Vita di Francesco Burlamacchi - 03
Süzlärneñ gomumi sanı 4598
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1790
37.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
61.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
a Parigi, un re di Francia prigioniero a Londra; ora poichè venga da
natura che la reazione sottentri immediata all'azione, al regno di
Carlo VII memorabile per codardia di re e per virtù di popolo succedeva
il regno di Luigi XI; del quale fu scopo ridurre la Francia in forte
e bello arnese prima per difendersi e poi per guadagnare: allora la
Francia appariva un cumulo di feudi, di cui i principi spesso pari e
talvolta superiori al re; fra loro o contro la monarchia senza requie
combattenti; causa perpetua di subbuglio in mezzo a lei, impedimento a
costituirsi gagliarda. Questo re adoprò le arti imitate dal Valentino
più tardi ma con esito felice: grande lo scopo, la fortuna propizia,
le vie praticate, trucissime talvolta, inique sempre: in Francia
veruno lo loda, e tutti si avvantaggiano della opera di cotesto re;
ipocrisia in contrasto o piuttosto d'accordo con la comodità. A parere
nostro vanno errati coloro i quali credono che i casi e gli uomini
dei secoli passati abbiansi a giudicare con le norme di giustizia
che professiamo adesso noi; arduo del pari è stabilire se la nostra
giustizia di oggi sarà giustizia domani; e comunque si pensi, chi
ragiona considera i successi in corrispondenza dei tempi e con le
qualità di sapere e di sentire degli uomini in mezzo ai quali cotesti
eventi compironsi. Non unico Luigi diede mano ai veleni, alle mortali
insidie, ai tradimenti; solo fu più avventurato degli altri; continuo
allora il gioco col quale invece di una moneta si buttava all'aria una
corona esclamando: _o morte, o vita_: quello che Luigi fece agli altri
o emuli o parenti o fratelli, se non lo avesse fatto egli, lo facevano
a lui: complice poi e instigatrice di delitti la religione: se, posti
da un lato tutti i beni e dall'altro tutti i mali di cui è madre la
religione fra i popoli, noi dobbiamo desiderare o no ch'ella cessi,
mi asterrò decidere, ma veramente voglionsi addirittura bandire al
mondo flagelli di Dio, quelle che come la cattolica nostra insegnano
ad aprire un conto corrente con la coscienza dove una partita di
bene compensi una partita di male, e bene si reputi la prodigalità ad
alimentare l'errore e gli apostoli suoi. Nè ciò che noi da maggiore
lume assistiti conosciamo assurdo ed anco sacrilegio, tale appariva a
Luigi XI, il quale, pervertito lo intelletto, credeva davvero che la
Madonna di Embrun ignorasse i suoi delitti, noti solo alla Madonna di
Parigi; così presso a morire, narrano gli storici egli non mostrasse
verun rimorso per le tante crudeltà commesse protestando averle stimate
necessarie pel vantaggio della monarchia, vale a dire di sè medesimo;
solo, mostrando qualche scrupolo per la morte del duca di Nemours,
parve un cotal poco pentirsi di aver fatto perire questo amico della
sua giovinezza.
Per questa guisa convertito il reame in arnese di guerra per forza di
cose era mestieri adoperarlo; i re vincere l'un l'altro con le opere
della pace non sanno; figli della prepotenza, da questa in fuori non
pongono fede in altro, nè la occasione a cui la cerca e può valersene
manca mai, anzi ella viene da sè: affermano gli storici che le Alpi
furono aperte alla Francia dalla chiamata di Ludovico Sforza e dalla
insania delle due donne, che Dio faccia triste, di Savoia e del
Monferrato, ed è vero; però giustizia vuole che si aggiunga che, dove
si fossero opposti anco tutti gli Italiani, mal vietate le Alpi sarieno
state sempre: di vero prima di voltarsi alla Italia la Francia tastò
la Spagna, ma per ben due volte se ne tornò indietro da Perpignano
con la testa rotta; onde, volendo fare esperimento delle proprie
armi, egli era naturale, che colà le adoperasse dove ne presagiva la
impressione più agevole. Il paese più atto a ciò compariva certamente
la Italia. Qui unico vincolo di unione fra gli stati nuocere altrui:
se taluno accennava levare il capo sopra gli altri, tutti addosso:
a cotesti tempi Dio ci voleva male davvero; lo ingegno si adoperava
dagli stati a ordire sottili insidie in detrimento scambievole,
le forze per affliggersi a vicenda; uno prevalendo su l'altro, non
seppe comporre una forte monarchia, ovvero, deposto ogni concetto di
primato, costituire una lega capace di opporsi con profitto ad ogni
invasione straniera: ci volea poco a prognosticare che questo mosaico
di frammenti non legati insieme, anzi discordi, ad ogni più leggiero
urto sariasi scomposto; nè questo ignoravano i Francesi, i quali però,
chiamati o no, io credo che sarebbero calati dall'Alpi; il consiglio
perverso dello Sforza accelerò forse e agevolò la impresa, ma la sua
origine hassi a derivare dalla necessità delle cose: e la Francia di
certo avrebbe vinto, nonostante il precipitoso retrogradare di Carlo
VIII, il quale non ha paragone che con la ruina del suo spingersi
innanzi, se frattanto non sorgeva una potenza la quale non pure valse
a tenerla in cervello, ma più volte la ridusse a un pelo di andare
sbrizzata come tazza di porcellana caduta per terra.
Questa potenza è la Spagna; divisa in più regni, lacerata dalle
fazioni, re in guerra fra loro, baroni in guerra contro i re e contro
il popolo; popolo combattente contro tutti; Saracini in casa ormai
radicati; occupanti le più belle provincie che essi felicitavano con
le arti, co' commerci, con la cultura ed anco co' costumi ad un punto
eroici e gentili: pareva non solo strano, ma impossibile che in simili
condizioni la Spagna mai si conducesse a formarsi in istato grande:
e tuttavia fortuna e senno operarono siffatto portento nel giro di
pochi anni. Col matrimonio di Ferdinando e d'Isabella i due regni
sparirono; la guerra contro i Mori, oltre ad affrancare lo stato dalla
presenza dello straniero, il quale quanto più vuoi industre e cortese,
tuttavia straniero era e causa perpetua di umiliazione e di debolezza,
giovò a ricondurre i baroni al guinzaglio e, rinforzati gli ordini del
governo, a scemare l'anarchia dei comuni: quindi si accese la febbre
delle scoperte, onde l'ardimento degli uomini toccò il sopranaturale,
e le ricchezze rapite somministrarono abilità di ammannire armi e di
soldare milizie; per ultimo le nozze di Giovanna con Filippo il Bello
di Austria recarono sul capo del figlio Carlo il retaggio di Austria,
della massima parte della duchea di Borgogna e la speranza della corona
imperiale.
