Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17

Süzlärneñ gomumi sanı 4572
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1863
35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
in atomi, che non s’incontreranno mai più, questa massa di fango
insanguinato che noi chiamiamo terra; e bene sta, — e quasi tarda che
sia: ma è scritto parimente, che i vostri amabili occhi si spengeranno,
e Dio vi chiuderà le palpebre come a vergini morte in mezzo ai tripudj
della vita. La voce dell’Eterno, pari al muggito di mille oceani in
tempesta, tornerà a fremere per le solitudini sterminate delle tenebre e
dello abisso. Di tanta immensità di cose create non rimarrà nè uno eco,
nè una memoria, nè una ombra; — come l’occhio cerca e non trova la
goccia caduta nel mare, come l’occhio cerca e non trova la stella che
scende giù dallo emisfero per le notti di estate; così il tempo fie che
precipiti nel seno della eternità; — questa madre terribile ucciderà il
suo figlio stringendolo nelle braccia, e lo seppellirà nelle proprie sue
viscere. O Signore, e come può l’uomo pensando alla morte delle stelle
conservare nel cuore disegni sinistri? Migliaia di secoli scorreranno
prima che le stelle cessino di narrare nei cieli le glorie di Dio; — e
da mille secoli prima che ciò avvenga questo mio ente diviso in molecole
infinite sarà agitato pei vasti regni della natura. E nonostante,
considerando come un giorno avrete a morire anche voi, bellissime luci
di amore, mi cade l’animo sbaldanzito, e mi pare cosa del tutto a
concepirsi impossibile come gli uomini, creature di un minuto,
incontrandosi passando sopra una terra che passa con loro, invece di
sollevare la mano per percuotersi, non si balenino un riso, e si
dileguino nel nulla, apparizione leggiera, fugace, ma almeno gioconda.
Per questa notte, un uomo, come serpe che striscia, attenuando la
persona, rasentando lungo i muri, coprendosi col più denso delle
tenebre, e levando talvolta la testa per imprecare al raggio remoto di
cui le stelle sono pie alla squallida terra, si affrettava verso un
luogo determinato. Questo luogo fu il convento di Santa Croce. Giunto
alla porta del chiostro, tirò pianamente la corda del campanello,
moderando la voglia che si sentiva grandissima di dargli tale strappata,
da svegliare tutto il Convento: si pose ad origliare alla commessura, e
poichè non gli parve sentire muovere passo, lasciato trascorrere
convenevole spazio di tempo, tornò a suonare di nuovo: e così ripeteva
quattro volte e sei, e già era trascorso in alcuno atto d’impazienza,
quando gli sembrò udire, e udì certo, qualche rumore di dentro: si
ricompose subito, e si acconciò la persona a devozione. Una mano franca
aperse deliberatamente la porta: e per quei tempi non era poco;
conciossiachè vivessero in tanto sospetto, che per aprire in ora tanto
avanzata desiderassero segnali e contrassegni, come si costuma nelle
fortezze assediate; e nel punto medesimo una voce piena, e non pertanto
piacevole, favellò:
— “_Deo gratias_: che domandate voi nel nome santissimo di Dio....”
— “Reverendo Padre,” rispose lo sconosciuto “Dio in questo momento
chiama a sè un solenne peccatore. Come tutti i nodi giungono al pettine,
così in questa terribile ora gli tornano a mente i commessi misfatti, e
dispera della misericordia divina, e bestemmiando coloro da cui nacque,
e l’ora in che venne al mondo, corre presentissimo pericolo di morire
dannato...”
— “Misero lui perchè peccava; più misero assai, perchè dispera della
misericordia del Signore!....”
— “E così mi affaticava a dimostrargli io; ma come ignorante di
divinità, ho veduto fare poco frutto le mie parole: tuttavolta non ho
mai smesso di raumiliarlo, e persuaderlo a credere, che alla per fine
ogni cosa si accomoda, che Dio è tanto vecchio, e ne ha vedute tante e
poi tante, che adesso non deve starsi sul difficile, e cercare il nodo
nel giunco, e il quinto piede al montone; che un bel bucato di
pentimento, ma di quello proprio vero, ha lavato bene altre colpe che le
sue per avventura non sono...”
