Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 9
Süzlärneñ gomumi sanı 4239
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
51.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
tanto... però il mio nome rammentato in mezzo alle gioie domestiche (non
posso presagirti dolori) non fare che ci passi sopra come un'ombra...
così non voglio, e me ne avrei a male; rammentatemi come persona
presente, che vi vede, vi ascolta, e piglia parte alle feste di casa...
perchè l'anima mia vivrà... e non mi sarà negato di starti appresso in
ispirito... certo non sarà per mia colpa se io vie via non mi mescolerò
con l'aria che respirerà il tuo petto, e con la luce che beveranno i
tuoi occhi. Se non domando troppo, anco ti pregherei, che alla prima
figliuola che uscirà dal tuo grembo tu le ponessi nome Maria... ma no
che io non domando troppo, perchè messo da parte che gli è nome della
tua buona sorella, Maria si chiama la benedetta donna che per grande
onoranza salutano refrigerio dei cuori desolati, rifugio di tutti gli
afflitti... e quando la bambina ti chiederà con vaghezza infantile:
perchè mi hai chiamato Maria? E tu dille: perchè tale ebbe nome una
sorella che più di vivere fu lieta assai... assai di morire per me...
Tuda, mi prometti dirglielo? Assicurami che glielo dirai...
Tuda tra uno schianto di cuore ed un altro:
-- Oh! Oh! singhiozzava senza potere aggiungere parola. Alla morente
parve cotesto suono affermativo, onde rischiarando di un tratto le
tenebre della morte sospirò:
-- Adesso muoio contenta. --
E fu l'ultima parola, dacchè indi a poco il petto prese ad ansarle
orribilmente profondo, e con frequenza, che andò di mano in mano
diminuendo. Tuda seduta accanto al letto, poichè di reggersi in piedi
non si sentiva più capace, ora con un ventaglio veniva a scacciare le
mosche che, proterve ed impronte, camminavano traverso la fronte e su
pei labbri di Maria, ed ora le asciugava il madore che incessante le
gemeva da tutta la faccia; ed ora col cotone intinto nel moscato le
umettava la bocca riarsa.
La distruzione proseguendo l'opera sua, ecco l'anelito si fa singulto,
che a stento prorompe, e con miserabile angoscia dalla gola attenuata di
Maria, gli occhi pigliano a mandare i lunghi getti di luce del lume che
si spenge; allora una voce mite si fece sentire, che disse: -- Si scosti
la creatura, Dio si avvicina. --
Tuda levò la faccia, e illuminata dai raggi del sole che tramontava,
vide una testa di giovane sacerdote, quale per certo apparvero quelle
degli Apostoli quando la fiammella dello spirito cadutaci sopra vi
accese con la sapienza che non ha confino la carità e la fede. Come Dio
avesse fatto piovere cotesto capo su le spalle di un prete, e a Roma, e'
fu uno dei miracoli della sua onnipotenza, che noi dobbiamo studiarci di
venerare, non già di comprendere. Dopo recitate le preghiere latine egli
volse gli occhi dintorno e si tenne solo però, che agli assistenti
venuto meno il cuore, si fossero appartati per piangere, e Tuda caduta
su i ginocchi a piè del letto aveva nascosto il capo fra le coltri.
Allora il giovane prete soggiunse:
-- Partiti in pace, anima cristiana; povera Maria, io ti ho veduto
nascere e non doveva sopravviverti: un dì sperai esserti unito su questa
terra, a Dio non piacque, ci troveremo uniti in paradiso: sia fatta la
volontà di Dio. Ti assolvo dei tuoi peccati per debito del mio
ministero, ma io ho fede che Dio aspetti l'anima tua per accrescerne la
sua divina sostanza: partiti in pace anima cristiana, e impetraci che
Dio alleggerisca il retaggio di colpa col quale tutti nasciamo e contro
cui non basta la nostra poca virtù; anima benedetta, supplica il Signore
che ne conceda tempi più copiosi di virtù, e meno pieni di tristizia...
Il braccio sinistro di Maria si rattrappa come pergamena esposta al
soverchio ardore, e la mano si raggricchia per agguantarsi a qualche
obietto, ma braccio e dita ad un tratto prosciolgonsi, la grossa lacrima
raccolta nel cavo dell'occhio sinistro trabocca; con lungo respiro pare
che ricerchi negl'intimi precordi ogni residuale spirito di vita, ed
alitando poi la moribonda lo sospinge fuori.
In questo medesimo punto tramontava il sole; sicchè cessarono insieme
l'ultimo raggio del sole nel cielo, e l'ultimo fiato di Maria sopra la
terra.
-- È andata in pace, -- susurrò il prete, e chinatosi un poco, le chiuse
le palpebre e la baciò in fronte; poscia piegando alquanto la persona
gli venne fatto vedere Tuda, la quale, bianca ed impietrita, si
accostava al letto; nè egli si vergognò, perchè la stessa Innocenza
avrebbe potuto contemplare cotesto bacio senza farsi velo delle mani
agli occhi: cotesti baci valgono una preghiera, anzi sono la estrema
manifestazione dell'anima, dopo esaurita la preghiera; solo non
potendone più, il prete accennava barellare; la Tuda gli porse le
braccia ed egli vi si lasciò cadere, per modo che l'uno appoggiando il
capo sopra la spalla dell'altro piansero. Supremo artefice di
uguaglianza e di fraternità, il dolore!
* * * * *
Avendo la Tuda fatto sapere al marchese Silla sua ferma volontà essere,
che la Maria nei sepolcri di casa si riponesse, la famiglia si accolse a
consulta, dove la Marchesa contrastando al pio desiderio della
figliuola, come quello che avrebbe partorito pessimo esempio, e non mai
più inteso, ebbe a sentirsi a rispondere dal marito, che quanto a questo
egli non ci vedeva ostacolo, imperciocchè la madre della signora
Marchesa sua consorte l'avesse sgarata a far seppellire nelle tombe
della famiglia il cocchiere di casa, da lei tenuto caro quanto il marito
e i figliuoli e più. La Marchesa gli avventò una occhiata da basilisco,
ma egli la ricevè con tale beata tranquillità, con siffatta ingenua
mansuetudine, che la Marchesa anco per quella prova convinta, che il
marchese Silla non si poteva riscattare dallo influsso del montone, per
non fare peggio cessò dalla perfidia.
