotto una tal disciplina. Le sue antiche confidenti eran tutte uscite;
ma lei serbava vive tutte le passioni di quel tempo; e, in un modo o
in un altro, l'allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in
mente che molte di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale
essa era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio,
un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava,
faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti un
giorno. Chi avesse sentito, in que' momenti, con che sdegno magistrale
le gridava, per ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una donna
d'una spiritualità salvatica e indiscreta. In altri momenti, lo stesso
orrore per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava
in accessi d'umore tutto opposto. Allora, non solo sopportava la
svagatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mischiava
ne' loro giochi, e li rendeva più sregolati; entrava a parte de' loro
discorsi, e li spingeva più in là dell'intenzioni con le quali esse
gli avevano incominciati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalío
della madre badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne faceva una
scena di commedia; contraffaceva il volto d'una monaca, l'andatura
d'un'altra: rideva allora sgangheratamente; ma eran risa che non la
lasciavano più allegra di prima. Così era vissuta alcuni anni, non
avendo comodo, nè occasione di far di più; quando la sua disgrazia
volle che un'occasione si presentasse.
Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per
compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in
un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa
abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che,
in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati,
potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle
leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato.
Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel
quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar
lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà
dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata
rispose.
In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo,
ma viva. Nel vôto uggioso dell'animo suo s'era venuta a infondere
un'occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma
quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà
ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a
sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità
in tutta la sua condotta: divenne, tutt'a un tratto, più regolare,
più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolío, si mostrò anzi
carezzevole e manierosa, dimodochè le suore si rallegravano a vicenda
del cambiamento felice; lontane com'erano dall'immaginarne il vero
motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che
ipocrisia aggiunta all'antiche magagne. Quell'apparenza però, quella,
per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con
quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti
dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l'imprecazioni
e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in
un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però,
ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran
cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore
sopportavano alla meglio tutti questi alt'e bassi, e gli attribuivano
all'indole bisbetica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un
giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che
pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la
finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra
un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che
lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. Da
quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto
tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a' suoi ufizi
consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata
ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira,
dalla cima al fondo; non c'è in nessun luogo. E chi sa quali congetture
si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperta una
buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse
sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne' contorni, e
principalmente a Meda, di dov'era quella conversa; si scrisse in varie
parti: non se n'ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe
potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato
vicino. Dopo molte maraviglie, perchè nessuno l'avrebbe creduta capace
di ciò, e dopo molti discorsi, si concluse che doveva essere andata
lontano, lontano. E perchè scappò detto a una suora: «s'è rifugiata
in Olanda di sicuro,» si disse subito, e si ritenne per un pezzo, nel
monastero e fuori, che si fosse rifugiata in Olanda. Non pare però
che la signora fosse di questo parere. Non già che mostrasse di non
credere, o combattesse l'opinion comune, con sue ragioni particolari:
se ne aveva, certo, ragioni non furono mai così ben dissimulate; nè
c'era cosa da cui s'astenesse più volentieri che da rimestar quella
storia, cosa di cui si curasse meno che di toccare il fondo di quel
mistero. Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava. Quante volte
al giorno l'immagine di quella donna veniva a cacciarsi d'improvviso
nella sua mente, e si piantava lì, e non voleva moversi! Quante volte
avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che
averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno
e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile!
Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque
cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell'intimo
dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce,
e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un'insistenza
infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai!
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu presentata
alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio al quale siam rimasti col
racconto. La signora moltiplicava le domande intorno alla persecuzione
di don Rodrigo, e entrava in certi particolari, con una intrepidezza,
che riuscì e doveva riuscire più che nuova a Lucia, la quale non
aveva mai pensato che la curiosità delle monache potesse esercitarsi
intorno a simili argomenti. I giudizi poi che quella frammischiava
all'interrogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno strani.
Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto
di quel signore, e domandava se era un mostro, da far tanta paura:
pareva quasi che avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia
della giovine, se non avesse avuto per ragione la preferenza data a
Renzo. E su questo pure s'avanzava a domande, che facevano stupire e
arrossire l'interrogata. Avvedendosi poi d'aver troppo lasciata correr
la lingua dietro agli svagamenti del cervello, cercò di correggere e
d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non potè fare che a
Lucia non ne rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un confuso
spavento. E appena potè trovarsi sola con la madre, se n'apri con lei;
ma Agnese, come più esperta, sciolse, con poche parole, tutti que'
dubbi, e spiegò tutto il mistero. «Non te ne far maraviglia,» disse:
«quando avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son cose
da farsene maraviglia. I signori, chi più, chi meno, chi per un verso,
chi per un altro, han tutti un po' del matto. Convien lasciarli dire,
principalmente quando s'ha bisogno di loro; far vista d'ascoltarli sul
serio, come se dicessero delle cose giuste. Hai sentito come m'ha dato
sulla voce, come se avessi detto qualche gran sproposito? Io non me ne
son fatta caso punto. Son tutti così. E con tutto ciò, sia ringraziato
il cielo, che pare che questa signora t'abbia preso a ben volere, e
voglia proteggerci davvero. Del resto, se camperai, figliuola mia, e
se t'accaderà ancora d'aver che fare con de' signori, ne sentirai, ne
sentirai, ne sentirai.»
[Illustrazione: La sventurata rispose.... (pag. 158)]
Il desiderio d'obbligare il padre guardiano, la compiacenza di
proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva fruttare la
protezione impiegata così santamente, una certa inclinazione per Lucia,
e anche un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente,
nel soccorrere e consolare oppressi, avevan realmente disposta la
signora a prendersi a petto la sorte delle due povere fuggitive. A sua
richiesta, e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della
fattoressa attiguo al chiostro, e trattate come se fossero addette al
servizio del monastero. La madre e la figlia si rallegravano insieme
d'aver trovato così presto un asilo sicuro e onorato. Avrebber anche
avuto molto piacere di rimanervi ignorate da ogni persona; ma la cosa
non era facile in un monastero: tanto più che c'era un uomo troppo
premuroso d'aver notizie d'una di loro, e nell'animo del quale, alla
passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza d'essere
stato prevenuto e deluso. E noi, lasciando le donne nel loro ricovero,
torneremo al palazzotto di costui, nell'ora in cui stava attendendo
l'esito della sua scellerata spedizione.
CAPITOLO XI.
Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, tornano
mortificati verso il padrone, co' musi bassi, e con le code ciondoloni,
così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto
di don Rodrigo. Egli camminava innanzi e indietro, al buio, per una
stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispondeva sulla spianata.
Ogni tanto si fermava, tendeva l'orecchio, guardava dalle fessure
dell'imposte intarlate, pieno d'impazienza e non privo d'inquietudine,
non solo per l'incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze
possibili; perchè era la più grossa e la più arrischiata a cui il
brav'uomo avesse ancor messo mano. S'andava però rassicurando col
pensiero delle precauzioni prese per distrugger gl'indizi, se non i
sospetti.--In quanto ai sospetti,--pensava--me ne rido. Vorrei un po'
sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c'è o non c'è
una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto. Venga
il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia?
Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, nè un matto. E a Milano?
Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che
ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno nè anche
un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura. Come rimarrà
Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io fo ciarle o fatti. E poi...,
se mai nascesse qualche imbroglio.... che so io? qualche nemico che
volesse cogliere quest'occasione,... anche Attilio saprà consigliarmi:
c'è impegnato l'onore di tutto il parentado.--Ma il pensiero sul quale
si fermava di più, perchè in esso trovava insieme un acquietamento de'
dubbi, e un pascolo alla passion principale, era il pensiero delle
lusinghe, delle promesse che adoprerebbe per abbonire Lucia.--Avrà
tanta paura di trovarsi qui sola, in mezzo a costoro, a queste facce,
che.... il viso più umano qui son io, per bacco.... che dovrà ricorrere
a me, toccherà a lei a pregare; e se prega....--
Mentre fa questi bei conti, sente un calpestío, va alla finestra,
apre un poco, fa capolino; son loro.--E la bussola? Diavolo! dov'è
la bussola? Tre, cinque, otto: ci son tutti; c'è anche il Griso; la
bussola non c'è: diavolo! diavolo! il Griso me ne renderà conto.--
Entrati che furono, il Griso posò in un angolo d'una stanza terrena il
suo bordone, posò il cappellaccio e il sanrocchino, e, come richiedeva
la sua carica, che in quel momento nessuno gl'invidiava, salì a render
quel conto a don Rodrigo. Questo l'aspettava in cima alla scala; e
vistolo apparire con quella goffa e sguaiata presenza del birbone
deluso, «ebbene,» gli disse, o gli gridò: «signore spaccone, signor
capitano, signor _lascifareame_?»
