Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 2
Süzlärneñ gomumi sanı 4657
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1859
36.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
52.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
59.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
scusa onesta. Bisogna dire, che il coraggio sia come la fede la quale ti
casca addosso quando te l'aspetti meno: conciossiachè questo non tolse
che il signore Avvocato non diventasse a suo tempo uno dei più feroci
bociatori: _fuori barbari_, che intronassero le orecchie di Italia.
Mancato Achille, i convenuti per la meno trista confidarono il carico
della impresa al Guerrazzi, ed egli lo accettò perchè ci si correva
pericolo; egli pertanto nottetempo corse a Pistoia, Prato, Pescia,
Lucca, Pisa e Livorno; quivi per interposta persona acquistò fucili, e
provvide spedirli a Firenze, ingannate le guardie; al punto stesso
inviava il suo fratello Temistocle a Empoli a pigliare la moneta fornita
dai Fiorentini.--Come la trama rimanesse sconcertata per colpa del
Libri, e di altri parecchi, mi astengo raccontare; questo vo' che si
sappia, che alla notizia del caso, il Guerrazzi accorse a Firenze
tentando pertinacemente rannodare i fili tronchi. Se sguinzagliati
dietro a lui lo cercassero gli sbirri lascio immaginarlo a voi, ma non
giungevano a mettergli le mani addosso; mutando egli ad ogni ora di
vesti, e di luogo, e dormendo sul nudo terreno; anzi una notte fino per
le scale del Liceo Candeli. Mirabile a dirsi! Un mercante livornese G.
A. Prinoth e nè manco dei più benevoli al Guerrazzi, saputo il pericolo
del giovane si recò a Firenze dove tenuta una carrozza di posta pronta a
partire fuori di porta romana riuscì a parlargli, gli fece toccare con
mano, che per allora egli era come un dare le capate nel muro, e lui
reluttante invano menò seco a Livorno. Il Governo cui per la paura
battevano ancora i denti si contentò di confinare il Guerrazzi dentro le
cerchia delle mura, e sottoporlo al precetto di ridursi alle
ventiquattro ore a casa. D'allora in poi il Guerrazzi prese l'abitudine
di ritornarci a mezzanotte sonata. Intanto esulava il Mazzini, e a
Marsiglia instituiva la setta famosa col nome di _Giovane Italia_; in
oltre egli stampava un giornale a cui dovevano comparire sottoscritti
tutti i componenti la setta. E si giocava di teste! Al Guerrazzi egli
rese questo bel servizio, che nel primo fascicolo della Giovane Italia
stampò senza licenza, anzi senza neppure consultarlo (ed egli stesso
nella prefazione lo dice) il suo scritto sopra Cosimo Del Fante generale
livornese, che gli avea fruttato sei mesi di confino. Non per questo il
Guerrazzi ricusò sovvenire al Mazzini, come a qualunque altro operasse
virtuosamente in pro della Patria, ma non a modo di settario, bensì
libero di fare, o di astenersi secondochè giudicasse spediente. Per
quanto io sappia dalla penna del Mazzini non uscirono mai parole in
detrimento della fama del Guerrazzi; non così i suoi partigiani che a
Londra e a Genova ne levarono i pezzi; ma il Guerrazzi longanimo così
allora sentiva, ed oggi sente del Mazzini:--quante volte ricordo il
giovane genovese, che nei giorni di angoscia, e di lutto non sapeva
darsi pace, che il fuoco della libertà fosse spento in Italia, e lo miro
con la fede degli apostoli, e la religione dei martiri cercarlo per le
tombe dei morti, ed in cotesti tempi più difficile assai nel cuore dei
vivi, e avvivarlo, mantenerlo, poi metterlo a sventolare sul candelabro,
io lo riverisco come Dio, e mi ami o no io non rinnego mai Dio. Perchè
non durò egli sempre nell'aere puro dei principii? Finché l'amore di
Patria fu religione soltanto egli ne apparve degno sacerdote; un giorno
però la libertà diventò impresa da combattersi in guerra, e partito da
discutersi nei parlamenti, o nei consigli dei principi, allora il
pertinace ligure, pare a me, si mostrasse impari a se stesso, o pagando
il tributo alla umana nostra debolezza tanto più presumesse comparire
capace quanto più si sentiva ignaro delle arti di milizia, e di governo.
Gli Americani dettero sepoltura onorata alla gamba, che il generale
Arnold perdeva pugnando per la Patria, il rimanente di lui (poichè si
fece traditore) consacrarono alla infamia; ora qui non si tratta di
traditore, Dio grazia, nè di tradimento, bensì di gesti operati bene,
altri meno bene, ed anche taluno per avventura male per la Patria, però
sempre con generoso intendimento. Perchè dunque e come i disonesti
vituperii? Perchè nel paese ove nacque più rabbiosamente che altrove si
lacera? Perchè i generosi suoi conterranei lo soffrono? Certo la lingua
turpe fa prova della turpitudine di chi parla; ma per isventura
testimonia ancora della vulgarità di cui ascolta. Perocchè come nelle
città bene ordinate gli ufficiali preposti alla salute pubblica
ricercano i cibi malsani, e quelli trovati buttano in mare, perchè gli
uomini, cibandosene, non intristiscano i corpi, così la urbanità ha da
pigliarsi il carico di raccogliere gli scritti disonorevoli, e buttarli
via affinchè non intristiscano gli spiriti. Studino soprattutto gli
Italiani a mondarsi del vizio della ingratitudine, conciossiachè la
esperienza abbia fatto toccare con mano, che i popoli ingrati se liberi,
sono alla vigilia di diventare schiavi, e se schiavi bisogna, che
depongano la speranza di mai più rivendicarsi in libertà.--E a me
Piovano questo sembra un favellare da uomini di cuore e di cervello
sani.