Ormai la Francia e la Spagna sono salite in grado che, possedendo
entrambi orgoglio sterminato e modo di appagarlo, forza è che fra loro
contendano: signoria non pate compagnia; per venire in cozzo la casa
regnante di Napoli sbattacchiata dalla bufera francese era spagnuola e
congiunta dei reali di Spagna; adesso nè manco a fabbricarselo da sè
poteva occorrere più santo o più giusto pretesto per pigliare parte
a coteste guerre e spogliare i parenti dei loro stati, quanto quello
di accorrere a difenderli per impedire che altri ne li spogliasse:
vero è bene che Ferdinando e Isabella col trattato di Barcellona
aveva pattuito con Carlo VIII, che, mediante la restituzione della
Cerdagna e del Rossiglione già ipotecati a Luigi XI, di lasciare
in balìa di lui amici e parenti, ma simili contradizioni le sono
rifioriture nella politica degli stati e poi ormai la Cerdagna e il
Rossiglione erano stati restituiti, e l'appetito viene mangiando. Una
sentenza dura occorre nella storia di Ferdinando e d'Isabella dello
americano Prescott a carico della Italia, ma come dura non del pari
giusta; di fatto egli afferma: la Italia in cotesti tempi scuola magna
della infame politica così astuta come vile, fraudolenta ad un punto
e sfrontata, onde gli uomini del tempo si mostrano turpi di macchie
che per età non si lavano; ma nè Ferdinando di Aragona nè Luigi XI
avevano mestieri imparare in Italia, essi erano abbastanza matricolati
da loro, e lice a noi dubitare se con altre norme si governino adesso
gli stati in sostanza, quantunque il linguaggio sia del tutto mutato e
ci si faccia un grande consumo anzi scialacquo di umanità. La fortuna
delle armi non arrise ai Francesi, per cui ogni dì si fece più aspra
emulazione fra la Spagna e la Francia, la quale giunse al culmine
quando comparvero sopra la scena del mondo Carlo V e Francesco I a
contendere dello impero: giovani entrambi, entrambi cupidissimi, eredi
delle tradizioni dei loro antenati, forse spinti dalla necessità,
la quale sebbene composta di argomenti artifiziati urge tuttavia
come natura: l'uno e l'altro smanioso della monarchia universale di
Carlo Magno, che quegli pretendeva francese, e questi tedesco. Anco
nella contesa dello impero prevalse la fortuna di Carlo e fu salutato
imperatore. Francesco ci spese attorno una grossa moneta, ma gli
elettori si tennero gli scudi, non diedero i voti, e Francesco rimase
condannato nelle spese. Senza timore di sentirci smentiti affermiamo
la vita di questi due potenti essere stata un perpetuo duello per la
dominazione del mondo, e a Carlo parve prossimo il tempo di porre la
mano sul dominio del mondo, poichè alla Spagna, al regno di Napoli,
al ducato di Milano, alla Borgogna, ai Paesi Bassi, all'Austria,
all'Africa in parte e all'America ora si aggiunse l'essere capo dello
impero, e collegati con lui da un lato i principi germanici, dall'altro
i diversi stati italiani. Ma larghezza non fa grandezza; chi troppo
abbraccia meno stringe, un po' perchè la forza manca, e un po' perchè
la materia discorde e fra sè pugnace non si lascia agguantare: molte
le vittorie riportate da Carlo ed anco dal figliuolo Filippo contro la
Francia, e nondimanco riuscì loro impossibile soggiogarla, talvolta
invasero le provincie francesi o vuoi dalla parte d'Italia o vuoi
dalla parte di Borgogna, ma quindi ebbero sempre a sostare, e ad
accordarsi; e ciò perchè quanto più s'inoltravano e più occorrevano in
duri intoppi, quali sono la guerra popolesca, la diffalta dei viveri,
la desolazione, lo incendio: i danari mancavano, però il bisbiglio
sommesso poi il ribellarsi riottoso della milizia condotta al soldo, le
malattie ed altri che non si narrano guai: a non ritrarsene correvano
il rischio del tarlo che si ammanisce il sepolcro nel buco che scava.
Aggiungi due flagelli che minacciavano del continuo lo impero, i Turchi
e i luterani. Formidabili i primi, di tratto in tratto con danno pari
allo spavento invadevano la Ungheria e minacciavano Vienna, sicchè sul
più bello bisognava lasciare in asso le imprese e correre a rintuzzarli
se non si voleva che il Turco allagasse in Europa; questo per di
fuori, dentro limava l'autorità imperiale la setta luterana; e se si
affermasse che a Carlo poco calessero le faccende della religione, non
si direbbe il vero; devotissimo cattolico egli era, di ogni pratica
osservante; non passava giorno che non assistesse ad una messa, qualche
volta a due; si comunicava tutte le feste capitali dell'anno; almanco
un'ora il giorno meditava sopra i misteri della fede: può darsi che
il diavolo sovente lo tentasse intorbidando le pure linfe della sua
devozione con qualche immagine di futuro acquisto, ma la buona volontà
ci era; e tutto ciò senza pregiudizio di tenere in carcere papa
Clemente VII, di chiudere un'occhio perchè ammazzassero il figliuolo di
Paolo II, di minacciare il cardinale di San Marcello, che poi fu papa
Marcello I, di farlo buttare nell'Adige se non si rimaneva da sobillare
i padri del concilio perchè piantassero Trento, con altre cosiffatte
dolcezze. Oltre pertanto quest'odio feroce di beghino, lui moveva con
ispinta se non più veemente almeno pari la paura che i luterani sotto
pretesto di libertà religiosa gli scalzassero il trono: nè oggimai
questo punto rimaneva dubbio, nonostante le proteste e le dichiarazioni
in contrario di Lutero e de' suoi, le quali in simili congiunture
sempre si fanno, non si credono mai, e tuttavia sempre si rifanno;
onde, l'eresie ogni giorno più impigliandosi in Germania, crescea
per Carlo la necessità della guerra germanica, se pure non volesse
sopportare con pazienza che l'autorità imperiale illanguidisse, e con
essa mancasse la suggezione delle provincie dell'Austria: e tuttavia
Carlo si trovava travolto nella più acerba guerra che avesse mai
assunto con la Francia; nè le lusinghe per continuare mancavano; facile
come sempre la prima impressione in cotesto paese, arduo inoltrarsi.
San Desiderio ei prese, ma per inganno non per virtù: la stagione
iemale gli stava addosso; l'annona scarsa, l'erario vuoto, l'esercito
in procinto di ammotinarsi; male da questo lato, peggio dall'altro
tanto che Francesco scorato esclamava: «O mio Dio come mi fai pagare
cara questa corona che sperava tu mi avessi conceduta senza spine!» e
ormai ai voleri del destino si rassegnava; però ognuno dei combattenti,
secondochè succede, sapeva in qual punto lo affliggesse la scarpa; onde
di un tratto ne surse la più strana pace, quella di Crepy, che mai
si fosse vista: per essa la Francia ottenne vinta quello che appena
le sarebbe stato lecito sperare vittoriosa; le conquiste fatte da
entrambe le parti si restituissero; Carlo accordasse per moglie al duca
di Orléans o la figlia propria o quella di Ferdinando suo germano; se
la figlia, portasse in dote i Paesi Bassi, se la nipote, il ducato di
Milano; con altri più patti che al nostro assunto non preme ricordare;
però lo imperatore, astutissimo uomo, in virtù di cotesta pace ottenne
in prima la sicurezza che non lo avrebbe il re di Francia molestato
pel reame di Napoli nè per le Fiandre; non soccorso il re di Navarra,
quantunque congiunto, per lo appunto come aveva costumato Ferdinando
il Cattolico dirimpetto al re di Napoli; e' sono tutti di razza; per
ultimo o per via di pace o di tregua Francesco tolse il carico di
assettarlo col Turco; dall'altro lato Carlo lasciava Francesco ad
accapigliarsi con Enrico re d'Inghilterra per causa di Bologna, sicurtà
di fatti assai più efficace che di parole anco giurate: nè qui finirono
i vantaggi; chè in virtù di patto segreto tra loro convennero instare
affinchè il concilio si radunasse, e le mutue forze mettessero insieme
per isradicare la eresia, minaccia della tirannide così in Francia come
in Germania.
