Novelle brianzuole - 10
Süzlärneñ gomumi sanı 4215
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1627
36.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
56.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
buon muro. Guardati però dal far del male, perchè altrimenti il Signore
castiga con de' guai grossi ma grossi.
A questo modo tiravano innanzi i due innamorati; poi una sera parve che
quello star lì in sulla soglia non fosse che un far bella inutilmente
la piazza. Il padre non c'era; era andato alla fiera di Bergamo:
ond'ella tolse dentro Sandro e chiusero la porta. Non aveano fatto che
entrare quando si sente battere trafelato al picchietto della porta.
— Oh signor Iddio! chi sarà mai? Scappate.
— Non si può.
— Nascondetevi.
— Ma dove?
All'Agnese non suggerì altro nascondiglio migliore che farlo
rannicchiare alla meglio in una cassapanca, che teneva da piè del suo
letto. Poi corse alla porta e domandò:
— Chi è?
— Chi vuol che sia? sono tuo padre.
Essa tirò il catenaccio, e li sui due piedi inventò una di quelle
fandonie che voi ragazze sapete così bene, per iscusare il ritardo e la
confusione, che anche un orbo le avrebbe letto in viso. Ma suo padre,
che le voleva un bene all'anima, ed avrebbe trovato per lei il latte di
gallina...
Ma ora che mi ricordo, bisogna che torni un passo indietro, e vi dica
che, quando sua madre era grossa di lei, entrando una volta in casa,
trovò accoccolata sul focolare una vecchia, brutta, magra, stenta, con
una faccia grinza come pesche alide, che non prometteva niente di bene;
abbrezzava tutta e batteva i denti come una gru. S'appose che quella
doveva essere una strega; e dandosi a gridare a quanto gliene usciva
dalla gola, tolse la scopa di dietro l'uscio e a colpi la cacciò. Non
l'avesse mai fatto! Quella befana voltatasele contro con due occhi di
basilisco, e facendole una croce sul ventre, rantolò:
— Che quel che tu porti possa essere anch'egli scopato.
Ora per seguitare... Ma dove sono restata?... Ah, mi rinvengo. Suo
padre dunque, che avrebbe fatto per lei moneta falsa, la salutò tutto
grazia, la trasse in camera, e quivi sedette sulla cassa appunto in
cui era chiuso quell'altro: e le cominciò a narrare della fiera, d'un
mondo di gente che ci aveva; Tirolesi con cinture di cuojo trapunte
e cappellacci lunghi come ombrelli; Turchignotti col mammelucco e la
barbaccia e le bracacce; d'un savojardo che mostrava la gran bestia;
d'una zingara che contava la ventura; poi seguitava informandola del
quanto avea comprato il sapone o i vomeri e le coltri di lana; e perchè
fosse tornato un giorno prima, e d'altre cose di egual importanza.
Ma l'Agnese, che avea tutt'altro per il capo, stava a cento miglia,
e rispondeva sì o no a braccio, e come veniva veniva. Ond'egli le
domandava: — Di' su, hai sonno eh? Anch'io. Via, cuocimi due bocconi da
cena.
Lesta lesta gli friggeva essa una coppia d'uova, e non vedeva la
sant'ora di metterlo a dormire. Ma egli sarebbesi detto che faceva
apposta a temporeggiarsi, contando, ripetendo, addomandando.
Basta! quando Dio ha voluto, egli se n'andò. L'Agnese, che era stata
come in croce, sente allargarsi il cuore; si chiude in camera, corre
alla cassapanca, dà una voce all'amico.... e, non risponde. Che dorma?
Gli alza un braccio, ricasca. Gesummaria! gli tocca la fronte... è
fredda marmata. Che serve? era morto soffocato.
Come allo sdrucciolare d'un ghiacciuolo per le reni, così la pelle
s'accappona alle ragazze, intente al discorso di comare Giuditta,
ed esclamano: — Morto? soffocato? O santa pazienza! Che se da prima
avevano tenuto gli occhi desti, credendo che la storia dovesse riuscire
al solito scioglimento, ora raddoppiando d'attenzione, socchiuse le
bocche, sporgono i menti verso la narratrice che il bujo impedisce di
vedere: e la Savina ritira la mano che col favore dell'oscurità, si
era, senza accorgersi, lasciata stringere nella mano del giovinetto.
Tanto un pochettino d'orrore giova a crescere l'interesse, sia in
una panzana da veglia, sia in un racconto da album o da strenna. E la
vecchia dello stesso tono proseguiva:
— Quale restasse l'Agnese, voglio lasciarlo pensare a voi. Lì, sola,
con un uomo morto; lei che prima sarebbe svenuta di paura a vederne
uno anche di lontano: e questo uomo era il suo damo: era morto allor
allora; morto in grazia di lei, e quel ch'è peggio, senza neppur
confessarsi. Gridare non poteva: suo padre era lì muro a muro, baciava
livide e assiderate quelle labbra, che vive non aveva baciato mai; e
l'inondava di lagrime silenziose. Si provò di levarlo fuori; oh adesso!
pesava il doppio di lei: appena che potesse muoverlo, e la cassa era
fonda. Lo spruzzava d'acqua diaccia, gli dava ad annusare aceto, gli
scaldava dei panni sul cuore: tutto incenso ai morti.
Che farà? Se lo sa la gente, Dio ne liberi! chiamare suo padre? Cosa
direbbe mai? aver tirato in casa un giovane, averlo ammazzato!
Non le soccorrendo miglior partito, risolve di andare per ajuto
alla Bia sua vicina; essa conosceva già quell'intrigo; le teneva
anzi la corda. Piano piano adunque schiude l'uscio, sguiscia fuori:
le ginocchia le si piegavano sotto, come avesse avuto tre mesi la
quartana. Monta per la scaletta, e — Bia! Bia! domanda.
— Che chiami, Agnese? caspitere! di quest'ora?
— Zitta, e aprite per carità!
Poi come fu dentro, piangendo, sbattezzandosi, le rivelò il caso.
— Morto! Sandro! andava quella replicando, e spalancava gli occhi,
torceva le mani, se le cacciava nei capelli.
— Sarà forse solamente svenuto.
— Magari! soggiungeva la fanciulla. Venite dunque per carità! per amor
di Dio! venite, soccorretemi.
La Bia si trasse a compassione, e andò da lei. Già suo marito non
era pericolo che tornasse a casa, perchè era un ubbriacone, che non
lasciava l'osteria se non quando ne lo cacciavano. Va dunque alla
camera, osserva anch'essa, brancica, muove, solletica: — è proprio
morto, morto stecchito.
Tutto questo si faceva a chetichella in peduli spiegandosi a gesti,
senza trar fiato, per timore che il padre non sentisse. Ma stracco del
viaggio questi aveva attaccato, senza bisogno della nanna, e presto fu
sentito russar della bella. Visto dunque inutile ogni tentativo, la
Bia diceva all'altra, — Calmati; che vuoi? Quel ch'è fatto è fatto.
Ora bisogna pensare a rabberciarla, non a fargli il pianto. Qui non
c'è altro. Leviamolo fuori; portiamolo sulla strada e lasciamolo lì. Il
primo che passa lo troverà, e dirà che cascò d'un accidente.
