Vita di Francesco Burlamacchi - 06
Süzlärneñ gomumi sanı 4437
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1805
37.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Giovanni gli aiutava con ogni sua possa; poi, per parere imparziale,
avvisava i popoleschi a non lasciarsi cogliere alla sprovista, ed in
pubblico increpava ambedue; girandole da furbi gaglioffi per le quali
i pretesi uomini di stato arieggiano Bertoldo quando si nascondeva
dietro un vaglio; i popolari lo irridevano e si apparecchiavano di
cuore ad ingaggiare la suprema battaglia; la plebe stava co' popoleschi
inferocita dallo avere un bel mattino trovati appesi agli usci delle
botteghe loro mazzi di capestri, e le fu detto in minaccia della sorte
serbatole dove mai prevalessero i noveschi: certo è bene che parecchi
affermavamo, e non senza verosimiglianza grandissima, cotesto tiro
movere dai popoleschi; ma, considerando che il procedere in cotesta
maniera si adattava meglio ai costumi ed agli interessi dei noveschi,
così i noveschi senz'altro incolparono; avvertenza questa della
fallacia dello argomento di sospettare colpevole del reato quello a cui
giova; in siffatta disposizione di animi basta una favilla a suscitare
lo incendio, e la favilla non manca mai; adesso furono le nozze, che
belle e magnifiche ammaniva don Giovanni per certa sua figliuola la
quale andava sposa ad un barone napoletano: ci si dovevano fare giostre
e torneamenti, epperò ordinarono una spianata davanti la casa di don
Giovanni; la quale opera considerando i popoleschi, presero a mulinare
si stesse costruendo un bastione per impedire loro la entrata nella
contrada del Pantaneto, sospetto cresciuto da vedere come i noveschi
si fossero fatti forti nella casa di un Mancino dei Tommasi, quasi
serrame a impedire che il popolo trascorresse per la Costarella e
luogo acconcio così per soccorrere gli amici, che dal Terzo della
città intendessero passare per Camollia, come per essere sovvenuti
da loro: per altra parte i noveschi, avendosi a nominare in cotesti
giorni il capitano del popolo, tenevano per sicuro uscirebbe uno della
propria fazione, mentre all'opposto rimase eletto Giovambattista Umidi
popolesco: di ciò n'ebbero maraviglia e spavento; quindi da ambe le
parti non pure voglia ma necessità di venire a mezzo ferro. Intanto si
celebrano le nozze della figlia di don Giovanni, canti, suoni, balli
e banchetti splendidissimi; tutto questo pei signori, pel popolo si
ammanirono dopo il pranzo abbattimenti condotti dagli Spagnuoli, cose
stupende, non mai viste per lo addietro nè da vedersi più innanzi; ne
andarono le grida attorno con accompagnatura di tamburi e di pifferi,
e il popolo in onta alla smisurata sua curiosità non si mosse, fermo
alla posta egli stette con la mano sopra la spada: allora ne tentarono
un'altra, e fu di bandire che pel sette di febbraio si sarebbe data
sulla piazza una solenne caccia di tori; e sfoggiati allestimenti si
fanno i palchi mirabili per arazzi e damaschi, le livree dei giocatori
di vari colori, i tori scelti fra i più feroci delle Maremme, le
musiche continue, bisognava avere i piedi di piombo per tenerli
in casa; e il popolo i piè di piombo ebbe; agevole poi spiegare la
insolita immobilità sua solo che tu sappia come atroce disegno dei
noveschi fosse cascare addosso del popolo inteso allo spettacolo e
menarne strage, e della trama questo avesse pigliato odore.
Don Giovanni, vista la mala parata, il dì veniente mandò pei caporali
delle parti contrarie tentando raumiliarli con parole oneste affinchè
alla travagliata patria dessero pace, e provò contrasto dove lo credeva
meno, vo' dire dal lato dei noveschi; ai quali parendo stare bene in
istaffa, non consentivano cedere, onde il giorno otto di febbraio,
saltati nella strada in armi, essi presero a gridare: «_Imperio,
imperio, nove, nove_.» Di subito un correr di gente a precipizio; le
botteghe serransi in furia, ognuno va per armi; primo dei popoleschi
a mostrare il viso un Giuli, ma gli Spagnuoli sparandogli addosso il
ferirono; il Turamini investe Annibale Umidi e lo lascia in terra
per morto: i popoleschi pronti accorrono alla riscossa e condotti
dal Luti e da Landucci vietano ai noveschi irrompere dal Pantaneto.
Giambattista Umidi capitano del popolo, come quello che, allevato in
mezzo ai trambusti, quando accadevano, invece d'impaurirsene faceva
pasqua, ordina sonarsi a stormo la campana grossa del palazzo, appello
al popolo della patria in pericolo; di subito tu vedi versarsi un
formicolaio di gente armata per le strade, la quale ottimamente
condotta da prodi cittadini con irresistibile impeto si avventa contro
certa bastita fabbricata dai noveschi in Camollia: in meno che non dici
_amen_ la bastita è sfondata, i difensori dispersi, ma non giova loro
la fuga, chè raggiunti sono messi al taglio della spada; taluno si
rimpiattò, e non gli valse, rinvenuti per le stalle, quivi trovarono
la morte. In altra parte sei giovani noveschi più animosi che savi,
non potendo starsene addopati ai muri di casa Bonsignori, scendono su
la via e si cacciano dentro ai popoleschi, i quali sopraffatti dal
furiosissimo assalto cedono terreno, e gli altri incalzano, sicchè
pareva ormai che avessero la vittoria in pugno, quando di un tratto
una grossa banda di Fontebrandesi li percuote di fianco; per la qual
cosa mandati sossopra e respinti verso la casa, ebbero per ventura
trovarne la porta aperta per ripararvisi dentro: colà attendevano a
difendersi alla disperata, pure aspettando che i compagni del Terzo
della città corressero a soccorrerli; ma i compagni, visto il caso
buio, cagliarono. In questa il capitano del popolo Giambattista
Umidi chiama attorno di sè gli Spagnuoli; ma questi essendo stati
i primi a menare le mani contro i popoleschi, pensarono che andare
adesso a mettersi in mezzo a loro e' fosse come tornare a pigione
in bocca al lupo, però ricusarono netto: ora don Giovanni comanda
loro escano fuori per accompagnarlo a sedare il tumulto; ma pieni
di ardimento contro il popolo inerme e poco, ora che infuria come
mare in burrasca, essi ricusano anco più netto. Don Giovanni, non
volendo mancare al debito suo, non avendo sotto mano di meglio, si
circonda di taluni suoi parziali tra i popoleschi e i riformatori, e
con esso loro si accosta alla combattuta casa pregando posassero le
armi, non si facessero con le proprie mani giustizia, rispettassero
l'autorità, le leggi osservassero; a lui stava multare della meritata
pena i colpevoli, di cui il misfatto egli affermava, per testimonianza
propria, espresso. Urla e minacce accolsero la intempestiva orazione
mentre l'accompagnatura gli spulezzò dattorno: ei non si sbigottiva
per questo, anzi sceso da cavallo e solo si recò fino a piè della
porta della casa Bonsignori e quivi a mani giunte supplicò grazia pei
rinchiusi: qualche popolesco, sendochè gli atti generosi abbiano virtù
di commovere sempre fortemente il cuore del popolo, gli disse parole
cortesi, ma la più parte degli altri infelloniti, con occhi strabuzzati