Poichè agli uomini dispiacciono o piacciono le cose secondochè loro
apportarono o presumono riportarne utile o danno, così questa pace fu
giusta simile stregua o celebrata o ripresa; nè fra gli strani solo,
sibbene anco nelle famiglie delle parti contraenti; al delfino seppe
mal di morte, onde, venuto in iscrezio col fratello D'Orléans, se ne
temevano guai: sicchè quando più tardi di un tratto cotesto principe
scomparve i cortigiani l'ebbero per provvidenza, volendo essi servire
sì, ma servire tranquillamente. Gli stati d'Italia seguaci delle sorti
di Carlo vivevano di pessima voglia presentendo scemata la propria
autorità e il giorno di non lontana ruina: all'opposto i parziali di
Francia aprivano la mente a superbe speranze o almeno quali era dato
concepire allora alla degenerata razza latina: opprimere di seconda
mano brani di popolo strappato di bocca al maggiore padrone straniero.
Di fatti la Francia tanto s'innamorò di cotesta pace che si mise
coll'arco del dosso a negoziare l'accordo fra lo imperatore e il Turco,
nè questo potendo ottenere, strappò una tregua, di un'anno prima,
poi di cinque. Chiunque non avesse perduto il bene dello intelletto
avrebbe conosciuto espresso che Carlo scarrucolava Francesco: tuttavia
questi non se ne voleva accorgere; quello che gli talentava doveva
essere, e i cortigiani tacevano: non si ha a sturbare il sire, nè pure
coll'annunziargli la necessità suprema della morte imminente; però
quasi sempre gli casca addosso come il nibbio che abbia chiuse le ale.
Al nostro assunto non preme riferire il diuturno inganno; basti solo
che la Francia alle ingiurie austriache quando potè non seppe o non
volle apportare riparo, quando poi o volle o seppe ella non potè. —
Carlo, assettatesi a questo modo le cose dintorno, prese ad attendere
alle faccende di Germania come uomo che vuole venirne al chiaro; e
davvero n'era tempo, perchè lo indugio pigliava vizio, e di che tinta!
Cesare aveva convocato la dieta a Vormazia con questo intendimento,
che quivi si deliberasse la necessità di un concilio dove si avessero
a definire le quistioni religiose, e poi al giudicato si stesse; che
insomma era lo adempimento di quello che due anni prima fu stabilito
alla dieta di Spira: ma da ora a quel tempo gran tratto ci correva;
imperciocchè allora facendo mestieri a cesare tenere quieta la
Germania, anzi cavarne sussidi per la guerra contro la Francia, con
editto imperiale aveva conceduto che fra tanto e finchè il concilio si
convocasse i protestanti senza molestia la religione loro liberamente
professassero; la quale concessione appellarono _Interim_, che appunto
nello idioma latino suona _frattanto_. Ai protestanti, che allora
non si sentivano abbastanza gagliardi, non parve vero quel po' di
respiro, e non istettero a guardarla tanto pel sottile: adesso poi,
sentendosi forti da sostenere l'assunto repugnavano mettere ogni cosa
in compromesso, considerando come Carlo non avesse più bisogno di
piaggiarli, all'opposto mirasse a finirli, e come nonostante i passati
e i recenti rancori ei si fosse accontato col papa ai danni loro, nè
si sapesse se il concilio da Trento in qualche città germanica si
trasportasse, e pareva che no, dacchè dopo il primo scalpore mosso
da cesare per siffatta decisione del papa, ei se n'era rimasto cheto,
onde a molti era entrato in sospetto che cotesti formicoloni di sorbo
facessero le forche. In fine convocato il concilio l'_Interim_ veniva
a cessare: per le quali cose tutte dal concilio rifuggivano come il
can dalla mazza; e avevano ragione da vendere, imperciocchè a Giovanni
Hus il salvocondotto imperiale tanto non gli fece scudo che i padri del
concilio di Costanza non lo pigliassero e ardessero; bene il medesimo
salvocondotto salvò Lutero quando si commise alla dieta di Vormazia,
ma, oltrechè il salvocondotto di Lutero fosse garantito da tutti i
principi germanici i nuovi convocati non si sentivano dell'umore di
lui, il quale dissuaso dall'andare coll'esempio di Giovanni Hus e
di Girolamo da Praga rispose incollerito: «Levatemivi dinanzi, che
io ci vo compire ad ogni modo, quando anco ci avessi a trovare tanti
diavoli quante sono le tegole sopra le case.» E poi in conchiusione,
quando pure volessero correre rischio del salvocondotto imperiale ora
tutela, ed ora insidia, Ferdinando fratello di cesare che faceva per
lui, di dare sicurezza non voleva saperne, onde si rendeva manifesto,
ch'essi andavano a mettersi addirittura in bocca al lupo. Ferdinando
secondo l'usanza vecchia e rinnovata sempre da cotesti messeri, e
quello che maraviglia di più, creduta sempre dagli uomini, i quali
nonostante perfidiano a volere essere chiamati animali ragionevoli,
dava apparenza onesta, anzi santa, a fini fraudolenti, e diceva: il
Turco stare sul collo alla Germania, sbrigatosi della guerra persica
tornerebbe più terribile che mai ai danni dei cristiani: durante la
brevissima tregua aversi a provvedere arme ed armati per dare buon
recapito a questo flagello di Dio: alla necessaria concordia per
conseguire tanto fine fare ostacolo le dissidenze religiose, difficili
a comprendersi, impossibili a definirsi, cagione di guai interminabili
a disputarsi: qui più che altrove essere mestieri che un consesso
augusto quanto autorevole dichiarasse le norme a cui i cristiani
tutti avessero a stare, ed a quelle si stesse; però finchè i Turchi
non fossero dispersi, ciò si mettesse da parte; ne parleremo a causa
vinta. — I papisti che sapevano o indovinavano la ragia esclamavano;
«perfettamente;» ma i protestanti di contrasto: «No davvero, prima
andiamo d'accordo, e poi saremo con voi: patti chiari amicizia lunga:»
alla meno trista si stabilisca subito una dieta, e finchè non vi si
decidano gli screzi sia prolungato l'_Interim_; bene inteso però,
che la si dovesse tenere in qualche città dello impero, nè il papa la
convocasse, molto meno la presiedesse egli, giudice e parte. — Da un
lato l'imperatore puntò i piedi, i protestanti dall'altro i piedi e le
corna; la ragione più da questa parte che da quella; la pertinacia pari
in entrambe; si sciupò tempo; parole a fusone, e, come di ordinario
accade, non conchiusero nulla.
Egli è da credersi che i protestanti avrebbono lasciato passare tre
pani per coppia se lo imperatore col mutare dei tempi non avesse mutato
animo dandolo a divedere troppo apertamente, ma ora premendo a costui
lusingare il papa contro i Protestanti schizzava veleno: più di ogni
altro valse a metterli in sospetto il caso dell'arcivescovo di Colonia:
questi, insigne per pietà e per dottrina illustre, prese a tedio i
romani errori, si piacque propagare nella sua diocesi le credenze dei
protestanti giovandolo in questo zelantissimi coadiutori Melantone e
Bucero, i quali trovarono non che atto il terreno, disposto; nemici
solo ed infesti i canonici della cattedrale, nè già per amore di dogmi,
bensì per moltissimo amore delle dignità e delle comodità loro, i
quali, subodorato il vento e conosciutolo favorevole, si appellarono
al papa come superiore chiesastico, allo imperatore come superiore
civile; questi senza dare tempo al tempo, timoroso che il papa non gli
preoccupasse il sentiero, tosto da Vormazia, dove allora si tratteneva,
mandò un decreto ai canonici perchè vigilassero la fede della chiesa
di Colonia e bandissero ribelle chiunque le contraffacesse, allo
arcivescovo perchè dentro trenta giorni si presentasse a Brusselle
per iscolparsi delle accuse messegli addosso. Oltre questo esempio,
spaventavano i novatori la persecuzione dei loro correligionari
nei Paesi Bassi, il divieto di salire sul pulpito ai predicatori
protestanti a Vormazia, la balìa ai cattolici di tirare a palle rosse
dalle bigonce e dagli altari contro i luterani.
