Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22
Süzlärneñ gomumi sanı 4385
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Turchi estimando mettere in fuga i Cristiani con la vista, e di girsene,
piuttosto che a battaglia, a giocondo ritrovo, procedevano ornati, di
magnifici abbigliamenti vestiti, circondati di tutte quelle delizie cui
erano costumati a godersi nella sicurezza della città; oltrechè seco
loro apportavano le spoglie nobilissime di Cipro e delle riviere
cristiane, che nel lungo corso avevano lasciato deserte.
“Ma il generale Veniero, come colui che avendo consumato gran parte
della sua vita sul mare era sottile speculatore dei venti, persuase a
don Giovanni, il quale, deposto ogni altro affetto, lui abbracciava, lui
onorava unicamente, lui padre chiamava, e a modo di padre con reverenza
filiale proseguiva, a ripararsi, senza mettere tempo di mezzo, in
qualche porto vicino, ed indicò Petalà sopra la riviera della Natolia,
dacchè il tempo minacciasse fortuna. L’armata assentiva al comando, e
adoperandovi forza di vele e di remi, verso le quattro ore di notte
gittò l’áncora in Petalà, lungi sei miglia dal luogo del conflitto.¹⁰⁰
Don Giovanni, consigliato dalla egregia sua indole, volle prima di tutto
si provvedesse ai feriti, e quanto meglio fu dato con animo prontissimo
gli obbedimmo. Ed egli stesso non indulgendo a fatica, così senza
prendere cibo si recò a visitare i giacenti. Poco invero poteva egli
giovare effettualmente a quei miseri; ma la presenza amica, la maestà
dello aspetto, una parola di refrigerio rese a qualcheduno di loro meno
acerbo lo spasimo delle piaghe, più tolleranda la morte. Ora accadde,
che passando presso a un giacente sopra un mucchio di paglia, don
Giovanni sentisse con molta familiarità salutarsi:
“— Buona sera, don Giovanni!
“E questi, a cui non giungeva nuova la voce, ma su quel subito non
ricordava di quale si fosse, rispose nel paterno sermone come appunto
favellava il giacente:
“— Dio vi guardi, prode uomo, e la Santa Vergine: voi, a quanto pare,
siete rimasto offeso; sopportate pazientemente: fo voto a Dio per la
vostra salute.... A poco prezzo avete acquistato una fama immortale....
“— Il prezzo non è poco; — ma non importa. Don Giovanni, voi avete
sembiante di non ravvisarmi...
“— Mi sembra!... Ma sarebbe impossibile!... Don Michele...?
“— Cervantes Saavedra, tutto vostro per la vita, e per la morte.
“— Ah! Don Michele mio, datemi la mano....
“— Io ve l’ho data, don Giovanni; se potesse crescermi di nuovo, io di
nuovo ve la darei, in fede di Dio....
“E il giacente mostrava per l’aria scura il braccio mutilato involto di
panni sanguinosi. Don Giovanni allora riconobbe in lui il soldato che lo
sostenne precipitante in pericolo di vita: tacque, e se il buio non era,
noi vedevamo piangere lo invitto capitano. Scorso un lieve spazio di
tempo, Don Giovanni riprese con voce tutta commossa:
“— E quando siete arrivato? E perchè non vi mostraste?
“Don Michele rispose:
“— Tardi venni, perchè da Genova a Napoli, mercè il santo collegio delle
muse,¹⁰¹ di cui mi confesso sacerdote indegnissimo, non mi trovai danaro
sufficiente da pagare cavallo o vettura, e Dio sa se io me ne
affliggeva, timoroso di giungere intempestivo; ma, come piacque alla
Nostra Signora, mi trovai alla mostra che faceste alle Gomenizze. Aveva
statuito mettermi nella battaglia al vostro fianco, disposto a difendere
con la mia vita il fortissimo campione della Cristianità, e il sangue
più nobile di Spagna; la fortuna amica per questa volta mi assentiva
pieno il disegno, ed io devo ringraziarla se avendole data la vita, me
la ritorna indietro con una mano di meno. Mi parve poi bene non farmi
conoscere, perchè se la morte mi risparmiava, avrei potuto stringere la
vostra destra onorata, e rallegrarmi della vostra gloria; se all’opposto
era destinato ch’io soccombessi, ignorandolo voi, non ne avrebbe sentito
cordoglio l’animo vostro per me amorosissimo; e se finalmente dovevamo
morire ambedue ci troveremmo adesso alla presenza di Dio....
“Queste parole semplici, e nonostante maestose di grandezza, ci empivano
di maraviglia, quando uno Spagnuolo interruppe il silenzio religioso,
osservando: — Chi mai avrebbe creduto incontrare tra i guerrieri di
Lepanto il nostro poeta! — Alla quale considerazione Don Michele sempre
pacato rispose:
“— Cavaliere, voi cessereste dallo stupore, ove poneste mente che tutto
quanto apparisce grande, forte e magnifico, è poesia. — Don Giovanni
nostro deve salutarsi come l’altissimo poeta della Spagna.... Di due
ragioni vi hanno poeti: — quelli che operano le cose belle, e gli altri
che le cantano. — Don Giovanni ci ha dato l’argomento del poema: —
adesso chi comporrà per lui la nobile epopea? Ah! Signore... non io....
che non mi sento da tanto. —
“Così s’incontravano i due più eletti spiriti che abbia mai partorito la
Spagna: entrambi grandissimi, e infelicissimi, e tenuti in piccolo conto
in quella contrada, che tra i posteri avrà fama principalmente perchè
patria di loro.
“Come troppo bene aveva preveduto il Veniero, imperversò nella notte una
spaventevole procella. Le galee rimaste accese, più che mai divampanti
di fiamme, ora apparivano sopra la sommità dei marosi, ora sparivano, o
sbattute trasversalmente volavano per la superficie delle acque....
Davvero avevano sembianza di demoni, che sbucati dallo inferno fossero
accorsi a raccogliere le anime, ad esultare della immensa strage nel
luogo del conflitto! — Alla dimane, migliaia di cadaveri ingombravano i
lidi, e il mare roteava le azzurre sue onde come nei primi giorni della
creazione: cotesto flutto fremente rompentesi contro la riva, pareva che
dicesse: — O terra, riprendi i tuoi figliuoli; con un soffio delle mie
narici ecco ho respinto da me questa polvere insanguinata e rabbiosa,
che chiami umanità. Se i tuoi figli si avvisano solcarmi il volto, io
richiudo tosto quel solco, e nessuno può trovarne la traccia; se io li
sopporto sul dorso, io il faccio come dei trastulli costumano i garzoni
volubili, per sollazzarmi, e per romperli. Ecco io mi sono purificato da
loro; l’orma dello eccidio di Lepanto rimane sopra di me come il volo
dell’alcione per l’aria. Tu, mia indegna sorella, soffri le costoro
città, e lacera quotidianamente, e in mille guise torturata, non sai
vendicarti, anzi dagli aperti solchi tramandi perenne sostanza per
nutrirli; deh! fa senno e fenditi una volta a seppellirli tutti. Se pure
offesa senza misura ti muovi, sobbissi qualche città, o qualche catena
di montagne tranghiotti; le tue ire paiono piuttosto di madre che
rimprovera, che di giustiziere che punisce. Io, tempo già fu, venni a
mondarti con universale lavacro, e mi tarderebbe di ritornarvi adesso,
che ti contemplo assai più sozza di prima, se non mi respingesse dalle
tue sponde la parola di Dio. Vieni, supplica meco il Creatore che
revochi il comando, ed io ti purgherò per sempre con la moltitudine
delle mie acque, — con un diluvio, — per questa volta — senza Noè....