e accese labbia, gridarongli: «Si levasse loro davanti, chè se no,
ce ne sarebbe anco per lui: quanto quivi accadeva era per colpa sua;
andasse via.» Don Giovanni non se lo lasciò intimare due volte; levò
le ciglia in su a guardare la casa, poi, borbottando un: _consummatum
est_, si ridusse in palazzo, il quale con molte guardie diligentemente
assicurò. Avendo intanto il popolo raccolta copia di fascine, disegnava
con esse incendiare la porta della casa e così ad un tratto espugnarla,
se non che quei di dentro, o per furore di morte vendicata, o per
isperanza di vita conservata, dalle finestre fioccavano archibugiate
da mettere in cervello anco i più animosi; il capitano Enea Sacchini,
vedendo che alla scoperta non riusciva l'assalto a bene, entrò co'
compagni nelle case dirimpetto, e quinci riparati dalle finestre
fecero un fuoco d'inferno; per la quale cosa gli assaliti sopraffatti
cessarono il trarre, sicchè, levate le offese, potè il popolo
accostarsi alla porta, arderla ed irrompere in casa. La rabbia del
popolo non ha paragone che con quella degli elementi; prece o minaccia
ugualmente inutili per lui; in quanti il popolo occorse, tanti scannò;
qualcheduno si arrampicò su i tetti, ma quivi raggiunti presero con
presentissimo pericolo a correre pei tegoli; e i popolani dietro con
non minore pericolo ad agguantarli e, presili, a rischio di rotolare
giù insieme avviticchiati, scaraventarli di sotto: le strade andarono
lunga ora funestate per pozzanghere piene di sangue umano e per membra
ed ossa lacere; nè la età novella salvò dal fato estremo il giovanetto
Giulio Orlandini, il quale, per miracolo uscito fuori e passata
felicemente una prima schiera di popolani, s'imbattè in una seconda che
da parte a parte con le alabarde lo traferì; più avventuroso Giorgio
Trecerchi, il quale, tratto a sè l'uscio di una cantina, si nascose
nel vano a triangolo che l'uscio si lascia dietro quando tocca la
parete parallela, ed i feroci, mentre cercavano da per tutto, lì non
frugarono. Nè vi fu casa di noveschi che rimanesse illesa; causa di
questo rovistare per ogni angolo la brama di trarre l'arme di mano
ai nemici; ma poichè nei tempi andati la medesima causa fu pretesto a
taluni di rapina, i caporali bandirono chiunque grancisse pagherebbe
del capo; e non solo le case dei noveschi furono perquisite, bensì non
andarono immuni quelle dei popolani, imperciocchè il popolo, informato
come taluno pietoso gli avessero raccolti, volle rivilicarle, e lì pure
trovatili, si difendessero o no, inermi ovvero armati, li trucidò;
poi mosse contro il palazzo di don Giovanni brandendo le armi e le
faci, e fu mirabile cosa che cotesto Spagnuolo, il quale fin lì aveva
dato buon saggio di sè, sfinito di animo non valesse a far contrasto,
al contrario ordinasse si aprissero le porte al popolo: questi entrò
digrignante i denti e prima che si palesasse il nemico vibrava il
coltello; tuttavia, cerca e ricerca, rovista da cima in fondo ogni
ripostiglio, non rinvenne persona, conciossiachè, come il Malevolti
racconta, i malcapitati noveschi (e pare impossibile!) aggrappandosi
su pei pilastri si rannicchiassero sopra i cornicioni delle finestre i
quali a sufficienza sporgevano in fuori, e colà stettero parecchie ore
in agonia, chè, essendo ormai calata la notte, non furono veduti.
A perpetuare il tumulto ecco giungere nuova che le battaglie del duca
Cosimo si appressavano ai confini, già si sa, per tutela delle persone
e per la quiete dello stato (che a cotesti tempi la causa della civiltà
non era stata ancora inventata.) La balía, e i popolani dando nei
lumi sbuffavano e non provvedeano. Giovambattista Umidi capitano del
popolo allora mandò alle terre del dominio perchè tosto spedissero
i loro uomini armati alla città; nella notte da Valdichiana e da
Moltalcino ne vennero mille, e gli altri dietro come onde del mare;
entrarono, circondarono il palazzo di don Giovanni, gli voltarono
contro due cannoni e si ammanirono a farne un falò. Don Giovanni
atterrito domandava al capitano: «Ed ora che novità è questa?» E il
capitano a lui: «La novità è che questa gente di qui non si muove se
le battaglie del duca di Firenze che voi avete chiamato ai danni della
città non sieno tornate prima nei loro alloggiamenti.» Don Giovanni
s'ingegnò di fare l'albanese messere, protestando di non saperne nulla
e che scriverebbe ben egli di buon inchiostro al duca che badasse ai
fatti suoi e non si desse pensieri del Rosso. Il duca, avvisato che
non tirava buon vento, ritirò le battaglie e spedì persona apposta
per ragguagliare a modo suo lo imperatore dello accaduto; non meno
solerte di lui il capitano Umidi inviava in diligenza un suo fidato al
marchese Del Vasto affinchè la città dalle calunnie dei malevoglienti
difendesse. Dato a tutto questo recapito, popoleschi e riformatori si
assembrarono nello arcivescovado per vedere un po' quali provvisioni
si avessero a pigliare; il Palmieri, che passava per testa forte e
dottore era e sputava tondo, disse che per opinione sua bisognava
stare alla riforma del Granvela (che universalmente si credeva
consigliata da lui) e di più tenersi bene edificato don Giovanni, il
quale commosso della attenzione avrebbe speso di buone parole presso
lo imperatore per giustificare il popolo. Messer Antonio dei Vecchi,
guardatolo un cotal po' alla trista e tentennando il capo, rispose:
«che rifar carte dopo aver vinta la partita la era cosa che costumavano
i giocatori nelle taverne, non già gli uomini di stato nei pubblici
negozi. Perpetui nemici i noveschi, perdonati più volte sempre più
infesti di prima, adesso di nuovo vinti ed a stento si sradicassero
così che non potessero più mettere il tallo nuovo sul vecchio: rispetto
a don Giovanni sappia messer Palmieri che gli oppressori di prima o
di seconda mano non perdonano mai chi abbia loro incusso paura, e
se nol sa o non lo voglia sapere, dia a rimpedulare il cervello.»
Parole veramente di oro in oro e accette all'universale. Però fu
approvato i noveschi, come soperchiatori incorreggibili e di ogni legge
intolleranti, si levassaro dal governo dello stato e, pena la vita,
cessassero di portare arme così in città come in contado. Don Giovanni,
rotti gl'indugi, prese il largo recandosi a Firenze e quindi a corte,
dove citò a comparire parecchi dei maggiorenti cittadini, i quali non
gli dettero retta. Dopo la sua partenza cassarono la guardia spagnuola,
paltonieri che mangiavano il pane dei cittadini a tradimento, quando
non lo intridevano nel sangue loro; a questo modo il reggimento
rimase spartito in tre ordini di cittadini: popolani, gentiluomini e
riformatori. — Qui le cronache e gli istorici ricordano un fatto il
quale molto conferisce a chiarire la nostra storia, vo' dire che i
Lucchesi inviarono a Siena due oratori, Bernardino Medici e Nicolaio
Liena, i quali in pubblico assai si dolsero dei trambusti che avevano
conturbato la città, in segreto poi esortavano i reggitori di mettersi
tutti d'accordo insieme per mirare se ci era verso di sottrarsi
all'abborrito dominio spagnuolo.