Intanto si apriva il concilio di Trento; e lo imperatore, da quello
svelto ch'egli era, voleva menare il cane per l'aia per pigliare tempo
a compire gli armamenti e al punto stesso tranquillare i protestanti
per coglierli alla sprovvista, e quando pure si avessero a mettere
subito le mani in pasta, si cominciasse dalla riforma dei costumi e
degli abusi della Chiesa: ai dogmi si penserebbe più tardi: accetta
ai protestanti la riforma dei costumi, era agevole prevedere che nella
trattativa dei dogmi sarebbesi incontrato l'osso. Il papa dal canto suo
strologava per cavare il concilio da Trento, o se questo non poteva
conseguirsi indilatamente, si definissero gli articoli della fede.
Nonostante però quel fare alle braccia fra imperatore e papa, o per
cacciarsi sotto l'emulo o non esservi cacciato, insieme poi ordivano
fitto contro il comune nemico; in questa moriva Lutero, i cattolici
ne menano gazzarra, i luterani si accosciano, e a torto entrambi:
le necessità dei tempi si creano mano a mano come l'orologiaro fa
l'orologio; compito ch'ei sia, rimarrà eternamente fermo se taluno non
dia impulso al pendolo; all'orologio del tempo chi dia lo impulso non
manca, imperciocchè per uno dei moventi che caschi ne subentrano dieci;
e non lo trattiene scapito espresso anzi neppure la morte: quindi erra
chi pensa che creasse il moto colui che si trovò a imprimergli l'ultima
spinta; antichissima la materia del luteranesimo, Arnaldo, Savonarola,
Giovanni Hus, Girolamo da Praga ed altri parecchi lo avevano ammannito,
ma non ne vennero a capo, e per poco la fiamma che arse i corpi loro
non ne abbruciò la memoria; a Lutero arrise la fortuna, però da lui
si noma la riforma: da tutto questo se ne inferisce che la cosa messa
su lo sdrucciolo per via va senza mestiere che uomo la spinga dietro;
quindi la riforma procedè senza Lutero, come Lutero, caso mai avesse
mutato partito, non avrebbe potuto farla stornare un'oncia: chi desta
lo incendio non può spegnerlo poi.
Tuttavia il moto sarebbesi rallentato, o per indole della gente
alemanna naturalmente gingillona, o per le bindolerie dello imperatore,
maestro insigne di queste, se la troppa garosità della corte non
fosse venuta a sbraciare il fuoco e ciò accadde perchè, deferita a
Roma la causa dello arcivescovo di Colonia, al papa non parve vero di
cogliere il destro per ostentare autorità, e quindi di punto in bianco,
postergati i consigli, tenuti in non cale gli avvertimenti, ecco emana
una bolla che lo spoglia delle dignità ecclesiastiche e, previa la
consueta scomunica, scioglie i sudditi dal giuramento di obbedienza
a cui erano tenuti. I protestanti s'inalberarono: temendo ognuno per
sè, si rinforzò la concordia; tanto più veementi adesso quanto prima
avevano ciondolato; al timore del danno si arroge la stizza di vedersi
giuntati.
Con tali auspicii si apriva la dieta dello impero a Ratisbona: ci
convennero i principi alemanni parziali a cesare, i protestanti se ne
tennero lontani mandandovi in vece loro procuratori a rappresentarli:
pretesto per non andare le soverchie spese a cui non potevano sopperire
stante le angustie dei tempi, causa vera la paura di essere presi pel
collo. Dicono che lo imperatore alla dieta di Ratisbona dimostrasse
arguzia straordinaria, conciossiachè, invece di scuoprire i propri
concetti, li tenesse con bell'arte celati, invitando i principi
raccolti a palesare quello che sentissero e volessero, lui chiamarsi
parato ad eseguire quello che a loro fosse piaciuto deliberare; a me
sembra che questi sieno ganci diritti, dacchè ogni uomo si accorse
che la proposta dello imperatore ai principi cattolici rassomigliava
alla domanda dell'ospite all'oste: se ha buono il vino; pertanto ad
una voce sentenziarono a quanto sarebbe per giudicare il concilio di
Trento sacrosanto si avesse a piegare il capo sotto pena di sentirselo
tagliare. Molto meno poi si comprende questa astuzia a che cosa
approdasse quando ei subito dopo spedì per le poste il cardinale di
Trento a Roma per sollecitare gli aiuti del papa, chiamò milizie dai
Paesi Bassi, concesse a Giovanni e ad Alberto di Brandeburgo di levarsi
in armi per cavare, se loro riusciva, Enrico di Brunswich dal carcere
del langravio di Assia tenuto in conto di capo della lega di Smalcalda:
sovente si annaspa per non perdere il vezzo di annaspare, e tale loda
un atto nello imperatore che nel plebeo flagellerebbe a sangue. I
rappresentanti si fecero a trovare Carlo per essere chiariti sopra
gl'intendimenti suoi, ed essi domandando erano più che persuasi non
ne avrebbero spillato niente che valesse; lo imperatore, rispondendo,
fermo ad agguindolarli, se poteva: tempo perso e che tuttavia si perde:
forse perchè l'uomo, non potendo esercitarsi nella lealtà, si trastulla
volentieri con le apparenze di quella.
Stretti col papa i patti della lega, depositati i danari pei sussidi
su banchi di Venezia, convenuto il numero e la qualità dello esercito
ausiliario, accordati i capitani, distribuite indulgenze, messe
in pronto le scomuniche, promesso che per sei mesi non si facesse
pace, e dopo i sei mesi in verun modo senza il consenso del papa si
conchiudesse; bene fra loro detto e ridetto e replicato poi scopi
della guerra essere due o, per dire meglio, uno distinto in due atti
cioè il primo estinguere il veleno dell'eresia, il secondo spartirsi
le spoglie degli eretici; uno non si era mai fidato meno dell'altro,
però lo imperatore, bugiardo più di due re, bandiva essere trascinato
alla guerra pei capelli, non già per causa religiosa, Dio guardi! sacre
le coscienze, credesse ognuno come meglio gli talentasse, solo volere
richiamare all'osservanza dell'autorità imperiale alcuni tracotanti
che se la mettevano sotto i piedi; ciò essere non pure suo diritto,
ma obbligo espresso; diversamente, cessato o rilassato il vincolo
della confederazione, anarchia dentro, debolezza fuori. Queste cose
dava ad intendere Carlo come il pescatore gitta le reti: se chiappano,
chiappano; e pel fine di riuscire, potendo, a mettere le male biette
fra i protestanti, ed anco secondo le contingenze piantare il papa ed
accomodarsi con loro. Il papa stizzito perchè Carlo la trinciasse da
furbo _in capite_, mentre questo posto pretendeva egli (e a diritto,
imperciocchè dove lo imperatore volesse per sè il primato delle armi
e delle frodi, o che restava al papa?) spiffera tutto l'accordo della