— In istrada! gettar là così il mio povero Sandro? come un cane? ed
è morto per me! Io no, io no. E se gli buttava sopra, e piangeva e
singhiozzava, convulsa, spasimante replicando pure, — Io no, io no.
Onde la Bia stringendosi nelle spalle, — Allora non so cosa dire:
pensaci tu, e chi s'è visto s'è visto; e faceva viso d'andarsene.
L'Agnese la richiamava, la rimboniva, tornavano a consultare, e la
risoluzione era sempre la stessa: onde trovandosi tra l'uscio e il
muro, anche l'Agnese dovette acconsentire. Fra tutte e due a stento lo
cavarono fuori, e chete chete trascinatolo in sulla via, più lontano
che poterono, rinvennero ciascuna a casa sua.
Che notte per l'Agnese! Altro che le passate, quando, appena giù,
dormiva per ore ed ore della grossa, senza un pensiero al mondo,
oppure fra pensieri sereni, giulivi, sinchè svegliavasi col nome del
suo Sandro sulla lingua. Ora, altro che dormire! se una pulce basta a
tenerci sveglie, figuratevi, con questo posolo sul petto. Lì, presso
quella cassapanca, con sugli occhi irremovibile quel cadavere, che
smanie, che batticuore! Si gettava di qua di la pel letto: si copriva
sotto le coltri: si tappava gli occhi, gli orecchi; ma sempre le pareva
di vederlo; sentivasi ancora sotto le mani, sulle guance, alle labbra
il tocco di quel gelo inanimato. — Ma chi sa? forse quello non fu che
un male, uno svenimento passeggiero: si sarà riavuto, tornato a casa
sua, e domani lo vedrà ancora. Che consolazione, rivederlo vivo!....
Ma.... che gli dirò? averlo gettato fuori a quel modo? E raddoppiava
il pianto, come cresce la pioggia dopo che un lampo rischiarò per un
momento l'oscurità. Poi aveva da venire la mattina: la voce si sarebbe
sparsa: suo padre comparirebbe, e non poteva non accorgersi dello
stato di lei. Cosa dirgli? come scusarsene? come contenersi con chi le
racconterebbe la morte del povero Sandro?
Di fatto la mattina buon'ora si sente un pissi pissi, un via vai per la
strada, un visibilio di congetture; il padre si affaccia alla finestra
e domanda: — Che novità c'è?
— Non sapete? risponde uno che passava. Hanno trovato morto Sandro.
— Cosa mi dite! ammazzato?
— Mai più: non ha nessuna ferita, non gli hanno tolto i soldi; deve
essere stato un colpo d'apoplessia. Povero giovane! e tirava innanzi.
Il padre corse alla camera della figliuola. Che coltellata per lei
allorchè sentì tirare il catenaccio! Sforzatasi a dissimulare, quando
esso le contò l'occorso, si finse nuova di quel caso, ma non potè a
lungo tenersi di non rompere in un pianto dirotto, e dare sfogo al
crepacuore represso. A suo padre parve quel cordoglio fuori di misura,
pure pensò fra sè e sè: — Bisogna che fosse un po' briciolata di lui,
tanto più che, uscendo, intese dirsi dalla gente: — Porterà il bruno,
eh, la vostra Agnese, che gli parlava!
Ma l'Agnese, dopo una tale batosta, non è più quella. Non le dà
il cuore di lasciarsi vedere attorno, onde in casa a piangere, a
strillare. Se sta su, tutto le fa ricordare di lui: se si corica,
non vi dico altro. Guai se un mobile scricchiola di notte! guai se
ode sbatacchiare una finestra! guai se un cane ulula per la strada!
Passano e passano giorni, ma il dolore non si disacerba. Suo padre,
che la sente ogni tratto mettere singhiozzi da soffocare, le dice:
— Ti compatisco: gli volevi bene, eh, a Sandro? perchè non me n'hai
fatto motto, ma ora che vuoi crepargli dietro? Si dava ad intendere di
consolarla, ed era come si scarificasse una piaga, fresca tuttavia e
sanguinante: onde ella dava in nuovi scrosci di pianto, e diceva cose
che nessuno la capiva. La gente vedendola così accorata, la lodava di
fedeltà; alcune tolsero a confortarla, pensando più al ventre che al
cuore, come fanno spesso le comari; molti ragazzi dicevano alle loro
belle:
— Badate mo l'Agnese. Quello si chiama voler bene. Ma voi, se io
morissi, vi voltereste ad un altro; e chi n'ha avuto n'ha avuto; è
vero?
Unico ristoro le era la Bia. Con lei si cavava la voglia del piangere;
con lei diceva quel che le passava in cuore, quel che doveva nascondere
a tutti gli altri! con lei andava al camposanto a recitar il rosario
per quella povera anima. Ma poi se la pigliava anche contro di essa,
la riguardava come il solo testimonio del suo delitto; come un essere
da cui dipendeva il renderla la più misera delle creature: e tremava
che un giorno o l'altro potesse manifestarlo. E per quanto si sforzasse
in vista di far la disinvolta e accarezzarla e tenerla colle belle
belline, dentro se ne rodeva, e tutto quel che la Bia facesse, lo
prendeva per traverso. La udiva cantare? le pareva insultasse al
suo dolore. La vedeva parlacchiare con qualche altra? ne entrava in
gelosia. Sentiva zufolarsi le orecchie? — Sarà la Bia che rinvescia
tutto. Le parlava talvolta di quel povero figliuolo? — Lo fa a bella
posta per rinfrescarmi il dolore. Se la Bia diceva, — Tienmi i ragazzi
finchè io vada al mulino o a risciacquar il bucato, — Ecco (pensava
ella) fin da serva la mi fa fare. Se le cercava un pugno di sale, —
Due, rispondeva; ma fra i denti brontolava: — La si vuol far pagare
perchè non soffi. In ogni occhio che la fissasse credeva leggere la
sua accusa: — Certo colui o colei sa il caso mio; e chi può averglielo
detto se non la Bia? Al vederla dunque le veniva verde il sangue; e
perchè quando c'è una cosa nel cuore, è come la tosse, che non si
può nasconderla, certi atti bisbetici, certe frasi piccose che le
scappavano contro voglia, lasciarono alla Bia comprendere il vero. Così
cominciarono a raffreddarsi, a gattigliare, e stare ciascuna sulla sua;
e l'Agnese a odiare quell'altra come il mal di capo, e crescere così
il suo pericolo immaginario. Più non si vedeva innanzi che fantasie
paurose; non sognava che la giustizia; il pronostico fatto dalla strega
a sua madre le ribolliva nel capo come vicino ad avverarsi, e tutto in
grazia di chi? in grazia della Bia. E credeva vedere che costei andasse
a darla fuori, a servir di testimonio, onde le pareva di non potere
aver più bene al mondo finchè al mondo vi fosse colei. La morte di
essa era il voto che mattina e sera faceva nelle sue orazioni: quando
tornavano le solennità, vi si preparava colle novene, col digiunare;
poi confessata e comunicata, inginocchiavasi sulla nuda terra, e
storcendo le mani, e colle lacrime agli occhi, diceva: — Caro Signore!
pei meriti della vostra passione, vi prego, vi scongiuro, fate morire
la Bia.