Andati anco per questa volta a male i casi delle Romagne, nello intento
di tornare da capo gli operatori di quelli rifuggivano in Toscana; i
più, popolo, non avevano a temere altro, che andare in prigione, d'onde,
dopo avere patito di ogni ragione disagi, erano cavati fuori per essere
sbalestrati in altre terre con la intenzione del villano che sterpa la
cicuta dal suo campo e la scaraventa sul campo del vicino.--Al Piovano
piace sapere, che se non unico, certo operosissimo ed animoso
soccorritore di questi mal capitati fosse il Guerrazzi; nè Livorno solo
potendo sopperire a tanta spesa, vi sopperirono Pisa, Lucca, Firenze,
Pistoia, Siena e Montepulciano insieme con Arezzo. Andava a cotesti
giorni famoso per infelice celebrità un commissario di polizia Manetti
di concetti bestiale, ma di modi anco più; costui recandosi nelle
carceri a tormentare dove il Guerrazzi recavasi a consolare lo
incontrava spesso con suo infinito disgusto, onde un giorno si attentò
fargli una bravata da mandar giù porta San Friano; il Guerrazzi stette a
udirlo fino in fondo, e poi gli disse:--Non ci bisticciamo, commissario;
voi fate la vostra parte, io la mia, e mi sembra che fra noi non avesse
a entrarci invidia, perchè tanto io la parte vostra non saprei fare, nè
voi, vedete, la mia.--E poichè da una carcere, che ha la porta su le
scale della fortezza vecchia uscivano voci di minaccia, e preghiere, e
gemiti, il Guerrazzi tanto disse, così con le persuasioni raumiliò
cotesta bestia, che si arrese a farla aprire. La carcere non aveva altra
apertura, eccetto la finestrina sopra la porta, sicchè n'eruppe una
frotta piuttosto di larve, che di persone, per fame, per febbre, per
vigilie e per difetto di vivido aere estenuate: fra queste il Guerrazzi
riconobbe l'Anfossi di Taggia allevato a Roma, anima leonina, ingegno
sovrumano, spirito irrequieto a cui se fossero stati più benigni od anco
meno rei gli uomini e i tempi, oggi la corona della gloria italica
andrebbe splendida di una gemma di più.--Non ad altro scopo, che per
avere un testimonio credibile, io Piovano ricordo il signore Eugenio
Alberi il quale albergato, giusta il costume del Governo toscano, nelle
carceri di fortezza vecchia, chiamò e non invano il Guerrazzi per le
occorrenze necessarie alla condizione a cui si trovava ridotto.--Altri
poi minacciava più fiera burrasca; chè si perseguitavano, cercavansi, e
ponevasi sul capo loro la taglia; di questi il comandante delle guardie
nazionali di Bologna; un tempo lo custodirono fra le montagne di
Pistoia; disperati poi di poterlo più oltre tenere con sicurezza i
Pistoiesi si volsero a Livorno, ed appuntarono lo avrebbero in certa
notte condotto travestito da donna in carrozza presso alla barriera
fiorentina dove è la forca di cui un braccio mette alla barriera,
l'altro fa capo alla porta San Marco. In cotesta sera il mio amico
vestito a gala si recò al teatro, e fece vedersi in più palchi; ad un
tratto se la svigna e arriva alla posta dove non mirando nessuno si
accoccola dentro la fossa di un campo, e quivi sta lunga ora, finchè non
arriva la carrozza: scambiatisi i segni, fa scendere il travestito, ed
ordina la carrozza continui il cammino per la barriera, egli si mette
per la via erbosa, ed introduce il proscritto in città. Fin qui la
faccenda procedeva a pennello; adesso era mestieri nasconderlo e
salvarlo. Il Guerrazzi lo mena a casa di certo amico, che abitava in
parte remota della città, questo amico chiamavasi Alessandro Nardi, e
credo sia anche vivo, almeno io Piovano finchè stetti di là non lo vidi
fra i morti... è vero, che io Piovano pigliava il fresco passeggiando
per le fornaci del purgatorio, ed egli potrebbe essere andato in
paradiso; ma non mi pareva uomo da andarci così di punto in bianco.
Basta tutto è possibile alla misericordia di Dio! L'amico non era mica
avvertito di niente; ma per cuore livornese non ci ha mestieri avviso a
fine di indurlo ad operare da uomo; lo nascose, lo albergò, gli fu
cortese di amorosa accoglienza. Il giorno appresso il Guerrazzi provvide
alla partenza di lui per la Francia, agevole incarico mercè gli aiuti di
Aristide Ollivier raccomandatario dei piroscafi francesi amico suo; e
verso sera il proscritto travestito da capo da acquaiolo col suo
cerchio, e le sue brave brocche pendenti dalle spalle seguitando da
lontano una scorta se ne andò fino alla fonte della darsena dove posati
il cerchio e le brocche, come è uso di cui arriva tardi per aspettare la
volta, si accostò alla barca, dove entrato di acquaiolo tramutavasi in
barchettaiolo, e preso come gli altri un remo si condusse a bordo del
_Sully_ mandando un diluvio di benedizioni a Livorno.--Se io le avessi a
contare tutte, farei una Bibbia; pure anche per una io vo' che me lo
consentiate, perchè ecco in questo la vo' spuntare, che intendo chiarire
come gli anni molti che passai la prima volta nel mondo, e i _tre_ che
ci vissi la seconda che ci ritornai non me li sono giocati a carte, e i
buffali sopra la neve li so distinguere anch'io--La contessa Barbara
Peretti è madre di quella bella ed onorata famiglia Fabbrizi, che
congiurò tutta contra il Duca di Modena assieme a Ciro Menotti, e si
trovò tutta a combattere in casa sua la notte ch'ei fu preso; andava
composta allora di quattro fratelli; due adolescenti; ma l'amore di
patria, e i feroci propositi non germogliano nei petti italiani con la
ragione del calendario. La madre dopo la catastrofe si dava a cercare i
corpi dei figli, chè, poveretta! li credeva morti; a caso rinvenne Luigi
vivo, e a mo' di colomba spaventata venne con ale tese a porlo in salvo;
lo istinto materno la persuase a commetterlo in braccio al Guerrazzi. O
Francesco Domenico ben puoi essere contento di questo; la fede che senza
conoscerti pose in te la madre derelitta ti fa più chiaro assai di
qualunque panegirico, fosse anco del Bossuet, che noi preti salutiamo
per aquila. Il Guerrazzi lo tutelò dagli sbirri; ci si pose con le mani
e coi denti; promise non sarebbe andato in prigione, e non ci andò; in
questo gli valse la benevolenza del Marchese Garzoni Venturi governatore
di Livorno, il quale:
_Fu un fior di galantuomo pei suoi tempi_
come disse il Caporali di Mecenate. Però la sera fu forza mettersi in
mare, e il tempo volgeva alla burrasca, il sole si tuffava infocato,
l'aria incupiva ogni momento più; il giovinetto bellissimo portava un
berretto vermiglio alla greca, e i capelli proprio d'oro schietto gli
fremevano ventilati dietro le spalle. Un marinaro livornese nel vederlo
non potè frenarsi dal dire: «Dio salute! a considerare che questo bel
sangue se ne ha da ire fuori di casa mi crepa dentro il cuore!» Nè sole
le persone, ma carte private e pubblici documenti di suprema importanza
si confidarono nelle mani del Guerrazzi affinchè li serbasse, e gli
spedisse; tra gli altri conservò parecchio tempo i fogli spettanti
all'avvocato Vicini che fu presidente di Bologna; io so, ch'essendo
aperti, ei li lesse, e vi trovò cose di cui egli intende ragionare a suo
tempo a modo, e a verso per ammaestramento dei suoi compatriotti.
Adesso torno al Mazzini, che incocciato nella impresa della Savoia
chiedeva da tutte parti denari; e non importa dire se ne cercasse a
Livorno: il Guerrazzi opinò non si mandassero, perchè un moto predicato
da per tutto, conosciuto da quante erano polizie nella Europa, per
sorpresa non si poteva operare; alla scoperta, capire egli benissimo che
delle cose umane una parte e grande doveva commettersi alla fortuna,
massime nelle manesche; pure chiarire follìa questo buttarsi allo
sbaraglio con forze tanto dispari, anzi senza forze contro un nemico
armato di tutto punto, e che ti aspetta. Gli contradisse il Signor
Pietro Bastogi, che poi mutata fede fu banchiere della Restaurazione, e
cavaliere di san Giuseppe, e per ultimo dai nostri Caporali del _giorno
di oggi_ promosso a consigliere, quando essi mescolando insieme le
lesine con le mannaie crearono quella famosa consulta sigillo piccolo,
come l'Assemblea parve poi sigillo più grande dei partiti presi dai
prelodati signori Caporali. Tuttavolta i denari furono spediti, ed ecco
come. Il Governo in aspettazione di qualche sobbollimento mise le mani
innanzi, e fece una giacchiata alla cieca di quelli che avevano nome di
liberali in Toscana; chi veniva veniva, che quando si tratta di
agguantare non si bada tanto al minuto secondo la pratica di ogni
Governo, che ricevutala dal precedente tale e quale la consegna al
successore. Ora menerebbe troppo per le lunghe ricordare tutti i
prigioni; ci fu un Venturi, un Contrucci, un Boddi, un Vaselli, un
Agostini, Angiolini, Bini; del Guerrazzi non se ne parla nè manco, e con
altri un tale, che immemore di ogni dignità teneva perpetuamente in
mostra la sua faccia di plenilunio malato di febbre maremmana alla
finestra della prigione, e con le manacce coperte di guanti gialli
reggendo l'occhialetto sbirciava le donne recantesi a passeggiare al
molo di Livorno. Le donne in passando guardavano i mascheroni di bronzo
murati a fior di acqua della Fortezza vecchia e poi lui; e i mascheroni
di bronzo parevano loro più belli, e soprattutto più utili, però che
essi con la campanella in bocca agguantavano le navi, ed egli non
agguantava nulla, nemmeno le mosche. I quattro ultimi rammentati furono
spediti a Portoferraio. Il Guerrazzi sapendo come Napoleone I ci avesse
lasciato parte della sua biblioteca, chiese, ed ottenne che gliene
facessero copia come a Montepulciano il vescovo Nicolai gli aveva aperto
la sua, e a Portoferraio come a Montepulciano si mise a studiare libri
di ogni generazione, massime storici, e politici con tale un ardore, o
piuttosto furore, che a taluno parve poterlo battezzare col nome di
_fame canina_. Lì pure compose l'_Assedio di Firenze_; e il forte della
Stella può vantarsi di avere fra le sue mura visto sorgere il poema
sacro alla rigenerazione italiana.--Pei vani conati del Mazzini
perpetuamente conducenti al patibolo i più generosi, stavano gli uomini
sbigottiti, e la lucerna, se non appariva spenta, aveva affiochita la
luce, e di molto: a infonderci nuovo olio il Guerrazzi e gli amici suoi
divisarono stampare l'_Assedio di Firenze_, ma dove? In Italia non
bisognava pensarci nè anche: mandarono a Parigi, lo stamparono a proprie
spese, e questo libro, che arricchì molti stampatori, costò agli amici
del Guerrazzi e a lui 14,000 lire. Di coloro, che contribuirono alla
spesa, giovi al Piovano ricordarne due, uno il signor Pietro Bastogi,
allora amico del Guerrazzi, ed il signor Aristide Ollivier fratello di
Demostene, esule illustre a Firenze, e zio di quell'Emilio, che a Parigi
nel Parlamento è tanta speranza dei confessori della libertà di Francia.