lega facendo toccare con mano come lo imperatore mentisse, e scopo
principale della lega consistesse nella persecuzione a morte degli
eretici: tuttavia chi pensasse che a questo modo il papa procedesse
natura che la reazione sottentri immediata all'azione, al regno di
Carlo VII memorabile per codardia di re e per virtù di popolo succedeva
il regno di Luigi XI; del quale fu scopo ridurre la Francia in forte
e bello arnese prima per difendersi e poi per guadagnare: allora la
Francia appariva un cumulo di feudi, di cui i principi spesso pari e
talvolta superiori al re; fra loro o contro la monarchia senza requie
combattenti; causa perpetua di subbuglio in mezzo a lei, impedimento a
costituirsi gagliarda. Questo re adoprò le arti imitate dal Valentino
più tardi ma con esito felice: grande lo scopo, la fortuna propizia,
le vie praticate, trucissime talvolta, inique sempre: in Francia
veruno lo loda, e tutti si avvantaggiano della opera di cotesto re;
ipocrisia in contrasto o piuttosto d'accordo con la comodità. A parere
nostro vanno errati coloro i quali credono che i casi e gli uomini
dei secoli passati abbiansi a giudicare con le norme di giustizia
che professiamo adesso noi; arduo del pari è stabilire se la nostra
giustizia di oggi sarà giustizia domani; e comunque si pensi, chi
ragiona considera i successi in corrispondenza dei tempi e con le
qualità di sapere e di sentire degli uomini in mezzo ai quali cotesti
eventi compironsi. Non unico Luigi diede mano ai veleni, alle mortali
insidie, ai tradimenti; solo fu più avventurato degli altri; continuo
allora il gioco col quale invece di una moneta si buttava all'aria una
corona esclamando: _o morte, o vita_: quello che Luigi fece agli altri
o emuli o parenti o fratelli, se non lo avesse fatto egli, lo facevano
a lui: complice poi e instigatrice di delitti la religione: se, posti
da un lato tutti i beni e dall'altro tutti i mali di cui è madre la
religione fra i popoli, noi dobbiamo desiderare o no ch'ella cessi,
mi asterrò decidere, ma veramente voglionsi addirittura bandire al
mondo flagelli di Dio, quelle che come la cattolica nostra insegnano
ad aprire un conto corrente con la coscienza dove una partita di
bene compensi una partita di male, e bene si reputi la prodigalità ad
alimentare l'errore e gli apostoli suoi. Nè ciò che noi da maggiore
lume assistiti conosciamo assurdo ed anco sacrilegio, tale appariva a
Luigi XI, il quale, pervertito lo intelletto, credeva davvero che la
Madonna di Embrun ignorasse i suoi delitti, noti solo alla Madonna di
Parigi; così presso a morire, narrano gli storici egli non mostrasse
verun rimorso per le tante crudeltà commesse protestando averle stimate
necessarie pel vantaggio della monarchia, vale a dire di sè medesimo;
solo, mostrando qualche scrupolo per la morte del duca di Nemours,
parve un cotal poco pentirsi di aver fatto perire questo amico della
sua giovinezza.
Per questa guisa convertito il reame in arnese di guerra per forza di
cose era mestieri adoperarlo; i re vincere l'un l'altro con le opere
della pace non sanno; figli della prepotenza, da questa in fuori non
pongono fede in altro, nè la occasione a cui la cerca e può valersene
manca mai, anzi ella viene da sè: affermano gli storici che le Alpi
furono aperte alla Francia dalla chiamata di Ludovico Sforza e dalla
insania delle due donne, che Dio faccia triste, di Savoia e del
Monferrato, ed è vero; però giustizia vuole che si aggiunga che, dove
si fossero opposti anco tutti gli Italiani, mal vietate le Alpi sarieno
state sempre: di vero prima di voltarsi alla Italia la Francia tastò
la Spagna, ma per ben due volte se ne tornò indietro da Perpignano
con la testa rotta; onde, volendo fare esperimento delle proprie
armi, egli era naturale, che colà le adoperasse dove ne presagiva la
impressione più agevole. Il paese più atto a ciò compariva certamente
la Italia. Qui unico vincolo di unione fra gli stati nuocere altrui:
se taluno accennava levare il capo sopra gli altri, tutti addosso:
a cotesti tempi Dio ci voleva male davvero; lo ingegno si adoperava
dagli stati a ordire sottili insidie in detrimento scambievole,
le forze per affliggersi a vicenda; uno prevalendo su l'altro, non
seppe comporre una forte monarchia, ovvero, deposto ogni concetto di
primato, costituire una lega capace di opporsi con profitto ad ogni
invasione straniera: ci volea poco a prognosticare che questo mosaico
di frammenti non legati insieme, anzi discordi, ad ogni più leggiero
urto sariasi scomposto; nè questo ignoravano i Francesi, i quali però,
chiamati o no, io credo che sarebbero calati dall'Alpi; il consiglio
perverso dello Sforza accelerò forse e agevolò la impresa, ma la sua
origine hassi a derivare dalla necessità delle cose: e la Francia di
certo avrebbe vinto, nonostante il precipitoso retrogradare di Carlo
VIII, il quale non ha paragone che con la ruina del suo spingersi
innanzi, se frattanto non sorgeva una potenza la quale non pure valse
a tenerla in cervello, ma più volte la ridusse a un pelo di andare
sbrizzata come tazza di porcellana caduta per terra.
Questa potenza è la Spagna; divisa in più regni, lacerata dalle
fazioni, re in guerra fra loro, baroni in guerra contro i re e contro
il popolo; popolo combattente contro tutti; Saracini in casa ormai
radicati; occupanti le più belle provincie che essi felicitavano con
le arti, co' commerci, con la cultura ed anco co' costumi ad un punto
eroici e gentili: pareva non solo strano, ma impossibile che in simili
condizioni la Spagna mai si conducesse a formarsi in istato grande:
e tuttavia fortuna e senno operarono siffatto portento nel giro di
pochi anni. Col matrimonio di Ferdinando e d'Isabella i due regni
sparirono; la guerra contro i Mori, oltre ad affrancare lo stato dalla
presenza dello straniero, il quale quanto più vuoi industre e cortese,
tuttavia straniero era e causa perpetua di umiliazione e di debolezza,
giovò a ricondurre i baroni al guinzaglio e, rinforzati gli ordini del
governo, a scemare l'anarchia dei comuni: quindi si accese la febbre
delle scoperte, onde l'ardimento degli uomini toccò il sopranaturale,
e le ricchezze rapite somministrarono abilità di ammannire armi e di
soldare milizie; per ultimo le nozze di Giovanna con Filippo il Bello
di Austria recarono sul capo del figlio Carlo il retaggio di Austria,
della massima parte della duchea di Borgogna e la speranza della corona
imperiale.