La Tuda sovvenuta dalle donne di casa lavò diligentemente il corpo di
Maria, con preziosi odori lo profumò; i capelli come meglio potè con la
opera del calamistro le compose in ricci minuti (però che la povera
figliuola per nascondere meglio il suo sesso, senza un rammarico, anzi
senza pure avvertire che fosse sacrifizio, si era tosata le lunghe
chiome) e poi le mise addosso la vesta bianca trapunta di oro, con la
quale ella doveva andare a nozze; le acconciò il velo, tra le mani le
pose il crocifisso di oro; e poi fiori da per tutto, e dei più belli e
rari che la stagione porgesse: avrebbe voluto trasportarla nella sua
stanza, e sul proprio letto adagiarla: non lo potendo ottenere senza
scomporre lo assettamento, mise sovrapposte sul solaio parecchie
materasse, e ricopertele di tappeto di velluto vermiglio, quivi la
depose. Quanti trovaronsi candelieri in casa tanti ne furono portati in
cotesta stanza trasformata in cappella ardente. Agguardando sottile ogni
minutezza, parve a Tuda che le federe dei guanciali scomparissero, onde
chiese e volle le più belle che fossero in casa guarnite di trina che
costava un occhio; per ultimo, allorchè le parve non ci fosse altro da
aggiungere, nè da correggere, si assettò sul pavimento recitando
preghiere. Era pietà vedere la morta giovane, e pure non dava minore
stretta al cuore la vista della viva: veruno ardiva frastornarla, perchè
si danno dolori che sono più paurosi a toccarsi dell'arca del Signore.
Declinando il dì vennero i falegnami per la cassa, e Tuda scosso alcune
volte il capo sorse, e dopo esaminata la cassa, la foderò di un
lenzuolo; forte e animosa prese la morta sotto le ascelle, intanto che
due donne la tennero pei piedi, e la deposero dentro la cassa, tolto uno
dei guanciali con la ricca fodera, glielo sottopose al capo; ciò fatto
le ripiegò sopra i lembi del lenzuolo che sopravanzavano dai lati; e qui
Tuda fu vista balenare, ma stesa una mano al muro si resse; quando poi i
falegnami, colto il destro, soprammisero il coperchio alla cassa, e
presero a conficcarla con picchi aspri ed assordanti, girò sopra sè
stessa come paleo, e prima che si potesse sovvenire percosse in terra.
Appena però sentì mettersi le mani su la persona rinvenne, e da sè si
rimise in piedi puntando il braccio tremulo sul pavimento:
-- Non è nulla.... è passato, aggiunse e si allestì per seguitare la bara
nella Cappella di casa sua, fondata in certo monastero di Cappuccine ai
giorni nostri soppresso. -- Quantunque i Conventi esercitino la empia
virtù d'inaridire il cuore, tuttavia talune femmine ne possiedono in
tanta copia da avanzarne a qualunque prova: e le altre vergognando di
sentirsi il seno vuoto, quanto più possono celano questa miseria: per la
quale cosa la Priora con tutto il capitolo volle assistere al funerale.
Alla Tuda fu concesso facilmente di entrare nel coro, dove stette
genuflessa finchè durò l'uffizio, il quale finito si mise dietro alle
Cappuccine, e siccome su la soglia della porta del Convento la Priora
mitemente le disse:
-- Figliuola, voi non siete delle nostre.
-- Anzi sono, la Tuda rispose, e con voi ho deliberato vivere e morire,
se pure non mi tenete indegna di avermi per figliuola. --
A questo modo la Tuda entrò in Convento, nè valsero disperazioni, nè
pianti a quinci removerla: non parola amara le sfuggiva mai dalle
labbra, non suono concitato, mite sempre, e tranquilla: una volta,
incalzandola troppo la madre, ella tremante per tutte le membra favellò:
-- Signora Marchesa, parmi avervi già detto come io mi consideri da lungo
tempo orfana, epperò mancando io di padre e di madre sopra questa terra,
non mi contrastate di pormi sotto il patrocinio del Padre di tutti, ch'è
nel cielo. --
Colà come aveva statuito ella visse, e morì. A Roma la salutarono
eroina, e nei sonetti che composero nella solennità della sua
vestizione, la paragonarono a Sofonisba, ad Artemisia, e a non so quale
altra, abborracciando cose da farne strabiliare i cani. La mia storia la
lascia alla porta del Convento, e poi se mostrassi genio di volerci
entrare mi caccerebbero via, ed a ragione, perchè nei Monasteri di donne
si pratica la clausura: però credo, che ci traesse la vita in opere di
pietà, ed irrimediabilmente mesta. Così ordinò la natura, e a cui non
intende pare strano; i casi truci percotono assai più profondamente le
anime liete, e tenere, che le lugubri, e le forti; in ogni dove
comparisce il contrasto; e per ragione di forza, che io dirò dinamica e
morale, le donne massimamente si mostrano vaghe di vedere feriti, spenti
a ghiado, e supplizi, o udirne raccontare, od anco descriverli sia con
lingua, sia con penna, mentre uomini truculentissimi si piacquero nelle
immagini della vita pastorale da disgradarne il più gentile degli
Arcadi. Robespierre educava tortorelle, e le metteva in dono alle
fanciulle con lettere da vincere in tenerezza il sonetto della cara
anima del Petrarca:
A piè dei colli ove la bella vesta,
con quello, che seguita.
* * * * *
Nè io porrò fine a questa storia se prima non vi abbia dato contezza del
misero Marchese di Ayerba: costui da parecchio tempo sembrava caduto in
demenza; susurra spesso parole senza costrutto; diventato infingardo la
più parte del dì logora a letto; suo principale, o piuttosto unico
studio quello di chiappare mosche a volo, e scapezzatele co' denti
mirarle andar via senza testa. Quando la nuova del miserabile caso
avvenuto alla Violante arrivò a Napoli, e ne rimase ragguagliato il
popolo, i servi di casa Ayerba o perchè ne sentissero affanno, o
piuttosto, come credo, per alleviare la noia, di frequente ne
ragionavano fra loro. Adesso accadde, che alcuni di essi vigilando il
Marchese, nè di lui prendendosi sospetto come quello, che riputavano
affatto imbecille, cadessero a favellare della successa immanità. Se la
sicurezza loro non era, e avessero posto mente al Marchese, si sarieno
rimasti, imperciocchè udito ch'egli ebbe profferire il nome della sua
figliuola si tramutò visibilmente in faccia, ed appuntò le orecchie per
non perdere verbo. Raccolta la notizia dolorosa, la pazzia del Marchese,
a guisa di fuoco sbraciato, di malinconica ridivenne furente, ignudo
saltò fuori dal letto, ed, abbrancato un candeliere, ed agitandole come
se fosse un coltello, fece le viste di precipitare giù dalle scale. Con
urli salvatici gridava:
-- Dove sei traditore? Rendimi la mia figliuola... Violante... Oh! la mia
figliuola... nessuno mi tenga... io vo' cavargli il cuore. --
A stento lo ricondussero a letto senza perderlo di occhio un momento, e
da quel dì in poi per vicenda singolarissima la pazzia tornata furiosa
gli concedeva lucidi intervalli; sicchè ora con abbastanza discorso
ragionava, e poi di punto in bianco da seduto si metteva bocconi sul
letto; in cotesto atto aggrappa un guanciale come se fosse un uomo ed ei
lo grancisse pel collo; seco lui si dibatte, finchè all'ultimo se lo
caccia sotto, con le ginocchia lo pesta, lo straccia a morsi, e con la
destra che ei si finge armata di stile lo ficca, e lo rificca tanto che
rifinito si lascia ire in bagno di sudore. Durante certo lucido
intervallo mandò per un maestro dei buoni, e gli commise una figura a
mo' dei modelli di cui si servono i pittori e gli scultori, così vivo e
preciso glielo descrisse, che dopo non poche mende, potè raffigurargli
parlante la sembianza del Pelliccioni; nulla fu omesso perchè l'inganno
paresse realtà, nè gli occhi di vetro, nè la pelle dipinta, nè i capelli
naturali, ed i peli; il medesimo si dica per ogni altra parte dello
abbigliamento; ordinò eziandio per quanto o temessero il suo sdegno, o
stimassero la sua grazia gli procurassero un pugnale, ed anco questo
egli potè avere, bensì spuntato, e senza taglio. A questa guisa venuto
in possesso del simulacro e del coltello parve contento; quantunque
durante il giorno si mostrasse torbido, tuttavia non ruppe in ismanie, e
parve voler passare la notte tranquilla, perchè appena coricato prese
sonno, ma non andò guari che un tremito fitto gli si mise per le membra,
poi si agitò convulso dibattendosi co' nervi tesi, e sbadigliando forte
da fendersi la bocca: di repente salta fuori dalle coltri, co' capelli
ritti, e gli occhi strabuzzati, in mano stringe il coltello, e traendo
dolorosi guai si slancia sopra la immagine del Pelliccioni, l'acciuffa
alla gola, l'atterra, e replicando l'usato costume con le ginocchia sul
petto la pesta; col coltello la ferisce, co' morsi la straccia.