Oltre la naturale garosità, due cose rendevano così arditi i Sanesi:
la prima e principale le fortune difficili in cui Carlo si trovava
rinvolto nella Germania, la seconda la commissione dal medesimo Carlo
affidata al marchese del Vasto di assettare le cose di Siena. Il
marchese poi si giudicava dai Sanesi svisceratissimo loro, ed infatti
era, ma di amor di tarlo, che rode i crocifissi; sicchè correva comune
opinione che se il marchese veniva in Siena, di lì a poco se ne sarebbe
fatto signore, cosa a molti molesta, ed a Cosimo dei Medici fuori di
misura ostica, come quello che si vedeva furare le mosse: onde, che
è e che non è, il marchese, mentre a Vigevano stava in procinto di
partire, in mezzo a fieri dolori di ventre periva: in cotesti tempi
corse voce che Cosimo gli avesse fatto propinare certa sua acquetta la
quale per mandare al Creatore era un desío; ma io, se togli che Cosimo
di questi tiri era piuttosto innamorato che vago, e forte e grande
lo premeva lo interesse perchè il marchese sgombrasse dal mondo, e la
solenne sufficienza sua in fabbricare veleni, non ho altro riscontro
per confermare cotesta voce.
Dopo la morte del marchese, con vece alterna incominciò a dechinare la
fortuna dei popoleschi; lo imperatore in Germania prendeva alquanto di
respiro, sicchè gli fu dato di volgere un poco il pensiero all'Italia,
e questo fece per riagguantare quanto si era lasciato ire di mano, e
per ciò che spettava a Siena ne rimise subito la pratica al Granvela;
allora i noveschi si limano a mettere su questo ministro, che non
ne aveva bisogno, perchè di propria indole odiava il popolo, e gli
sapeva male che avesse, composta appena, lacerata la sua riforma; di
più quella licenza della guardia spagnuola molto diceva nel presente
e più lasciava intendere nel futuro; don Giovanni dal canto suo non
rifiniva da far fuoco nell'orcio, però meno per danneggiare altrui
che per magnificare sè stesso, esoso al popolo pel danno che gli aveva
arrecato, contennendo ai noveschi pel verun bene che poteva fare e loro
non fece, servitore sempre ma coll'occhio aguzzo al proprio vantaggio,
modello eterno dello impiegato di tutti i tempi e di tutti i luoghi il
De Luna.
Non ci fu più verso di venire a capo di nulla con lo imperatore;
indarno, oratori sopra oratori rifrustando su e giù le strade, egli
impose che i citati da don Giovanni a comparire davanti alla sua
corte, rimasti contumaci, andassero in confino. Questi furono tredici
in tutto, distribuiti per diversi luoghi: a Lucca mandarono tre dei
principali, messere Marcello Landucci, Giovambattista Umidi e messere
Antonio Del Vecchio, gli altri a Milano; ed essi obbedirono, eccetto
uno Francesco Savini, il quale non si potendo dar pace di avere a
lasciare patria, casa, la diletta consorte, il figlio unico e le
sostanze, preso d'angoscia, dopo pochi giorni se ne morì. Quanto
agramente dallo universale si sopportassero le novelle asprezze
imperiali si argomentò da questo, che, tenendo il defunto le cariche
di capitano del popolo, di priore dei magnifici signori e di capo
dei Dieci, dopo averlo con amplissimo funerale associato al sepolcro
e predicato dal pulpito, riunito il consiglio, tutte le cariche
esercitate da lui conferirono al suo figliuolo Enea, comechè appena
l'anno vigesimoquinto annoverasse.
Dopo ciò messer Francesco Grasso, una maniera di sbirro togato di
cui non fu mai inopia nel mondo, venne da Milano a Siena per dire
ai Sanesi che rimettessero i noveschi a parte del reggimento al
tutto come nel modello di riforma del Granvela, e si stanziassero i
danari per quattrocento fanti spagnuoli che lo imperatore intendeva
ci avessero a stare di presidio. I Dieci risposero cotesta essere
materia da deliberarsi in consiglio, e frattanto preso tempo inviarono
oratori per chiarire che la città non poteva sopportare l'aggravio
della spesa di quattrocento uomini; lo imperatore scrisse che se non
poteva pagarne quattrocento, ne pagasse cinquecento e si ammanisse a
riceverli se pur non volevano che campassero di busca: inverecondi!
però che, avendo gittati via centocinquanta mila fiorini di oro per
le feste dell'Assunta, i quali molto meglio sariensi spesi pel soldo
delle milizie e a murare un castello, adesso gli venissero innanzi a
far marina; e poichè gli oratori umilmente gli dichiaravano in _primis_
che, avendo speso danari in onore di Maria santissima, non pareva loro
averli gittati via, nè così doveva parere a lui, ch'era quella cima di
cattolico che tutto il mondo sapeva; e poi tra pagare soldati stranieri
e operai paesani ci correva un tratto, conciossiachè i soldati
stranieri intaschino la moneta e la portino fuori, mentre gli operai
nostrani la mantengono in casa con augumento delle industrie loro, le
quali poi formano parte della ricchezza pubblica; onde lo imperatore,
sentendosi stretto, per conchiusione ordinava gli si togliessero
dinanzi e cinquecento invece di quattrocento Spagnuoli accettassero
e pagassero. Allora i Sanesi, mirando che il capitano del popolo
non era stato eletto, si avvisarono di esercitare il proprio diritto
nominando il duca di Amalfi, sempre ben veduto da loro; e lo imperatore
lo cassò di rincorsa, notificando che a questo ufficio da ora innanzi
voleva provvedere egli: per ventura fu lasciato confermare l'Orsucci
lucchese nella carica di capitano di giustizia. Per tutti questi umori
dal Burlamacchi ottimamente conosciuti, massime se pensi alla antica
amicizia tra Siena e Lucca, ai medesimi pericoli ai quali esse andavano
incontro, ai vicendevoli servizi, allo scambio dei magistrati continuo
fra loro, ai fuorusciti Sanesi confinati a Lucca, alla fortezza che
come un freno in bocca ai Sanesi minacciavano Cosimo duca di Firenze
e don Ferrante Gonzaga, comprenderai di leggeri come Francesco
nostro dovesse fare assegnamento su loro per sussidio dell'altissima
impresa ch'egli si era recato addosso. Ora di Lucca, e non fie grave
a chiunque, levandosi dallo spettacolo delle miserie presenti, voglia
riconfortarsi nella contemplazione degli ardimenti antichi: prima con
poco o si vinceva o perdendo acquistavasi desiderabile gloria, ora con
grandi apparecchi o si perde o si acquista infamia immortale.
CAPITOLO IV.
Stato di Lucca nei tempi medii pari a quello delle altre terre
toscane: i servi si ribellano contro i feudatari e costituiscono
il comune. — Imperatore e papa, considerati fonte di autorità
nel mondo, talora facevano approvare dallo imperatore gli
eletti dal popolo, talora no. — A Lucca i supremi magistrati
appellavansi anziani: potestà, capitano del popolo e sindaco che
fossero, che facessero, quanto durassero, donde si traessero.
— Se ai consigli partecipasse il popolo intero. — I consigli
erano due in Lucca e da cui presieduti. — Consiglio di credenza
che fosse. — Le tasche dove s'imborsavano i cittadini eligendi
quante fossero, e chi vi mettessero. — Agl'imperatori non cale
la cessazione dei feudatari a patto di redarne i diritti a
carico del popolo. — Lo impero sostenne fino all'ultimo feudi
imperiali le repubbliche toscane. — Uguccione della Faggiuola
e Castruccio Castracani vicarii imperiali a Lucca. — Motto
acerbo dell'Alighieri, contro Uguccione. — Digressione intorno
a Castruccio, e quante miserie nella sua prosperità apparecchia
alla sua patria ed alla sua discendenza. — I Tedeschi lasciati
da Ludovico il Bavaro mettono Lucca allo incanto: la compra lo
Spinola mercante genovese, che la tiene poco e male; subentrano
al dominio di Lucca uno dopo l'altro Giovanni di Boemia, i
Rossi di Parma e gli Scaligeri, finalmente i Pisani nemici
acerbissimi ai Lucchesi. — I Fiorentini si vendicano su Lucca
delle ingiurie di Castruccio: in mezzo a questi tramestii le
forme repubblicane non mutano: forme politiche non rilevano se
manchi la sostanza della libertà. — Carlo IV vende la libertà ai
Lucchesi; a quali patti ed a che prezzo. — I Lucchesi diventano
fittaioli dello impero; poi con diuturna industria anco vicarii.