“Tale la mia commossa fantasia immaginava. — Come il mondo cristiano
esultasse, voi sapete. Il sommo Pontefice volle che abbattuto lungo
tratto di mura presso a porta Capena, per quella breccia Marcantonio
Colonna entrasse in Roma, e a modo degli antichi Cesari trionfando al
Campidoglio si riducesse; dove giunto, gli fu presentato un grosso dono
di danari, che da lui accettato ne ringraziò prima il Papa, e poi subito
depositò affinchè ne facessero la dota a molte orfane e povere donzelle.
Così, ricco non di altro tesoro che di fama accresciuta, tornava
Marcantonio alle sue case, tanto più grande quanto più solo: anima
veramente romana! I Veneziani, ai quali pure i due terzi dei caduti in
battaglia spettavano, non patirono che come morti si piangessero quei
valorosi che caduti combattendo con l’arme alla mano rivivevano a secolo
immortale, e i loro più stretti parenti comparvero nelle pubbliche
grazie che si resero a Dio vestiti di broccato e di altre stoffe
preziose: sangue anch’essi latino! Quello però che voi non potete avere
inteso, si è questo, che Filippo di Spagna acerbamente sofferse la
vittoria, rampognando il fratello di avere posto in avventura le forze
della monarchia, senza che la vittoria valesse a produrgli vantaggio; e
mentre il sommo Pontefice saluta nella effusione del cuore don Giovanni
con le parole dello Evangelista: — _Fuit homo missus a Deo, cui nomen
erat Joannes,_ — vi fu tale in Consiglio, che non rifuggì da proporre si
consultasse se gli si dovesse tagliare la testa. Vergognò Filippo
medesimo della tremenda viltà dei suoi consiglieri; viltà maggiore di
quella che avesse potuto desiderare egli stesso. Scampava don Giovanni
la vita, ma percosso dal rimprovero disonesto, lo divora adesso lo
sconforto e il dolore: — e ciò era astio spagnuolo! Quale ne venne da
tante morti, da tanto valore, e da così prodigiosa vittoria, comodo ai
Cristiani? dalla rinomanza in fuori, nulla. Gloria, ebbrezza delle anime
grandi, oh come scadi dalla estimazione e dal desiderio, quando sei
fatta traffico di principi, ghiacci calcolatori delle nobili passioni!
Ognuno pensa a sè, e per oggi; lo indomani non conosce, o non cura.
Venezia in mare, la Pollonia in terra, rimangono abbandonate come due
vedette perdute incontra agli sforzi dei nemici della fede. Un giorno
(disperda il Signore l’augurio) abbattuti quei due baluardi, i Cristiani
si sveglieranno agli urli dei contadi, alle fiamme delle arse città; —
se Dio non provvede, fra venti anni noi saremo tutti Turchi...”
Qui dava termine Giordano al suo lungo racconto, e intorno intorno
correva un fremito come di gente che approva in un punto ed aborrisce
una cosa; e poichè in altri bei ragionari si fu trattenuta alquanto la
compagnia, vedendo come le stelle dal cielo ormai declinassero, e
sentendosi vaghezza di riposo, Paolo Giordano levatosi da mensa,
l’accomiatava con dolci e reiterati saluti, pregandola starsi pronta
domane per correre i boschi prima che la sferza del sole si facesse
sentire di soverchio cocente. Egli stesso dato di braccio alla consorte
Isabella fino alle scale l’accompagnava, dove baciatale la mano, con
augurii di notte felicissima da lei si dipartiva.
Ognuno si ritirò nelle proprie stanze, e forte lo premendo il bisogno di
ristorare le membra stanche, si dava in balía del sonno.
————
In meno che non volge mezza ora pareva che dormissero tutti.
Pareva!....
Paolo Giordano vegliava....
Venuto nelle sue stanze, si abbandona sopra un seggiolone, appoggiando
la faccia al pugno sinistro, e lasciando giù pendente la destra. È
bianco, e contraffatto, e non mormora parola: due bei bracchetti bianchi
col collarino di scarlatto ricamato di oro, accostumati a ricevere le
sue carezze, gli giacciono ai piedi, lo guatano fisso, e quasi
ingegnandosi di richiamare l’attenzione del padrone sopra di loro, gli
vanno lambendo dolcemente la mano. Sembra che di nuovo si agitasse
nell’anima del duca una contesa fierissima tra il volere e il disvolere;
ma bene esaminata ogni cosa, discusso quanto poteva giovare, e quanto
nuocere, librate le ragioni del bene e del male, o almeno quelle che a
lui parevano tali, e la offesa, e la vendetta, e il perdono, assai potè
conoscersi chiaro a quale conclusione scendesse quando gli sfuggirono
dai labbri le parole:
— Ella è cosa che bisogna compire!
E quindi subito:
— “Titta!”
— “Signore.”
Paolo Giordano strascicando la voce tra i denti:
— “Hai.... tu.... apprestato?....”
— “Hollo.”
E successe un silenzio affannoso: poi lo ruppe Paolo Giordano chiamando:
— “Titta!”
— “Signore...”
— “Ah! era pur meglio restare morti nella battaglia di Lepanto!”
— “Era....”
— “Dì, non ti pare bella mogliema? Non ti pare leggiadra, prestante,
dotta in tutte le graziosissime guise del bel parlare gentile?”
— “Maisì, signore, maisì!....”
— “E non ti pare sacrilegio spegnere a un tratto con un soffio
proditorio tanta luce di venustà e d’ingegno?”
— “Era pur meglio, signor duca, che noi fossimo morti nella battaglia di
Lepanto!....”
Il duca si alzò da sedere asciugandosi la fronte grondante di sudore; —
passeggiò nella stanza agitato; poi allo improvviso fermandosi, e
ficcando gli occhi negli occhi di Titta, favellò:
— “Ma non sai altro che formare augurii di cosa ormai a conseguirsi
impossibile? — Non hai tu in pronto un consiglio che valga? — Nulla! —
Nulla! — Siete uomini voi, o echi di spilonche?”
— “Non avete voi detto essere una cosa che bisognava compire? Come
volete voi che consiglino i servi, quando i padroni manifestano che
terranno i consigli in parte di resistenza ai desiderii loro?”
— “Titta, hai ragione; — tu hai meco sempre il torto solenne di avere
sempre ragione.... Quanto ti ordinava apprestasti?....”
— “Tutto.... e potete riscontrarlo da per voi stesso.... guardando....
in su....”
— “Sta bene.... non importa.... mi fido....” — E in vece di sollevare lo
sguardo lo affiggeva al pavimento. — “Ora prendi questi due bracchetti,
e va quanto meglio ti verrà fatto silenzioso alle stanze di madonna la
duchessa; batti soave.... e le dirai....” — E qui abbassò la voce
continuando a parlare. Titta assentiva col capo. Paolo Giordano quindi a
poco riprese nel solito suono:
— “Adoperandovi parole piacevoli; con maniere affatto ufficiose. Hai
capito? — Ora vai....”
E siccome pareva che Titta mettesse tra mezzo alcuna dimora, Paolo
Giordano ripete:
— “Vai....”
Titta prese i bracchi, e mentre stava per passare la soglia della porta,
si sofferma, e voltata la faccia a Giordano, lentamente favella:
— “Ho io da andare, signor duca?....”
— “Vai.... vai.... Ella è una cosa che bisogna compire!”
E Titta andò. — Egli ascende pianamente le scale, si accosta alla stanza
di donna Isabella, — e appena la tocca, gli viene domandato di dentro:
— “Chi è? Che cosa volete?”
— “Da parte del signor duca io devo supplicarvi, madonna, ad accettare
questi due bracchetti, ch’egli vi manda in dono affinchè voi li teniate
cari per amor suo; e desidera ancora che domani li proviate a caccia
com’essi sieno addestrati, e capaci: — pregavi inoltre, che di tanto voi
gli vogliate essere cortese, di condurvi a stare alquanto seco lui,
avvegnadio gli paia strano che dopo tanti anni di lontananza non
dobbiate incontrarvi insieme senza testimoni.... E veramente anche a me
pare....”