Allo improvviso fu visto, con paura dei famigli infinita rimanersi, con
la mano armata di ferro in alto, immobili il capo, gli occhi, la bocca,
tutta insomma la persona: gli furono attorno per levargli dalle mani il
simulacro, e il pugnale, e riportarlo sul letto; e di ciò fu niente,
imperciocchè provassero i suoi nervi rattratti più duri del ferro. Lo
aveva percosso la trucissima delle infermità umane, la catalessia; non
trovarono altro modo per istaccarlo di là che segare il modello sotto e
sopra la mano manca con la quale ei lo teneva grancito, onde gli ebbe a
rimanere un tronco di collo in mano; a quel modo aggranchiato lo misero
su i materassi; dove, l'arte medica affaticandosi invano, dopo alcuni dì
moriva d'inedia.
* * * * *
Questo è il fine della lamentevole storia di donna Violante d'Ayerba e
del cavaliere Paolo Pelliccioni.
O voi, tra le mie care leggitrici, che non mi avete lasciato a mezzo del
mio racconto doloroso,
e capriccio ed affanno,
Non che compassïon avete inteso,
se a caso mai vi pigliasse vaghezza di chiedermi: _cui bonum_, qual
costrutto ci è egli da cavare dal vostro libro, Messere? Io ve lo dirò,
perchè voi lo sapete, io sono tutto vostro, e non iscrivo lettera, la
quale (almanco secondo la estimativa mia) non deva ridondare in
grandissimo vostro benefizio. Ora lasciando da parte le altre utilità
richiamo il vostro giudizio principalmente sopra di tre.
In prima (mi astengo dallo adoperare _innanzi tratto_ perchè questo
avverbio me lo ha consumato il signor Sella a Torino nella sua relazione
su le finanze del Regno, e così Dio volesse ch'egli avesse logorato
l'avverbio _innanzi tratto_ soltanto!) in prima dunque se questa mia
storia valesse ad aggiungere un filo solo alla trama di odio che voi
avete ordita contro le turpezze e le infamie della corte Romana, dove il
prete si vanta cittadino del cielo per calpestare ogni affetto di
famiglia e di patria sopra la terra, già sarebbe un bel guadagno, nè voi
vorreste appuntarmi di avere sciupato inchiostro e tempo; ma vi ha di
più.
Conciossiachè in secondo luogo qui si faccia manifesto come getti
profonde le radici nel cuor del popolo amore, o sia che l'obietto di
quello ne compaia degno, ovvero indegno. Il popolo certo preferisce
palesare la passione, che lo scalda con atti laudabili di mano, o
d'ingegno, ma non si tira indietro nè anco dai feroci. Guardimi Dio da
commendare, anzi nè da scusare siffatti procedimenti; solo avverto, come
nel cuore del popolo non trovi mai penuria di passione; ferro, e fuoco
sempre, ora sta al fabbro buono o tristo cavarne un vomere per romperne
la terra, od un coltello per romperne le viscere all'uomo. Ma nè Dio, nè
uomo arriveranno mai a trarre cosa che valga da quei meschini, dai
moderati, nel seno dei quali rovistando, i meno tristi arnesi che tu ci
possa trovare sono un Abbaco, una Coda di volpe ed un Orecchio di
coniglio.
In terzo luogo, e questo fie ciò che meglio importi a voi, io ho inteso
avvertirvi, o fanciulle, che non vi lasciate inconsulto scapparvi di
mano il vostro cuore: badate, ch'egli è maggiore tesoro, che voi per
avventura non immaginate; in lui stanno riposti non pure la fama e la
contentezza vostre, bensì ancora la dignità dei figli, la gloria della
famiglia e la salute della patria; chè famiglia vera senza patria non ha
luogo, nè viceversa. Buoni i consigli paterni, e buoni eziandio i
materni, ma voi, non il padre nè la madre vostri, avete a vivere finchè
vi basti la vita con l'uomo che sceglierete a marito. Però prima che la
passione vi vinca, sottomettendo il talento al giudizio, cercate di qual
lignaggio esca il garzone che incontrò grazia agli occhi vostri, e quali
i suoi parenti, e poi del genio, della indole, degli studi e dei costumi
di lui. Non ingannate e non vi lasciate ingannare, chè il matrimonio non
dà campo a disdire la bestia in virtù dei vizi redibitori. Se avete
qualche avvocato in casa... (-- chi è sì gramo adesso che non abbia
almeno un paio di avvocati e di cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro
in casa --) fatevi spiegare vizi redibitori che sieno. Strappate la benda
allo Amore, lasciatela alla Fortuna, la fiamma accesa dalla fiaccola di
Amore bendato, il più delle volte mirai mantenuta all'ultimo da quella
delle Furie. Se pertanto gli esempi di questa lamentevole storia
valessero a ritenere dal nabissarsi, o meglio a fare felice una sola di
voi, care e buone fanciulle, non istimerei il mio libro dettato invano.
Solo vi prego a perdonarmi se qualche volta vi ho fatto paura; in
ammenda del fallo vi prometto giocondarvi, come meglio potrò, un'altra
volta.
Ecco, voi potete conoscere, come spiacente di torre commiato da voi, io
mi vada gingillando; orsù animo! Addio fanciulle, amate i vostri
innamorati, ed anco un po' il vostro scrittore, che talora vi si
mostrava acerbo soltanto per rendervi degne della Libertà e della
Patria.
NOTE.