Ma la Bia, non s'insognava di morire. Anzi una volta, avendo ricevuto
dall'Agnese non so che torto, la Bia che doveva avere mal desinato,
ripicchiò; e qui botta e risposta, se ne dissero fino ai denti, e la
donna si lasciò scappare di bocca che la dovesse badare a quel che
diceva, perchè in fine de' fini stava da lei il mandarla col muso alla
ferrata.
Non l'avesse mai detto! L'Agnese se prima andava a spasso col cervello,
allora, vi diede volta affatto. Quella notte la passò come sulle
ortiche. Quando, spossata dal piangere si addormentò, che sogni! che
paure! Cani rabbiosi che le saltavano adosso, un toro che la inseguiva
perchè era tutta rossa di sangue: le pareva di scappare in camera,
serrarsi dentro; ma ecco le finestre sbatacchiare benchè chiuse, e pel
buco della toppa entrare un fantasma e succiarle il sangue di sotto
le ugne dei piedi: essa lo affissava, e quello andava tutto a fuoco e
fiamme, sporgeva gli occhi dalla livida faccia, come gli aveva veduti
a Sandro in quella sera funesta e le diceva: — Son dannato in grazia
tua. Essa faceva per gridare e non poteva, perchè sentivasi strozzare:
toccavasi al collo, era il capestro che le aveva messo il boja.
Stralunava gli occhi intorno: ecco lì tutta la gente del suo paese,
tutte le sue camerate a vederla impiccare; ed una fra queste sporgersi
su, e beffarda ghignarle in faccia: — era la Bia.
Balzò dal letto atterrita, trambasciata: tutto quel giorno una orribile
convulsione l'agitò; acciocchita dava al capo per tutti i muri: le
pareva di avere il fuoco nella testa, e s'appoggiava agli stipiti dei
camino, ai ferri, per sentire un momento di refrigerio: si buttava
su quella cassapanca, e non piangeva più. Usci col secchio per andare
attingere, poi quando fu fuori, non si ricordò più: e va e va... Avete
sentito, ragazze, di certi che vanno in volta bell'e dormendo. Tal
quale l'Agnese. E va e va, trovasi dinanzi al cimitero: è aperto il
cancello; s'avanza. — Ove diamine andate? lo grida una vociaccia. Era
il sepoltore che stava scavando una fossa. A quel suono risentitasi,
ella diede uno strillo, guardò intorno, si rinvenne; e coi capelli
irti come un pettine di lino, fuggì a rotta di collo, come se alcuno le
corresse dietro.
Quel giorno non mangiò, non parlò, non pregò. Sulla sera crebbe la
tempesta. Tra il fosco e il chiaro, seduta coccolone, colle tempie fra
le mani e le mani sui ginocchi, stette un pezzo a ruminare: poi come
risoluta, balzò su a scatto di molla, ed esclamò; — Conviene che ella
muoja! abbrancò un coltellaccio, salì dalla vicina, e cogliendola sola
e sprovvista, glielo cacciò nella gola.
— O Madonna santa! esclamano prese di ribrezzo le villane ascoltatrici,
mentre comar Giuditta raccoglieva il fiato: e stringendosi l'una più
presso dell'altra, le domandano ansiose: — E sicchè, e sicchè?
— Sicchè (continua la vecchia) tardi tardi, secondo il solito, e
secondo il solito ubbriaco, torna casa il marito della Bia, e trova
questo spettacolo. Si pone a gridare, a chiamare accorr'uomo; traggono
i casigliani, trae il vicinato, vedono, oh vedono la donna che dava i
tratti in un lago di sangue.
Chi può mai essere stato? Non i ladri, perchè non manca un bruscolo:
nessuno ella aveva per nemico; non può apporsene che a suo marito.
Egli solo andò in casa: era avvinazzato: l'avrà intesa arrangolare
perchè entrò tardi, e le avrà dato. Il bargello, fondandosi sulla voce
del popolo che è voce di Dio, mette senz'altro le mani su lui; presto
presto, per dare un terribile esempio, si fa il processo sul luogo: lo
interrogano, egli nega, lo mettono alla tortura.
Voi non sapete, ragazze, cos'è la tortura, eh? perchè adesso non la si
usa più. Ma al tempo mio, quando uno era sospettato d'un delitto, fosse
come capo di ladri, o come strega, o bestemmiatore, o un di quelli che
untavano per far venire la peste, lo pigliavano: il signor giudice gli
domandava, — Sei stato tu? Se l'altro schiodava, dio con bene: se no,
il signor giudice ordinava: — Mettetelo alla corda.
Voi tutte avete visto il macello, quando il beccajo, dopo scannato il
bue, lo tira su, legato per le gambe ad un verricello. Su quel fare
immaginate la tortura. Il reo, ossia l'accusato ch'è tutt'uno, veniva
legato colle mani dietro, così; con una corda incarrucolata l'alzavano,
e a volta a volta davano delle buone strappate, come si fa col martino
quando si conficcano i pali nell'argine; e lo facevano saltare dieci,
venti volte, quante al signor giudice piacesse. Di ragione, se colui
non voleva che le braccia restassero attaccate alla fune, conveniva che
confessasse; e così si scoprivano i malfattori, poi s'impiccavano, si
squartavano, s'inrotavano. Di questi esempii non passava, sto per dire,
settimana, che non se ne udissero; e perciò delitti non ne succedevano.
Ora tali usanze sono dismesse, e il far il ladro è divenuto una bazza.
L'uomo della Bia fu dunque posto al tormento, e lì il signor giudice, —
un fior di giudice, dalle cui unghie non era mai uscito alcuno savio;
ma insieme una brava persona, pieno di pazienza e piacevolone che
diceva barzellette fin nel condannare alla morte. Il signor giudice,
come dicevo, prima lo esortò colle buone a dir la verità; poi, vedendo
che negava, ordinò, — Tiratelo su.
Nel suo seggiolone, appoggiato il gomito al tavolino e il mento alla
mano, stava egli osservandolo, e con tutta pazienza aspettando che
confessasse; ma quegli duro. Allora il signor giudice: — Ehi, dategli
un pajo di strappatine. L'altro pianse, strillò, invocò il Signore, la
Madonna, san Giuseppe, ma tenne saldo.
Al vederlo così ostinato, sarebbe montata la stizza anche al santo
Giobbe: ma il signor giudice colla solita calma, vòlto al manigoldo e
facendogli d'occhio gli disse:
— Ebbene, com'è così, calatelo giù.
L'aguzzino, che capi il segno, calò l'accusato tanto vicino al
pavimento che lo rasentava colla punta dei piedi. L'uomo che erasi
sentito resuscitare da morte a vita in ascoltare quell'ordine,
vedendosi ora così presso terra, che un poco più che si allungasse la
toccherebbe, per raggiungerla stiravasi da sè medesimo di tutta forza
e così per la speranza di finirli, accresceva nel più orribile modo i
suoi tormenti.
A vederlo sgambettare, il manigoldo schiattava dalle risa: l'istesso
signor giudice turava la bocca, perchè non gli scappassero: in fin che
l'altro, non potendo resistere a quel nuovo spasimo, domandò per amore,
per misericordia che lo calassero affatto, e avrebbe detto ogni cosa.