Famiglia inclita nelle lotte della libertà è questa degli Ollivier, la
quale sempre sacrificandosi, e sempre moltiplicandosi non ha nella
storia chi la rassomigli, se forse non è quella dei Fabii di
Roma.--Gatti affamati non dettero mai così ardente caccia ai topi, come
le polizie di tutti i paesi si arrabattavano dietro all'_Assedio di
Firenze_, ed egli a modo della verbena si distese per tutta Italia da
Ciamberì fino a Trapani. Contro il Guerrazzi processi, perquisizioni e
molestie, che rinnovaronsi poi quando scopersero il manoscritto sepolto
nello studio del suo fratello Temistocle.
Molti, anzi infiniti, il Guerrazzi ebbe a patire disagi corporali, nè lo
domarono; i perpetui travagli dell'animo alla perfine lo vinsero, ed ei
giacque infermo tre anni, quando più quando meno, della trucissima fra
tutte le malattie, il tic doloroso del capo. Qui fu che, visitato dal
professore Matteucci, a lui che lo confortava a ridursi a più tranquilla
vita accettando una cattedra nel pisano Ateneo, egli rispondeva: un
giorno avergli sorriso questo concetto; adesso troppe ingiurie essere
corse fra il Governo, e lui perchè potesse compiersi senza scapito della
reputazione di ambedue: del Governo come quello, che male si sarebbe
creduto averlo comprato, suo, come quello, che peggio lo avrebbero
reputato venduto.--E pure da ciò trasse argomento un gentiluomo
cristiano per maculare la fama del Guerrazzi apponendogli per lo appunto
il contrario di quanto egli aveva operato; e quando? Quando egli
tradito, e oppresso, logorava la sua vita in quinquennale carcere
contendente il capo a suprema accusa, circondato da milizie, o piuttosto
da belve tedesche! E il sor Filippo Gualterio si vanta, ed è caporale
dei moderati. Dio ci scampi da questa razza moderati! Se tali opere
persuade loro la temperanza, che cosa possa insegnar loro la scapigliata
ferocia io non so davvero. Il signor Matteucci, non curata la tristizia
dei tempi, richiesto attestò vero il dire del Guerrazzi, calunnioso il
Gualterio. Certo il signor Matteucci va chiaro per la sua molta sagacità
nelle scienze fisiche, un po' meno per le politiche; ma il Piovano va
errato, o giudica, che un dì presso i Toscani _svegliati_, più delle
legazioni, delle commessarie, delle senatorie, delle cavallerie, delle
sue stesse sperienze su la torpedine gli meriterà affetto questa lettera
dettata generosamente in difesa di uomo generoso che i nemici suoi non
contenti di condurlo a morte, s'industriavano coprirlo d'infamia, ch'è
la morte dell'anima. Queste cose si sono viste nella civile Toscana! E
non pure viste ma tollerate; e non pure tollerate, ma sì per vergogna
immortale, celebrate e difese.
A me piace il Guerrazzi quando pertinace nel 47 negò fede al
risorgimento italiano per virtù del Papato: prete sono, sicchè come
Catone so in quale parte mi stringa la scarpa.
Il Guerrazzi, ingegno educato alle dottrine della scuola italiana, non
si adattava alle scapestrate fantasie del Gioberti cui pareva mosso
piuttosto da voglia ambiziosa di comparire nuovo, che da studio di
essere vero. Ad ogni modo quei suoi ragionari alla rinfusa gli facevano
l'effetto di ondate, che rompessero contro le severe e lunghe
meditazioni della scuola italiana. Gli è fiato perso; il regno di Cristo
non è di questo mondo. Gesù lo ha detto, e gira, e rigira, ci si
arrabattino attorno scribi, e farisei, argomentino furibondi e
contumeliosi, ovvero pacati ed urbani, la messa tornerà sempre a
mattutino; quanto più accosterai la Chiesa alla terra, tanto la
dipartirai dal paradiso.--Io l'ho da dire? il risorgimento italiano
promosso da Roma mi ebbe l'aria di flauto sonato da chi non sa pigliarne
la imboccatura.--Misericordia pei poveri orecchi! Però se il Guerrazzi
avesse in uggia le riforme non è a dirsi nemmeno. Le sono lustre per
parere, egli diceva; il pecorume se ne stizziva, ed egli lo gridava più
forte, che mai, e riducendola ad oro egli argomentava:--Con le riforme
torrete voi la potestà mondana al papato? Con le riforme torrete voi
dagli ugnoli dello Imperatore di Austria la Italia? Non le torrete. Se
durano Roma e Vienna, le riforme o mirano a cosa, che importi o a
bagattella; nel primo caso, non isperate che ve le lascino condurre non
che a fine, a mezzo. Credete voi, grulli! di gabbare Roma e Vienna
mettendo loro il diavolo in corpo, senza che se ne avvedano? Se le
approdano a bagattelle, o uomini moderati, pigliatevi i giocattoli di
Norimberga per divertirvi, non le vite, e non i cuori dei popoli. Il
popolo non è pargolo, che lo possiate tenere fasciato con le manine
dentro, e il cercine in capo; il popolo come un _forte inebriato, che si
desta dal sonno_, se lo toccate, assorgerà gridando: _armi!
libertà!_--Se questo presagite; se a questo voi vi apparecchiate; o se
questo confidate con ogni supremo sforzo conseguire, leviamoci col nome
santo di Dio, che perdere non potremo; imperciocchè morire in tale
impresa non hassi a reputare perdere.--Affermarono, che il signor Neri
Corsini domandasse _primo_ a Leopoldo lo Statuto, ed è vero; però primo
a domandarglielo in _Corte_, ma non per proprio moto, e dopo, che il
Guerrazzi aveva domandato, presente il signor Corsini, per parte del
popolo in _piazza_, e questo confessa il medesimo signor marchese a
parole da speziale nella lettera, che scrisse al conte Pietro Ferretti.