Titta entrando vide come Isabella stesse con la signora Lucrezia
Frescobaldi prostrata davanti una immagine della Beata Vergine, leggendo
orazioni entro a un messale; ond’ei pensò tra sè: — “Meglio così, ella
si è provvista di viatico pel gran viaggio.”
Isabella si leva in piedi, e rimasta alquanto sopra sè, domanda alla
Lucrezia:
— “_Vo io, o no, a dormire con mio marito? Che dite voi?_”
E la Frescobaldi stringendosi nelle spalle rispose:
— “_Faccia quello che vuole: egli però è suo marito._”¹⁰²
— “Vadasi dunque.”
E la povera signora scese lenta, ma pure senza tremare.
La Lucrezia, o la curiosità la movesse, o la compassione, o piuttosto,
come io credo, ambedue queste cose, uscendo dalla consueta impassibilità
deliberò seguitarla inosservata alla lontana. Appena l’ebbe vista
entrare nelle stanze del marito, affrettò velocissima il passo, e appose
l’orecchio alla porta.
Udì liete accoglienze, e un salutare festoso.
— “Come a Dio piace, la incomincia a dovere,” — susurra a fiore di
labbra.
Poi le parve ascoltare, e ascoltò certo, suono di riso: e di baci dati e
restituiti.
— “Di bene in meglio....”
E trattenendo il fiato, intende tuttavia cupidamente.... — Ma oggimai
più non mi lice andare oltre con le parole, e ripeterò col Poeta:
Gli abbracciamenti, i baci, i colpi lieti,
Tace la casta Musa vergognosa,
E dalla congiunzion di quei pianeti
Ritorce il plettro, e di cantar non osa.
Sol mormora tra sè detti secreti,
Che. . . . . . . . . . . . . . . . .¹⁰³
La Lucrezia in punta di piedi tornava alle sue stanze, pensando: — “Io
fo conto che tempesta in casa non vi abbia più da essere, o se pure vi
sarà, noi la vedremo conchiudere con qualche baleno, ma senza fulmini.”
————
Mezza ora forse, o poco più, era passata dal momento in cui madonna
Lucrezia abbandonava la porta delle stanze di Paolo Giordano, che si
aperse di nuovo, e ne uscì Titta, il quale traversata la sala si
condusse alla porta dello appartamento di Troilo, e colà giunto, si
dette a bussare con le nocca senza troppo riguardo.
Troilo, comecchè gli paresse non avere motivo a sospettare, tuttavolta o
per cagione della insolita fatica, o del calore del sole, o del bere
soverchio, si sentiva acceso il sangue, e svoltolandosi per il letto non
poteva chiudere occhio. Ond’è che avendo inteso subito il rumore scese
il letto, ed aperse.
— “Cosa è che vuoi, Titta, con quel tuo viso da cataletto?”
— “Vostra Signoria, se alla prima non si appone, alla seconda non falla.
Il signor duca m’invia a significarle, che non trova modo di prendere
sonno....”
— “Giusto come a me....!”
— “Tanto meglio; — onde vi prega volere andare a tenergli un po’ di
compagnia, e a fare insieme due chiacchiere.... Così vi terrete
sollevati tutti e due....”
— “_Erat in votis!_ Attendi; in un _amen_ mi vesto, e vengo teco.”
E abbigliatosi con quelle vesti che prima gli capitarono sotto le mani,
presto fu in punto. Titta con un torchio acceso in mano lo precedeva, ma
arrivato alla porta di Paolo Giordano, trattosi da parte, e inchinata la
persona, favella ossequiosamente:
— “Passi, Eccellenza!”
Entrato Troilo, Titta chiuse, dando volta alla chiave, ponendosela in
tasca; e intromesso che fu colui nella seconda stanza, anche di cotesta
chiuse con molta accortezza la porta, rimanendo di fuori.
Troilo, posto piede nella stanza, vede Paolo Giordano seduto accanto al
letto davanti una tavola, e, o fosse la fantasia, o la virtù del lume,
da una ora a questa parte gli sembra di dieci anni invecchiato. Giordano
senza levare gli occhi gli dice:
— “Troilo, sedete.”
Cotesta voce non contiene in sè minaccia, nulla ha di rancore, è
placida, è sommessa, — e non pertanto non pare articolata dalle labbra;
— uscita così dagl’imi precordii come dal fondo di una sepoltura, ebbe
forza d’infondere un ghiaccio nelle ossa di Troilo.
E Troilo sedeva.
— “Troilo, a me fa mestieri favellarvi parole, che giova a me dirle,
ascoltarle voi negli orrori delle tenebre.... negli arcani silenzi della
notte.... Troilo, dopo tre anni lunghissimi di lontananza io torno a
casa.... ma questa dove torno è casa mia? Posso io dormire sicuro? Posso
io sedermi senza sospetto a mensa?....”
Troilo côlto alla impensata, improvvido di consiglio, si tace.
— “Troilo! Quando io mi partiva da casa, conoscendo la donna che mi fu
moglie — che adesso mi è moglie, — di mobile fantasia, sciolta nei modi
per colpa di educazione assai più che a severa gentildonna non
conviene.... facile a trascorrere.... petulante.... proterva.... io
aborrii lasciare confidato il tesoro del mio onore in mani non dirò
infedeli, ma per certo pericolose. — Di cui doveva confidare io, se non
del mio sangue? Te dunque scelsi, a te raccomandai il mio onore, che
pure è il tuo, e ti scongiurai con le lacrime agli occhi ad averne buona
e vigilante custodia.... Te lo ricordi, Troilo? È vero? Vorresti forse
smentirmi?.... E volendo, potresti?”
— “È vero...”
— “E ti ricordi le promesse che mi facesti allora? Te le sei ricordate
tu sempre? Rendimi ora dunque ragione: come hai tu esercitata guardia
leale intorno a mia moglie?....”
Giordano tiene il braccio destro col pugno teso sopra la tavola....
orrendamente ha contratti i muscoli della fronte, le sopracciglia
aggrottate, e le pupille a mezzo sotto di loro nascoste mandano traverso
ai peli arruffati una luce come di fuoco ardente dentro un roveto. La
lingua di Troilo sta confitta al palato; e Giordano di nuovo:
— “Come hai tu esercitato vigilante custodia intorno alla mia moglie?”
E poichè la risposta non viene, egli continua:
— “Se devo porgere ascolto alle novelle che me ne giunsero fino a Roma,
veramente io ho perduto la mia fama senza rimedio; la mia casa è piena
di obbrobrio: ormai io non potrò più udire il nome della donna mia senza
sospetto che lo profferiscano per onta o per dileggio. Virginio non
potrà udire il nome della madre senza abbassare la faccia per la
vergogna. Nefande cose avemmo ad ascoltare, cugino, e tali a cui
inorridisce la natura.... tali che sono a sopportarsi impossibili, che
nè posso, nè so, nè voglio a patto niuno sofferire io....”
— “Giordano!....” con voce di agonia replica Troilo; — “un cavaliere
come voi fornito di quell’ottimo discernimento che tutti conoscono....
pratico delle cose del mondo.... vorrà credere a parole bugiarde.... ai
detti di uomini oziosi.... e maligni? Noi generalmente il popolo estima
felici; e genti cui l’astio rode gioiscono nello avventarci strali
avvelenati. — Facciamoli piangere, esse dicono; così nel pianto saranno
uguali a noi....”
— “E tu ben parli; ma la nequissima voce mi venne confermata da tale,
che ormai non posso più dubitare.”
— “Ella è poi di fede degna come voi reputate?”
— “Lascio a te giudicarne. Me lo confessava Isabella....”
— “Ah! Isabella....?”
— “Isabella....”