Di fatto confessò che era stato lui ad ammazzare sua moglie, perchè
n'era sazio, perchè rantolava sempre, perchè voleva torne un'altra;
insomma tutto quello che il signor giudice gli suggerì. Questi contento
della buona uscita del suo processo, buttò fuori la sua brava sentenza
con qualmente il reo fosse scopato e poi impiccato; e andò a desinare.
La giustizia, cioè il boja, venne subito da Milano, con un carro a
tiro a due, e suvvi ceppo, ruote, corde, tanaglie, un arsenale di roba
da mestiero; e a vedere e non vedere, ebbe piantata la forca sulla
piazza. Al domani tutto il paese, tutto il vicinato corsero in folla
per vedere castigare lo scellerato uccisore di sua moglie; e il boja
trattolo fuori di prigione, cominciava a scoparlo. Quand'ecco accorrere
una ragazza scarmigliata, ansante, pallida, contraffatta, sfondando la
folla e gridando come una indemoniata:
— È innocente; non ne sa nulla.
Tutti ravvisarono subito l'Agnese, e cominciò a levarsi un bisbiglio:
perchè sebbene l'uomo della Bia si trovasse sempre aver bevuto
davvantaggio, non si sapeva che avesse mai torto un capello a nessuno;
onde molti avevano penato a crederlo capace di tanto eccesso prima
che il signor giudice avesse proferita la sentenza. Proferita questa,
fu un altro cantare, perchè la sarebbe grossa che avesse a sbagliare
il giudice; e quando una cosa passò in giudicato, non se ne deve più
dubitare.
Ma allora udendo le parole dell'Agnese, cominciarono alzar la voce, e
corsero dal signor giudice e gli raccontarono l'occorrente.
Questi si trovò allora in un bel imbarazzo. Il processo era stato fatto
in tutte le regole; in tutte le forme data la sentenza; e poi, si sa, a
ciascuno piace esercitare la propria abilità. Perciò sulle prime egli
procurò di buttar per matta la ragazza e che intanto la condanna si
eseguisse; ma poi, sentendo il gridìo della gente, e massime le ragioni
del signor curato, ordinò che si sospendesse l'esecuzione. E udendo il
boja star di mal umore per aver fatto il viaggio per niente, gli disse:
— Colpa tua, dovevi sbrigarti più lesto.
Intanto la ragazza, e non fu bisogno di corda, spiattellò di punto in
punto tutta la storia, dalla morte di Sandro in avanti: visitata la
casa, si trovarono i panni sanguinati, si trovò il coltello. Figuratevi
che dire ne fu per il paese! Vi basti che fino il giudice pareva quasi
averle compassione e diceva che quanto a lui, non gli sarebbe importato
niente anche a salvarla. Ma il bianco sul nero c'è per qualche cosa, e
la legge canta: Chi ammazza muoja.
Il marito della Bia lo tennero un poco in prigione per aver deposto
il falso in giudizio, poi lo mandarono all'ospedale a guarir delle
storpiature; ed il boja tornò a consolarsi, perchè il giuoco che doveva
fare all'uomo lo fece all'Agnese.
— Povera ragazza! esclamano le fanciulle asciugandosi gli occhi.
— Povero suo padre! esclama un vecchio; e si fa attorno un silenzio
meditabondo. Questo silenzio pare a comar Giuditta il miglior elogio
che possa farsi al suo racconto, e però, dopo un pezzetto, ripiglia: —
Guarda mo! quell'acqua cheta, quella ragazza così florida, così bella,
chi l'avrebbe detto che aveva a finire così? E non è già questa una
pastocchia, ma un caso vero, quanto è vero che le comete annunziano
malanni. Il paese è qui dalle vostre parti, e mia madre aveva parlato
con delle vecchie che erano vive quando questo è accaduto. Imparate
dunque, o ragazze...
— A non chiudere l'amoroso nella cassapanca, l'interrompe la Savina;
e uno scroscio di risa universale tien dietro a quest'arguzia. Poi,
come, avanti giorno, un passero che cominci a zirlare basta perchè
sull'istante si sveglino tutti gli altri che dormivano, ed è uno
stormire, un cinguettìo, un frascheggiare di mille uccelli, così,
rotto l'incanto, si suscitano trenta voci discordi, che fitte fitte si
succedono, s'intralciano, s'interrompono. E l'una dice; — Oh! di queste
cose non ne succedono più; un'altra: — Ma che colpa n'aveva quella
povera zitella? la terza: — Per uno scappuccio, alla forca!
— Oh! soggiunge la morale Simona; ogni colpa è di sua madre, che
maltrattò quella strega, e per questo bisogna guardare a chi si fa del
male.
— Sapete che? salta su la Betta, quella tal sufficiente: La vera
ragione è che l'Agnese era nata sotto un cattivo pianeta.
Comar Giuditta prova e riprova di ricondur il silenzio, la meditazione
e tornar padrona della veglia per potere spacciar alquanto di quella
morale onde son piene le fosse: ma chi arresterà la girandola dopo
appiccata la scintilla? Cresce anche di più in più il bisbigliare, il
chiaccolare, che è una sinagoga; finchè nel lucerniere si pianta il
gancetto d'un lumuccio a mano, fioco siccome quello che si accende ai
morti; e la Savina, non senza un'occhiata al suo giovinotto, con voce
viva da passare il tetto, comincia a cantar allegramente _Mamma mia,
non mi sgridate_: tutte le altre le si accordano; e lo spavento col
quale la comare sperava d'aver fatto più frutto che un padre delle
missioni, si dilegua in un vivace biscantare.
Così la sinfonia che accompagnò al cimitero un soldato estinto, con
flebile armonia da mettere l'angoscia nel cuore, non appena è gettata
sul cadavere la terra, intuona una coraggiosa marciata, che dissipa la
melanconica impressione, quasi sia troppo il continuare più di mezz'ora
la compassione all'uomo, il cui mestiero è il patimento e la morte.
1834.
FINE.
NOTE:
[1] Schiaccerà la tua testa.
[2] Il Signore dal cielo in terra guardò, per udir i gemiti degli
incatenati, per sciorre i figliuoli degli uccisi.
[3] I sacerdoti si astengano da cacce, uccellagioni, taverne, danze e
giuochi.
[4] Vidi l'empio innalzato e sublimato più che i cedri del Libano;
ripassai, ed ecco più non v'era.
[5] Dall'inferno esclamai, e tu, Signore, ascoltasti la voce mia.
[6] Per intendere queste e le precedenti allusioni, bisogna ricordare
che questa novella ed altre delle seguenti furono scritte in prigione
di Stato.
[7] Come dileguasi la cera al fuoco, tal periscano i peccatori dalla
faccia di Dio, ed i giusti banchettino ed esultino in allegrezza.
_Salmo_ LXVII.
[8] Vedi l'aggiunta dopo questa novella.
castiga con de' guai grossi ma grossi.
A questo modo tiravano innanzi i due innamorati; poi una sera parve che
quello star lì in sulla soglia non fosse che un far bella inutilmente
la piazza. Il padre non c'era; era andato alla fiera di Bergamo:
ond'ella tolse dentro Sandro e chiusero la porta. Non aveano fatto che
entrare quando si sente battere trafelato al picchietto della porta.