Accusarono allora i moderati, e più ardenti, che mai rinnovano l'accusa
adesso (perocchè sperino poterlo fare a mano salva) avere il Guerrazzi
sommosso il popolo ai disordini. Si potrebbe contrapporre, perchè noi lo
abbiamo letto, e per testimonianza universale si conferma, che primi a
chiamare il popolo a parte delle faccende politiche furono i moderati:
certo essi chiedevano coppe e venne loro risposto bastoni, ma tanto è
eglino e non altri implorarono primi aiutatore il popolo. Opera dei
moderati da principio la stampa clandestina, e lo incessante aizzare
contro il governo:--Voi agitate in _Città_, scriveva il sig. Ridolfi al
sig. Montanelli, io agiterò in _Corte_.--Io non riprendo per questo il
sig. Ridolfi; solo noto, che _in foro coscentiae_ questa parte a lui aio
del Principe non istesse a capello, ma _transeat_. Bensì mi tocca ad
appuntarlo di questo altro, che l'agitazione gli piacque, finchè non
ebbe spinto lui al ministero; allora poi volle licenziarla, come se
fosse la serenata, che costuma sotto le finestre delle case dove fu
battezzato il bimbo. Pareva al sig. Ridolfi, che, lui ministro, la
Italia avesse ad essere contenta, e ce ne fosse d'avanzo; la Italia non
se ne contentò ed ebbe il torto, secondo lui; però mettete in salvo
questo, che il marchese Ridolfi portato ministro non chiese lo Statuto,
e mi farei coscienza affermarlo, se non lo dicesse proprio _lui_ nel
decreto col quale egli, e i colleghi suoi dopo avere fatto per prima
cosa uomo grande il marchese di Laiatico, per la seconda lo mandano a
dormire in Santa Croce.
Però, vedete, l'agitazione popolare non uscì da questo, nè da
quell'altro uomo; tanto è vero, che Pio IX l'attribuì addirittura alla
Provvidenza; nè fino da quel tempo doveva parere lieve, dacchè egli la
paragonasse niente meno che alla voce di Dio, la quale _schianta la
quercia_! Poveri noi se gli venisse in capo di fare un po' di
conversazione col genere umano!--Per me giudico tale insania appuntare
il tale, o tal altro dei moti del 47 e degli anni successivi, che
dichiaro alla ricisa non potere capire in cervello umano, bensì la
reputo una delle tante stramberie di partito con le quali i moderati,
giovandosi della temperie che corre, s'industriano abbindolare il popolo
dandogli ad intendere, secondo l'usanza vecchia, lucciole per lanterne.
Andavano in volta grandi reami, e antiche signorie, come foglie di
castagno a mezzo decembre, per tutta la Europa, e voleva tenere ferma la
Toscana?--Cause di rivoluzione queste: i popoli smaniosi, da un lato, di
mutare gli ordini odiati; i principi non meno smaniosi, dall'altro, di
conservarli intatti; e non potendo in cotesto punto con la forza si
schermivano con le arti; se i ministri condotti al governo dal voto
popolare reggevano il sacco si dava loro l'_osculum pacis_, se non lo
reggevano si baciavano sempre, ma col bacio di Giuda.
Di qui un tira tira, uno strappa strappa, per cui taluno ebbe a
paragonare festosamente il governo toscano alla gallina pelata viva; a
questo modo gli ordini vecchi disfatti, non costituiti i nuovi, il
governo caduto in abbiezione, senza un concetto su cui fare fondamento,
senza un aiuto al quale potersi appoggiare; chi possiede grano di sale
non pure non ha a maravigliare se disordini avvenissero, bensì se non ne
accaddero maggiori. E poi ci era la faccenda delle armi, imperciocchè il
Governo non credesse possibile la guerra, e caso mai scoppiasse non la
voleva fare. I tumulti di Livorno nel principio del 48 derivarono
appunto dalle armi; chiedeva il popolo schioppi, e il governo li
prometteva a tutti, poi si atterriva, e armeggiava.--Ora il governo si
riprometteva non darne punti; pure se avesse avuto intenzione di darne
parte avrebbe dovuto dire: «che il popolo si armi sta benone; ma alla
rinfusa no»--poi ordinato con largo istituto la milizia cittadina questa
armare nei modi convenienti.--Il popolo scarrucolato dette di fuori;
irruppe in violenze, e peggio, e fu allora, che il Guerrazzi _chiamato
dal Governo_ si adoperò a sedare gl'infelloniti e ci riuscì. Se rimase
nella commissione per lo armamento ci stette per _preghiera del
Governo_, e come il signor Ridolfi mostrava il viso dell'uomo di arme
Celso Mazzucchi, che in ogni sua fortuna si mantenne onesto, si partì da
Livorno per farlo capace. Ond'è, pertanto, che il signor Ridolfi non
pose fede nel signore Mazzucchi magistrato, e persona dabbene? A me
Piovano non importa indagarlo. Fatto sta, che il signor Ridolfi
proconsole con pieni poteri accompagnato da molte armi venne in Livorno,
dal balcone sparse fogliolini stampati al popolo;--_confetti parlanti
ferocia e menzogna secondo il solito contro il Guerrazzi_; sorsero su
predicatori per tutti i canti predicando come codesta belva volesse
saccheggiare ed ardere la Patria.... e il popolo se la bebbe. O
popolo!... O popolo!..., O popolo!....
Un esercito, proprio un esercito (si conta fossero 4,000 uomini) andò ad
arrestare il Guerrazzi, che avvisato in tempo ordinò le porte del
palazzo si tenessero aperte; fu preso, gittato sul vapore, e
_incatenato_...--Queste catene gli tolse dalle mani un
carabiniere--facendo prova da non dimenticarsi giammai come un
carabiniere possedesse il pudore, la carità, e la giustizia che
mancavano a un moderato[1].
¹ Bisogna avvertire che quando il carabiniere venne per mettere
i ceppi alle mani al Guerrazzi (cosa, si ripete, che mai osò
veruno sbirro in Toscana) egli disse prima: «Caporale è zelo
vostro od ordine ricevuto:» e quegli: «ma che le pare! è proprio
del signor Ministro.» Intanto sopraggiunto il Comandante del
Porto, signor Bargagli, visto il turpe atto, si mise a piangere
di rabbia ed ordinò si levassero le catene; non l'obbedirono
paurosi di trasgredire agli ordini del Ministro.--Avvertasi,
inoltre, che su i bastimenti da guerra, mentre si naviga,
tolgonsi i ferri ai prigionieri, perchè in caso di sinistro si
possano salvare. Il signor Ridolfi ordinava si facesse alla
rovescia.
Chiuso in carcere, e calafatata ogni fessura donde non che la voce, ma
il fumo non uscisse, la canatterìa dei moderati incominciò la sozza, e
rea persecuzione delle calunnie che o non mai fu vista più oscena al
mondo, o che se mai venne superata la superarono i moderati
adesso.--_Patria, Corriere, Italia_, tutti addosso; e questo due volte
per opera, e virtù del signor Giorgino; che a lacerare un meschino
_sotto giudice_, pendente il giudizio, non _isveniva_; a corrompere la
mente del giudice, a pervertire la opinione pubblica e gittarla come
calce viva sul misero col frenello alla bocca non _isveniva_ il
Giorgino; bensì sveniva sponendo il voto dell'Assemblea toscana di
unirsi al Piemonte dove non parve ci fosse materia di svenimento
davvero; non è egli tenerone di fibra il signor Giorgino? Sapete voi
come queste diavolerie si conchiudessero? Non volendo il Guerrazzi
uscire di prigione se non erano solennemente smentite dal Governo le
calunnie, il Granduca nel 22 marzo 1848 emanò un rescritto col quale,
dopo avere detto, che gli _atti obiettati al Guerrazzi si riducevano ad
casca addosso quando te l'aspetti meno: conciossiachè questo non tolse
che il signore Avvocato non diventasse a suo tempo uno dei più feroci
bociatori: _fuori barbari_, che intronassero le orecchie di Italia.