— “Vostra moglie....”
— “Ella dessa.... mogliema. — Ora mi dì, Troilo.... il tuo nome è
Orsini? Il sangue che nelle tue vene discorre è un sangue stesso del
mio? — Rispondi!”
— “E a che dirvi quello che voi troppo bene sapete?”
— “Perchè mi giova in questo momento solenne udirlo da te, ed essere
certo che tu lo ricordi, che te ne senti convinto... Così mi trovo
circondato di traditori, — che dal mio sangue in fuori... io non ardisco
sperare non essere tradito... Dunque tu sei mio sangue...? Ora dammi un
consiglio!... Isabella... l’ho io da perdonare, o da ammazzare?...”
— “E devo consigliarvi io?”
— “Sì...”
— “Ma nè io, nè altri mi crede capace da tanto. Voi avete molto maggiore
senno di me...”
— “Io però non lo penso; e posto ancora che ciò fosse, estimi forse che
non si perda in simili casi il senno? Orsù, io t’impongo di
consigliarmi...”
— “E allora... considerate, Giordano, come sia misericordioso il
Signore;.... e come gl’incliti personaggi che a lui si rassomigliano
compariscano miti e clementi:.... ottenga pietà presso di voi la
debolezza della natura, la età della donna, e gli esempj non buoni nei
quali venne nudrita;... vi ritorni al pensiero quello che con la solita
prudenza ragionavate poco anzi, la fantasia mobile, la indole
immaginosa, il tempo, il luogo, la occasione;... ed anche... il fato,
Giordano, dacchè noi tutti governa un fato insuperabile.... e usate
misericordia.... Isabella non potrà più presentarsi al vostro cospetto
decorosa d’innocenza; voi non la potrete amare mai più.... e forse
stimarla nemmeno.... e non pertanto avanza all’offeso una contentezza,
acre è vero, eppure desiderabile sempre, quella cioè di sentirsi
immeritevole della offesa, — e di vedere l’offensore pentito nel
profondo dell’anima....”
— “Vedi se ti manca il senno! Tu non patisci certamente difetto di
eloquenza.... Ed io lo immaginava! — Davvero io vorrei seguitare il tuo
consiglio, ma un pensiero me ne distoglie, ed è questo: in simile
negozio ci va soltanto dell’onore mio? Il decoro di famiglia non deve
estimarsi a modo di fidecommesso, che a me non è dato alienare, e
neanche diminuire, ma che nella sua interezza io devo rendere ai figli
così immaculato e chiaro come io dai miei maggiori lo ricevei?
Diversamente operando, non ti pare egli che un giorno potrei sentirmi
dire dai padri: — Che cosa hai tu fatto del nostro patrimonio? — E dai
figli: Non è questo il nostro retaggio...?”
— “Io crederei fosse bello le vendette ardue cercare, e compire; le
altre, che per farle basta volerle, parmi dimostrazione di animo grande
abbandonare. Vincere altrui è cosa lodevole, vincere poi sè stesso,
divina....”
— “Ed anche per ciò io mi persuaderei a perdonarla.... quasi....,
sennonchè un altro motivo mi cruccia, ed impedisce che il mio cuore si
apra alla pietà; ed è la ostinazione della donna a tenermi celato il
nome dello adultero....”
— “E nol sapete voi?”
— “No.... E tu lo sai?...”
— “Io? No.”
— “E questo pensava anch’io, perchè altro ti venne in pensiero, che
guardarmi la donna, ed hai per ciò con la casa mia e meco un torto
grandissimo, Troilo; un torto del quale io non so come possa mandarti
assoluto. — Ma forse non vuolsi attribuire a te solo tutta la colpa, e
in parte.... anzi in grandissima parte.... è mia, che sapendoti e
giovane e cupido di gloria, e di alto cuore, ad altro dovevi attendere
tu che a fare lo eunuco di palazzo....”
— “Ed ella dunque recusa di svelarvi il nome...?”
— “Nè per preghiera, nè per minaccia, nè per la speranza del perdono
costei a verun patto assentiva mitigare la esacerbata anima mia....”
— “Certo, grave colpa è questa.... E tentaste tutte le vie?”
-“Tutte....”
— “Vedete dunque, Giordano, come male consigli chi non sa come le cose
stieno: — se questa sua caparbietà avessi conosciuto avanti, io vi avrei
consigliato in modo diverso.”
— “Diverso!”
— “Anzi contrario....”
— “Lo vedi tu stesso! Io mi vi trovo sospinto irresistibilmente: almeno
conoscessi colui che non trattenne pudore di contaminarmi la casa mentre
io versava il mio sangue per la fede di Cristo.... colui che non lo
dissuase la reverenza della casa mia.... e più della reverenza la paura
della mia spada! — Ah! mi parrebbe essere non infelice affatto, se
potessi cacciargli le mani nel seno.... strappargli il cuore, e
sbatterglielo nelle guancie.... — E vedi, Troilo, io glielo farei,
quanto è vero Dio.... ma il codardo si cela.... Oh chi sei tu, che mi
hai ferito a morte, e non mi hai tolta la vita? Qual è il tuo nome?
Móstrati! — Niente.... Ahi! quanto lacera il dolore della offesa fatta
da persona oscura, o abietta, o ignorata, contro la quale non possiamo
vendicarci, o vendicandoci rimarremmo macchiati più assai dalla vendetta
che dalla offesa....”
— “E veramente simili offese desiderano lavacro di sangue...”
— “E poichè non posso versare quello dello adultero aborrito... che di’
tu?...”
— “Parmi...”
— “No... parmi” — dice Giordano levandosi in piedi; — “qui fa mestieri
aprirmi il tuo concetto intero...”
— “Allora...”
“Allora? Perchè esiti tu? Qui non ci ascolta nessuno... nessuno...”
— “Allora... il decoro geloso di famiglia domanda che... sparisca da
questo mondo Isabella...”
— “Sta bene,” — rispose Giordano; e stesa la mano al cortinaggio, ne
tira da parte le cortine, aggiungendo: — “Ecco... guarda; — io l’ho
fatto...”
— “Ah vendetta di Dio!” — urla Troilo; e dando tre o quattro balzi allo
indietro con le mani dentro i capelli, percuote con le spalle e col capo
violentissimamente nella opposta parete.
Colei che fu donna Isabella Orsini giace resupina sopra il letto a modo
di sedente: sciolte e rabbuffate le chiome, tesi i bracci, con le mani
attrappite; il volto nero, e chiazzato di sangue; aperta la bocca, e
sozza di bava sanguinosa; gli occhi aperti, intenti, scoppianti fuori
dai cigli... Una corda sottile le stringe tuttavia il delicato collo, di
cui i capi si perdono pel buio della stanza, e terminano al soffitto.
Infelice spettacolo di colpa e di perfidia!
«Così perì Isabella dei Medici, che avrebbe fatto sè ed altrui felici,
se il cielo le avesse dato o minore bellezza, o maggiore virtù, o
migliori parenti.»¹⁰⁴
Giordano pallido anch’esso nel volto come per morte, ma comprimendo con
violenza prodigiosa la passione che gli sconvolge l’anima, immobile dal
luogo ove tiene aperte le cortine, sporge il braccio destro verso il
cugino, e continua a favellare così:
— “Ora il mio letto diventò deserto... chè ogni donna tremerà le si
converta in supplizio; — la mia casa è deserta, perchè il padre non può
piuttosto che a battaglia, a giocondo ritrovo, procedevano ornati, di
magnifici abbigliamenti vestiti, circondati di tutte quelle delizie cui
erano costumati a godersi nella sicurezza della città; oltrechè seco
loro apportavano le spoglie nobilissime di Cipro e delle riviere
cristiane, che nel lungo corso avevano lasciato deserte.