Ormai la Francia e la Spagna sono salite in grado che, possedendo
entrambi orgoglio sterminato e modo di appagarlo, forza è che fra loro
contendano: signoria non pate compagnia; per venire in cozzo la casa
regnante di Napoli sbattacchiata dalla bufera francese era spagnuola e
congiunta dei reali di Spagna; adesso nè manco a fabbricarselo da sè
poteva occorrere più santo o più giusto pretesto per pigliare parte
a coteste guerre e spogliare i parenti dei loro stati, quanto quello
di accorrere a difenderli per impedire che altri ne li spogliasse:
vero è bene che Ferdinando e Isabella col trattato di Barcellona
aveva pattuito con Carlo VIII, che, mediante la restituzione della
Cerdagna e del Rossiglione già ipotecati a Luigi XI, di lasciare
in balìa di lui amici e parenti, ma simili contradizioni le sono
rifioriture nella politica degli stati e poi ormai la Cerdagna e il
Rossiglione erano stati restituiti, e l'appetito viene mangiando. Una
sentenza dura occorre nella storia di Ferdinando e d'Isabella dello
americano Prescott a carico della Italia, ma come dura non del pari
giusta; di fatto egli afferma: la Italia in cotesti tempi scuola magna
della infame politica così astuta come vile, fraudolenta ad un punto
e sfrontata, onde gli uomini del tempo si mostrano turpi di macchie
che per età non si lavano; ma nè Ferdinando di Aragona nè Luigi XI
avevano mestieri imparare in Italia, essi erano abbastanza matricolati
da loro, e lice a noi dubitare se con altre norme si governino adesso
gli stati in sostanza, quantunque il linguaggio sia del tutto mutato e
ci si faccia un grande consumo anzi scialacquo di umanità. La fortuna
delle armi non arrise ai Francesi, per cui ogni dì si fece più aspra
emulazione fra la Spagna e la Francia, la quale giunse al culmine
quando comparvero sopra la scena del mondo Carlo V e Francesco I a
contendere dello impero: giovani entrambi, entrambi cupidissimi, eredi
delle tradizioni dei loro antenati, forse spinti dalla necessità,
la quale sebbene composta di argomenti artifiziati urge tuttavia
come natura: l'uno e l'altro smanioso della monarchia universale di
Carlo Magno, che quegli pretendeva francese, e questi tedesco. Anco
nella contesa dello impero prevalse la fortuna di Carlo e fu salutato
imperatore. Francesco ci spese attorno una grossa moneta, ma gli
elettori si tennero gli scudi, non diedero i voti, e Francesco rimase
condannato nelle spese. Senza timore di sentirci smentiti affermiamo
la vita di questi due potenti essere stata un perpetuo duello per la
dominazione del mondo, e a Carlo parve prossimo il tempo di porre la
mano sul dominio del mondo, poichè alla Spagna, al regno di Napoli,
al ducato di Milano, alla Borgogna, ai Paesi Bassi, all'Austria,
all'Africa in parte e all'America ora si aggiunse l'essere capo dello
impero, e collegati con lui da un lato i principi germanici, dall'altro
i diversi stati italiani. Ma larghezza non fa grandezza; chi troppo
abbraccia meno stringe, un po' perchè la forza manca, e un po' perchè
la materia discorde e fra sè pugnace non si lascia agguantare: molte
le vittorie riportate da Carlo ed anco dal figliuolo Filippo contro la
Francia, e nondimanco riuscì loro impossibile soggiogarla, talvolta
invasero le provincie francesi o vuoi dalla parte d'Italia o vuoi
dalla parte di Borgogna, ma quindi ebbero sempre a sostare, e ad
accordarsi; e ciò perchè quanto più s'inoltravano e più occorrevano in
duri intoppi, quali sono la guerra popolesca, la diffalta dei viveri,
la desolazione, lo incendio: i danari mancavano, però il bisbiglio
sommesso poi il ribellarsi riottoso della milizia condotta al soldo, le
malattie ed altri che non si narrano guai: a non ritrarsene correvano
il rischio del tarlo che si ammanisce il sepolcro nel buco che scava.
Aggiungi due flagelli che minacciavano del continuo lo impero, i Turchi
e i luterani. Formidabili i primi, di tratto in tratto con danno pari
allo spavento invadevano la Ungheria e minacciavano Vienna, sicchè sul
più bello bisognava lasciare in asso le imprese e correre a rintuzzarli
se non si voleva che il Turco allagasse in Europa; questo per di
fuori, dentro limava l'autorità imperiale la setta luterana; e se si
affermasse che a Carlo poco calessero le faccende della religione, non
si direbbe il vero; devotissimo cattolico egli era, di ogni pratica
osservante; non passava giorno che non assistesse ad una messa, qualche
volta a due; si comunicava tutte le feste capitali dell'anno; almanco
un'ora il giorno meditava sopra i misteri della fede: può darsi che
il diavolo sovente lo tentasse intorbidando le pure linfe della sua
devozione con qualche immagine di futuro acquisto, ma la buona volontà
ci era; e tutto ciò senza pregiudizio di tenere in carcere papa
Clemente VII, di chiudere un'occhio perchè ammazzassero il figliuolo di
Paolo II, di minacciare il cardinale di San Marcello, che poi fu papa
Marcello I, di farlo buttare nell'Adige se non si rimaneva da sobillare
i padri del concilio perchè piantassero Trento, con altre cosiffatte
dolcezze. Oltre pertanto quest'odio feroce di beghino, lui moveva con
ispinta se non più veemente almeno pari la paura che i luterani sotto
pretesto di libertà religiosa gli scalzassero il trono: nè oggimai
questo punto rimaneva dubbio, nonostante le proteste e le dichiarazioni
in contrario di Lutero e de' suoi, le quali in simili congiunture
sempre si fanno, non si credono mai, e tuttavia sempre si rifanno;
onde, l'eresie ogni giorno più impigliandosi in Germania, crescea
per Carlo la necessità della guerra germanica, se pure non volesse
sopportare con pazienza che l'autorità imperiale illanguidisse, e con
essa mancasse la suggezione delle provincie dell'Austria: e tuttavia
Carlo si trovava travolto nella più acerba guerra che avesse mai
assunto con la Francia; nè le lusinghe per continuare mancavano; facile
come sempre la prima impressione in cotesto paese, arduo inoltrarsi.
San Desiderio ei prese, ma per inganno non per virtù: la stagione
iemale gli stava addosso; l'annona scarsa, l'erario vuoto, l'esercito
in procinto di ammotinarsi; male da questo lato, peggio dall'altro
tanto che Francesco scorato esclamava: «O mio Dio come mi fai pagare
cara questa corona che sperava tu mi avessi conceduta senza spine!» e
ormai ai voleri del destino si rassegnava; però ognuno dei combattenti,
secondochè succede, sapeva in qual punto lo affliggesse la scarpa; onde
di un tratto ne surse la più strana pace, quella di Crepy, che mai
si fosse vista: per essa la Francia ottenne vinta quello che appena
le sarebbe stato lecito sperare vittoriosa; le conquiste fatte da
entrambe le parti si restituissero; Carlo accordasse per moglie al duca
di Orléans o la figlia propria o quella di Ferdinando suo germano; se
la figlia, portasse in dote i Paesi Bassi, se la nipote, il ducato di
Milano; con altri più patti che al nostro assunto non preme ricordare;
però lo imperatore, astutissimo uomo, in virtù di cotesta pace ottenne
in prima la sicurezza che non lo avrebbe il re di Francia molestato
pel reame di Napoli nè per le Fiandre; non soccorso il re di Navarra,
quantunque congiunto, per lo appunto come aveva costumato Ferdinando
il Cattolico dirimpetto al re di Napoli; e' sono tutti di razza; per
ultimo o per via di pace o di tregua Francesco tolse il carico di
assettarlo col Turco; dall'altro lato Carlo lasciava Francesco ad
accapigliarsi con Enrico re d'Inghilterra per causa di Bologna, sicurtà
di fatti assai più efficace che di parole anco giurate: nè qui finirono
i vantaggi; chè in virtù di patto segreto tra loro convennero instare
affinchè il concilio si radunasse, e le mutue forze mettessero insieme
per isradicare la eresia, minaccia della tirannide così in Francia come
in Germania.
Poichè agli uomini dispiacciono o piacciono le cose secondochè loro
apportarono o presumono riportarne utile o danno, così questa pace fu
giusta simile stregua o celebrata o ripresa; nè fra gli strani solo,
sibbene anco nelle famiglie delle parti contraenti; al delfino seppe
mal di morte, onde, venuto in iscrezio col fratello D'Orléans, se ne
temevano guai: sicchè quando più tardi di un tratto cotesto principe
scomparve i cortigiani l'ebbero per provvidenza, volendo essi servire
sì, ma servire tranquillamente. Gli stati d'Italia seguaci delle sorti
di Carlo vivevano di pessima voglia presentendo scemata la propria
autorità e il giorno di non lontana ruina: all'opposto i parziali di
Francia aprivano la mente a superbe speranze o almeno quali era dato
concepire allora alla degenerata razza latina: opprimere di seconda
mano brani di popolo strappato di bocca al maggiore padrone straniero.