— Oh signor Iddio! chi sarà mai? Scappate.
— Non si può.
— Nascondetevi.
— Ma dove?
All'Agnese non suggerì altro nascondiglio migliore che farlo
rannicchiare alla meglio in una cassapanca, che teneva da piè del suo
letto. Poi corse alla porta e domandò:
— Chi è?
— Chi vuol che sia? sono tuo padre.
Essa tirò il catenaccio, e li sui due piedi inventò una di quelle
fandonie che voi ragazze sapete così bene, per iscusare il ritardo e la
confusione, che anche un orbo le avrebbe letto in viso. Ma suo padre,
che le voleva un bene all'anima, ed avrebbe trovato per lei il latte di
gallina...
Ma ora che mi ricordo, bisogna che torni un passo indietro, e vi dica
che, quando sua madre era grossa di lei, entrando una volta in casa,
trovò accoccolata sul focolare una vecchia, brutta, magra, stenta, con
una faccia grinza come pesche alide, che non prometteva niente di bene;
abbrezzava tutta e batteva i denti come una gru. S'appose che quella
doveva essere una strega; e dandosi a gridare a quanto gliene usciva
dalla gola, tolse la scopa di dietro l'uscio e a colpi la cacciò. Non
l'avesse mai fatto! Quella befana voltatasele contro con due occhi di
basilisco, e facendole una croce sul ventre, rantolò:
— Che quel che tu porti possa essere anch'egli scopato.
Ora per seguitare... Ma dove sono restata?... Ah, mi rinvengo. Suo
padre dunque, che avrebbe fatto per lei moneta falsa, la salutò tutto
grazia, la trasse in camera, e quivi sedette sulla cassa appunto in
cui era chiuso quell'altro: e le cominciò a narrare della fiera, d'un
mondo di gente che ci aveva; Tirolesi con cinture di cuojo trapunte
e cappellacci lunghi come ombrelli; Turchignotti col mammelucco e la
barbaccia e le bracacce; d'un savojardo che mostrava la gran bestia;
d'una zingara che contava la ventura; poi seguitava informandola del
quanto avea comprato il sapone o i vomeri e le coltri di lana; e perchè
fosse tornato un giorno prima, e d'altre cose di egual importanza.
Ma l'Agnese, che avea tutt'altro per il capo, stava a cento miglia,
e rispondeva sì o no a braccio, e come veniva veniva. Ond'egli le
domandava: — Di' su, hai sonno eh? Anch'io. Via, cuocimi due bocconi da
cena.
Lesta lesta gli friggeva essa una coppia d'uova, e non vedeva la
sant'ora di metterlo a dormire. Ma egli sarebbesi detto che faceva
apposta a temporeggiarsi, contando, ripetendo, addomandando.
Basta! quando Dio ha voluto, egli se n'andò. L'Agnese, che era stata
come in croce, sente allargarsi il cuore; si chiude in camera, corre
alla cassapanca, dà una voce all'amico.... e, non risponde. Che dorma?
Gli alza un braccio, ricasca. Gesummaria! gli tocca la fronte... è
fredda marmata. Che serve? era morto soffocato.
Come allo sdrucciolare d'un ghiacciuolo per le reni, così la pelle
s'accappona alle ragazze, intente al discorso di comare Giuditta,
ed esclamano: — Morto? soffocato? O santa pazienza! Che se da prima
avevano tenuto gli occhi desti, credendo che la storia dovesse riuscire
al solito scioglimento, ora raddoppiando d'attenzione, socchiuse le
bocche, sporgono i menti verso la narratrice che il bujo impedisce di
vedere: e la Savina ritira la mano che col favore dell'oscurità, si
era, senza accorgersi, lasciata stringere nella mano del giovinetto.
Tanto un pochettino d'orrore giova a crescere l'interesse, sia in
una panzana da veglia, sia in un racconto da album o da strenna. E la
vecchia dello stesso tono proseguiva:
— Quale restasse l'Agnese, voglio lasciarlo pensare a voi. Lì, sola,
con un uomo morto; lei che prima sarebbe svenuta di paura a vederne
uno anche di lontano: e questo uomo era il suo damo: era morto allor
allora; morto in grazia di lei, e quel ch'è peggio, senza neppur
confessarsi. Gridare non poteva: suo padre era lì muro a muro, baciava
livide e assiderate quelle labbra, che vive non aveva baciato mai; e
l'inondava di lagrime silenziose. Si provò di levarlo fuori; oh adesso!
pesava il doppio di lei: appena che potesse muoverlo, e la cassa era
fonda. Lo spruzzava d'acqua diaccia, gli dava ad annusare aceto, gli
scaldava dei panni sul cuore: tutto incenso ai morti.
Che farà? Se lo sa la gente, Dio ne liberi! chiamare suo padre? Cosa
direbbe mai? aver tirato in casa un giovane, averlo ammazzato!
Non le soccorrendo miglior partito, risolve di andare per ajuto
alla Bia sua vicina; essa conosceva già quell'intrigo; le teneva
anzi la corda. Piano piano adunque schiude l'uscio, sguiscia fuori:
le ginocchia le si piegavano sotto, come avesse avuto tre mesi la
quartana. Monta per la scaletta, e — Bia! Bia! domanda.
— Che chiami, Agnese? caspitere! di quest'ora?
— Zitta, e aprite per carità!
Poi come fu dentro, piangendo, sbattezzandosi, le rivelò il caso.
— Morto! Sandro! andava quella replicando, e spalancava gli occhi,
torceva le mani, se le cacciava nei capelli.
— Sarà forse solamente svenuto.
— Magari! soggiungeva la fanciulla. Venite dunque per carità! per amor
di Dio! venite, soccorretemi.
La Bia si trasse a compassione, e andò da lei. Già suo marito non
era pericolo che tornasse a casa, perchè era un ubbriacone, che non
lasciava l'osteria se non quando ne lo cacciavano. Va dunque alla
camera, osserva anch'essa, brancica, muove, solletica: — è proprio
morto, morto stecchito.
Tutto questo si faceva a chetichella in peduli spiegandosi a gesti,
senza trar fiato, per timore che il padre non sentisse. Ma stracco del
viaggio questi aveva attaccato, senza bisogno della nanna, e presto fu
sentito russar della bella. Visto dunque inutile ogni tentativo, la
Bia diceva all'altra, — Calmati; che vuoi? Quel ch'è fatto è fatto.
Ora bisogna pensare a rabberciarla, non a fargli il pianto. Qui non
c'è altro. Leviamolo fuori; portiamolo sulla strada e lasciamolo lì. Il
primo che passa lo troverà, e dirà che cascò d'un accidente.
— In istrada! gettar là così il mio povero Sandro? come un cane? ed
è morto per me! Io no, io no. E se gli buttava sopra, e piangeva e
singhiozzava, convulsa, spasimante replicando pure, — Io no, io no.
Onde la Bia stringendosi nelle spalle, — Allora non so cosa dire:
pensaci tu, e chi s'è visto s'è visto; e faceva viso d'andarsene.