— I nobili non vonno compagnia nel governo della repubblica,
e il popolo li caccia via dai maestrati non già dalla città:
rimedio unico per purgare gli stati dalle consorterie. — Legge
proposta da Francesco Guinigi buona o trista secondo i tempi
e gli uomini, e tuttavia necessaria. — Giovanni degli Obizzi e
come rintuzza la improntitudine sua. — Statuto del 1372 nè libero
nè tiranno, e seme di rancori. — Il maestrato dei conservatori
della libertà prima si riforma, poi per la morte del Guinigi
si cassa; gli surrogano l'ufficio dei Commissari di Palazzo,
ma ad altro fine. Principia lo screzio fra i Forteguerra ed i
Guinigi; moto dell'Obizzi spento nel sangue. — I Forteguerra
esclusi dai maestrati. — Il senato s'industria rimediarci e
come. — Bartolomeo Forteguerra viene alla prova delle armi;
è vinto. — Il gonfaloniere Forteguerra da Forteguerra messo
alle coltella. — Lazaro Guinigi si fa tiranno: instituisce una
maniera di governo oligarchico d'interessi materiali. — Lazaro è
ammazzato dal nipote di Bartolomeo Forteguerra, ma i Guinigi non
cascano, anzi Paolo Guinigi si fa tiranno assoluto: sua viltà e
sua avarizia; pure ha la Rosa di oro da Roma. — I Lucchesi lo
combattono, lo vincono, lo condannano a morte; poi lo mandano
prigione a Pavia, dove muore. — Riforma dello stato. — Pietro
Cenami gonfaloniere, procedendo rigido più che non conveniva,
è ammazzato: vendetta che ne pigliano i Lucchesi. — Nuove
congiure. — Michele Guerrucci per non avere con che pagare le
multe è decapitato. — Legge del discolato che fosse: ragione dei
provvedimenti straordinari che gli stati pigliano nelle vere o
credute necessità; e quando giovino, e quando no. — Condizioni
della signoria di Lucca di faccia allo impero: privilegio di
Carlo IV, impronta pitoccheria di Massimiliano I in contrasto con
l'avara tenacità dei Lucchesi; per ultimo Massimiliano sbracia
privilegi; Luigi XII anch'egli vuole quattrini per non far male.
— Carlo V, e nuovo mercato per Lucca dovendo le concessioni
imperiali finire con la persona che le fa. — Caso festevole
avvenuto fra Massimiliano ed i Lucchesi per cagione di 1000
scudi. — Lucca reputata sempre feudo imperiale. — Nuovi tumulti
provocati dai Poggi: origine prima del tumulto il benefizio di
Santa Giulia; l'Orafo creatura dei Poggi malmena la famiglia
del vescovo. — I Poggi ammazzano il gonfaloniere Vellutelli,
feriscono Piero e Lazaro Arnolfini; vogliono imporre gonfaloniere
Stefano da Poggio, gli anziani rifiutano. — Cittadini armansi
a sostenere gli anziani; questi, per tôrre capi ai sediziosi,
li perdonano, contro gli altri procedono; diversità tra Genova
e Lucca in proposito, se e quanto meriti lode per questo. —
Tumulto degli Straccioni e perchè chiamato così. — Cause del
tumulto. — Oligarchia borghese e suoi scopi miserrimi; esclusione
dei cittadini dalle magistrature; riforme intorno allo statuto
dell'arte della seta ed angherie ai tessitori; comincia il
subbuglio: gli anziani, come suole, non cedono poco in tempo
per cedere troppo inopportunamente. — Adunanza popolare nel
convento di S. Lucia; e quello che ci si discorse: che cosa si
deliberasse di domandare. — Cenami gonfaloniere ben disposto a
concedere le cose richieste. — Feroci parole di Fabbrizio dei
Nobili rimettono in compromesso la pace. — Di nuovo il popolo
si aduna, ma non ingiuria persona. — Anziani mandano pacieri,
e sono accolti male, i tumultuanti domandano pane; pure si
viene a patti, e sembra composto lo screzio. Chi soffia dentro
perchè lo incendio rinfocoli. — Cagioni di querele manifestate.
— Si riforma il reggimento, nuove concessioni al popolo, e
non si conchiude nulla; ne sono cagione i giovani scapestrati,
principalmente quelli che avevano cessato il mestiero delle armi.
— Malefizi dei giovani insofferenti di ogni freno. — Partiti
larghi sono vinti dal consiglio per calmare gli spiriti, che non
si quietano, ormai ostinati a vivere licenziosamente. — Congiura
di cittadini a Forci presso i Buonvisi per occupare la città alla
sprovvista e restituirci, come oggi si direbbe, l'ordine, e non
riesce. — Pericolo che corre la città: i popolani spartisconsi;
chi vuole sangue, chi no: nel contrasto non si fa niente, pure
bisogna piegare davanti la volontà dei popolani; provvisioni su
le chiavi della città. — Guardia alle porte dei più avventati. —
I cittadini abbandonano la città: bandi per impedirli; i popolani
pigliano le merci e i beni che tentano scansare dalla città. — Il
maestrato propone uscire di palazzo e abbandonare lo stato: pietà
di siffatto partito; un popolano si oppone, e rimette il cuore in
corpo agli anziani profferendosi difenderli a tutt'uomo. — Preci
solenni e processione statuita per ricondurre gli animi alla
concordia; singolarità della processione; i preti tirano l'acqua
al loro mulino. — Dio pei preti è _trino_ in cielo e _quattrino_
in terra; gli aiuti divini o si fanno aspettare troppo o non
giovano. — Signoria nuova, di cui fa parte Francesco Burlamacchi;
partiti risoluti che piglia. — Festa della _Libertà_; la manda
all'aria un popolano: conseguenze di cotesto scompiglio. — Nuove
risoluzioni della Signoria proposte dal Burlamacchi; la plebe si
ribella, che di un tratto si avventa alle case dei Buonvisi per
abbatterle; parte di plebe contrasta, ne seguita una terribile
zuffa: prevalgono i demolitori, che vanno per le artiglierie; i
Buonvisi mostrano i denti alla bordaglia, che li lascia stare;
nella notte però essi lasciano la città. — Assemblea universale
per provvedere ai bisogni presenti; donde venga che gli uomini
talvolta sono sapienti e animosi stando da sè soli, messi in
mucchio diventano stolti e codardi: deliberazioni gravissime
dell'assemblea vinte per virtù di popolani appartatisi dai
licenziosi. — I partigiani dei ribelli, impediti di uscire
dalle porte gittansi dalle finestre per avvisare gli amici,
i quali corrono alle armi e tornano ad assediare il palazzo.