“Ma il generale Veniero, come colui che avendo consumato gran parte
della sua vita sul mare era sottile speculatore dei venti, persuase a
don Giovanni, il quale, deposto ogni altro affetto, lui abbracciava, lui
onorava unicamente, lui padre chiamava, e a modo di padre con reverenza
filiale proseguiva, a ripararsi, senza mettere tempo di mezzo, in
qualche porto vicino, ed indicò Petalà sopra la riviera della Natolia,
dacchè il tempo minacciasse fortuna. L’armata assentiva al comando, e
adoperandovi forza di vele e di remi, verso le quattro ore di notte
gittò l’áncora in Petalà, lungi sei miglia dal luogo del conflitto.¹⁰⁰
Don Giovanni, consigliato dalla egregia sua indole, volle prima di tutto
si provvedesse ai feriti, e quanto meglio fu dato con animo prontissimo
gli obbedimmo. Ed egli stesso non indulgendo a fatica, così senza
prendere cibo si recò a visitare i giacenti. Poco invero poteva egli
giovare effettualmente a quei miseri; ma la presenza amica, la maestà
dello aspetto, una parola di refrigerio rese a qualcheduno di loro meno
acerbo lo spasimo delle piaghe, più tolleranda la morte. Ora accadde,
che passando presso a un giacente sopra un mucchio di paglia, don
Giovanni sentisse con molta familiarità salutarsi:
“— Buona sera, don Giovanni!
“E questi, a cui non giungeva nuova la voce, ma su quel subito non
ricordava di quale si fosse, rispose nel paterno sermone come appunto
favellava il giacente:
“— Dio vi guardi, prode uomo, e la Santa Vergine: voi, a quanto pare,
siete rimasto offeso; sopportate pazientemente: fo voto a Dio per la
vostra salute.... A poco prezzo avete acquistato una fama immortale....
“— Il prezzo non è poco; — ma non importa. Don Giovanni, voi avete
sembiante di non ravvisarmi...
“— Mi sembra!... Ma sarebbe impossibile!... Don Michele...?
“— Cervantes Saavedra, tutto vostro per la vita, e per la morte.
“— Ah! Don Michele mio, datemi la mano....
“— Io ve l’ho data, don Giovanni; se potesse crescermi di nuovo, io di
nuovo ve la darei, in fede di Dio....
“E il giacente mostrava per l’aria scura il braccio mutilato involto di
panni sanguinosi. Don Giovanni allora riconobbe in lui il soldato che lo
sostenne precipitante in pericolo di vita: tacque, e se il buio non era,
noi vedevamo piangere lo invitto capitano. Scorso un lieve spazio di
tempo, Don Giovanni riprese con voce tutta commossa:
“— E quando siete arrivato? E perchè non vi mostraste?
“Don Michele rispose:
“— Tardi venni, perchè da Genova a Napoli, mercè il santo collegio delle
muse,¹⁰¹ di cui mi confesso sacerdote indegnissimo, non mi trovai danaro
sufficiente da pagare cavallo o vettura, e Dio sa se io me ne
affliggeva, timoroso di giungere intempestivo; ma, come piacque alla
Nostra Signora, mi trovai alla mostra che faceste alle Gomenizze. Aveva
statuito mettermi nella battaglia al vostro fianco, disposto a difendere
con la mia vita il fortissimo campione della Cristianità, e il sangue
più nobile di Spagna; la fortuna amica per questa volta mi assentiva
pieno il disegno, ed io devo ringraziarla se avendole data la vita, me
la ritorna indietro con una mano di meno. Mi parve poi bene non farmi
conoscere, perchè se la morte mi risparmiava, avrei potuto stringere la
vostra destra onorata, e rallegrarmi della vostra gloria; se all’opposto
era destinato ch’io soccombessi, ignorandolo voi, non ne avrebbe sentito
cordoglio l’animo vostro per me amorosissimo; e se finalmente dovevamo
morire ambedue ci troveremmo adesso alla presenza di Dio....
“Queste parole semplici, e nonostante maestose di grandezza, ci empivano
di maraviglia, quando uno Spagnuolo interruppe il silenzio religioso,
osservando: — Chi mai avrebbe creduto incontrare tra i guerrieri di
Lepanto il nostro poeta! — Alla quale considerazione Don Michele sempre
pacato rispose:
“— Cavaliere, voi cessereste dallo stupore, ove poneste mente che tutto
quanto apparisce grande, forte e magnifico, è poesia. — Don Giovanni
nostro deve salutarsi come l’altissimo poeta della Spagna.... Di due
ragioni vi hanno poeti: — quelli che operano le cose belle, e gli altri
che le cantano. — Don Giovanni ci ha dato l’argomento del poema: —
adesso chi comporrà per lui la nobile epopea? Ah! Signore... non io....
che non mi sento da tanto. —
“Così s’incontravano i due più eletti spiriti che abbia mai partorito la
Spagna: entrambi grandissimi, e infelicissimi, e tenuti in piccolo conto
in quella contrada, che tra i posteri avrà fama principalmente perchè
patria di loro.
“Come troppo bene aveva preveduto il Veniero, imperversò nella notte una
spaventevole procella. Le galee rimaste accese, più che mai divampanti
di fiamme, ora apparivano sopra la sommità dei marosi, ora sparivano, o
sbattute trasversalmente volavano per la superficie delle acque....
Davvero avevano sembianza di demoni, che sbucati dallo inferno fossero
accorsi a raccogliere le anime, ad esultare della immensa strage nel
luogo del conflitto! — Alla dimane, migliaia di cadaveri ingombravano i
lidi, e il mare roteava le azzurre sue onde come nei primi giorni della
creazione: cotesto flutto fremente rompentesi contro la riva, pareva che
dicesse: — O terra, riprendi i tuoi figliuoli; con un soffio delle mie
narici ecco ho respinto da me questa polvere insanguinata e rabbiosa,
che chiami umanità. Se i tuoi figli si avvisano solcarmi il volto, io
richiudo tosto quel solco, e nessuno può trovarne la traccia; se io li
sopporto sul dorso, io il faccio come dei trastulli costumano i garzoni
volubili, per sollazzarmi, e per romperli. Ecco io mi sono purificato da
loro; l’orma dello eccidio di Lepanto rimane sopra di me come il volo
dell’alcione per l’aria. Tu, mia indegna sorella, soffri le costoro
città, e lacera quotidianamente, e in mille guise torturata, non sai
vendicarti, anzi dagli aperti solchi tramandi perenne sostanza per
nutrirli; deh! fa senno e fenditi una volta a seppellirli tutti. Se pure
offesa senza misura ti muovi, sobbissi qualche città, o qualche catena
di montagne tranghiotti; le tue ire paiono piuttosto di madre che
rimprovera, che di giustiziere che punisce. Io, tempo già fu, venni a
mondarti con universale lavacro, e mi tarderebbe di ritornarvi adesso,
che ti contemplo assai più sozza di prima, se non mi respingesse dalle
tue sponde la parola di Dio. Vieni, supplica meco il Creatore che
revochi il comando, ed io ti purgherò per sempre con la moltitudine
delle mie acque, — con un diluvio, — per questa volta — senza Noè....
“Tale la mia commossa fantasia immaginava. — Come il mondo cristiano
esultasse, voi sapete. Il sommo Pontefice volle che abbattuto lungo
tratto di mura presso a porta Capena, per quella breccia Marcantonio
Colonna entrasse in Roma, e a modo degli antichi Cesari trionfando al
Campidoglio si riducesse; dove giunto, gli fu presentato un grosso dono
di danari, che da lui accettato ne ringraziò prima il Papa, e poi subito
depositò affinchè ne facessero la dota a molte orfane e povere donzelle.