L'Agnese la richiamava, la rimboniva, tornavano a consultare, e la
risoluzione era sempre la stessa: onde trovandosi tra l'uscio e il
muro, anche l'Agnese dovette acconsentire. Fra tutte e due a stento lo
cavarono fuori, e chete chete trascinatolo in sulla via, più lontano
che poterono, rinvennero ciascuna a casa sua.
Che notte per l'Agnese! Altro che le passate, quando, appena giù,
dormiva per ore ed ore della grossa, senza un pensiero al mondo,
oppure fra pensieri sereni, giulivi, sinchè svegliavasi col nome del
suo Sandro sulla lingua. Ora, altro che dormire! se una pulce basta a
tenerci sveglie, figuratevi, con questo posolo sul petto. Lì, presso
quella cassapanca, con sugli occhi irremovibile quel cadavere, che
smanie, che batticuore! Si gettava di qua di la pel letto: si copriva
sotto le coltri: si tappava gli occhi, gli orecchi; ma sempre le pareva
di vederlo; sentivasi ancora sotto le mani, sulle guance, alle labbra
il tocco di quel gelo inanimato. — Ma chi sa? forse quello non fu che
un male, uno svenimento passeggiero: si sarà riavuto, tornato a casa
sua, e domani lo vedrà ancora. Che consolazione, rivederlo vivo!....
Ma.... che gli dirò? averlo gettato fuori a quel modo? E raddoppiava
il pianto, come cresce la pioggia dopo che un lampo rischiarò per un
momento l'oscurità. Poi aveva da venire la mattina: la voce si sarebbe
sparsa: suo padre comparirebbe, e non poteva non accorgersi dello
stato di lei. Cosa dirgli? come scusarsene? come contenersi con chi le
racconterebbe la morte del povero Sandro?
Di fatto la mattina buon'ora si sente un pissi pissi, un via vai per la
strada, un visibilio di congetture; il padre si affaccia alla finestra
e domanda: — Che novità c'è?
— Non sapete? risponde uno che passava. Hanno trovato morto Sandro.
— Cosa mi dite! ammazzato?
— Mai più: non ha nessuna ferita, non gli hanno tolto i soldi; deve
essere stato un colpo d'apoplessia. Povero giovane! e tirava innanzi.
Il padre corse alla camera della figliuola. Che coltellata per lei
allorchè sentì tirare il catenaccio! Sforzatasi a dissimulare, quando
esso le contò l'occorso, si finse nuova di quel caso, ma non potè a
lungo tenersi di non rompere in un pianto dirotto, e dare sfogo al
crepacuore represso. A suo padre parve quel cordoglio fuori di misura,
pure pensò fra sè e sè: — Bisogna che fosse un po' briciolata di lui,
tanto più che, uscendo, intese dirsi dalla gente: — Porterà il bruno,
eh, la vostra Agnese, che gli parlava!
Ma l'Agnese, dopo una tale batosta, non è più quella. Non le dà
il cuore di lasciarsi vedere attorno, onde in casa a piangere, a
strillare. Se sta su, tutto le fa ricordare di lui: se si corica,
non vi dico altro. Guai se un mobile scricchiola di notte! guai se
ode sbatacchiare una finestra! guai se un cane ulula per la strada!
Passano e passano giorni, ma il dolore non si disacerba. Suo padre,
che la sente ogni tratto mettere singhiozzi da soffocare, le dice:
— Ti compatisco: gli volevi bene, eh, a Sandro? perchè non me n'hai
fatto motto, ma ora che vuoi crepargli dietro? Si dava ad intendere di
consolarla, ed era come si scarificasse una piaga, fresca tuttavia e
sanguinante: onde ella dava in nuovi scrosci di pianto, e diceva cose
che nessuno la capiva. La gente vedendola così accorata, la lodava di
fedeltà; alcune tolsero a confortarla, pensando più al ventre che al
cuore, come fanno spesso le comari; molti ragazzi dicevano alle loro
belle:
— Badate mo l'Agnese. Quello si chiama voler bene. Ma voi, se io
morissi, vi voltereste ad un altro; e chi n'ha avuto n'ha avuto; è
vero?
Unico ristoro le era la Bia. Con lei si cavava la voglia del piangere;
con lei diceva quel che le passava in cuore, quel che doveva nascondere
a tutti gli altri! con lei andava al camposanto a recitar il rosario
per quella povera anima. Ma poi se la pigliava anche contro di essa,
la riguardava come il solo testimonio del suo delitto; come un essere
da cui dipendeva il renderla la più misera delle creature: e tremava
che un giorno o l'altro potesse manifestarlo. E per quanto si sforzasse
in vista di far la disinvolta e accarezzarla e tenerla colle belle
belline, dentro se ne rodeva, e tutto quel che la Bia facesse, lo
prendeva per traverso. La udiva cantare? le pareva insultasse al
suo dolore. La vedeva parlacchiare con qualche altra? ne entrava in
gelosia. Sentiva zufolarsi le orecchie? — Sarà la Bia che rinvescia
tutto. Le parlava talvolta di quel povero figliuolo? — Lo fa a bella
posta per rinfrescarmi il dolore. Se la Bia diceva, — Tienmi i ragazzi
finchè io vada al mulino o a risciacquar il bucato, — Ecco (pensava
ella) fin da serva la mi fa fare. Se le cercava un pugno di sale, —
Due, rispondeva; ma fra i denti brontolava: — La si vuol far pagare
perchè non soffi. In ogni occhio che la fissasse credeva leggere la
sua accusa: — Certo colui o colei sa il caso mio; e chi può averglielo
detto se non la Bia? Al vederla dunque le veniva verde il sangue; e
perchè quando c'è una cosa nel cuore, è come la tosse, che non si
può nasconderla, certi atti bisbetici, certe frasi piccose che le
scappavano contro voglia, lasciarono alla Bia comprendere il vero. Così
cominciarono a raffreddarsi, a gattigliare, e stare ciascuna sulla sua;
e l'Agnese a odiare quell'altra come il mal di capo, e crescere così
il suo pericolo immaginario. Più non si vedeva innanzi che fantasie
paurose; non sognava che la giustizia; il pronostico fatto dalla strega
a sua madre le ribolliva nel capo come vicino ad avverarsi, e tutto in
grazia di chi? in grazia della Bia. E credeva vedere che costei andasse
a darla fuori, a servir di testimonio, onde le pareva di non potere
aver più bene al mondo finchè al mondo vi fosse colei. La morte di
essa era il voto che mattina e sera faceva nelle sue orazioni: quando
tornavano le solennità, vi si preparava colle novene, col digiunare;
poi confessata e comunicata, inginocchiavasi sulla nuda terra, e
storcendo le mani, e colle lacrime agli occhi, diceva: — Caro Signore!
pei meriti della vostra passione, vi prego, vi scongiuro, fate morire
la Bia.
Ma la Bia, non s'insognava di morire. Anzi una volta, avendo ricevuto
dall'Agnese non so che torto, la Bia che doveva avere mal desinato,
ripicchiò; e qui botta e risposta, se ne dissero fino ai denti, e la
donna si lasciò scappare di bocca che la dovesse badare a quel che
diceva, perchè in fine de' fini stava da lei il mandarla col muso alla
ferrata.