— Gli assediati resistono. — Le leggi contro i sediziosi sono
vinte. — Alberto da Castelnuovo vuol mandare all'aria il palazzo
e non riesce per miracolo. — Gli assediati inviano a sonare
avvisava i popoleschi a non lasciarsi cogliere alla sprovista, ed in
pubblico increpava ambedue; girandole da furbi gaglioffi per le quali
i pretesi uomini di stato arieggiano Bertoldo quando si nascondeva
dietro un vaglio; i popolari lo irridevano e si apparecchiavano di
cuore ad ingaggiare la suprema battaglia; la plebe stava co' popoleschi
inferocita dallo avere un bel mattino trovati appesi agli usci delle
botteghe loro mazzi di capestri, e le fu detto in minaccia della sorte
serbatole dove mai prevalessero i noveschi: certo è bene che parecchi
affermavamo, e non senza verosimiglianza grandissima, cotesto tiro
movere dai popoleschi; ma, considerando che il procedere in cotesta
maniera si adattava meglio ai costumi ed agli interessi dei noveschi,
così i noveschi senz'altro incolparono; avvertenza questa della
fallacia dello argomento di sospettare colpevole del reato quello a cui
giova; in siffatta disposizione di animi basta una favilla a suscitare
lo incendio, e la favilla non manca mai; adesso furono le nozze, che
belle e magnifiche ammaniva don Giovanni per certa sua figliuola la
quale andava sposa ad un barone napoletano: ci si dovevano fare giostre
e torneamenti, epperò ordinarono una spianata davanti la casa di don
Giovanni; la quale opera considerando i popoleschi, presero a mulinare
si stesse costruendo un bastione per impedire loro la entrata nella
contrada del Pantaneto, sospetto cresciuto da vedere come i noveschi
si fossero fatti forti nella casa di un Mancino dei Tommasi, quasi
serrame a impedire che il popolo trascorresse per la Costarella e
luogo acconcio così per soccorrere gli amici, che dal Terzo della
città intendessero passare per Camollia, come per essere sovvenuti
da loro: per altra parte i noveschi, avendosi a nominare in cotesti
giorni il capitano del popolo, tenevano per sicuro uscirebbe uno della
propria fazione, mentre all'opposto rimase eletto Giovambattista Umidi
popolesco: di ciò n'ebbero maraviglia e spavento; quindi da ambe le
parti non pure voglia ma necessità di venire a mezzo ferro. Intanto si
celebrano le nozze della figlia di don Giovanni, canti, suoni, balli
e banchetti splendidissimi; tutto questo pei signori, pel popolo si
ammanirono dopo il pranzo abbattimenti condotti dagli Spagnuoli, cose
stupende, non mai viste per lo addietro nè da vedersi più innanzi; ne
andarono le grida attorno con accompagnatura di tamburi e di pifferi,
e il popolo in onta alla smisurata sua curiosità non si mosse, fermo
alla posta egli stette con la mano sopra la spada: allora ne tentarono
un'altra, e fu di bandire che pel sette di febbraio si sarebbe data
sulla piazza una solenne caccia di tori; e sfoggiati allestimenti si
fanno i palchi mirabili per arazzi e damaschi, le livree dei giocatori
di vari colori, i tori scelti fra i più feroci delle Maremme, le
musiche continue, bisognava avere i piedi di piombo per tenerli
in casa; e il popolo i piè di piombo ebbe; agevole poi spiegare la
insolita immobilità sua solo che tu sappia come atroce disegno dei
noveschi fosse cascare addosso del popolo inteso allo spettacolo e
menarne strage, e della trama questo avesse pigliato odore.
Don Giovanni, vista la mala parata, il dì veniente mandò pei caporali
delle parti contrarie tentando raumiliarli con parole oneste affinchè
alla travagliata patria dessero pace, e provò contrasto dove lo credeva
meno, vo' dire dal lato dei noveschi; ai quali parendo stare bene in
istaffa, non consentivano cedere, onde il giorno otto di febbraio,
saltati nella strada in armi, essi presero a gridare: «_Imperio,
imperio, nove, nove_.» Di subito un correr di gente a precipizio; le
botteghe serransi in furia, ognuno va per armi; primo dei popoleschi
a mostrare il viso un Giuli, ma gli Spagnuoli sparandogli addosso il
ferirono; il Turamini investe Annibale Umidi e lo lascia in terra
per morto: i popoleschi pronti accorrono alla riscossa e condotti
dal Luti e da Landucci vietano ai noveschi irrompere dal Pantaneto.
Giambattista Umidi capitano del popolo, come quello che, allevato in
mezzo ai trambusti, quando accadevano, invece d'impaurirsene faceva
pasqua, ordina sonarsi a stormo la campana grossa del palazzo, appello
al popolo della patria in pericolo; di subito tu vedi versarsi un
formicolaio di gente armata per le strade, la quale ottimamente
condotta da prodi cittadini con irresistibile impeto si avventa contro
certa bastita fabbricata dai noveschi in Camollia: in meno che non dici
_amen_ la bastita è sfondata, i difensori dispersi, ma non giova loro
la fuga, chè raggiunti sono messi al taglio della spada; taluno si
rimpiattò, e non gli valse, rinvenuti per le stalle, quivi trovarono
la morte. In altra parte sei giovani noveschi più animosi che savi,
non potendo starsene addopati ai muri di casa Bonsignori, scendono su
la via e si cacciano dentro ai popoleschi, i quali sopraffatti dal
furiosissimo assalto cedono terreno, e gli altri incalzano, sicchè
pareva ormai che avessero la vittoria in pugno, quando di un tratto
una grossa banda di Fontebrandesi li percuote di fianco; per la qual
cosa mandati sossopra e respinti verso la casa, ebbero per ventura
trovarne la porta aperta per ripararvisi dentro: colà attendevano a
difendersi alla disperata, pure aspettando che i compagni del Terzo
della città corressero a soccorrerli; ma i compagni, visto il caso
buio, cagliarono. In questa il capitano del popolo Giambattista
Umidi chiama attorno di sè gli Spagnuoli; ma questi essendo stati
i primi a menare le mani contro i popoleschi, pensarono che andare
adesso a mettersi in mezzo a loro e' fosse come tornare a pigione
in bocca al lupo, però ricusarono netto: ora don Giovanni comanda
loro escano fuori per accompagnarlo a sedare il tumulto; ma pieni
di ardimento contro il popolo inerme e poco, ora che infuria come
mare in burrasca, essi ricusano anco più netto. Don Giovanni, non
volendo mancare al debito suo, non avendo sotto mano di meglio, si
circonda di taluni suoi parziali tra i popoleschi e i riformatori, e
con esso loro si accosta alla combattuta casa pregando posassero le
armi, non si facessero con le proprie mani giustizia, rispettassero
l'autorità, le leggi osservassero; a lui stava multare della meritata
pena i colpevoli, di cui il misfatto egli affermava, per testimonianza
propria, espresso. Urla e minacce accolsero la intempestiva orazione
mentre l'accompagnatura gli spulezzò dattorno: ei non si sbigottiva
per questo, anzi sceso da cavallo e solo si recò fino a piè della
porta della casa Bonsignori e quivi a mani giunte supplicò grazia pei
rinchiusi: qualche popolesco, sendochè gli atti generosi abbiano virtù
di commovere sempre fortemente il cuore del popolo, gli disse parole
cortesi, ma la più parte degli altri infelloniti, con occhi strabuzzati
e accese labbia, gridarongli: «Si levasse loro davanti, chè se no,
ce ne sarebbe anco per lui: quanto quivi accadeva era per colpa sua;
andasse via.» Don Giovanni non se lo lasciò intimare due volte; levò
le ciglia in su a guardare la casa, poi, borbottando un: _consummatum
est_, si ridusse in palazzo, il quale con molte guardie diligentemente
assicurò. Avendo intanto il popolo raccolta copia di fascine, disegnava
con esse incendiare la porta della casa e così ad un tratto espugnarla,
se non che quei di dentro, o per furore di morte vendicata, o per
isperanza di vita conservata, dalle finestre fioccavano archibugiate