Così, ricco non di altro tesoro che di fama accresciuta, tornava
Marcantonio alle sue case, tanto più grande quanto più solo: anima
veramente romana! I Veneziani, ai quali pure i due terzi dei caduti in
battaglia spettavano, non patirono che come morti si piangessero quei
valorosi che caduti combattendo con l’arme alla mano rivivevano a secolo
immortale, e i loro più stretti parenti comparvero nelle pubbliche
grazie che si resero a Dio vestiti di broccato e di altre stoffe
preziose: sangue anch’essi latino! Quello però che voi non potete avere
inteso, si è questo, che Filippo di Spagna acerbamente sofferse la
vittoria, rampognando il fratello di avere posto in avventura le forze
della monarchia, senza che la vittoria valesse a produrgli vantaggio; e
mentre il sommo Pontefice saluta nella effusione del cuore don Giovanni
con le parole dello Evangelista: — _Fuit homo missus a Deo, cui nomen
erat Joannes,_ — vi fu tale in Consiglio, che non rifuggì da proporre si
consultasse se gli si dovesse tagliare la testa. Vergognò Filippo
medesimo della tremenda viltà dei suoi consiglieri; viltà maggiore di
quella che avesse potuto desiderare egli stesso. Scampava don Giovanni
la vita, ma percosso dal rimprovero disonesto, lo divora adesso lo
sconforto e il dolore: — e ciò era astio spagnuolo! Quale ne venne da
tante morti, da tanto valore, e da così prodigiosa vittoria, comodo ai
Cristiani? dalla rinomanza in fuori, nulla. Gloria, ebbrezza delle anime
grandi, oh come scadi dalla estimazione e dal desiderio, quando sei
fatta traffico di principi, ghiacci calcolatori delle nobili passioni!
Ognuno pensa a sè, e per oggi; lo indomani non conosce, o non cura.
Venezia in mare, la Pollonia in terra, rimangono abbandonate come due
vedette perdute incontra agli sforzi dei nemici della fede. Un giorno
(disperda il Signore l’augurio) abbattuti quei due baluardi, i Cristiani
si sveglieranno agli urli dei contadi, alle fiamme delle arse città; —
se Dio non provvede, fra venti anni noi saremo tutti Turchi...”
Qui dava termine Giordano al suo lungo racconto, e intorno intorno
correva un fremito come di gente che approva in un punto ed aborrisce
una cosa; e poichè in altri bei ragionari si fu trattenuta alquanto la
compagnia, vedendo come le stelle dal cielo ormai declinassero, e
sentendosi vaghezza di riposo, Paolo Giordano levatosi da mensa,
l’accomiatava con dolci e reiterati saluti, pregandola starsi pronta
domane per correre i boschi prima che la sferza del sole si facesse
sentire di soverchio cocente. Egli stesso dato di braccio alla consorte
Isabella fino alle scale l’accompagnava, dove baciatale la mano, con
augurii di notte felicissima da lei si dipartiva.
Ognuno si ritirò nelle proprie stanze, e forte lo premendo il bisogno di
ristorare le membra stanche, si dava in balía del sonno.
————
In meno che non volge mezza ora pareva che dormissero tutti.
Pareva!....
Paolo Giordano vegliava....
Venuto nelle sue stanze, si abbandona sopra un seggiolone, appoggiando
la faccia al pugno sinistro, e lasciando giù pendente la destra. È
bianco, e contraffatto, e non mormora parola: due bei bracchetti bianchi
col collarino di scarlatto ricamato di oro, accostumati a ricevere le
sue carezze, gli giacciono ai piedi, lo guatano fisso, e quasi
ingegnandosi di richiamare l’attenzione del padrone sopra di loro, gli
vanno lambendo dolcemente la mano. Sembra che di nuovo si agitasse
nell’anima del duca una contesa fierissima tra il volere e il disvolere;
ma bene esaminata ogni cosa, discusso quanto poteva giovare, e quanto
nuocere, librate le ragioni del bene e del male, o almeno quelle che a
lui parevano tali, e la offesa, e la vendetta, e il perdono, assai potè
conoscersi chiaro a quale conclusione scendesse quando gli sfuggirono
dai labbri le parole:
— Ella è cosa che bisogna compire!
E quindi subito:
— “Titta!”
— “Signore.”
Paolo Giordano strascicando la voce tra i denti:
— “Hai.... tu.... apprestato?....”
— “Hollo.”
E successe un silenzio affannoso: poi lo ruppe Paolo Giordano chiamando:
— “Titta!”
— “Signore...”
— “Ah! era pur meglio restare morti nella battaglia di Lepanto!”
— “Era....”
— “Dì, non ti pare bella mogliema? Non ti pare leggiadra, prestante,
dotta in tutte le graziosissime guise del bel parlare gentile?”
— “Maisì, signore, maisì!....”
— “E non ti pare sacrilegio spegnere a un tratto con un soffio
proditorio tanta luce di venustà e d’ingegno?”
— “Era pur meglio, signor duca, che noi fossimo morti nella battaglia di
Lepanto!....”
Il duca si alzò da sedere asciugandosi la fronte grondante di sudore; —
passeggiò nella stanza agitato; poi allo improvviso fermandosi, e
ficcando gli occhi negli occhi di Titta, favellò:
— “Ma non sai altro che formare augurii di cosa ormai a conseguirsi
impossibile? — Non hai tu in pronto un consiglio che valga? — Nulla! —
Nulla! — Siete uomini voi, o echi di spilonche?”
— “Non avete voi detto essere una cosa che bisognava compire? Come
volete voi che consiglino i servi, quando i padroni manifestano che
terranno i consigli in parte di resistenza ai desiderii loro?”
— “Titta, hai ragione; — tu hai meco sempre il torto solenne di avere
sempre ragione.... Quanto ti ordinava apprestasti?....”
— “Tutto.... e potete riscontrarlo da per voi stesso.... guardando....
in su....”
— “Sta bene.... non importa.... mi fido....” — E in vece di sollevare lo
sguardo lo affiggeva al pavimento. — “Ora prendi questi due bracchetti,
e va quanto meglio ti verrà fatto silenzioso alle stanze di madonna la
duchessa; batti soave.... e le dirai....” — E qui abbassò la voce
continuando a parlare. Titta assentiva col capo. Paolo Giordano quindi a
poco riprese nel solito suono:
— “Adoperandovi parole piacevoli; con maniere affatto ufficiose. Hai
capito? — Ora vai....”
E siccome pareva che Titta mettesse tra mezzo alcuna dimora, Paolo
Giordano ripete:
— “Vai....”
Titta prese i bracchi, e mentre stava per passare la soglia della porta,
si sofferma, e voltata la faccia a Giordano, lentamente favella:
— “Ho io da andare, signor duca?....”
— “Vai.... vai.... Ella è una cosa che bisogna compire!”
E Titta andò. — Egli ascende pianamente le scale, si accosta alla stanza
di donna Isabella, — e appena la tocca, gli viene domandato di dentro:
— “Chi è? Che cosa volete?”
— “Da parte del signor duca io devo supplicarvi, madonna, ad accettare
questi due bracchetti, ch’egli vi manda in dono affinchè voi li teniate
cari per amor suo; e desidera ancora che domani li proviate a caccia
com’essi sieno addestrati, e capaci: — pregavi inoltre, che di tanto voi
gli vogliate essere cortese, di condurvi a stare alquanto seco lui,
avvegnadio gli paia strano che dopo tanti anni di lontananza non
dobbiate incontrarvi insieme senza testimoni.... E veramente anche a me
pare....”
Titta entrando vide come Isabella stesse con la signora Lucrezia
Frescobaldi prostrata davanti una immagine della Beata Vergine, leggendo
orazioni entro a un messale; ond’ei pensò tra sè: — “Meglio così, ella
si è provvista di viatico pel gran viaggio.”