Di fatti la Francia tanto s'innamorò di cotesta pace che si mise
coll'arco del dosso a negoziare l'accordo fra lo imperatore e il Turco,
nè questo potendo ottenere, strappò una tregua, di un'anno prima,
poi di cinque. Chiunque non avesse perduto il bene dello intelletto
avrebbe conosciuto espresso che Carlo scarrucolava Francesco: tuttavia
questi non se ne voleva accorgere; quello che gli talentava doveva
essere, e i cortigiani tacevano: non si ha a sturbare il sire, nè pure
coll'annunziargli la necessità suprema della morte imminente; però
quasi sempre gli casca addosso come il nibbio che abbia chiuse le ale.
Al nostro assunto non preme riferire il diuturno inganno; basti solo
che la Francia alle ingiurie austriache quando potè non seppe o non
volle apportare riparo, quando poi o volle o seppe ella non potè. —
Carlo, assettatesi a questo modo le cose dintorno, prese ad attendere
alle faccende di Germania come uomo che vuole venirne al chiaro; e
davvero n'era tempo, perchè lo indugio pigliava vizio, e di che tinta!
Cesare aveva convocato la dieta a Vormazia con questo intendimento,
che quivi si deliberasse la necessità di un concilio dove si avessero
a definire le quistioni religiose, e poi al giudicato si stesse; che
insomma era lo adempimento di quello che due anni prima fu stabilito
alla dieta di Spira: ma da ora a quel tempo gran tratto ci correva;
imperciocchè allora facendo mestieri a cesare tenere quieta la
Germania, anzi cavarne sussidi per la guerra contro la Francia, con
editto imperiale aveva conceduto che fra tanto e finchè il concilio si
convocasse i protestanti senza molestia la religione loro liberamente
professassero; la quale concessione appellarono _Interim_, che appunto
nello idioma latino suona _frattanto_. Ai protestanti, che allora
non si sentivano abbastanza gagliardi, non parve vero quel po' di
respiro, e non istettero a guardarla tanto pel sottile: adesso poi,
sentendosi forti da sostenere l'assunto repugnavano mettere ogni cosa
in compromesso, considerando come Carlo non avesse più bisogno di
piaggiarli, all'opposto mirasse a finirli, e come nonostante i passati
e i recenti rancori ei si fosse accontato col papa ai danni loro, nè
si sapesse se il concilio da Trento in qualche città germanica si
trasportasse, e pareva che no, dacchè dopo il primo scalpore mosso
da cesare per siffatta decisione del papa, ei se n'era rimasto cheto,
onde a molti era entrato in sospetto che cotesti formicoloni di sorbo
facessero le forche. In fine convocato il concilio l'_Interim_ veniva
a cessare: per le quali cose tutte dal concilio rifuggivano come il
can dalla mazza; e avevano ragione da vendere, imperciocchè a Giovanni
Hus il salvocondotto imperiale tanto non gli fece scudo che i padri del
concilio di Costanza non lo pigliassero e ardessero; bene il medesimo
salvocondotto salvò Lutero quando si commise alla dieta di Vormazia,
ma, oltrechè il salvocondotto di Lutero fosse garantito da tutti i
principi germanici i nuovi convocati non si sentivano dell'umore di
lui, il quale dissuaso dall'andare coll'esempio di Giovanni Hus e
di Girolamo da Praga rispose incollerito: «Levatemivi dinanzi, che
io ci vo compire ad ogni modo, quando anco ci avessi a trovare tanti
diavoli quante sono le tegole sopra le case.» E poi in conchiusione,
quando pure volessero correre rischio del salvocondotto imperiale ora
tutela, ed ora insidia, Ferdinando fratello di cesare che faceva per
lui, di dare sicurezza non voleva saperne, onde si rendeva manifesto,
ch'essi andavano a mettersi addirittura in bocca al lupo. Ferdinando
secondo l'usanza vecchia e rinnovata sempre da cotesti messeri, e
quello che maraviglia di più, creduta sempre dagli uomini, i quali
nonostante perfidiano a volere essere chiamati animali ragionevoli,
dava apparenza onesta, anzi santa, a fini fraudolenti, e diceva: il
Turco stare sul collo alla Germania, sbrigatosi della guerra persica
tornerebbe più terribile che mai ai danni dei cristiani: durante la
brevissima tregua aversi a provvedere arme ed armati per dare buon
recapito a questo flagello di Dio: alla necessaria concordia per
conseguire tanto fine fare ostacolo le dissidenze religiose, difficili
a comprendersi, impossibili a definirsi, cagione di guai interminabili
a disputarsi: qui più che altrove essere mestieri che un consesso
augusto quanto autorevole dichiarasse le norme a cui i cristiani
tutti avessero a stare, ed a quelle si stesse; però finchè i Turchi
non fossero dispersi, ciò si mettesse da parte; ne parleremo a causa
vinta. — I papisti che sapevano o indovinavano la ragia esclamavano;
«perfettamente;» ma i protestanti di contrasto: «No davvero, prima
andiamo d'accordo, e poi saremo con voi: patti chiari amicizia lunga:»
alla meno trista si stabilisca subito una dieta, e finchè non vi si
decidano gli screzi sia prolungato l'_Interim_; bene inteso però,
che la si dovesse tenere in qualche città dello impero, nè il papa la
convocasse, molto meno la presiedesse egli, giudice e parte. — Da un
lato l'imperatore puntò i piedi, i protestanti dall'altro i piedi e le
corna; la ragione più da questa parte che da quella; la pertinacia pari
in entrambe; si sciupò tempo; parole a fusone, e, come di ordinario
accade, non conchiusero nulla.
Egli è da credersi che i protestanti avrebbono lasciato passare tre
pani per coppia se lo imperatore col mutare dei tempi non avesse mutato
animo dandolo a divedere troppo apertamente, ma ora premendo a costui
lusingare il papa contro i Protestanti schizzava veleno: più di ogni
altro valse a metterli in sospetto il caso dell'arcivescovo di Colonia:
questi, insigne per pietà e per dottrina illustre, prese a tedio i
romani errori, si piacque propagare nella sua diocesi le credenze dei
protestanti giovandolo in questo zelantissimi coadiutori Melantone e
Bucero, i quali trovarono non che atto il terreno, disposto; nemici
solo ed infesti i canonici della cattedrale, nè già per amore di dogmi,
bensì per moltissimo amore delle dignità e delle comodità loro, i
quali, subodorato il vento e conosciutolo favorevole, si appellarono
al papa come superiore chiesastico, allo imperatore come superiore
civile; questi senza dare tempo al tempo, timoroso che il papa non gli
preoccupasse il sentiero, tosto da Vormazia, dove allora si tratteneva,
mandò un decreto ai canonici perchè vigilassero la fede della chiesa
di Colonia e bandissero ribelle chiunque le contraffacesse, allo
arcivescovo perchè dentro trenta giorni si presentasse a Brusselle
per iscolparsi delle accuse messegli addosso. Oltre questo esempio,
spaventavano i novatori la persecuzione dei loro correligionari
nei Paesi Bassi, il divieto di salire sul pulpito ai predicatori
protestanti a Vormazia, la balìa ai cattolici di tirare a palle rosse
dalle bigonce e dagli altari contro i luterani.
Intanto si apriva il concilio di Trento; e lo imperatore, da quello
svelto ch'egli era, voleva menare il cane per l'aia per pigliare tempo
a compire gli armamenti e al punto stesso tranquillare i protestanti
per coglierli alla sprovvista, e quando pure si avessero a mettere
subito le mani in pasta, si cominciasse dalla riforma dei costumi e
degli abusi della Chiesa: ai dogmi si penserebbe più tardi: accetta
ai protestanti la riforma dei costumi, era agevole prevedere che nella
trattativa dei dogmi sarebbesi incontrato l'osso. Il papa dal canto suo
strologava per cavare il concilio da Trento, o se questo non poteva
conseguirsi indilatamente, si definissero gli articoli della fede.