da mettere in cervello anco i più animosi; il capitano Enea Sacchini,
vedendo che alla scoperta non riusciva l'assalto a bene, entrò co'
compagni nelle case dirimpetto, e quinci riparati dalle finestre
fecero un fuoco d'inferno; per la quale cosa gli assaliti sopraffatti
cessarono il trarre, sicchè, levate le offese, potè il popolo
accostarsi alla porta, arderla ed irrompere in casa. La rabbia del
popolo non ha paragone che con quella degli elementi; prece o minaccia
ugualmente inutili per lui; in quanti il popolo occorse, tanti scannò;
qualcheduno si arrampicò su i tetti, ma quivi raggiunti presero con
presentissimo pericolo a correre pei tegoli; e i popolani dietro con
non minore pericolo ad agguantarli e, presili, a rischio di rotolare
giù insieme avviticchiati, scaraventarli di sotto: le strade andarono
lunga ora funestate per pozzanghere piene di sangue umano e per membra
ed ossa lacere; nè la età novella salvò dal fato estremo il giovanetto
Giulio Orlandini, il quale, per miracolo uscito fuori e passata
felicemente una prima schiera di popolani, s'imbattè in una seconda che
da parte a parte con le alabarde lo traferì; più avventuroso Giorgio
Trecerchi, il quale, tratto a sè l'uscio di una cantina, si nascose
nel vano a triangolo che l'uscio si lascia dietro quando tocca la
parete parallela, ed i feroci, mentre cercavano da per tutto, lì non
frugarono. Nè vi fu casa di noveschi che rimanesse illesa; causa di
questo rovistare per ogni angolo la brama di trarre l'arme di mano
ai nemici; ma poichè nei tempi andati la medesima causa fu pretesto a
taluni di rapina, i caporali bandirono chiunque grancisse pagherebbe
del capo; e non solo le case dei noveschi furono perquisite, bensì non
andarono immuni quelle dei popolani, imperciocchè il popolo, informato
come taluno pietoso gli avessero raccolti, volle rivilicarle, e lì pure
trovatili, si difendessero o no, inermi ovvero armati, li trucidò;
poi mosse contro il palazzo di don Giovanni brandendo le armi e le
faci, e fu mirabile cosa che cotesto Spagnuolo, il quale fin lì aveva
dato buon saggio di sè, sfinito di animo non valesse a far contrasto,
al contrario ordinasse si aprissero le porte al popolo: questi entrò
digrignante i denti e prima che si palesasse il nemico vibrava il
coltello; tuttavia, cerca e ricerca, rovista da cima in fondo ogni
ripostiglio, non rinvenne persona, conciossiachè, come il Malevolti
racconta, i malcapitati noveschi (e pare impossibile!) aggrappandosi
su pei pilastri si rannicchiassero sopra i cornicioni delle finestre i
quali a sufficienza sporgevano in fuori, e colà stettero parecchie ore
in agonia, chè, essendo ormai calata la notte, non furono veduti.
A perpetuare il tumulto ecco giungere nuova che le battaglie del duca
Cosimo si appressavano ai confini, già si sa, per tutela delle persone
e per la quiete dello stato (che a cotesti tempi la causa della civiltà
non era stata ancora inventata.) La balía, e i popolani dando nei
lumi sbuffavano e non provvedeano. Giovambattista Umidi capitano del
popolo allora mandò alle terre del dominio perchè tosto spedissero
i loro uomini armati alla città; nella notte da Valdichiana e da
Moltalcino ne vennero mille, e gli altri dietro come onde del mare;
entrarono, circondarono il palazzo di don Giovanni, gli voltarono
contro due cannoni e si ammanirono a farne un falò. Don Giovanni
atterrito domandava al capitano: «Ed ora che novità è questa?» E il
capitano a lui: «La novità è che questa gente di qui non si muove se
le battaglie del duca di Firenze che voi avete chiamato ai danni della
città non sieno tornate prima nei loro alloggiamenti.» Don Giovanni
s'ingegnò di fare l'albanese messere, protestando di non saperne nulla
e che scriverebbe ben egli di buon inchiostro al duca che badasse ai
fatti suoi e non si desse pensieri del Rosso. Il duca, avvisato che
non tirava buon vento, ritirò le battaglie e spedì persona apposta
per ragguagliare a modo suo lo imperatore dello accaduto; non meno
solerte di lui il capitano Umidi inviava in diligenza un suo fidato al
marchese Del Vasto affinchè la città dalle calunnie dei malevoglienti
difendesse. Dato a tutto questo recapito, popoleschi e riformatori si
assembrarono nello arcivescovado per vedere un po' quali provvisioni
si avessero a pigliare; il Palmieri, che passava per testa forte e
dottore era e sputava tondo, disse che per opinione sua bisognava
stare alla riforma del Granvela (che universalmente si credeva
consigliata da lui) e di più tenersi bene edificato don Giovanni, il
quale commosso della attenzione avrebbe speso di buone parole presso
lo imperatore per giustificare il popolo. Messer Antonio dei Vecchi,
guardatolo un cotal po' alla trista e tentennando il capo, rispose:
«che rifar carte dopo aver vinta la partita la era cosa che costumavano
i giocatori nelle taverne, non già gli uomini di stato nei pubblici
negozi. Perpetui nemici i noveschi, perdonati più volte sempre più
infesti di prima, adesso di nuovo vinti ed a stento si sradicassero
così che non potessero più mettere il tallo nuovo sul vecchio: rispetto
a don Giovanni sappia messer Palmieri che gli oppressori di prima o
di seconda mano non perdonano mai chi abbia loro incusso paura, e
se nol sa o non lo voglia sapere, dia a rimpedulare il cervello.»
Parole veramente di oro in oro e accette all'universale. Però fu
approvato i noveschi, come soperchiatori incorreggibili e di ogni legge
intolleranti, si levassaro dal governo dello stato e, pena la vita,
cessassero di portare arme così in città come in contado. Don Giovanni,
rotti gl'indugi, prese il largo recandosi a Firenze e quindi a corte,
dove citò a comparire parecchi dei maggiorenti cittadini, i quali non
gli dettero retta. Dopo la sua partenza cassarono la guardia spagnuola,
paltonieri che mangiavano il pane dei cittadini a tradimento, quando
non lo intridevano nel sangue loro; a questo modo il reggimento
rimase spartito in tre ordini di cittadini: popolani, gentiluomini e
riformatori. — Qui le cronache e gli istorici ricordano un fatto il
quale molto conferisce a chiarire la nostra storia, vo' dire che i
Lucchesi inviarono a Siena due oratori, Bernardino Medici e Nicolaio
Liena, i quali in pubblico assai si dolsero dei trambusti che avevano
conturbato la città, in segreto poi esortavano i reggitori di mettersi
tutti d'accordo insieme per mirare se ci era verso di sottrarsi
all'abborrito dominio spagnuolo.
Oltre la naturale garosità, due cose rendevano così arditi i Sanesi:
la prima e principale le fortune difficili in cui Carlo si trovava
rinvolto nella Germania, la seconda la commissione dal medesimo Carlo
affidata al marchese del Vasto di assettare le cose di Siena. Il
marchese poi si giudicava dai Sanesi svisceratissimo loro, ed infatti
era, ma di amor di tarlo, che rode i crocifissi; sicchè correva comune
opinione che se il marchese veniva in Siena, di lì a poco se ne sarebbe
fatto signore, cosa a molti molesta, ed a Cosimo dei Medici fuori di
misura ostica, come quello che si vedeva furare le mosse: onde, che
è e che non è, il marchese, mentre a Vigevano stava in procinto di
partire, in mezzo a fieri dolori di ventre periva: in cotesti tempi
corse voce che Cosimo gli avesse fatto propinare certa sua acquetta la
quale per mandare al Creatore era un desío; ma io, se togli che Cosimo
di questi tiri era piuttosto innamorato che vago, e forte e grande
lo premeva lo interesse perchè il marchese sgombrasse dal mondo, e la
solenne sufficienza sua in fabbricare veleni, non ho altro riscontro
per confermare cotesta voce.