Non l'avesse mai detto! L'Agnese se prima andava a spasso col cervello,
allora, vi diede volta affatto. Quella notte la passò come sulle
ortiche. Quando, spossata dal piangere si addormentò, che sogni! che
paure! Cani rabbiosi che le saltavano adosso, un toro che la inseguiva
perchè era tutta rossa di sangue: le pareva di scappare in camera,
serrarsi dentro; ma ecco le finestre sbatacchiare benchè chiuse, e pel
buco della toppa entrare un fantasma e succiarle il sangue di sotto
le ugne dei piedi: essa lo affissava, e quello andava tutto a fuoco e
fiamme, sporgeva gli occhi dalla livida faccia, come gli aveva veduti
a Sandro in quella sera funesta e le diceva: — Son dannato in grazia
tua. Essa faceva per gridare e non poteva, perchè sentivasi strozzare:
toccavasi al collo, era il capestro che le aveva messo il boja.
Stralunava gli occhi intorno: ecco lì tutta la gente del suo paese,
tutte le sue camerate a vederla impiccare; ed una fra queste sporgersi
su, e beffarda ghignarle in faccia: — era la Bia.
Balzò dal letto atterrita, trambasciata: tutto quel giorno una orribile
convulsione l'agitò; acciocchita dava al capo per tutti i muri: le
pareva di avere il fuoco nella testa, e s'appoggiava agli stipiti dei
camino, ai ferri, per sentire un momento di refrigerio: si buttava
su quella cassapanca, e non piangeva più. Usci col secchio per andare
attingere, poi quando fu fuori, non si ricordò più: e va e va... Avete
sentito, ragazze, di certi che vanno in volta bell'e dormendo. Tal
quale l'Agnese. E va e va, trovasi dinanzi al cimitero: è aperto il
cancello; s'avanza. — Ove diamine andate? lo grida una vociaccia. Era
il sepoltore che stava scavando una fossa. A quel suono risentitasi,
ella diede uno strillo, guardò intorno, si rinvenne; e coi capelli
irti come un pettine di lino, fuggì a rotta di collo, come se alcuno le
corresse dietro.
Quel giorno non mangiò, non parlò, non pregò. Sulla sera crebbe la
tempesta. Tra il fosco e il chiaro, seduta coccolone, colle tempie fra
le mani e le mani sui ginocchi, stette un pezzo a ruminare: poi come
risoluta, balzò su a scatto di molla, ed esclamò; — Conviene che ella
muoja! abbrancò un coltellaccio, salì dalla vicina, e cogliendola sola
e sprovvista, glielo cacciò nella gola.
— O Madonna santa! esclamano prese di ribrezzo le villane ascoltatrici,
mentre comar Giuditta raccoglieva il fiato: e stringendosi l'una più
presso dell'altra, le domandano ansiose: — E sicchè, e sicchè?
— Sicchè (continua la vecchia) tardi tardi, secondo il solito, e
secondo il solito ubbriaco, torna casa il marito della Bia, e trova
questo spettacolo. Si pone a gridare, a chiamare accorr'uomo; traggono
i casigliani, trae il vicinato, vedono, oh vedono la donna che dava i
tratti in un lago di sangue.
Chi può mai essere stato? Non i ladri, perchè non manca un bruscolo:
nessuno ella aveva per nemico; non può apporsene che a suo marito.
Egli solo andò in casa: era avvinazzato: l'avrà intesa arrangolare
perchè entrò tardi, e le avrà dato. Il bargello, fondandosi sulla voce
del popolo che è voce di Dio, mette senz'altro le mani su lui; presto
presto, per dare un terribile esempio, si fa il processo sul luogo: lo
interrogano, egli nega, lo mettono alla tortura.
Voi non sapete, ragazze, cos'è la tortura, eh? perchè adesso non la si
usa più. Ma al tempo mio, quando uno era sospettato d'un delitto, fosse
come capo di ladri, o come strega, o bestemmiatore, o un di quelli che
untavano per far venire la peste, lo pigliavano: il signor giudice gli
domandava, — Sei stato tu? Se l'altro schiodava, dio con bene: se no,
il signor giudice ordinava: — Mettetelo alla corda.
Voi tutte avete visto il macello, quando il beccajo, dopo scannato il
bue, lo tira su, legato per le gambe ad un verricello. Su quel fare
immaginate la tortura. Il reo, ossia l'accusato ch'è tutt'uno, veniva
legato colle mani dietro, così; con una corda incarrucolata l'alzavano,
e a volta a volta davano delle buone strappate, come si fa col martino
quando si conficcano i pali nell'argine; e lo facevano saltare dieci,
venti volte, quante al signor giudice piacesse. Di ragione, se colui
non voleva che le braccia restassero attaccate alla fune, conveniva che
confessasse; e così si scoprivano i malfattori, poi s'impiccavano, si
squartavano, s'inrotavano. Di questi esempii non passava, sto per dire,
settimana, che non se ne udissero; e perciò delitti non ne succedevano.
Ora tali usanze sono dismesse, e il far il ladro è divenuto una bazza.
L'uomo della Bia fu dunque posto al tormento, e lì il signor giudice, —
un fior di giudice, dalle cui unghie non era mai uscito alcuno savio;
ma insieme una brava persona, pieno di pazienza e piacevolone che
diceva barzellette fin nel condannare alla morte. Il signor giudice,
come dicevo, prima lo esortò colle buone a dir la verità; poi, vedendo
che negava, ordinò, — Tiratelo su.
Nel suo seggiolone, appoggiato il gomito al tavolino e il mento alla
mano, stava egli osservandolo, e con tutta pazienza aspettando che
confessasse; ma quegli duro. Allora il signor giudice: — Ehi, dategli
un pajo di strappatine. L'altro pianse, strillò, invocò il Signore, la
Madonna, san Giuseppe, ma tenne saldo.
Al vederlo così ostinato, sarebbe montata la stizza anche al santo
Giobbe: ma il signor giudice colla solita calma, vòlto al manigoldo e
facendogli d'occhio gli disse:
— Ebbene, com'è così, calatelo giù.
L'aguzzino, che capi il segno, calò l'accusato tanto vicino al
pavimento che lo rasentava colla punta dei piedi. L'uomo che erasi
sentito resuscitare da morte a vita in ascoltare quell'ordine,
vedendosi ora così presso terra, che un poco più che si allungasse la
toccherebbe, per raggiungerla stiravasi da sè medesimo di tutta forza
e così per la speranza di finirli, accresceva nel più orribile modo i
suoi tormenti.
A vederlo sgambettare, il manigoldo schiattava dalle risa: l'istesso
signor giudice turava la bocca, perchè non gli scappassero: in fin che
l'altro, non potendo resistere a quel nuovo spasimo, domandò per amore,
per misericordia che lo calassero affatto, e avrebbe detto ogni cosa.
Di fatto confessò che era stato lui ad ammazzare sua moglie, perchè
n'era sazio, perchè rantolava sempre, perchè voleva torne un'altra;
insomma tutto quello che il signor giudice gli suggerì. Questi contento
della buona uscita del suo processo, buttò fuori la sua brava sentenza
con qualmente il reo fosse scopato e poi impiccato; e andò a desinare.