Mancato Achille, i convenuti per la meno trista confidarono il carico
della impresa al Guerrazzi, ed egli lo accettò perchè ci si correva
pericolo; egli pertanto nottetempo corse a Pistoia, Prato, Pescia,
Lucca, Pisa e Livorno; quivi per interposta persona acquistò fucili, e
provvide spedirli a Firenze, ingannate le guardie; al punto stesso
inviava il suo fratello Temistocle a Empoli a pigliare la moneta fornita
dai Fiorentini.--Come la trama rimanesse sconcertata per colpa del
Libri, e di altri parecchi, mi astengo raccontare; questo vo' che si
sappia, che alla notizia del caso, il Guerrazzi accorse a Firenze
tentando pertinacemente rannodare i fili tronchi. Se sguinzagliati
dietro a lui lo cercassero gli sbirri lascio immaginarlo a voi, ma non
giungevano a mettergli le mani addosso; mutando egli ad ogni ora di
vesti, e di luogo, e dormendo sul nudo terreno; anzi una notte fino per
le scale del Liceo Candeli. Mirabile a dirsi! Un mercante livornese G.
A. Prinoth e nè manco dei più benevoli al Guerrazzi, saputo il pericolo
del giovane si recò a Firenze dove tenuta una carrozza di posta pronta a
partire fuori di porta romana riuscì a parlargli, gli fece toccare con
mano, che per allora egli era come un dare le capate nel muro, e lui
reluttante invano menò seco a Livorno. Il Governo cui per la paura
battevano ancora i denti si contentò di confinare il Guerrazzi dentro le
cerchia delle mura, e sottoporlo al precetto di ridursi alle
ventiquattro ore a casa. D'allora in poi il Guerrazzi prese l'abitudine
di ritornarci a mezzanotte sonata. Intanto esulava il Mazzini, e a
Marsiglia instituiva la setta famosa col nome di _Giovane Italia_; in
oltre egli stampava un giornale a cui dovevano comparire sottoscritti
tutti i componenti la setta. E si giocava di teste! Al Guerrazzi egli
rese questo bel servizio, che nel primo fascicolo della Giovane Italia
stampò senza licenza, anzi senza neppure consultarlo (ed egli stesso
nella prefazione lo dice) il suo scritto sopra Cosimo Del Fante generale
livornese, che gli avea fruttato sei mesi di confino. Non per questo il
Guerrazzi ricusò sovvenire al Mazzini, come a qualunque altro operasse
virtuosamente in pro della Patria, ma non a modo di settario, bensì
libero di fare, o di astenersi secondochè giudicasse spediente. Per
quanto io sappia dalla penna del Mazzini non uscirono mai parole in
detrimento della fama del Guerrazzi; non così i suoi partigiani che a
Londra e a Genova ne levarono i pezzi; ma il Guerrazzi longanimo così
allora sentiva, ed oggi sente del Mazzini:--quante volte ricordo il
giovane genovese, che nei giorni di angoscia, e di lutto non sapeva
darsi pace, che il fuoco della libertà fosse spento in Italia, e lo miro
con la fede degli apostoli, e la religione dei martiri cercarlo per le
tombe dei morti, ed in cotesti tempi più difficile assai nel cuore dei
vivi, e avvivarlo, mantenerlo, poi metterlo a sventolare sul candelabro,
io lo riverisco come Dio, e mi ami o no io non rinnego mai Dio. Perchè
non durò egli sempre nell'aere puro dei principii? Finché l'amore di
Patria fu religione soltanto egli ne apparve degno sacerdote; un giorno
però la libertà diventò impresa da combattersi in guerra, e partito da
discutersi nei parlamenti, o nei consigli dei principi, allora il
pertinace ligure, pare a me, si mostrasse impari a se stesso, o pagando
il tributo alla umana nostra debolezza tanto più presumesse comparire
capace quanto più si sentiva ignaro delle arti di milizia, e di governo.
Gli Americani dettero sepoltura onorata alla gamba, che il generale
Arnold perdeva pugnando per la Patria, il rimanente di lui (poichè si
fece traditore) consacrarono alla infamia; ora qui non si tratta di
traditore, Dio grazia, nè di tradimento, bensì di gesti operati bene,
altri meno bene, ed anche taluno per avventura male per la Patria, però
sempre con generoso intendimento. Perchè dunque e come i disonesti
vituperii? Perchè nel paese ove nacque più rabbiosamente che altrove si
lacera? Perchè i generosi suoi conterranei lo soffrono? Certo la lingua
turpe fa prova della turpitudine di chi parla; ma per isventura
testimonia ancora della vulgarità di cui ascolta. Perocchè come nelle
città bene ordinate gli ufficiali preposti alla salute pubblica
ricercano i cibi malsani, e quelli trovati buttano in mare, perchè gli
uomini, cibandosene, non intristiscano i corpi, così la urbanità ha da
pigliarsi il carico di raccogliere gli scritti disonorevoli, e buttarli
via affinchè non intristiscano gli spiriti. Studino soprattutto gli
Italiani a mondarsi del vizio della ingratitudine, conciossiachè la
esperienza abbia fatto toccare con mano, che i popoli ingrati se liberi,
sono alla vigilia di diventare schiavi, e se schiavi bisogna, che
depongano la speranza di mai più rivendicarsi in libertà.--E a me
Piovano questo sembra un favellare da uomini di cuore e di cervello
sani.
Andati anco per questa volta a male i casi delle Romagne, nello intento
di tornare da capo gli operatori di quelli rifuggivano in Toscana; i
più, popolo, non avevano a temere altro, che andare in prigione, d'onde,
dopo avere patito di ogni ragione disagi, erano cavati fuori per essere
sbalestrati in altre terre con la intenzione del villano che sterpa la
cicuta dal suo campo e la scaraventa sul campo del vicino.--Al Piovano
piace sapere, che se non unico, certo operosissimo ed animoso
soccorritore di questi mal capitati fosse il Guerrazzi; nè Livorno solo
potendo sopperire a tanta spesa, vi sopperirono Pisa, Lucca, Firenze,
Pistoia, Siena e Montepulciano insieme con Arezzo. Andava a cotesti
giorni famoso per infelice celebrità un commissario di polizia Manetti
di concetti bestiale, ma di modi anco più; costui recandosi nelle
carceri a tormentare dove il Guerrazzi recavasi a consolare lo
incontrava spesso con suo infinito disgusto, onde un giorno si attentò
fargli una bravata da mandar giù porta San Friano; il Guerrazzi stette a
udirlo fino in fondo, e poi gli disse:--Non ci bisticciamo, commissario;
voi fate la vostra parte, io la mia, e mi sembra che fra noi non avesse
a entrarci invidia, perchè tanto io la parte vostra non saprei fare, nè
voi, vedete, la mia.--E poichè da una carcere, che ha la porta su le
scale della fortezza vecchia uscivano voci di minaccia, e preghiere, e
gemiti, il Guerrazzi tanto disse, così con le persuasioni raumiliò
cotesta bestia, che si arrese a farla aprire. La carcere non aveva altra
apertura, eccetto la finestrina sopra la porta, sicchè n'eruppe una
frotta piuttosto di larve, che di persone, per fame, per febbre, per
vigilie e per difetto di vivido aere estenuate: fra queste il Guerrazzi
riconobbe l'Anfossi di Taggia allevato a Roma, anima leonina, ingegno
sovrumano, spirito irrequieto a cui se fossero stati più benigni od anco
meno rei gli uomini e i tempi, oggi la corona della gloria italica
andrebbe splendida di una gemma di più.--Non ad altro scopo, che per
avere un testimonio credibile, io Piovano ricordo il signore Eugenio
Alberi il quale albergato, giusta il costume del Governo toscano, nelle
carceri di fortezza vecchia, chiamò e non invano il Guerrazzi per le
occorrenze necessarie alla condizione a cui si trovava ridotto.--Altri
poi minacciava più fiera burrasca; chè si perseguitavano, cercavansi, e
ponevasi sul capo loro la taglia; di questi il comandante delle guardie
nazionali di Bologna; un tempo lo custodirono fra le montagne di
Pistoia; disperati poi di poterlo più oltre tenere con sicurezza i
Pistoiesi si volsero a Livorno, ed appuntarono lo avrebbero in certa
notte condotto travestito da donna in carrozza presso alla barriera
fiorentina dove è la forca di cui un braccio mette alla barriera,
l'altro fa capo alla porta San Marco. In cotesta sera il mio amico
vestito a gala si recò al teatro, e fece vedersi in più palchi; ad un
tratto se la svigna e arriva alla posta dove non mirando nessuno si
accoccola dentro la fossa di un campo, e quivi sta lunga ora, finchè non
arriva la carrozza: scambiatisi i segni, fa scendere il travestito, ed
ordina la carrozza continui il cammino per la barriera, egli si mette
per la via erbosa, ed introduce il proscritto in città. Fin qui la
faccenda procedeva a pennello; adesso era mestieri nasconderlo e
salvarlo. Il Guerrazzi lo mena a casa di certo amico, che abitava in
parte remota della città, questo amico chiamavasi Alessandro Nardi, e
credo sia anche vivo, almeno io Piovano finchè stetti di là non lo vidi
fra i morti... è vero, che io Piovano pigliava il fresco passeggiando
per le fornaci del purgatorio, ed egli potrebbe essere andato in
paradiso; ma non mi pareva uomo da andarci così di punto in bianco.