Dopo la morte del marchese, con vece alterna incominciò a dechinare la
fortuna dei popoleschi; lo imperatore in Germania prendeva alquanto di
respiro, sicchè gli fu dato di volgere un poco il pensiero all'Italia,
e questo fece per riagguantare quanto si era lasciato ire di mano, e
per ciò che spettava a Siena ne rimise subito la pratica al Granvela;
allora i noveschi si limano a mettere su questo ministro, che non
ne aveva bisogno, perchè di propria indole odiava il popolo, e gli
sapeva male che avesse, composta appena, lacerata la sua riforma; di
più quella licenza della guardia spagnuola molto diceva nel presente
e più lasciava intendere nel futuro; don Giovanni dal canto suo non
rifiniva da far fuoco nell'orcio, però meno per danneggiare altrui
che per magnificare sè stesso, esoso al popolo pel danno che gli aveva
arrecato, contennendo ai noveschi pel verun bene che poteva fare e loro
non fece, servitore sempre ma coll'occhio aguzzo al proprio vantaggio,
modello eterno dello impiegato di tutti i tempi e di tutti i luoghi il
De Luna.
Non ci fu più verso di venire a capo di nulla con lo imperatore;
indarno, oratori sopra oratori rifrustando su e giù le strade, egli
impose che i citati da don Giovanni a comparire davanti alla sua
corte, rimasti contumaci, andassero in confino. Questi furono tredici
in tutto, distribuiti per diversi luoghi: a Lucca mandarono tre dei
principali, messere Marcello Landucci, Giovambattista Umidi e messere
Antonio Del Vecchio, gli altri a Milano; ed essi obbedirono, eccetto
uno Francesco Savini, il quale non si potendo dar pace di avere a
lasciare patria, casa, la diletta consorte, il figlio unico e le
sostanze, preso d'angoscia, dopo pochi giorni se ne morì. Quanto
agramente dallo universale si sopportassero le novelle asprezze
imperiali si argomentò da questo, che, tenendo il defunto le cariche
di capitano del popolo, di priore dei magnifici signori e di capo
dei Dieci, dopo averlo con amplissimo funerale associato al sepolcro
e predicato dal pulpito, riunito il consiglio, tutte le cariche
esercitate da lui conferirono al suo figliuolo Enea, comechè appena
l'anno vigesimoquinto annoverasse.
Dopo ciò messer Francesco Grasso, una maniera di sbirro togato di
cui non fu mai inopia nel mondo, venne da Milano a Siena per dire
ai Sanesi che rimettessero i noveschi a parte del reggimento al
tutto come nel modello di riforma del Granvela, e si stanziassero i
danari per quattrocento fanti spagnuoli che lo imperatore intendeva
ci avessero a stare di presidio. I Dieci risposero cotesta essere
materia da deliberarsi in consiglio, e frattanto preso tempo inviarono
oratori per chiarire che la città non poteva sopportare l'aggravio
della spesa di quattrocento uomini; lo imperatore scrisse che se non
poteva pagarne quattrocento, ne pagasse cinquecento e si ammanisse a
riceverli se pur non volevano che campassero di busca: inverecondi!
però che, avendo gittati via centocinquanta mila fiorini di oro per
le feste dell'Assunta, i quali molto meglio sariensi spesi pel soldo
delle milizie e a murare un castello, adesso gli venissero innanzi a
far marina; e poichè gli oratori umilmente gli dichiaravano in _primis_
che, avendo speso danari in onore di Maria santissima, non pareva loro
averli gittati via, nè così doveva parere a lui, ch'era quella cima di
cattolico che tutto il mondo sapeva; e poi tra pagare soldati stranieri
e operai paesani ci correva un tratto, conciossiachè i soldati
stranieri intaschino la moneta e la portino fuori, mentre gli operai
nostrani la mantengono in casa con augumento delle industrie loro, le
quali poi formano parte della ricchezza pubblica; onde lo imperatore,
sentendosi stretto, per conchiusione ordinava gli si togliessero
dinanzi e cinquecento invece di quattrocento Spagnuoli accettassero
e pagassero. Allora i Sanesi, mirando che il capitano del popolo
non era stato eletto, si avvisarono di esercitare il proprio diritto
nominando il duca di Amalfi, sempre ben veduto da loro; e lo imperatore
lo cassò di rincorsa, notificando che a questo ufficio da ora innanzi
voleva provvedere egli: per ventura fu lasciato confermare l'Orsucci
lucchese nella carica di capitano di giustizia. Per tutti questi umori
dal Burlamacchi ottimamente conosciuti, massime se pensi alla antica
amicizia tra Siena e Lucca, ai medesimi pericoli ai quali esse andavano
incontro, ai vicendevoli servizi, allo scambio dei magistrati continuo
fra loro, ai fuorusciti Sanesi confinati a Lucca, alla fortezza che
come un freno in bocca ai Sanesi minacciavano Cosimo duca di Firenze
e don Ferrante Gonzaga, comprenderai di leggeri come Francesco
nostro dovesse fare assegnamento su loro per sussidio dell'altissima
impresa ch'egli si era recato addosso. Ora di Lucca, e non fie grave
a chiunque, levandosi dallo spettacolo delle miserie presenti, voglia
riconfortarsi nella contemplazione degli ardimenti antichi: prima con
poco o si vinceva o perdendo acquistavasi desiderabile gloria, ora con
grandi apparecchi o si perde o si acquista infamia immortale.
CAPITOLO IV.
Stato di Lucca nei tempi medii pari a quello delle altre terre
toscane: i servi si ribellano contro i feudatari e costituiscono
il comune. — Imperatore e papa, considerati fonte di autorità
nel mondo, talora facevano approvare dallo imperatore gli
eletti dal popolo, talora no. — A Lucca i supremi magistrati
appellavansi anziani: potestà, capitano del popolo e sindaco che
fossero, che facessero, quanto durassero, donde si traessero.
— Se ai consigli partecipasse il popolo intero. — I consigli
erano due in Lucca e da cui presieduti. — Consiglio di credenza
che fosse. — Le tasche dove s'imborsavano i cittadini eligendi
quante fossero, e chi vi mettessero. — Agl'imperatori non cale
la cessazione dei feudatari a patto di redarne i diritti a
carico del popolo. — Lo impero sostenne fino all'ultimo feudi
imperiali le repubbliche toscane. — Uguccione della Faggiuola
e Castruccio Castracani vicarii imperiali a Lucca. — Motto
acerbo dell'Alighieri, contro Uguccione. — Digressione intorno
a Castruccio, e quante miserie nella sua prosperità apparecchia
alla sua patria ed alla sua discendenza. — I Tedeschi lasciati
da Ludovico il Bavaro mettono Lucca allo incanto: la compra lo
Spinola mercante genovese, che la tiene poco e male; subentrano
al dominio di Lucca uno dopo l'altro Giovanni di Boemia, i
Rossi di Parma e gli Scaligeri, finalmente i Pisani nemici
acerbissimi ai Lucchesi. — I Fiorentini si vendicano su Lucca
delle ingiurie di Castruccio: in mezzo a questi tramestii le
forme repubblicane non mutano: forme politiche non rilevano se
manchi la sostanza della libertà. — Carlo IV vende la libertà ai
Lucchesi; a quali patti ed a che prezzo. — I Lucchesi diventano
fittaioli dello impero; poi con diuturna industria anco vicarii.