La giustizia, cioè il boja, venne subito da Milano, con un carro a
tiro a due, e suvvi ceppo, ruote, corde, tanaglie, un arsenale di roba
da mestiero; e a vedere e non vedere, ebbe piantata la forca sulla
piazza. Al domani tutto il paese, tutto il vicinato corsero in folla
per vedere castigare lo scellerato uccisore di sua moglie; e il boja
trattolo fuori di prigione, cominciava a scoparlo. Quand'ecco accorrere
una ragazza scarmigliata, ansante, pallida, contraffatta, sfondando la
folla e gridando come una indemoniata:
— È innocente; non ne sa nulla.
Tutti ravvisarono subito l'Agnese, e cominciò a levarsi un bisbiglio:
perchè sebbene l'uomo della Bia si trovasse sempre aver bevuto
davvantaggio, non si sapeva che avesse mai torto un capello a nessuno;
onde molti avevano penato a crederlo capace di tanto eccesso prima
che il signor giudice avesse proferita la sentenza. Proferita questa,
fu un altro cantare, perchè la sarebbe grossa che avesse a sbagliare
il giudice; e quando una cosa passò in giudicato, non se ne deve più
dubitare.
Ma allora udendo le parole dell'Agnese, cominciarono alzar la voce, e
corsero dal signor giudice e gli raccontarono l'occorrente.
Questi si trovò allora in un bel imbarazzo. Il processo era stato fatto
in tutte le regole; in tutte le forme data la sentenza; e poi, si sa, a
ciascuno piace esercitare la propria abilità. Perciò sulle prime egli
procurò di buttar per matta la ragazza e che intanto la condanna si
eseguisse; ma poi, sentendo il gridìo della gente, e massime le ragioni
del signor curato, ordinò che si sospendesse l'esecuzione. E udendo il
boja star di mal umore per aver fatto il viaggio per niente, gli disse:
— Colpa tua, dovevi sbrigarti più lesto.
Intanto la ragazza, e non fu bisogno di corda, spiattellò di punto in
punto tutta la storia, dalla morte di Sandro in avanti: visitata la
casa, si trovarono i panni sanguinati, si trovò il coltello. Figuratevi
che dire ne fu per il paese! Vi basti che fino il giudice pareva quasi
averle compassione e diceva che quanto a lui, non gli sarebbe importato
niente anche a salvarla. Ma il bianco sul nero c'è per qualche cosa, e
la legge canta: Chi ammazza muoja.
Il marito della Bia lo tennero un poco in prigione per aver deposto
il falso in giudizio, poi lo mandarono all'ospedale a guarir delle
storpiature; ed il boja tornò a consolarsi, perchè il giuoco che doveva
fare all'uomo lo fece all'Agnese.
— Povera ragazza! esclamano le fanciulle asciugandosi gli occhi.
— Povero suo padre! esclama un vecchio; e si fa attorno un silenzio
meditabondo. Questo silenzio pare a comar Giuditta il miglior elogio
che possa farsi al suo racconto, e però, dopo un pezzetto, ripiglia: —
Guarda mo! quell'acqua cheta, quella ragazza così florida, così bella,
chi l'avrebbe detto che aveva a finire così? E non è già questa una
pastocchia, ma un caso vero, quanto è vero che le comete annunziano
malanni. Il paese è qui dalle vostre parti, e mia madre aveva parlato
con delle vecchie che erano vive quando questo è accaduto. Imparate
dunque, o ragazze...
— A non chiudere l'amoroso nella cassapanca, l'interrompe la Savina;
e uno scroscio di risa universale tien dietro a quest'arguzia. Poi,
come, avanti giorno, un passero che cominci a zirlare basta perchè
sull'istante si sveglino tutti gli altri che dormivano, ed è uno
stormire, un cinguettìo, un frascheggiare di mille uccelli, così,
rotto l'incanto, si suscitano trenta voci discordi, che fitte fitte si
succedono, s'intralciano, s'interrompono. E l'una dice; — Oh! di queste
cose non ne succedono più; un'altra: — Ma che colpa n'aveva quella
povera zitella? la terza: — Per uno scappuccio, alla forca!
— Oh! soggiunge la morale Simona; ogni colpa è di sua madre, che
maltrattò quella strega, e per questo bisogna guardare a chi si fa del
male.
— Sapete che? salta su la Betta, quella tal sufficiente: La vera
ragione è che l'Agnese era nata sotto un cattivo pianeta.
Comar Giuditta prova e riprova di ricondur il silenzio, la meditazione
e tornar padrona della veglia per potere spacciar alquanto di quella
morale onde son piene le fosse: ma chi arresterà la girandola dopo
appiccata la scintilla? Cresce anche di più in più il bisbigliare, il
chiaccolare, che è una sinagoga; finchè nel lucerniere si pianta il
gancetto d'un lumuccio a mano, fioco siccome quello che si accende ai
morti; e la Savina, non senza un'occhiata al suo giovinotto, con voce
viva da passare il tetto, comincia a cantar allegramente _Mamma mia,
non mi sgridate_: tutte le altre le si accordano; e lo spavento col
quale la comare sperava d'aver fatto più frutto che un padre delle
missioni, si dilegua in un vivace biscantare.
Così la sinfonia che accompagnò al cimitero un soldato estinto, con
flebile armonia da mettere l'angoscia nel cuore, non appena è gettata
sul cadavere la terra, intuona una coraggiosa marciata, che dissipa la
melanconica impressione, quasi sia troppo il continuare più di mezz'ora
la compassione all'uomo, il cui mestiero è il patimento e la morte.
1834.
FINE.
NOTE:
[1] Schiaccerà la tua testa.
[2] Il Signore dal cielo in terra guardò, per udir i gemiti degli
incatenati, per sciorre i figliuoli degli uccisi.
[3] I sacerdoti si astengano da cacce, uccellagioni, taverne, danze e
giuochi.
[4] Vidi l'empio innalzato e sublimato più che i cedri del Libano;
ripassai, ed ecco più non v'era.
[5] Dall'inferno esclamai, e tu, Signore, ascoltasti la voce mia.
[6] Per intendere queste e le precedenti allusioni, bisogna ricordare
che questa novella ed altre delle seguenti furono scritte in prigione
di Stato.
[7] Come dileguasi la cera al fuoco, tal periscano i peccatori dalla
faccia di Dio, ed i giusti banchettino ed esultino in allegrezza.
_Salmo_ LXVII.
[8] Vedi l'aggiunta dopo questa novella.
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- Büleklär
- Novelle brianzuole - 1Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4372Unikal süzlärneñ gomumi sanı 196634.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 2Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4522Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188036.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 3Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4430Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194634.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 4Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4535Unikal süzlärneñ gomumi sanı 189035.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 5Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4490Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194935.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 6Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4572Unikal süzlärneñ gomumi sanı 203232.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 7Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4373Unikal süzlärneñ gomumi sanı 195734.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 8Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4396Unikal süzlärneñ gomumi sanı 200431.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 9Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4738Unikal süzlärneñ gomumi sanı 179335.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Novelle brianzuole - 10Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4215Unikal süzlärneñ gomumi sanı 162736.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.