Isabella si leva in piedi, e rimasta alquanto sopra sè, domanda alla
Lucrezia:
— “_Vo io, o no, a dormire con mio marito? Che dite voi?_”
E la Frescobaldi stringendosi nelle spalle rispose:
— “_Faccia quello che vuole: egli però è suo marito._”¹⁰²
— “Vadasi dunque.”
E la povera signora scese lenta, ma pure senza tremare.
La Lucrezia, o la curiosità la movesse, o la compassione, o piuttosto,
come io credo, ambedue queste cose, uscendo dalla consueta impassibilità
deliberò seguitarla inosservata alla lontana. Appena l’ebbe vista
entrare nelle stanze del marito, affrettò velocissima il passo, e appose
l’orecchio alla porta.
Udì liete accoglienze, e un salutare festoso.
— “Come a Dio piace, la incomincia a dovere,” — susurra a fiore di
labbra.
Poi le parve ascoltare, e ascoltò certo, suono di riso: e di baci dati e
restituiti.
— “Di bene in meglio....”
E trattenendo il fiato, intende tuttavia cupidamente.... — Ma oggimai
più non mi lice andare oltre con le parole, e ripeterò col Poeta:
Gli abbracciamenti, i baci, i colpi lieti,
Tace la casta Musa vergognosa,
E dalla congiunzion di quei pianeti
Ritorce il plettro, e di cantar non osa.
Sol mormora tra sè detti secreti,
Che. . . . . . . . . . . . . . . . .¹⁰³
La Lucrezia in punta di piedi tornava alle sue stanze, pensando: — “Io
fo conto che tempesta in casa non vi abbia più da essere, o se pure vi
sarà, noi la vedremo conchiudere con qualche baleno, ma senza fulmini.”
————
Mezza ora forse, o poco più, era passata dal momento in cui madonna
Lucrezia abbandonava la porta delle stanze di Paolo Giordano, che si
aperse di nuovo, e ne uscì Titta, il quale traversata la sala si
condusse alla porta dello appartamento di Troilo, e colà giunto, si
dette a bussare con le nocca senza troppo riguardo.
Troilo, comecchè gli paresse non avere motivo a sospettare, tuttavolta o
per cagione della insolita fatica, o del calore del sole, o del bere
soverchio, si sentiva acceso il sangue, e svoltolandosi per il letto non
poteva chiudere occhio. Ond’è che avendo inteso subito il rumore scese
il letto, ed aperse.
— “Cosa è che vuoi, Titta, con quel tuo viso da cataletto?”
— “Vostra Signoria, se alla prima non si appone, alla seconda non falla.
Il signor duca m’invia a significarle, che non trova modo di prendere
sonno....”
— “Giusto come a me....!”
— “Tanto meglio; — onde vi prega volere andare a tenergli un po’ di
compagnia, e a fare insieme due chiacchiere.... Così vi terrete
sollevati tutti e due....”
— “_Erat in votis!_ Attendi; in un _amen_ mi vesto, e vengo teco.”
E abbigliatosi con quelle vesti che prima gli capitarono sotto le mani,
presto fu in punto. Titta con un torchio acceso in mano lo precedeva, ma
arrivato alla porta di Paolo Giordano, trattosi da parte, e inchinata la
persona, favella ossequiosamente:
— “Passi, Eccellenza!”
Entrato Troilo, Titta chiuse, dando volta alla chiave, ponendosela in
tasca; e intromesso che fu colui nella seconda stanza, anche di cotesta
chiuse con molta accortezza la porta, rimanendo di fuori.
Troilo, posto piede nella stanza, vede Paolo Giordano seduto accanto al
letto davanti una tavola, e, o fosse la fantasia, o la virtù del lume,
da una ora a questa parte gli sembra di dieci anni invecchiato. Giordano
senza levare gli occhi gli dice:
— “Troilo, sedete.”
Cotesta voce non contiene in sè minaccia, nulla ha di rancore, è
placida, è sommessa, — e non pertanto non pare articolata dalle labbra;
— uscita così dagl’imi precordii come dal fondo di una sepoltura, ebbe
forza d’infondere un ghiaccio nelle ossa di Troilo.
E Troilo sedeva.
— “Troilo, a me fa mestieri favellarvi parole, che giova a me dirle,
ascoltarle voi negli orrori delle tenebre.... negli arcani silenzi della
notte.... Troilo, dopo tre anni lunghissimi di lontananza io torno a
casa.... ma questa dove torno è casa mia? Posso io dormire sicuro? Posso
io sedermi senza sospetto a mensa?....”
Troilo côlto alla impensata, improvvido di consiglio, si tace.
— “Troilo! Quando io mi partiva da casa, conoscendo la donna che mi fu
moglie — che adesso mi è moglie, — di mobile fantasia, sciolta nei modi
per colpa di educazione assai più che a severa gentildonna non
conviene.... facile a trascorrere.... petulante.... proterva.... io
aborrii lasciare confidato il tesoro del mio onore in mani non dirò
infedeli, ma per certo pericolose. — Di cui doveva confidare io, se non
del mio sangue? Te dunque scelsi, a te raccomandai il mio onore, che
pure è il tuo, e ti scongiurai con le lacrime agli occhi ad averne buona
e vigilante custodia.... Te lo ricordi, Troilo? È vero? Vorresti forse
smentirmi?.... E volendo, potresti?”
— “È vero...”
— “E ti ricordi le promesse che mi facesti allora? Te le sei ricordate
tu sempre? Rendimi ora dunque ragione: come hai tu esercitata guardia
leale intorno a mia moglie?....”
Giordano tiene il braccio destro col pugno teso sopra la tavola....
orrendamente ha contratti i muscoli della fronte, le sopracciglia
aggrottate, e le pupille a mezzo sotto di loro nascoste mandano traverso
ai peli arruffati una luce come di fuoco ardente dentro un roveto. La
lingua di Troilo sta confitta al palato; e Giordano di nuovo:
— “Come hai tu esercitato vigilante custodia intorno alla mia moglie?”
E poichè la risposta non viene, egli continua:
— “Se devo porgere ascolto alle novelle che me ne giunsero fino a Roma,
veramente io ho perduto la mia fama senza rimedio; la mia casa è piena
di obbrobrio: ormai io non potrò più udire il nome della donna mia senza
sospetto che lo profferiscano per onta o per dileggio. Virginio non
potrà udire il nome della madre senza abbassare la faccia per la
vergogna. Nefande cose avemmo ad ascoltare, cugino, e tali a cui
inorridisce la natura.... tali che sono a sopportarsi impossibili, che
nè posso, nè so, nè voglio a patto niuno sofferire io....”
— “Giordano!....” con voce di agonia replica Troilo; — “un cavaliere
come voi fornito di quell’ottimo discernimento che tutti conoscono....
pratico delle cose del mondo.... vorrà credere a parole bugiarde.... ai
detti di uomini oziosi.... e maligni? Noi generalmente il popolo estima
felici; e genti cui l’astio rode gioiscono nello avventarci strali
avvelenati. — Facciamoli piangere, esse dicono; così nel pianto saranno
uguali a noi....”
— “E tu ben parli; ma la nequissima voce mi venne confermata da tale,
che ormai non posso più dubitare.”
— “Ella è poi di fede degna come voi reputate?”
— “Lascio a te giudicarne. Me lo confessava Isabella....”
— “Ah! Isabella....?”
— “Isabella....”
— “Vostra moglie....”
— “Ella dessa.... mogliema. — Ora mi dì, Troilo.... il tuo nome è
Orsini? Il sangue che nelle tue vene discorre è un sangue stesso del
mio? — Rispondi!”
— “E a che dirvi quello che voi troppo bene sapete?”
— “Perchè mi giova in questo momento solenne udirlo da te, ed essere
certo che tu lo ricordi, che te ne senti convinto... Così mi trovo
circondato di traditori, — che dal mio sangue in fuori... io non ardisco
sperare non essere tradito... Dunque tu sei mio sangue...? Ora dammi un
consiglio!... Isabella... l’ho io da perdonare, o da ammazzare?...”