— I nobili non vonno compagnia nel governo della repubblica,
e il popolo li caccia via dai maestrati non già dalla città:
rimedio unico per purgare gli stati dalle consorterie. — Legge
proposta da Francesco Guinigi buona o trista secondo i tempi
e gli uomini, e tuttavia necessaria. — Giovanni degli Obizzi e
come rintuzza la improntitudine sua. — Statuto del 1372 nè libero
nè tiranno, e seme di rancori. — Il maestrato dei conservatori
della libertà prima si riforma, poi per la morte del Guinigi
si cassa; gli surrogano l'ufficio dei Commissari di Palazzo,
ma ad altro fine. Principia lo screzio fra i Forteguerra ed i
Guinigi; moto dell'Obizzi spento nel sangue. — I Forteguerra
esclusi dai maestrati. — Il senato s'industria rimediarci e
come. — Bartolomeo Forteguerra viene alla prova delle armi;
è vinto. — Il gonfaloniere Forteguerra da Forteguerra messo
alle coltella. — Lazaro Guinigi si fa tiranno: instituisce una
maniera di governo oligarchico d'interessi materiali. — Lazaro è
ammazzato dal nipote di Bartolomeo Forteguerra, ma i Guinigi non
cascano, anzi Paolo Guinigi si fa tiranno assoluto: sua viltà e
sua avarizia; pure ha la Rosa di oro da Roma. — I Lucchesi lo
combattono, lo vincono, lo condannano a morte; poi lo mandano
prigione a Pavia, dove muore. — Riforma dello stato. — Pietro
Cenami gonfaloniere, procedendo rigido più che non conveniva,
è ammazzato: vendetta che ne pigliano i Lucchesi. — Nuove
congiure. — Michele Guerrucci per non avere con che pagare le
multe è decapitato. — Legge del discolato che fosse: ragione dei
provvedimenti straordinari che gli stati pigliano nelle vere o
credute necessità; e quando giovino, e quando no. — Condizioni
della signoria di Lucca di faccia allo impero: privilegio di
Carlo IV, impronta pitoccheria di Massimiliano I in contrasto con
l'avara tenacità dei Lucchesi; per ultimo Massimiliano sbracia
privilegi; Luigi XII anch'egli vuole quattrini per non far male.
— Carlo V, e nuovo mercato per Lucca dovendo le concessioni
imperiali finire con la persona che le fa. — Caso festevole
avvenuto fra Massimiliano ed i Lucchesi per cagione di 1000
scudi. — Lucca reputata sempre feudo imperiale. — Nuovi tumulti
provocati dai Poggi: origine prima del tumulto il benefizio di
Santa Giulia; l'Orafo creatura dei Poggi malmena la famiglia
del vescovo. — I Poggi ammazzano il gonfaloniere Vellutelli,
feriscono Piero e Lazaro Arnolfini; vogliono imporre gonfaloniere
Stefano da Poggio, gli anziani rifiutano. — Cittadini armansi
a sostenere gli anziani; questi, per tôrre capi ai sediziosi,
li perdonano, contro gli altri procedono; diversità tra Genova
e Lucca in proposito, se e quanto meriti lode per questo. —
Tumulto degli Straccioni e perchè chiamato così. — Cause del
tumulto. — Oligarchia borghese e suoi scopi miserrimi; esclusione
dei cittadini dalle magistrature; riforme intorno allo statuto
dell'arte della seta ed angherie ai tessitori; comincia il
subbuglio: gli anziani, come suole, non cedono poco in tempo
per cedere troppo inopportunamente. — Adunanza popolare nel
convento di S. Lucia; e quello che ci si discorse: che cosa si
deliberasse di domandare. — Cenami gonfaloniere ben disposto a
concedere le cose richieste. — Feroci parole di Fabbrizio dei
Nobili rimettono in compromesso la pace. — Di nuovo il popolo
si aduna, ma non ingiuria persona. — Anziani mandano pacieri,
e sono accolti male, i tumultuanti domandano pane; pure si
viene a patti, e sembra composto lo screzio. Chi soffia dentro
perchè lo incendio rinfocoli. — Cagioni di querele manifestate.
— Si riforma il reggimento, nuove concessioni al popolo, e
non si conchiude nulla; ne sono cagione i giovani scapestrati,
principalmente quelli che avevano cessato il mestiero delle armi.
— Malefizi dei giovani insofferenti di ogni freno. — Partiti
larghi sono vinti dal consiglio per calmare gli spiriti, che non
si quietano, ormai ostinati a vivere licenziosamente. — Congiura
di cittadini a Forci presso i Buonvisi per occupare la città alla
sprovvista e restituirci, come oggi si direbbe, l'ordine, e non
riesce. — Pericolo che corre la città: i popolani spartisconsi;
chi vuole sangue, chi no: nel contrasto non si fa niente, pure
bisogna piegare davanti la volontà dei popolani; provvisioni su
le chiavi della città. — Guardia alle porte dei più avventati. —
I cittadini abbandonano la città: bandi per impedirli; i popolani
pigliano le merci e i beni che tentano scansare dalla città. — Il
maestrato propone uscire di palazzo e abbandonare lo stato: pietà
di siffatto partito; un popolano si oppone, e rimette il cuore in
corpo agli anziani profferendosi difenderli a tutt'uomo. — Preci
solenni e processione statuita per ricondurre gli animi alla
concordia; singolarità della processione; i preti tirano l'acqua
al loro mulino. — Dio pei preti è _trino_ in cielo e _quattrino_
in terra; gli aiuti divini o si fanno aspettare troppo o non
giovano. — Signoria nuova, di cui fa parte Francesco Burlamacchi;
partiti risoluti che piglia. — Festa della _Libertà_; la manda
all'aria un popolano: conseguenze di cotesto scompiglio. — Nuove
risoluzioni della Signoria proposte dal Burlamacchi; la plebe si
ribella, che di un tratto si avventa alle case dei Buonvisi per
abbatterle; parte di plebe contrasta, ne seguita una terribile
zuffa: prevalgono i demolitori, che vanno per le artiglierie; i
Buonvisi mostrano i denti alla bordaglia, che li lascia stare;
nella notte però essi lasciano la città. — Assemblea universale
per provvedere ai bisogni presenti; donde venga che gli uomini
talvolta sono sapienti e animosi stando da sè soli, messi in
mucchio diventano stolti e codardi: deliberazioni gravissime
dell'assemblea vinte per virtù di popolani appartatisi dai
licenziosi. — I partigiani dei ribelli, impediti di uscire
dalle porte gittansi dalle finestre per avvisare gli amici,
i quali corrono alle armi e tornano ad assediare il palazzo.
— Gli assediati resistono. — Le leggi contro i sediziosi sono
vinte. — Alberto da Castelnuovo vuol mandare all'aria il palazzo
e non riesce per miracolo. — Gli assediati inviano a sonare
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Çirattagı - Vita di Francesco Burlamacchi - 07
- Büleklär
- Vita di Francesco Burlamacchi - 01Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4394Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180735.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 02Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4567Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181737.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 03Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4598Unikal süzlärneñ gomumi sanı 179037.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 04Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4489Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182436.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 05Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4626Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185036.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 06Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4437Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180537.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 07Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4523Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183436.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 08Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4580Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188835.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 09Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4617Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181237.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 10Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4532Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190336.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 11Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4542Unikal süzlärneñ gomumi sanı 195334.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 12Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4561Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194835.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 13Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4565Unikal süzlärneñ gomumi sanı 193035.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 14Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4570Unikal süzlärneñ gomumi sanı 191938.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 15Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4584Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190837.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 16Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4532Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181336.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 17Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4613Unikal süzlärneñ gomumi sanı 171439.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 18Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4594Unikal süzlärneñ gomumi sanı 179939.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 19Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4417Unikal süzlärneñ gomumi sanı 174838.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 20Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4568Unikal süzlärneñ gomumi sanı 178638.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 21Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4600Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184038.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 22Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4298Unikal süzlärneñ gomumi sanı 170637.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 23Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3147Unikal süzlärneñ gomumi sanı 132837.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.