Basta tutto è possibile alla misericordia di Dio! L'amico non era mica
avvertito di niente; ma per cuore livornese non ci ha mestieri avviso a
fine di indurlo ad operare da uomo; lo nascose, lo albergò, gli fu
cortese di amorosa accoglienza. Il giorno appresso il Guerrazzi provvide
alla partenza di lui per la Francia, agevole incarico mercè gli aiuti di
Aristide Ollivier raccomandatario dei piroscafi francesi amico suo; e
verso sera il proscritto travestito da capo da acquaiolo col suo
cerchio, e le sue brave brocche pendenti dalle spalle seguitando da
lontano una scorta se ne andò fino alla fonte della darsena dove posati
il cerchio e le brocche, come è uso di cui arriva tardi per aspettare la
volta, si accostò alla barca, dove entrato di acquaiolo tramutavasi in
barchettaiolo, e preso come gli altri un remo si condusse a bordo del
_Sully_ mandando un diluvio di benedizioni a Livorno.--Se io le avessi a
contare tutte, farei una Bibbia; pure anche per una io vo' che me lo
consentiate, perchè ecco in questo la vo' spuntare, che intendo chiarire
come gli anni molti che passai la prima volta nel mondo, e i _tre_ che
ci vissi la seconda che ci ritornai non me li sono giocati a carte, e i
buffali sopra la neve li so distinguere anch'io--La contessa Barbara
Peretti è madre di quella bella ed onorata famiglia Fabbrizi, che
congiurò tutta contra il Duca di Modena assieme a Ciro Menotti, e si
trovò tutta a combattere in casa sua la notte ch'ei fu preso; andava
composta allora di quattro fratelli; due adolescenti; ma l'amore di
patria, e i feroci propositi non germogliano nei petti italiani con la
ragione del calendario. La madre dopo la catastrofe si dava a cercare i
corpi dei figli, chè, poveretta! li credeva morti; a caso rinvenne Luigi
vivo, e a mo' di colomba spaventata venne con ale tese a porlo in salvo;
lo istinto materno la persuase a commetterlo in braccio al Guerrazzi. O
Francesco Domenico ben puoi essere contento di questo; la fede che senza
conoscerti pose in te la madre derelitta ti fa più chiaro assai di
qualunque panegirico, fosse anco del Bossuet, che noi preti salutiamo
per aquila. Il Guerrazzi lo tutelò dagli sbirri; ci si pose con le mani
e coi denti; promise non sarebbe andato in prigione, e non ci andò; in
questo gli valse la benevolenza del Marchese Garzoni Venturi governatore
di Livorno, il quale:
_Fu un fior di galantuomo pei suoi tempi_
come disse il Caporali di Mecenate. Però la sera fu forza mettersi in
mare, e il tempo volgeva alla burrasca, il sole si tuffava infocato,
l'aria incupiva ogni momento più; il giovinetto bellissimo portava un
berretto vermiglio alla greca, e i capelli proprio d'oro schietto gli
fremevano ventilati dietro le spalle. Un marinaro livornese nel vederlo
non potè frenarsi dal dire: «Dio salute! a considerare che questo bel
sangue se ne ha da ire fuori di casa mi crepa dentro il cuore!» Nè sole
le persone, ma carte private e pubblici documenti di suprema importanza
si confidarono nelle mani del Guerrazzi affinchè li serbasse, e gli
spedisse; tra gli altri conservò parecchio tempo i fogli spettanti
all'avvocato Vicini che fu presidente di Bologna; io so, ch'essendo
aperti, ei li lesse, e vi trovò cose di cui egli intende ragionare a suo
tempo a modo, e a verso per ammaestramento dei suoi compatriotti.
Adesso torno al Mazzini, che incocciato nella impresa della Savoia
chiedeva da tutte parti denari; e non importa dire se ne cercasse a
Livorno: il Guerrazzi opinò non si mandassero, perchè un moto predicato
da per tutto, conosciuto da quante erano polizie nella Europa, per
sorpresa non si poteva operare; alla scoperta, capire egli benissimo che
delle cose umane una parte e grande doveva commettersi alla fortuna,
massime nelle manesche; pure chiarire follìa questo buttarsi allo
sbaraglio con forze tanto dispari, anzi senza forze contro un nemico
armato di tutto punto, e che ti aspetta. Gli contradisse il Signor
Pietro Bastogi, che poi mutata fede fu banchiere della Restaurazione, e
cavaliere di san Giuseppe, e per ultimo dai nostri Caporali del _giorno
di oggi_ promosso a consigliere, quando essi mescolando insieme le
lesine con le mannaie crearono quella famosa consulta sigillo piccolo,
come l'Assemblea parve poi sigillo più grande dei partiti presi dai
prelodati signori Caporali. Tuttavolta i denari furono spediti, ed ecco
come. Il Governo in aspettazione di qualche sobbollimento mise le mani
innanzi, e fece una giacchiata alla cieca di quelli che avevano nome di
liberali in Toscana; chi veniva veniva, che quando si tratta di
agguantare non si bada tanto al minuto secondo la pratica di ogni
Governo, che ricevutala dal precedente tale e quale la consegna al
successore. Ora menerebbe troppo per le lunghe ricordare tutti i
prigioni; ci fu un Venturi, un Contrucci, un Boddi, un Vaselli, un
Agostini, Angiolini, Bini; del Guerrazzi non se ne parla nè manco, e con
altri un tale, che immemore di ogni dignità teneva perpetuamente in
mostra la sua faccia di plenilunio malato di febbre maremmana alla
finestra della prigione, e con le manacce coperte di guanti gialli
reggendo l'occhialetto sbirciava le donne recantesi a passeggiare al
molo di Livorno. Le donne in passando guardavano i mascheroni di bronzo
murati a fior di acqua della Fortezza vecchia e poi lui; e i mascheroni
di bronzo parevano loro più belli, e soprattutto più utili, però che
essi con la campanella in bocca agguantavano le navi, ed egli non
agguantava nulla, nemmeno le mosche. I quattro ultimi rammentati furono
spediti a Portoferraio. Il Guerrazzi sapendo come Napoleone I ci avesse
lasciato parte della sua biblioteca, chiese, ed ottenne che gliene
facessero copia come a Montepulciano il vescovo Nicolai gli aveva aperto
la sua, e a Portoferraio come a Montepulciano si mise a studiare libri
di ogni generazione, massime storici, e politici con tale un ardore, o
piuttosto furore, che a taluno parve poterlo battezzare col nome di
_fame canina_. Lì pure compose l'_Assedio di Firenze_; e il forte della
Stella può vantarsi di avere fra le sue mura visto sorgere il poema
sacro alla rigenerazione italiana.--Pei vani conati del Mazzini
perpetuamente conducenti al patibolo i più generosi, stavano gli uomini
sbigottiti, e la lucerna, se non appariva spenta, aveva affiochita la
luce, e di molto: a infonderci nuovo olio il Guerrazzi e gli amici suoi
divisarono stampare l'_Assedio di Firenze_, ma dove? In Italia non
bisognava pensarci nè anche: mandarono a Parigi, lo stamparono a proprie
spese, e questo libro, che arricchì molti stampatori, costò agli amici
del Guerrazzi e a lui 14,000 lire. Di coloro, che contribuirono alla
spesa, giovi al Piovano ricordarne due, uno il signor Pietro Bastogi,
allora amico del Guerrazzi, ed il signor Aristide Ollivier fratello di
Demostene, esule illustre a Firenze, e zio di quell'Emilio, che a Parigi
nel Parlamento è tanta speranza dei confessori della libertà di Francia.