Nonostante però quel fare alle braccia fra imperatore e papa, o per
cacciarsi sotto l'emulo o non esservi cacciato, insieme poi ordivano
fitto contro il comune nemico; in questa moriva Lutero, i cattolici
ne menano gazzarra, i luterani si accosciano, e a torto entrambi:
le necessità dei tempi si creano mano a mano come l'orologiaro fa
l'orologio; compito ch'ei sia, rimarrà eternamente fermo se taluno non
dia impulso al pendolo; all'orologio del tempo chi dia lo impulso non
manca, imperciocchè per uno dei moventi che caschi ne subentrano dieci;
e non lo trattiene scapito espresso anzi neppure la morte: quindi erra
chi pensa che creasse il moto colui che si trovò a imprimergli l'ultima
spinta; antichissima la materia del luteranesimo, Arnaldo, Savonarola,
Giovanni Hus, Girolamo da Praga ed altri parecchi lo avevano ammannito,
ma non ne vennero a capo, e per poco la fiamma che arse i corpi loro
non ne abbruciò la memoria; a Lutero arrise la fortuna, però da lui
si noma la riforma: da tutto questo se ne inferisce che la cosa messa
su lo sdrucciolo per via va senza mestiere che uomo la spinga dietro;
quindi la riforma procedè senza Lutero, come Lutero, caso mai avesse
mutato partito, non avrebbe potuto farla stornare un'oncia: chi desta
lo incendio non può spegnerlo poi.
Tuttavia il moto sarebbesi rallentato, o per indole della gente
alemanna naturalmente gingillona, o per le bindolerie dello imperatore,
maestro insigne di queste, se la troppa garosità della corte non
fosse venuta a sbraciare il fuoco e ciò accadde perchè, deferita a
Roma la causa dello arcivescovo di Colonia, al papa non parve vero di
cogliere il destro per ostentare autorità, e quindi di punto in bianco,
postergati i consigli, tenuti in non cale gli avvertimenti, ecco emana
una bolla che lo spoglia delle dignità ecclesiastiche e, previa la
consueta scomunica, scioglie i sudditi dal giuramento di obbedienza
a cui erano tenuti. I protestanti s'inalberarono: temendo ognuno per
sè, si rinforzò la concordia; tanto più veementi adesso quanto prima
avevano ciondolato; al timore del danno si arroge la stizza di vedersi
giuntati.
Con tali auspicii si apriva la dieta dello impero a Ratisbona: ci
convennero i principi alemanni parziali a cesare, i protestanti se ne
tennero lontani mandandovi in vece loro procuratori a rappresentarli:
pretesto per non andare le soverchie spese a cui non potevano sopperire
stante le angustie dei tempi, causa vera la paura di essere presi pel
collo. Dicono che lo imperatore alla dieta di Ratisbona dimostrasse
arguzia straordinaria, conciossiachè, invece di scuoprire i propri
concetti, li tenesse con bell'arte celati, invitando i principi
raccolti a palesare quello che sentissero e volessero, lui chiamarsi
parato ad eseguire quello che a loro fosse piaciuto deliberare; a me
sembra che questi sieno ganci diritti, dacchè ogni uomo si accorse
che la proposta dello imperatore ai principi cattolici rassomigliava
alla domanda dell'ospite all'oste: se ha buono il vino; pertanto ad
una voce sentenziarono a quanto sarebbe per giudicare il concilio di
Trento sacrosanto si avesse a piegare il capo sotto pena di sentirselo
tagliare. Molto meno poi si comprende questa astuzia a che cosa
approdasse quando ei subito dopo spedì per le poste il cardinale di
Trento a Roma per sollecitare gli aiuti del papa, chiamò milizie dai
Paesi Bassi, concesse a Giovanni e ad Alberto di Brandeburgo di levarsi
in armi per cavare, se loro riusciva, Enrico di Brunswich dal carcere
del langravio di Assia tenuto in conto di capo della lega di Smalcalda:
sovente si annaspa per non perdere il vezzo di annaspare, e tale loda
un atto nello imperatore che nel plebeo flagellerebbe a sangue. I
rappresentanti si fecero a trovare Carlo per essere chiariti sopra
gl'intendimenti suoi, ed essi domandando erano più che persuasi non
ne avrebbero spillato niente che valesse; lo imperatore, rispondendo,
fermo ad agguindolarli, se poteva: tempo perso e che tuttavia si perde:
forse perchè l'uomo, non potendo esercitarsi nella lealtà, si trastulla
volentieri con le apparenze di quella.
Stretti col papa i patti della lega, depositati i danari pei sussidi
su banchi di Venezia, convenuto il numero e la qualità dello esercito
ausiliario, accordati i capitani, distribuite indulgenze, messe
in pronto le scomuniche, promesso che per sei mesi non si facesse
pace, e dopo i sei mesi in verun modo senza il consenso del papa si
conchiudesse; bene fra loro detto e ridetto e replicato poi scopi
della guerra essere due o, per dire meglio, uno distinto in due atti
cioè il primo estinguere il veleno dell'eresia, il secondo spartirsi
le spoglie degli eretici; uno non si era mai fidato meno dell'altro,
però lo imperatore, bugiardo più di due re, bandiva essere trascinato
alla guerra pei capelli, non già per causa religiosa, Dio guardi! sacre
le coscienze, credesse ognuno come meglio gli talentasse, solo volere
richiamare all'osservanza dell'autorità imperiale alcuni tracotanti
che se la mettevano sotto i piedi; ciò essere non pure suo diritto,
ma obbligo espresso; diversamente, cessato o rilassato il vincolo
della confederazione, anarchia dentro, debolezza fuori. Queste cose
dava ad intendere Carlo come il pescatore gitta le reti: se chiappano,
chiappano; e pel fine di riuscire, potendo, a mettere le male biette
fra i protestanti, ed anco secondo le contingenze piantare il papa ed
accomodarsi con loro. Il papa stizzito perchè Carlo la trinciasse da
furbo _in capite_, mentre questo posto pretendeva egli (e a diritto,
imperciocchè dove lo imperatore volesse per sè il primato delle armi
e delle frodi, o che restava al papa?) spiffera tutto l'accordo della
lega facendo toccare con mano come lo imperatore mentisse, e scopo
principale della lega consistesse nella persecuzione a morte degli
eretici: tuttavia chi pensasse che a questo modo il papa procedesse
You have read 1 text from İtalian literature.
Çirattagı - Vita di Francesco Burlamacchi - 04
- Büleklär
- Vita di Francesco Burlamacchi - 01Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4394Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180735.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 02Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4567Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181737.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 03Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4598Unikal süzlärneñ gomumi sanı 179037.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 04Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4489Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182436.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 05Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4626Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185036.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 06Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4437Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180537.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 07Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4523Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183436.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 08Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4580Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188835.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 09Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4617Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181237.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 10Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4532Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190336.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 11Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4542Unikal süzlärneñ gomumi sanı 195334.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 12Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4561Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194835.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 13Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4565Unikal süzlärneñ gomumi sanı 193035.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 14Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4570Unikal süzlärneñ gomumi sanı 191938.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 15Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4584Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190837.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 16Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4532Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181336.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 17Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4613Unikal süzlärneñ gomumi sanı 171439.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 18Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4594Unikal süzlärneñ gomumi sanı 179939.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 19Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4417Unikal süzlärneñ gomumi sanı 174838.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 20Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4568Unikal süzlärneñ gomumi sanı 178638.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 21Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4600Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184038.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 22Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4298Unikal süzlärneñ gomumi sanı 170637.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Vita di Francesco Burlamacchi - 23Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3147Unikal süzlärneñ gomumi sanı 132837.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.