[12] _Caso funesto della Violante Garlonia duchessa di Paliano._
In questi ultimi tempi, e non prima dello sdegno di Paolo IV,
scoprì Marcello Capece l'ardentissimo amore che portava a
Violante Garlonia, moglie del duca di Paliano. O questa passione
cominciasse pur allora, o fosse passione antica, e non palesata
se non quando la solitudine della Duchessa e la lontananza del
marito diede, con la comodità di scoprirsi, maggior speranza di
espugnare la sua costanza, certo è che ella, vinta finalmente
dalla propria e dall'altrui fragilità, invitata dall'occasione,
persuasa dai prieghi dell'amante, e irritata dai torti fattile
dal Duca, che fino nel proprio letto non si era astenuto di
condurre più volte le concubine, cadde in quell'errore, nel
quale molte altre, e di maggior grido e di maggior titolo che
ella non era, sono cadute, e forse cadono giornalmente. Ma le
favorite dalla fortuna, involte nella varietà de' suoi
accidenti, passano sconosciute, e l'altre miseramente
abbandonate e tradite, restano esposte all'infamia e al castigo.
Poco goderono questi amanti de' loro amori; perciocchè scoperti
da Diana Brancaccia, dama favorita della Duchessa, furono colti
insieme, e colti in atti molto prossimi al più vietato.
Marcello, subito preso, si condusse nelle carceri di Soriano,
dove allora era il Duca; e la Duchessa lasciata sotto
strettissima custodia. Ebbe speranza e pensiero il Duca, o per
coprire l'ignominia, per non essere astretto a por mano ad
estremi rigori, far apparire esteriormente, che Marcello fosse
stato ritenuto per altro; e preso pretesto d'alcuni rospi, che
qualche mese prima fu osservato ch'egli comprava a gran prezzo,
l'accusò ch'egli aveva tentato d'avvelenarlo. Ma troppo era il
vero delitto pubblico; e se cosa alcuna mancava per confermarlo
e divulgarlo maggiormente, fu la prigionia di lui, e la
ritenzione della Duchessa, anco avanti la quale n'era il
cardinale Caraffa stato avvertito dal cardinale Bellai, e si
dolse col Duca che glie l'avesse celato sì lungo tempo. Risoluto
dunque di lavar questa macchia (come pare a' grandi di poter
fare) col sangue dell'adultero, chiamato il conte d'Alife
fratello della Duchessa, e un Giovanni Auso Toraldo, essi tre
esaminarono sopra il particolare dell'adultero Marcello, e gli
costituirono a fronte la Brancaccia, e altre dame della madre
del Duca. Negò nel principio costantemente; ma legato alla fune,
confessò il delitto, e di esso puntualmente narrò tutte le
circostanze, le quali non è necessario riferir qui. Udita il
Duca la confessione di Marcello, disse: Scrivi tutto questo di
tua propria mano. Ma, per lo timore della vicina morte, per
esser la mano più allora offesa dalla fune, alla quale era stata
legata, non potè scrivere, se non queste poche parole: Sì, ch'io
sono traditore del mio Signore: sì, ch'io gli ho tolto l'onore.
La qual scrittura il Duca avuta nelle mani, e lettala, si
accostò a lui; e con tre colpi di pugnale il tolse di vita, e il
cadavere fece gettare in una cloaca alla prigione contigua.
Rappresentato il successo dal cardinale di Napoli al Papa, non
disse altro, se non: e della Duchessa che si è fatto? Il che
interpretarono alcuni, che avesse detto, quasi per soggiungere:
Perchè non si toglie di vita essa ancora? Ma in questo il Duca
andò differendo, perchè la Duchessa era gravida, con tutto che
la madre e le sue donne l'assicurassero, che non poteva esser
gravida di lui; computato il tempo che si era separato da lei, e
gl'indicii del principio e del progresso della gravidanza. Ma
morto il Papa, non sapendo il Duca che pensieri potesse avere il
successore, accelerò la resoluzione, e l'esegui prima che i
cardinali entrassero in conclave: tanto più che Silvio Giozzi,
famigliare del Cardinale, gli scrisse ch'egli stava seco molto
turbato per questa dilazione: e che se non si risolveva di
levarsi prestamente quest'infamia d'attorno, protestava non
voler più ingerirsi ne' suoi interessi, nè aiutarlo in conclave,
nè col nuovo Papa. Aggiunse nuovo stimolo, l'essersi scoperto
che la Duchessa, non ostante le continue guardie che le stavano
attorno, fece sapere a Marc'Antonio Colonna, che se trovava modo
di liberarla, ella gli avrebbe dato il marito nelle mani, o vivo
o morto.
Risoluto dunque di non interporvi più indugio, mandò due giorni
prima, cioè a' 28 d'agosto, il capitano Vico de' Nobili a
Gallese, per assistere al fatto, acciò non seguisse novità
alcuna: e ai 30 sopraggiunse don Leonardo di Cardine, parente
del Duca, e don Ferrante Garlonio conte d'Aliffe, fratello della
Duchessa, perchè l'uccidessero, come fecero il medesimo giorno.
Annunciata alla Duchessa la mattina la morte, volle confessarsi
e udir messa: poi accostandosele questi due, e conoscendo esser
giunta l'ora, domandò: Evvi ordine del Duca perch'io mora? Gli
rispose don Leonardo: Sì, signora. E la Duchessa soggiunse:
Mostratemelo. Ed essendole mostrato, don Leonardo, senza dar
luogo ad altre repliche, le strinse le mani, tra le quali teneva
un Crocifisso, e il fratello la strangolò. _Storia della Guerra
di Paolo IV_ di PIETRO NORES, p. 27.
[13] _Bardamentare_ significa mettere la barda, armatura di
cuoio cotto, o di lamine di ferro o di rame con la quale
coprivansi le groppe, il collo e il petto degli uomini di armi:
però ai dì nostri non denota più cosa che costumi. Insellare, e
imbrigliare dichiarano atti distinti, e manca un vocabolo che li
comprenda collettivamente. Io mi valgo della parola _arnesare_,
ma non la cavo dall'_harnacher_ francese derivato a sua posta
dallo _haerness_ tedesco, bensì dal vivo parlare del popolo; e
dallo _arnese_, che il Grassi con gli esempi del _Davila_ e del
_Cinuzzi_ dimostra essere termine collettivo per significare
tutto ciò che serve ad imbrigliare, insellare, bardamentare e
guernire un cavallo così da tiro come da sella. Il medesimo
Autore alla parola _arnesato_, con l'autorità di _Pace di
Certaldo_, c'insegna com'ella denoti _guarnito di arnese_:
quindi mi parve spediente accogliere il verbo _arnesare_. A
mettere questa nota mi muove il pensiero, che non potendo io
giovare alla mia Patria in nulla, almeno per me non si faccia
strazio del suo bello idioma come senza verecondia costumano
adesso alti e bassi furfanti, massime Giornalisti:
degni, che Circe li tenga in pastura.
[14] Trabanti, a _trabea_: soldati dalle larghe brache, un di
guardia degl'imperatori di Allemagna soltanto, poi introdotti
nelle altre Corti, in ispecie nella pontificia.
FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME.
posso presagirti dolori) non fare che ci passi sopra come un'ombra...
così non voglio, e me ne avrei a male; rammentatemi come persona
presente, che vi vede, vi ascolta, e piglia parte alle feste di casa...
perchè l'anima mia vivrà... e non mi sarà negato di starti appresso in
ispirito... certo non sarà per mia colpa se io vie via non mi mescolerò
con l'aria che respirerà il tuo petto, e con la luce che beveranno i
tuoi occhi. Se non domando troppo, anco ti pregherei, che alla prima
figliuola che uscirà dal tuo grembo tu le ponessi nome Maria... ma no
che io non domando troppo, perchè messo da parte che gli è nome della
tua buona sorella, Maria si chiama la benedetta donna che per grande
onoranza salutano refrigerio dei cuori desolati, rifugio di tutti gli
afflitti... e quando la bambina ti chiederà con vaghezza infantile:
perchè mi hai chiamato Maria? E tu dille: perchè tale ebbe nome una
sorella che più di vivere fu lieta assai... assai di morire per me...
Tuda, mi prometti dirglielo? Assicurami che glielo dirai...
Tuda tra uno schianto di cuore ed un altro:
-- Oh! Oh! singhiozzava senza potere aggiungere parola. Alla morente
parve cotesto suono affermativo, onde rischiarando di un tratto le
tenebre della morte sospirò:
-- Adesso muoio contenta. --
E fu l'ultima parola, dacchè indi a poco il petto prese ad ansarle
orribilmente profondo, e con frequenza, che andò di mano in mano
diminuendo. Tuda seduta accanto al letto, poichè di reggersi in piedi
non si sentiva più capace, ora con un ventaglio veniva a scacciare le
mosche che, proterve ed impronte, camminavano traverso la fronte e su
pei labbri di Maria, ed ora le asciugava il madore che incessante le
gemeva da tutta la faccia; ed ora col cotone intinto nel moscato le
umettava la bocca riarsa.
La distruzione proseguendo l'opera sua, ecco l'anelito si fa singulto,
che a stento prorompe, e con miserabile angoscia dalla gola attenuata di
Maria, gli occhi pigliano a mandare i lunghi getti di luce del lume che
si spenge; allora una voce mite si fece sentire, che disse: -- Si scosti
la creatura, Dio si avvicina. --
Tuda levò la faccia, e illuminata dai raggi del sole che tramontava,
vide una testa di giovane sacerdote, quale per certo apparvero quelle
degli Apostoli quando la fiammella dello spirito cadutaci sopra vi
accese con la sapienza che non ha confino la carità e la fede. Come Dio
avesse fatto piovere cotesto capo su le spalle di un prete, e a Roma, e'
fu uno dei miracoli della sua onnipotenza, che noi dobbiamo studiarci di
venerare, non già di comprendere. Dopo recitate le preghiere latine egli
volse gli occhi dintorno e si tenne solo però, che agli assistenti
venuto meno il cuore, si fossero appartati per piangere, e Tuda caduta
su i ginocchi a piè del letto aveva nascosto il capo fra le coltri.
Allora il giovane prete soggiunse:
-- Partiti in pace, anima cristiana; povera Maria, io ti ho veduto
nascere e non doveva sopravviverti: un dì sperai esserti unito su questa
terra, a Dio non piacque, ci troveremo uniti in paradiso: sia fatta la
volontà di Dio. Ti assolvo dei tuoi peccati per debito del mio
ministero, ma io ho fede che Dio aspetti l'anima tua per accrescerne la
sua divina sostanza: partiti in pace anima cristiana, e impetraci che
Dio alleggerisca il retaggio di colpa col quale tutti nasciamo e contro
cui non basta la nostra poca virtù; anima benedetta, supplica il Signore
che ne conceda tempi più copiosi di virtù, e meno pieni di tristizia...
Il braccio sinistro di Maria si rattrappa come pergamena esposta al
soverchio ardore, e la mano si raggricchia per agguantarsi a qualche
obietto, ma braccio e dita ad un tratto prosciolgonsi, la grossa lacrima
raccolta nel cavo dell'occhio sinistro trabocca; con lungo respiro pare
che ricerchi negl'intimi precordi ogni residuale spirito di vita, ed
alitando poi la moribonda lo sospinge fuori.
In questo medesimo punto tramontava il sole; sicchè cessarono insieme
l'ultimo raggio del sole nel cielo, e l'ultimo fiato di Maria sopra la
terra.
-- È andata in pace, -- susurrò il prete, e chinatosi un poco, le chiuse
le palpebre e la baciò in fronte; poscia piegando alquanto la persona
gli venne fatto vedere Tuda, la quale, bianca ed impietrita, si
accostava al letto; nè egli si vergognò, perchè la stessa Innocenza
avrebbe potuto contemplare cotesto bacio senza farsi velo delle mani
agli occhi: cotesti baci valgono una preghiera, anzi sono la estrema
manifestazione dell'anima, dopo esaurita la preghiera; solo non
potendone più, il prete accennava barellare; la Tuda gli porse le
braccia ed egli vi si lasciò cadere, per modo che l'uno appoggiando il
capo sopra la spalla dell'altro piansero. Supremo artefice di
uguaglianza e di fraternità, il dolore!
* * * * *
Avendo la Tuda fatto sapere al marchese Silla sua ferma volontà essere,
che la Maria nei sepolcri di casa si riponesse, la famiglia si accolse a
consulta, dove la Marchesa contrastando al pio desiderio della
figliuola, come quello che avrebbe partorito pessimo esempio, e non mai
più inteso, ebbe a sentirsi a rispondere dal marito, che quanto a questo
egli non ci vedeva ostacolo, imperciocchè la madre della signora
Marchesa sua consorte l'avesse sgarata a far seppellire nelle tombe
della famiglia il cocchiere di casa, da lei tenuto caro quanto il marito
e i figliuoli e più. La Marchesa gli avventò una occhiata da basilisco,
ma egli la ricevè con tale beata tranquillità, con siffatta ingenua
mansuetudine, che la Marchesa anco per quella prova convinta, che il
marchese Silla non si poteva riscattare dallo influsso del montone, per
non fare peggio cessò dalla perfidia.
La Tuda sovvenuta dalle donne di casa lavò diligentemente il corpo di
Maria, con preziosi odori lo profumò; i capelli come meglio potè con la
opera del calamistro le compose in ricci minuti (però che la povera
figliuola per nascondere meglio il suo sesso, senza un rammarico, anzi
senza pure avvertire che fosse sacrifizio, si era tosata le lunghe
chiome) e poi le mise addosso la vesta bianca trapunta di oro, con la
quale ella doveva andare a nozze; le acconciò il velo, tra le mani le
pose il crocifisso di oro; e poi fiori da per tutto, e dei più belli e
rari che la stagione porgesse: avrebbe voluto trasportarla nella sua
stanza, e sul proprio letto adagiarla: non lo potendo ottenere senza
scomporre lo assettamento, mise sovrapposte sul solaio parecchie
materasse, e ricopertele di tappeto di velluto vermiglio, quivi la
depose. Quanti trovaronsi candelieri in casa tanti ne furono portati in
cotesta stanza trasformata in cappella ardente. Agguardando sottile ogni
minutezza, parve a Tuda che le federe dei guanciali scomparissero, onde
chiese e volle le più belle che fossero in casa guarnite di trina che
costava un occhio; per ultimo, allorchè le parve non ci fosse altro da
aggiungere, nè da correggere, si assettò sul pavimento recitando
preghiere. Era pietà vedere la morta giovane, e pure non dava minore
stretta al cuore la vista della viva: veruno ardiva frastornarla, perchè
si danno dolori che sono più paurosi a toccarsi dell'arca del Signore.