Famiglia inclita nelle lotte della libertà è questa degli Ollivier, la
quale sempre sacrificandosi, e sempre moltiplicandosi non ha nella
storia chi la rassomigli, se forse non è quella dei Fabii di
Roma.--Gatti affamati non dettero mai così ardente caccia ai topi, come
le polizie di tutti i paesi si arrabattavano dietro all'_Assedio di
Firenze_, ed egli a modo della verbena si distese per tutta Italia da
Ciamberì fino a Trapani. Contro il Guerrazzi processi, perquisizioni e
molestie, che rinnovaronsi poi quando scopersero il manoscritto sepolto
nello studio del suo fratello Temistocle.
Molti, anzi infiniti, il Guerrazzi ebbe a patire disagi corporali, nè lo
domarono; i perpetui travagli dell'animo alla perfine lo vinsero, ed ei
giacque infermo tre anni, quando più quando meno, della trucissima fra
tutte le malattie, il tic doloroso del capo. Qui fu che, visitato dal
professore Matteucci, a lui che lo confortava a ridursi a più tranquilla
vita accettando una cattedra nel pisano Ateneo, egli rispondeva: un
giorno avergli sorriso questo concetto; adesso troppe ingiurie essere
corse fra il Governo, e lui perchè potesse compiersi senza scapito della
reputazione di ambedue: del Governo come quello, che male si sarebbe
creduto averlo comprato, suo, come quello, che peggio lo avrebbero
reputato venduto.--E pure da ciò trasse argomento un gentiluomo
cristiano per maculare la fama del Guerrazzi apponendogli per lo appunto
il contrario di quanto egli aveva operato; e quando? Quando egli
tradito, e oppresso, logorava la sua vita in quinquennale carcere
contendente il capo a suprema accusa, circondato da milizie, o piuttosto
da belve tedesche! E il sor Filippo Gualterio si vanta, ed è caporale
dei moderati. Dio ci scampi da questa razza moderati! Se tali opere
persuade loro la temperanza, che cosa possa insegnar loro la scapigliata
ferocia io non so davvero. Il signor Matteucci, non curata la tristizia
dei tempi, richiesto attestò vero il dire del Guerrazzi, calunnioso il
Gualterio. Certo il signor Matteucci va chiaro per la sua molta sagacità
nelle scienze fisiche, un po' meno per le politiche; ma il Piovano va
errato, o giudica, che un dì presso i Toscani _svegliati_, più delle
legazioni, delle commessarie, delle senatorie, delle cavallerie, delle
sue stesse sperienze su la torpedine gli meriterà affetto questa lettera
dettata generosamente in difesa di uomo generoso che i nemici suoi non
contenti di condurlo a morte, s'industriavano coprirlo d'infamia, ch'è
la morte dell'anima. Queste cose si sono viste nella civile Toscana! E
non pure viste ma tollerate; e non pure tollerate, ma sì per vergogna
immortale, celebrate e difese.
A me piace il Guerrazzi quando pertinace nel 47 negò fede al
risorgimento italiano per virtù del Papato: prete sono, sicchè come
Catone so in quale parte mi stringa la scarpa.
Il Guerrazzi, ingegno educato alle dottrine della scuola italiana, non
si adattava alle scapestrate fantasie del Gioberti cui pareva mosso
piuttosto da voglia ambiziosa di comparire nuovo, che da studio di
essere vero. Ad ogni modo quei suoi ragionari alla rinfusa gli facevano
l'effetto di ondate, che rompessero contro le severe e lunghe
meditazioni della scuola italiana. Gli è fiato perso; il regno di Cristo
non è di questo mondo. Gesù lo ha detto, e gira, e rigira, ci si
arrabattino attorno scribi, e farisei, argomentino furibondi e
contumeliosi, ovvero pacati ed urbani, la messa tornerà sempre a
mattutino; quanto più accosterai la Chiesa alla terra, tanto la
dipartirai dal paradiso.--Io l'ho da dire? il risorgimento italiano
promosso da Roma mi ebbe l'aria di flauto sonato da chi non sa pigliarne
la imboccatura.--Misericordia pei poveri orecchi! Però se il Guerrazzi
avesse in uggia le riforme non è a dirsi nemmeno. Le sono lustre per
parere, egli diceva; il pecorume se ne stizziva, ed egli lo gridava più
forte, che mai, e riducendola ad oro egli argomentava:--Con le riforme
torrete voi la potestà mondana al papato? Con le riforme torrete voi
dagli ugnoli dello Imperatore di Austria la Italia? Non le torrete. Se
durano Roma e Vienna, le riforme o mirano a cosa, che importi o a
bagattella; nel primo caso, non isperate che ve le lascino condurre non
che a fine, a mezzo. Credete voi, grulli! di gabbare Roma e Vienna
mettendo loro il diavolo in corpo, senza che se ne avvedano? Se le
approdano a bagattelle, o uomini moderati, pigliatevi i giocattoli di
Norimberga per divertirvi, non le vite, e non i cuori dei popoli. Il
popolo non è pargolo, che lo possiate tenere fasciato con le manine
dentro, e il cercine in capo; il popolo come un _forte inebriato, che si
desta dal sonno_, se lo toccate, assorgerà gridando: _armi!
libertà!_--Se questo presagite; se a questo voi vi apparecchiate; o se
questo confidate con ogni supremo sforzo conseguire, leviamoci col nome
santo di Dio, che perdere non potremo; imperciocchè morire in tale
impresa non hassi a reputare perdere.--Affermarono, che il signor Neri
Corsini domandasse _primo_ a Leopoldo lo Statuto, ed è vero; però primo
a domandarglielo in _Corte_, ma non per proprio moto, e dopo, che il
Guerrazzi aveva domandato, presente il signor Corsini, per parte del
popolo in _piazza_, e questo confessa il medesimo signor marchese a
parole da speziale nella lettera, che scrisse al conte Pietro Ferretti.