«L'è dura,» rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino,
«l'è dura di ricever de' rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e
cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle.»
«Com'è andata? Sentiremo, sentiremo,» disse don Rodrigo, e s'avviò
verso la sua camera, dove il Griso lo seguì, e fece subito la relazione
di ciò che aveva disposto, fatto, veduto e non veduto, sentito, temuto,
riparato; e la fece con quell'ordine e con quella confusione, con
quella dubbiezza e con quello sbalordimento, che dovevano per forza
regnare insieme nelle sue idee.
«Tu non hai torto, e ti sei portato bene,» disse don Rodrigo: e hai
fatto quello che si poteva; ma.... ma, che sotto questo tetto ci fosse
una spia! Se c'è, se lo arrivo a scoprire, e lo scopriremo se c'è,
te l'accomodo io; ti so dir io, Griso, che lo concio per il dì delle
feste.»
«Anche a me, signore,» disse il Griso, «è passato per la mente un tal
sospetto: e se fosse vero, se si venisse a scoprire un birbone di
questa sorte, il signor padrone lo deve metter nelle mie mani. Uno che
si fosse preso il divertimento di farmi passare una notte come questa!
toccherebbe a me a pagarlo. Però, da varie cose m'è parso di poter
rilevare che ci dev'essere qualche altro intrigo, che per ora non si
può capire. Domani, signore, domani se ne verrà in chiaro.»
«Non siete stati riconosciuti almeno?»
Il Griso rispose che sperava di no; e la conclusione del discorso fu
che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo, tre cose che colui
avrebbe sapute ben pensare anche da sè. Spedire la mattina presto
due uomini a fare al console quella tale intimazione, che fa poi
fatta, come abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda, per
tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse, e sottrarre a ogni
sguardo la bussola fino alla notte prossima, in cui si manderebbe a
prenderla; giacchè per allora non conveniva fare altri movimenti da dar
sospetto; andar poi lui, e mandare anche altri, de' più disinvolti e
di buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar qualcosa intorno
all'imbroglio di quella notte. Dati tali ordini, don Rodrigo se n'andò
a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte
lodi, dalle quali traspariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo
degl'improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.
Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno. Povero Griso!
In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare
il pericolo di cader sotto l'unghie de' villani, o di buscarti una
taglia _per rapto di donna honesta_, per giunta di quelle che hai già
addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso
gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che
qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto
o tardi, anche in questo mondo. Va a dormire per ora: che un giorno
avrai forse a somministrarcene un'altra prova, e più notabile di questa.
La mattina seguente, il Griso era fuori di nuovo in faccende, quando
don Rodrigo s'alzò. Questo cercò subito del conte Attilio, il quale,
vedendolo spuntare, fece un viso e un atto canzonatorio, e gli gridò:
«San Martino!»
«Non so cosa vi dire,» rispose don Rodrigo, arrivandogli accanto:
«pagherò la scommessa; ma non è questo quel che più mi scotta. Non
v'avevo detto nulla, perchè, lo confesso, pensavo di farvi rimanere
stamattina. Ma.... basta, ora vi racconterò tutto.»
«Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare,» disse il cugino,
dopo aver sentito tutto, con più serietà che non si sarebbe aspettato
da un cervello così balzano. «Quel frate,» continuò, «con quel suo
fare di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche, io l'ho
per un dirittone, e per un impiccione. E voi non vi siete fidato di
me, non m'avete mai detto chiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi
l'altro giorno.» Don Rodrigo riferì il dialogo. «E voi avete avuto
tanta sofferenza?» esclamò il conte Attilio: «e l'avete lasciato andare
com'era venuto?»
«Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?»
«Non so,» disse il conte Attilio, «se, in quel momento, mi sarei
ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerario
birbante; ma via, anche nelle regole della prudenza, manca la maniera
di prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saper
raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si può
impunemente dare un carico di bastonate a un membro. Basta; ha scansato
la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia
protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si parla
co' pari nostri.»
«Non mi fate peggio.»
«Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da amico.»
«Cosa pensate di fare?»
«Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate. Ci penserò,
e... il signor conte zio del Consiglio segreto è lui che mi deve fare
il servizio. Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo
posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro
sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.»
Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il discorso
d'un affare di quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con
disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la
sua amicizia per il cugino, e l'onore del nome comune, secondo le idee
che aveva d'amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva tenersi di
non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita. Ma don Rodrigo,
ch'era in causa propria, e che, credendo di far quietamente un gran
colpo, gli era andato fallito con fracasso, era agitato da passioni
più gravi, e distratto da pensieri più fastidiosi. «Di belle ciarle,»
diceva, «faranno questi mascalzoni, in tutto il contorno. Ma che
m'importa? In quanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n'è;
quando ce ne fosse, me ne riderei ugualmente: a buon conto, ho fatto
stamattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione
dell'avvenuto. Non ne seguirebbe nulla; ma le ciarle, quando vanno
in lungo, mi seccano. È anche troppo ch'io sia stato burlato così
barbaramente.»
«Avete fatto benissimo,» rispondeva il conte Attilio. «Codesto
vostro podestà.... gran caparbio, gran testa vôta, gran seccatore
d'un podestà.... è poi un galantuomo, un uomo che sa il suo dovere;
e appunto quando s'ha che fare con persone tali, bisogna aver più
riguardo di non metterle in impicci. Se un mascalzone di console fa una
deposizione, il podestà, per quanto sia ben intenzionato, bisogna pure
che....»
«Ma voi,» interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo, «voi guastate
le mie faccende, con quel vostro contraddirgli in tutto, e dargli
sulla voce, e canzonarlo anche, all'occorrenza. Che diavolo, che un
podestà non possa esser bestia e ostinato, quando nel rimanente è un
galantuomo!»
«Sapete, cugino,» disse guardandolo, maravigliato, il conte Attilio,
«sapete, che comincio a credere che abbiate un po' di paura? Mi
prendete sul serio anche il podestà....»
«Via via, non avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?»
«L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò vedere che
non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta l'animo di far per voi? Son
uomo da andare in persona a far visita al signor podestà. Ah! sarà
contento dell'onore? E son uomo da lasciarlo parlare per mezz'ora
del conte duca, e del nostro signor castellano spagnolo, e da dargli
ragione in tutto, anche quando ne dirà di quelle così massicce. Butterò
poi là qualche parolina sul conte zio del Consiglio segreto: e sapete
che effetto fanno quelle paroline nell'orecchio del signor podestà.
Alla fin de' conti, ha più bisogno lui della nostra protezione, che voi
della sua condiscendenza. Farò di buono, e ci anderò, e ve lo lascerò
meglio disposto che mai.»
Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì, per andare
a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietà il ritorno del
Griso. Venne costui finalmente, sull'ora del desinare, a far la sua
relazione.
Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso, la sparizione
di tre persone da un paesello era un tale avvenimento, che le ricerche,
e per premura e per curiosità, dovevano naturalmente esser molte e
calde e insistenti; e dall'altra parte, gl'informati di qualche cosa
eran troppi, per andar tutti d'accordo a tacer tutto. Perpetua non
poteva farsi veder sull'uscio, che non fosse tempestata da quello e da
quell'altro, perchè dicesse chi era stato a far quella gran paura al
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