Declinando il dì vennero i falegnami per la cassa, e Tuda scosso alcune
volte il capo sorse, e dopo esaminata la cassa, la foderò di un
lenzuolo; forte e animosa prese la morta sotto le ascelle, intanto che
due donne la tennero pei piedi, e la deposero dentro la cassa, tolto uno
dei guanciali con la ricca fodera, glielo sottopose al capo; ciò fatto
le ripiegò sopra i lembi del lenzuolo che sopravanzavano dai lati; e qui
Tuda fu vista balenare, ma stesa una mano al muro si resse; quando poi i
falegnami, colto il destro, soprammisero il coperchio alla cassa, e
presero a conficcarla con picchi aspri ed assordanti, girò sopra sè
stessa come paleo, e prima che si potesse sovvenire percosse in terra.
Appena però sentì mettersi le mani su la persona rinvenne, e da sè si
rimise in piedi puntando il braccio tremulo sul pavimento:
-- Non è nulla.... è passato, aggiunse e si allestì per seguitare la bara
nella Cappella di casa sua, fondata in certo monastero di Cappuccine ai
giorni nostri soppresso. -- Quantunque i Conventi esercitino la empia
virtù d'inaridire il cuore, tuttavia talune femmine ne possiedono in
tanta copia da avanzarne a qualunque prova: e le altre vergognando di
sentirsi il seno vuoto, quanto più possono celano questa miseria: per la
quale cosa la Priora con tutto il capitolo volle assistere al funerale.
Alla Tuda fu concesso facilmente di entrare nel coro, dove stette
genuflessa finchè durò l'uffizio, il quale finito si mise dietro alle
Cappuccine, e siccome su la soglia della porta del Convento la Priora
mitemente le disse:
-- Figliuola, voi non siete delle nostre.
-- Anzi sono, la Tuda rispose, e con voi ho deliberato vivere e morire,
se pure non mi tenete indegna di avermi per figliuola. --
A questo modo la Tuda entrò in Convento, nè valsero disperazioni, nè
pianti a quinci removerla: non parola amara le sfuggiva mai dalle
labbra, non suono concitato, mite sempre, e tranquilla: una volta,
incalzandola troppo la madre, ella tremante per tutte le membra favellò:
-- Signora Marchesa, parmi avervi già detto come io mi consideri da lungo
tempo orfana, epperò mancando io di padre e di madre sopra questa terra,
non mi contrastate di pormi sotto il patrocinio del Padre di tutti, ch'è
nel cielo. --
Colà come aveva statuito ella visse, e morì. A Roma la salutarono
eroina, e nei sonetti che composero nella solennità della sua
vestizione, la paragonarono a Sofonisba, ad Artemisia, e a non so quale
altra, abborracciando cose da farne strabiliare i cani. La mia storia la
lascia alla porta del Convento, e poi se mostrassi genio di volerci
entrare mi caccerebbero via, ed a ragione, perchè nei Monasteri di donne
si pratica la clausura: però credo, che ci traesse la vita in opere di
pietà, ed irrimediabilmente mesta. Così ordinò la natura, e a cui non
intende pare strano; i casi truci percotono assai più profondamente le
anime liete, e tenere, che le lugubri, e le forti; in ogni dove
comparisce il contrasto; e per ragione di forza, che io dirò dinamica e
morale, le donne massimamente si mostrano vaghe di vedere feriti, spenti
a ghiado, e supplizi, o udirne raccontare, od anco descriverli sia con
lingua, sia con penna, mentre uomini truculentissimi si piacquero nelle
immagini della vita pastorale da disgradarne il più gentile degli
Arcadi. Robespierre educava tortorelle, e le metteva in dono alle
fanciulle con lettere da vincere in tenerezza il sonetto della cara
anima del Petrarca:
A piè dei colli ove la bella vesta,
con quello, che seguita.
* * * * *
Nè io porrò fine a questa storia se prima non vi abbia dato contezza del
misero Marchese di Ayerba: costui da parecchio tempo sembrava caduto in
demenza; susurra spesso parole senza costrutto; diventato infingardo la
più parte del dì logora a letto; suo principale, o piuttosto unico
studio quello di chiappare mosche a volo, e scapezzatele co' denti
mirarle andar via senza testa. Quando la nuova del miserabile caso
avvenuto alla Violante arrivò a Napoli, e ne rimase ragguagliato il
popolo, i servi di casa Ayerba o perchè ne sentissero affanno, o
piuttosto, come credo, per alleviare la noia, di frequente ne
ragionavano fra loro. Adesso accadde, che alcuni di essi vigilando il
Marchese, nè di lui prendendosi sospetto come quello, che riputavano
affatto imbecille, cadessero a favellare della successa immanità. Se la
sicurezza loro non era, e avessero posto mente al Marchese, si sarieno
rimasti, imperciocchè udito ch'egli ebbe profferire il nome della sua
figliuola si tramutò visibilmente in faccia, ed appuntò le orecchie per
non perdere verbo. Raccolta la notizia dolorosa, la pazzia del Marchese,
a guisa di fuoco sbraciato, di malinconica ridivenne furente, ignudo
saltò fuori dal letto, ed, abbrancato un candeliere, ed agitandole come
se fosse un coltello, fece le viste di precipitare giù dalle scale. Con
urli salvatici gridava:
-- Dove sei traditore? Rendimi la mia figliuola... Violante... Oh! la mia
figliuola... nessuno mi tenga... io vo' cavargli il cuore. --
A stento lo ricondussero a letto senza perderlo di occhio un momento, e
da quel dì in poi per vicenda singolarissima la pazzia tornata furiosa
gli concedeva lucidi intervalli; sicchè ora con abbastanza discorso
ragionava, e poi di punto in bianco da seduto si metteva bocconi sul
letto; in cotesto atto aggrappa un guanciale come se fosse un uomo ed ei
lo grancisse pel collo; seco lui si dibatte, finchè all'ultimo se lo
caccia sotto, con le ginocchia lo pesta, lo straccia a morsi, e con la
destra che ei si finge armata di stile lo ficca, e lo rificca tanto che
rifinito si lascia ire in bagno di sudore. Durante certo lucido
intervallo mandò per un maestro dei buoni, e gli commise una figura a
mo' dei modelli di cui si servono i pittori e gli scultori, così vivo e
preciso glielo descrisse, che dopo non poche mende, potè raffigurargli
parlante la sembianza del Pelliccioni; nulla fu omesso perchè l'inganno
paresse realtà, nè gli occhi di vetro, nè la pelle dipinta, nè i capelli
naturali, ed i peli; il medesimo si dica per ogni altra parte dello
abbigliamento; ordinò eziandio per quanto o temessero il suo sdegno, o
stimassero la sua grazia gli procurassero un pugnale, ed anco questo
egli potè avere, bensì spuntato, e senza taglio. A questa guisa venuto
in possesso del simulacro e del coltello parve contento; quantunque
durante il giorno si mostrasse torbido, tuttavia non ruppe in ismanie, e
parve voler passare la notte tranquilla, perchè appena coricato prese
sonno, ma non andò guari che un tremito fitto gli si mise per le membra,
poi si agitò convulso dibattendosi co' nervi tesi, e sbadigliando forte
da fendersi la bocca: di repente salta fuori dalle coltri, co' capelli
ritti, e gli occhi strabuzzati, in mano stringe il coltello, e traendo
dolorosi guai si slancia sopra la immagine del Pelliccioni, l'acciuffa
alla gola, l'atterra, e replicando l'usato costume con le ginocchia sul
petto la pesta; col coltello la ferisce, co' morsi la straccia.