Accusarono allora i moderati, e più ardenti, che mai rinnovano l'accusa
adesso (perocchè sperino poterlo fare a mano salva) avere il Guerrazzi
sommosso il popolo ai disordini. Si potrebbe contrapporre, perchè noi lo
abbiamo letto, e per testimonianza universale si conferma, che primi a
chiamare il popolo a parte delle faccende politiche furono i moderati:
certo essi chiedevano coppe e venne loro risposto bastoni, ma tanto è
eglino e non altri implorarono primi aiutatore il popolo. Opera dei
moderati da principio la stampa clandestina, e lo incessante aizzare
contro il governo:--Voi agitate in _Città_, scriveva il sig. Ridolfi al
sig. Montanelli, io agiterò in _Corte_.--Io non riprendo per questo il
sig. Ridolfi; solo noto, che _in foro coscentiae_ questa parte a lui aio
del Principe non istesse a capello, ma _transeat_. Bensì mi tocca ad
appuntarlo di questo altro, che l'agitazione gli piacque, finchè non
ebbe spinto lui al ministero; allora poi volle licenziarla, come se
fosse la serenata, che costuma sotto le finestre delle case dove fu
battezzato il bimbo. Pareva al sig. Ridolfi, che, lui ministro, la
Italia avesse ad essere contenta, e ce ne fosse d'avanzo; la Italia non
se ne contentò ed ebbe il torto, secondo lui; però mettete in salvo
questo, che il marchese Ridolfi portato ministro non chiese lo Statuto,
e mi farei coscienza affermarlo, se non lo dicesse proprio _lui_ nel
decreto col quale egli, e i colleghi suoi dopo avere fatto per prima
cosa uomo grande il marchese di Laiatico, per la seconda lo mandano a
dormire in Santa Croce.
Però, vedete, l'agitazione popolare non uscì da questo, nè da
quell'altro uomo; tanto è vero, che Pio IX l'attribuì addirittura alla
Provvidenza; nè fino da quel tempo doveva parere lieve, dacchè egli la
paragonasse niente meno che alla voce di Dio, la quale _schianta la
quercia_! Poveri noi se gli venisse in capo di fare un po' di
conversazione col genere umano!--Per me giudico tale insania appuntare
il tale, o tal altro dei moti del 47 e degli anni successivi, che
dichiaro alla ricisa non potere capire in cervello umano, bensì la
reputo una delle tante stramberie di partito con le quali i moderati,
giovandosi della temperie che corre, s'industriano abbindolare il popolo
dandogli ad intendere, secondo l'usanza vecchia, lucciole per lanterne.
Andavano in volta grandi reami, e antiche signorie, come foglie di
castagno a mezzo decembre, per tutta la Europa, e voleva tenere ferma la
Toscana?--Cause di rivoluzione queste: i popoli smaniosi, da un lato, di
mutare gli ordini odiati; i principi non meno smaniosi, dall'altro, di
conservarli intatti; e non potendo in cotesto punto con la forza si
schermivano con le arti; se i ministri condotti al governo dal voto
popolare reggevano il sacco si dava loro l'_osculum pacis_, se non lo
reggevano si baciavano sempre, ma col bacio di Giuda.
Di qui un tira tira, uno strappa strappa, per cui taluno ebbe a
paragonare festosamente il governo toscano alla gallina pelata viva; a
questo modo gli ordini vecchi disfatti, non costituiti i nuovi, il
governo caduto in abbiezione, senza un concetto su cui fare fondamento,
senza un aiuto al quale potersi appoggiare; chi possiede grano di sale
non pure non ha a maravigliare se disordini avvenissero, bensì se non ne
accaddero maggiori. E poi ci era la faccenda delle armi, imperciocchè il
Governo non credesse possibile la guerra, e caso mai scoppiasse non la
voleva fare. I tumulti di Livorno nel principio del 48 derivarono
appunto dalle armi; chiedeva il popolo schioppi, e il governo li
prometteva a tutti, poi si atterriva, e armeggiava.--Ora il governo si
riprometteva non darne punti; pure se avesse avuto intenzione di darne
parte avrebbe dovuto dire: «che il popolo si armi sta benone; ma alla
rinfusa no»--poi ordinato con largo istituto la milizia cittadina questa
armare nei modi convenienti.--Il popolo scarrucolato dette di fuori;
irruppe in violenze, e peggio, e fu allora, che il Guerrazzi _chiamato
dal Governo_ si adoperò a sedare gl'infelloniti e ci riuscì. Se rimase
nella commissione per lo armamento ci stette per _preghiera del
Governo_, e come il signor Ridolfi mostrava il viso dell'uomo di arme
Celso Mazzucchi, che in ogni sua fortuna si mantenne onesto, si partì da
Livorno per farlo capace. Ond'è, pertanto, che il signor Ridolfi non
pose fede nel signore Mazzucchi magistrato, e persona dabbene? A me
Piovano non importa indagarlo. Fatto sta, che il signor Ridolfi
proconsole con pieni poteri accompagnato da molte armi venne in Livorno,
dal balcone sparse fogliolini stampati al popolo;--_confetti parlanti
ferocia e menzogna secondo il solito contro il Guerrazzi_; sorsero su
predicatori per tutti i canti predicando come codesta belva volesse
saccheggiare ed ardere la Patria.... e il popolo se la bebbe. O
popolo!... O popolo!..., O popolo!....
Un esercito, proprio un esercito (si conta fossero 4,000 uomini) andò ad
arrestare il Guerrazzi, che avvisato in tempo ordinò le porte del
palazzo si tenessero aperte; fu preso, gittato sul vapore, e
_incatenato_...--Queste catene gli tolse dalle mani un
carabiniere--facendo prova da non dimenticarsi giammai come un
carabiniere possedesse il pudore, la carità, e la giustizia che
mancavano a un moderato[1].
¹ Bisogna avvertire che quando il carabiniere venne per mettere
i ceppi alle mani al Guerrazzi (cosa, si ripete, che mai osò
veruno sbirro in Toscana) egli disse prima: «Caporale è zelo
vostro od ordine ricevuto:» e quegli: «ma che le pare! è proprio
del signor Ministro.» Intanto sopraggiunto il Comandante del
Porto, signor Bargagli, visto il turpe atto, si mise a piangere
di rabbia ed ordinò si levassero le catene; non l'obbedirono
paurosi di trasgredire agli ordini del Ministro.--Avvertasi,
inoltre, che su i bastimenti da guerra, mentre si naviga,
tolgonsi i ferri ai prigionieri, perchè in caso di sinistro si
possano salvare. Il signor Ridolfi ordinava si facesse alla
rovescia.
Chiuso in carcere, e calafatata ogni fessura donde non che la voce, ma
il fumo non uscisse, la canatterìa dei moderati incominciò la sozza, e
rea persecuzione delle calunnie che o non mai fu vista più oscena al
mondo, o che se mai venne superata la superarono i moderati
adesso.--_Patria, Corriere, Italia_, tutti addosso; e questo due volte
per opera, e virtù del signor Giorgino; che a lacerare un meschino
_sotto giudice_, pendente il giudizio, non _isveniva_; a corrompere la
mente del giudice, a pervertire la opinione pubblica e gittarla come
calce viva sul misero col frenello alla bocca non _isveniva_ il
Giorgino; bensì sveniva sponendo il voto dell'Assemblea toscana di
unirsi al Piemonte dove non parve ci fosse materia di svenimento
davvero; non è egli tenerone di fibra il signor Giorgino? Sapete voi
come queste diavolerie si conchiudessero? Non volendo il Guerrazzi
uscire di prigione se non erano solennemente smentite dal Governo le
calunnie, il Granduca nel 22 marzo 1848 emanò un rescritto col quale,
dopo avere detto, che gli _atti obiettati al Guerrazzi si riducevano ad
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Çirattagı - Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 3
- Büleklär
- Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 1Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4710Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185835.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 2Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4657Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185936.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 3Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4627Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183536.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 4Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4552Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182538.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Messere Arlotto Mainardi, Pievano di S. Cresci a Maciuoli - 5Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4300Unikal süzlärneñ gomumi sanı 166936.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.