— “E devo consigliarvi io?”
— “Sì...”
— “Ma nè io, nè altri mi crede capace da tanto. Voi avete molto maggiore
senno di me...”
— “Io però non lo penso; e posto ancora che ciò fosse, estimi forse che
non si perda in simili casi il senno? Orsù, io t’impongo di
consigliarmi...”
— “E allora... considerate, Giordano, come sia misericordioso il
Signore;.... e come gl’incliti personaggi che a lui si rassomigliano
compariscano miti e clementi:.... ottenga pietà presso di voi la
debolezza della natura, la età della donna, e gli esempj non buoni nei
quali venne nudrita;... vi ritorni al pensiero quello che con la solita
prudenza ragionavate poco anzi, la fantasia mobile, la indole
immaginosa, il tempo, il luogo, la occasione;... ed anche... il fato,
Giordano, dacchè noi tutti governa un fato insuperabile.... e usate
misericordia.... Isabella non potrà più presentarsi al vostro cospetto
decorosa d’innocenza; voi non la potrete amare mai più.... e forse
stimarla nemmeno.... e non pertanto avanza all’offeso una contentezza,
acre è vero, eppure desiderabile sempre, quella cioè di sentirsi
immeritevole della offesa, — e di vedere l’offensore pentito nel
profondo dell’anima....”
— “Vedi se ti manca il senno! Tu non patisci certamente difetto di
eloquenza.... Ed io lo immaginava! — Davvero io vorrei seguitare il tuo
consiglio, ma un pensiero me ne distoglie, ed è questo: in simile
negozio ci va soltanto dell’onore mio? Il decoro di famiglia non deve
estimarsi a modo di fidecommesso, che a me non è dato alienare, e
neanche diminuire, ma che nella sua interezza io devo rendere ai figli
così immaculato e chiaro come io dai miei maggiori lo ricevei?
Diversamente operando, non ti pare egli che un giorno potrei sentirmi
dire dai padri: — Che cosa hai tu fatto del nostro patrimonio? — E dai
figli: Non è questo il nostro retaggio...?”
— “Io crederei fosse bello le vendette ardue cercare, e compire; le
altre, che per farle basta volerle, parmi dimostrazione di animo grande
abbandonare. Vincere altrui è cosa lodevole, vincere poi sè stesso,
divina....”
— “Ed anche per ciò io mi persuaderei a perdonarla.... quasi....,
sennonchè un altro motivo mi cruccia, ed impedisce che il mio cuore si
apra alla pietà; ed è la ostinazione della donna a tenermi celato il
nome dello adultero....”
— “E nol sapete voi?”
— “No.... E tu lo sai?...”
— “Io? No.”
— “E questo pensava anch’io, perchè altro ti venne in pensiero, che
guardarmi la donna, ed hai per ciò con la casa mia e meco un torto
grandissimo, Troilo; un torto del quale io non so come possa mandarti
assoluto. — Ma forse non vuolsi attribuire a te solo tutta la colpa, e
in parte.... anzi in grandissima parte.... è mia, che sapendoti e
giovane e cupido di gloria, e di alto cuore, ad altro dovevi attendere
tu che a fare lo eunuco di palazzo....”
— “Ed ella dunque recusa di svelarvi il nome...?”
— “Nè per preghiera, nè per minaccia, nè per la speranza del perdono
costei a verun patto assentiva mitigare la esacerbata anima mia....”
— “Certo, grave colpa è questa.... E tentaste tutte le vie?”
-“Tutte....”
— “Vedete dunque, Giordano, come male consigli chi non sa come le cose
stieno: — se questa sua caparbietà avessi conosciuto avanti, io vi avrei
consigliato in modo diverso.”
— “Diverso!”
— “Anzi contrario....”
— “Lo vedi tu stesso! Io mi vi trovo sospinto irresistibilmente: almeno
conoscessi colui che non trattenne pudore di contaminarmi la casa mentre
io versava il mio sangue per la fede di Cristo.... colui che non lo
dissuase la reverenza della casa mia.... e più della reverenza la paura
della mia spada! — Ah! mi parrebbe essere non infelice affatto, se
potessi cacciargli le mani nel seno.... strappargli il cuore, e
sbatterglielo nelle guancie.... — E vedi, Troilo, io glielo farei,
quanto è vero Dio.... ma il codardo si cela.... Oh chi sei tu, che mi
hai ferito a morte, e non mi hai tolta la vita? Qual è il tuo nome?
Móstrati! — Niente.... Ahi! quanto lacera il dolore della offesa fatta
da persona oscura, o abietta, o ignorata, contro la quale non possiamo
vendicarci, o vendicandoci rimarremmo macchiati più assai dalla vendetta
che dalla offesa....”
— “E veramente simili offese desiderano lavacro di sangue...”
— “E poichè non posso versare quello dello adultero aborrito... che di’
tu?...”
— “Parmi...”
— “No... parmi” — dice Giordano levandosi in piedi; — “qui fa mestieri
aprirmi il tuo concetto intero...”
— “Allora...”
“Allora? Perchè esiti tu? Qui non ci ascolta nessuno... nessuno...”
— “Allora... il decoro geloso di famiglia domanda che... sparisca da
questo mondo Isabella...”
— “Sta bene,” — rispose Giordano; e stesa la mano al cortinaggio, ne
tira da parte le cortine, aggiungendo: — “Ecco... guarda; — io l’ho
fatto...”
— “Ah vendetta di Dio!” — urla Troilo; e dando tre o quattro balzi allo
indietro con le mani dentro i capelli, percuote con le spalle e col capo
violentissimamente nella opposta parete.
Colei che fu donna Isabella Orsini giace resupina sopra il letto a modo
di sedente: sciolte e rabbuffate le chiome, tesi i bracci, con le mani
attrappite; il volto nero, e chiazzato di sangue; aperta la bocca, e
sozza di bava sanguinosa; gli occhi aperti, intenti, scoppianti fuori
dai cigli... Una corda sottile le stringe tuttavia il delicato collo, di
cui i capi si perdono pel buio della stanza, e terminano al soffitto.
Infelice spettacolo di colpa e di perfidia!
«Così perì Isabella dei Medici, che avrebbe fatto sè ed altrui felici,
se il cielo le avesse dato o minore bellezza, o maggiore virtù, o
migliori parenti.»¹⁰⁴
Giordano pallido anch’esso nel volto come per morte, ma comprimendo con
violenza prodigiosa la passione che gli sconvolge l’anima, immobile dal
luogo ove tiene aperte le cortine, sporge il braccio destro verso il
cugino, e continua a favellare così:
— “Ora il mio letto diventò deserto... chè ogni donna tremerà le si
converta in supplizio; — la mia casa è deserta, perchè il padre non può
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Çirattagı - Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23
- Büleklär
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 01Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4338Unikal süzlärneñ gomumi sanı 177035.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4522Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185835.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4446Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181939.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 04Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4460Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183537.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 05Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4381Unikal süzlärneñ gomumi sanı 167639.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 06Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4639Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184334.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 07Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4552Unikal süzlärneñ gomumi sanı 189135.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 08Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4500Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180834.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 09Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4304Unikal süzlärneñ gomumi sanı 178535.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 10Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4248Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172537.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4447Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183138.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4581Unikal süzlärneñ gomumi sanı 175235.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 13Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4701Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183936.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 14Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4449Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182437.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 15Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4447Unikal süzlärneñ gomumi sanı 198034.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 16Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4497Unikal süzlärneñ gomumi sanı 176437.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4572Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186335.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4293Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188036.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 19Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4519Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185335.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 20Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4448Unikal süzlärneñ gomumi sanı 192635.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 21Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4548Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182134.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4385Unikal süzlärneñ gomumi sanı 175837.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 2556Unikal süzlärneñ gomumi sanı 125641.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.