Allo improvviso fu visto, con paura dei famigli infinita rimanersi, con
la mano armata di ferro in alto, immobili il capo, gli occhi, la bocca,
tutta insomma la persona: gli furono attorno per levargli dalle mani il
simulacro, e il pugnale, e riportarlo sul letto; e di ciò fu niente,
imperciocchè provassero i suoi nervi rattratti più duri del ferro. Lo
aveva percosso la trucissima delle infermità umane, la catalessia; non
trovarono altro modo per istaccarlo di là che segare il modello sotto e
sopra la mano manca con la quale ei lo teneva grancito, onde gli ebbe a
rimanere un tronco di collo in mano; a quel modo aggranchiato lo misero
su i materassi; dove, l'arte medica affaticandosi invano, dopo alcuni dì
moriva d'inedia.
* * * * *
Questo è il fine della lamentevole storia di donna Violante d'Ayerba e
del cavaliere Paolo Pelliccioni.
O voi, tra le mie care leggitrici, che non mi avete lasciato a mezzo del
mio racconto doloroso,
e capriccio ed affanno,
Non che compassïon avete inteso,
se a caso mai vi pigliasse vaghezza di chiedermi: _cui bonum_, qual
costrutto ci è egli da cavare dal vostro libro, Messere? Io ve lo dirò,
perchè voi lo sapete, io sono tutto vostro, e non iscrivo lettera, la
quale (almanco secondo la estimativa mia) non deva ridondare in
grandissimo vostro benefizio. Ora lasciando da parte le altre utilità
richiamo il vostro giudizio principalmente sopra di tre.
In prima (mi astengo dallo adoperare _innanzi tratto_ perchè questo
avverbio me lo ha consumato il signor Sella a Torino nella sua relazione
su le finanze del Regno, e così Dio volesse ch'egli avesse logorato
l'avverbio _innanzi tratto_ soltanto!) in prima dunque se questa mia
storia valesse ad aggiungere un filo solo alla trama di odio che voi
avete ordita contro le turpezze e le infamie della corte Romana, dove il
prete si vanta cittadino del cielo per calpestare ogni affetto di
famiglia e di patria sopra la terra, già sarebbe un bel guadagno, nè voi
vorreste appuntarmi di avere sciupato inchiostro e tempo; ma vi ha di
più.
Conciossiachè in secondo luogo qui si faccia manifesto come getti
profonde le radici nel cuor del popolo amore, o sia che l'obietto di
quello ne compaia degno, ovvero indegno. Il popolo certo preferisce
palesare la passione, che lo scalda con atti laudabili di mano, o
d'ingegno, ma non si tira indietro nè anco dai feroci. Guardimi Dio da
commendare, anzi nè da scusare siffatti procedimenti; solo avverto, come
nel cuore del popolo non trovi mai penuria di passione; ferro, e fuoco
sempre, ora sta al fabbro buono o tristo cavarne un vomere per romperne
la terra, od un coltello per romperne le viscere all'uomo. Ma nè Dio, nè
uomo arriveranno mai a trarre cosa che valga da quei meschini, dai
moderati, nel seno dei quali rovistando, i meno tristi arnesi che tu ci
possa trovare sono un Abbaco, una Coda di volpe ed un Orecchio di
coniglio.
In terzo luogo, e questo fie ciò che meglio importi a voi, io ho inteso
avvertirvi, o fanciulle, che non vi lasciate inconsulto scapparvi di
mano il vostro cuore: badate, ch'egli è maggiore tesoro, che voi per
avventura non immaginate; in lui stanno riposti non pure la fama e la
contentezza vostre, bensì ancora la dignità dei figli, la gloria della
famiglia e la salute della patria; chè famiglia vera senza patria non ha
luogo, nè viceversa. Buoni i consigli paterni, e buoni eziandio i
materni, ma voi, non il padre nè la madre vostri, avete a vivere finchè
vi basti la vita con l'uomo che sceglierete a marito. Però prima che la
passione vi vinca, sottomettendo il talento al giudizio, cercate di qual
lignaggio esca il garzone che incontrò grazia agli occhi vostri, e quali
i suoi parenti, e poi del genio, della indole, degli studi e dei costumi
di lui. Non ingannate e non vi lasciate ingannare, chè il matrimonio non
dà campo a disdire la bestia in virtù dei vizi redibitori. Se avete
qualche avvocato in casa... (-- chi è sì gramo adesso che non abbia
almeno un paio di avvocati e di cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro
in casa --) fatevi spiegare vizi redibitori che sieno. Strappate la benda
allo Amore, lasciatela alla Fortuna, la fiamma accesa dalla fiaccola di
Amore bendato, il più delle volte mirai mantenuta all'ultimo da quella
delle Furie. Se pertanto gli esempi di questa lamentevole storia
valessero a ritenere dal nabissarsi, o meglio a fare felice una sola di
voi, care e buone fanciulle, non istimerei il mio libro dettato invano.
Solo vi prego a perdonarmi se qualche volta vi ho fatto paura; in
ammenda del fallo vi prometto giocondarvi, come meglio potrò, un'altra
volta.
Ecco, voi potete conoscere, come spiacente di torre commiato da voi, io
mi vada gingillando; orsù animo! Addio fanciulle, amate i vostri
innamorati, ed anco un po' il vostro scrittore, che talora vi si
mostrava acerbo soltanto per rendervi degne della Libertà e della
Patria.
NOTE.
[12] _Caso funesto della Violante Garlonia duchessa di Paliano._
In questi ultimi tempi, e non prima dello sdegno di Paolo IV,
scoprì Marcello Capece l'ardentissimo amore che portava a
Violante Garlonia, moglie del duca di Paliano. O questa passione
cominciasse pur allora, o fosse passione antica, e non palesata
se non quando la solitudine della Duchessa e la lontananza del
marito diede, con la comodità di scoprirsi, maggior speranza di
espugnare la sua costanza, certo è che ella, vinta finalmente
dalla propria e dall'altrui fragilità, invitata dall'occasione,
persuasa dai prieghi dell'amante, e irritata dai torti fattile
dal Duca, che fino nel proprio letto non si era astenuto di
condurre più volte le concubine, cadde in quell'errore, nel
quale molte altre, e di maggior grido e di maggior titolo che
ella non era, sono cadute, e forse cadono giornalmente. Ma le
favorite dalla fortuna, involte nella varietà de' suoi
accidenti, passano sconosciute, e l'altre miseramente
abbandonate e tradite, restano esposte all'infamia e al castigo.
Poco goderono questi amanti de' loro amori; perciocchè scoperti
da Diana Brancaccia, dama favorita della Duchessa, furono colti
insieme, e colti in atti molto prossimi al più vietato.
Marcello, subito preso, si condusse nelle carceri di Soriano,
dove allora era il Duca; e la Duchessa lasciata sotto
strettissima custodia. Ebbe speranza e pensiero il Duca, o per
coprire l'ignominia, per non essere astretto a por mano ad
estremi rigori, far apparire esteriormente, che Marcello fosse
stato ritenuto per altro; e preso pretesto d'alcuni rospi, che
qualche mese prima fu osservato ch'egli comprava a gran prezzo,
l'accusò ch'egli aveva tentato d'avvelenarlo. Ma troppo era il
vero delitto pubblico; e se cosa alcuna mancava per confermarlo
e divulgarlo maggiormente, fu la prigionia di lui, e la
ritenzione della Duchessa, anco avanti la quale n'era il
cardinale Caraffa stato avvertito dal cardinale Bellai, e si
dolse col Duca che glie l'avesse celato sì lungo tempo. Risoluto
dunque di lavar questa macchia (come pare a' grandi di poter
fare) col sangue dell'adultero, chiamato il conte d'Alife
fratello della Duchessa, e un Giovanni Auso Toraldo, essi tre
esaminarono sopra il particolare dell'adultero Marcello, e gli
costituirono a fronte la Brancaccia, e altre dame della madre
del Duca. Negò nel principio costantemente; ma legato alla fune,
confessò il delitto, e di esso puntualmente narrò tutte le
circostanze, le quali non è necessario riferir qui. Udita il
Duca la confessione di Marcello, disse: Scrivi tutto questo di
tua propria mano. Ma, per lo timore della vicina morte, per
esser la mano più allora offesa dalla fune, alla quale era stata
legata, non potè scrivere, se non queste poche parole: Sì, ch'io
sono traditore del mio Signore: sì, ch'io gli ho tolto l'onore.
La qual scrittura il Duca avuta nelle mani, e lettala, si
accostò a lui; e con tre colpi di pugnale il tolse di vita, e il
cadavere fece gettare in una cloaca alla prigione contigua.
Rappresentato il successo dal cardinale di Napoli al Papa, non
disse altro, se non: e della Duchessa che si è fatto? Il che
interpretarono alcuni, che avesse detto, quasi per soggiungere:
Perchè non si toglie di vita essa ancora? Ma in questo il Duca
andò differendo, perchè la Duchessa era gravida, con tutto che
la madre e le sue donne l'assicurassero, che non poteva esser
gravida di lui; computato il tempo che si era separato da lei, e
gl'indicii del principio e del progresso della gravidanza. Ma
morto il Papa, non sapendo il Duca che pensieri potesse avere il
successore, accelerò la resoluzione, e l'esegui prima che i
cardinali entrassero in conclave: tanto più che Silvio Giozzi,
famigliare del Cardinale, gli scrisse ch'egli stava seco molto
turbato per questa dilazione: e che se non si risolveva di
levarsi prestamente quest'infamia d'attorno, protestava non
voler più ingerirsi ne' suoi interessi, nè aiutarlo in conclave,
nè col nuovo Papa. Aggiunse nuovo stimolo, l'essersi scoperto
che la Duchessa, non ostante le continue guardie che le stavano
attorno, fece sapere a Marc'Antonio Colonna, che se trovava modo
di liberarla, ella gli avrebbe dato il marito nelle mani, o vivo
o morto.
Risoluto dunque di non interporvi più indugio, mandò due giorni
prima, cioè a' 28 d'agosto, il capitano Vico de' Nobili a
Gallese, per assistere al fatto, acciò non seguisse novità
alcuna: e ai 30 sopraggiunse don Leonardo di Cardine, parente
del Duca, e don Ferrante Garlonio conte d'Aliffe, fratello della
Duchessa, perchè l'uccidessero, come fecero il medesimo giorno.
Annunciata alla Duchessa la mattina la morte, volle confessarsi
e udir messa: poi accostandosele questi due, e conoscendo esser
giunta l'ora, domandò: Evvi ordine del Duca perch'io mora? Gli
rispose don Leonardo: Sì, signora. E la Duchessa soggiunse:
Mostratemelo. Ed essendole mostrato, don Leonardo, senza dar
luogo ad altre repliche, le strinse le mani, tra le quali teneva
un Crocifisso, e il fratello la strangolò. _Storia della Guerra
di Paolo IV_ di PIETRO NORES, p. 27.
[13] _Bardamentare_ significa mettere la barda, armatura di
cuoio cotto, o di lamine di ferro o di rame con la quale
coprivansi le groppe, il collo e il petto degli uomini di armi:
però ai dì nostri non denota più cosa che costumi. Insellare, e
imbrigliare dichiarano atti distinti, e manca un vocabolo che li
comprenda collettivamente. Io mi valgo della parola _arnesare_,
ma non la cavo dall'_harnacher_ francese derivato a sua posta
dallo _haerness_ tedesco, bensì dal vivo parlare del popolo; e
dallo _arnese_, che il Grassi con gli esempi del _Davila_ e del
_Cinuzzi_ dimostra essere termine collettivo per significare
tutto ciò che serve ad imbrigliare, insellare, bardamentare e
guernire un cavallo così da tiro come da sella. Il medesimo
Autore alla parola _arnesato_, con l'autorità di _Pace di
Certaldo_, c'insegna com'ella denoti _guarnito di arnese_:
quindi mi parve spediente accogliere il verbo _arnesare_. A
mettere questa nota mi muove il pensiero, che non potendo io
giovare alla mia Patria in nulla, almeno per me non si faccia
strazio del suo bello idioma come senza verecondia costumano
adesso alti e bassi furfanti, massime Giornalisti:
degni, che Circe li tenga in pastura.
[14] Trabanti, a _trabea_: soldati dalle larghe brache, un di
guardia degl'imperatori di Allemagna soltanto, poi introdotti
nelle altre Corti, in ispecie nella pontificia.
FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME.
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- Büleklär
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 1Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4632Unikal süzlärneñ gomumi sanı 187536.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 2Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4761Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180637.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 3Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4613Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185538.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 4Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4507Unikal süzlärneñ gomumi sanı 176836.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 5Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4535Unikal süzlärneñ gomumi sanı 178437.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 6Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4704Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186235.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 7Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4661Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185834.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 8Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4600Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188836.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Paolo Pelliccioni, Volume 2 (of 2) - 9Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4239Unikal süzlärneñ gomumi sanı 175837.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.