— “Certo, grandissima è la virtù del pentimento, e Dio come il buon
pastore si travaglia principalmente dietro la pecora smarrita.”
— “E il moribondo ha detto: — Ma chi ardirebbe presentare la mia anima a
Dio, senza paura che non si coprisse gli occhi con le mani? Chi leverà
per me una preghiera, senza paura che le vengano chiuse le porte del
cielo in faccia? Un solo... un solo giusto io conosco al mondo, che
varrebbe a ispirarmi un filo di fede.... ma è troppo tardi.... egli non
verrà.... a questa ora rinfranca con breve riposo le membra affaticate
nelle opere di Dio... Ahimè è troppo tardi!... E traendo doloroso
guaito, si rotolava smanioso per il letto. Alla fine mi riusciva a
fatica a cavargli di bocca il nome di questo venerabile uomo, che
certamente non vuolsi negare santissimo e dottissimo, essendo questo
vostro reverendo Padre Marcello, che Dio sempre letifichi. — E comecchè
l’ora sia tarda, nonostante mi è parso bene mettermi in avventura,
sperando che mi sia conceduta la grazia di potere anch’io povero
peccatore contribuire alla salvazione di un’anima battezzata....”
E siccome il frate stava pensoso sopra sè, e non rispondeva, egli
soggiunse ponendo tra una parola e l’altra certa pausa studiata:
— “Oltrechè, essendo il moribondo fuori di modo ricchissimo, e grande
mercatante, nè per quanto io mi conosca avendo figli, o parenti se non
lontanissimi, ho pensato che inestimabile quantità di pecunia avrebbe
lasciato per essere spesa in opere pie, elemosine, uffizii, eccetera.”
Però il frate non aveva punto dato ascolto al ragionamento finale di
costui: e allo improvviso, come se risensasse, favellò:
— “Tanto, morire una volta dobbiamo; e la migliore delle morti
sicuramente è quella che noi incontriamo nel servigio di Dio. Questa
vita di sospetto sembra una morte di tutti i momenti. — Dabbene uomo, tu
nella semplicità del tuo cuore consigliasti come il più dotto dei Padri
della Chiesa. Dio volle dare mercede uguale tanto agli operai che
vennero matutini, quanto agli altri che si fecero verso sera alla sua
vigna. La carità non guarda l’orologio; e l’ora più luminosa per lei è
quella in cui può portare maggiore soccorso ai poveri afflitti. La
carità operata nel buio della notte è quella che più si manifesta
all’occhio di Dio. La casa del Signore non rimane mai vuota: picchiate,
e vi sarà aperto. La fontana della pietà celeste non viene mai meno:
domandate, e vi sarà dato da bere; — il sangue del Redentore scorre
perenne lavacro per le anime pentite e umiliate. — Certo, pieni di
pericolo camminano i tempi, e mani invisibili percuotono i sacerdoti. La
religione adesso geme sopra il sangue dei martiri che bagna la terra
senza fecondarla. E vi è chi vuole la religione sua ancella, anzi pure
complice, e presume vestirla della sua assisa; le proprie armi
gentilizie sostituire sopra la stola alla Croce, e stipendiarla come una
lancia spezzata. — Tolga Dio tanta infamia: la religione ha mandato di
mettersi in mezzo fra l’oppresso e l’oppressore, salvare il primo sotto
le fimbrie del sacro manto, guardare in faccia il secondo, lanciargli
contro l’anatema, e trascinarlo pei capelli davanti a un tribunale dove
egli è polvere... Ma questa città ha lapidato i suoi profeti; — gli
angioli piansero quando videro Fra Girolamo arso dal popolo, e pei cieli
corse un lamento: — O Signore, o Signore, è forse venuta la fine del
mondo? — Come nello uffizio della settimana santa al terminare di ogni
salmo spengono un lume; e quando saranno spenti tutti, batteranno le
tenebre, e come ferocemente! — Tu mi potresti ingannare. Giuda tradì
Cristo baciandolo; ma io voglio piuttosto essere tradito una volta, che
sospettare per tutta la vita.... Va innanzi, uomo; ch’io ti vengo
dietro....”
— “Come, siete voi?....”
— “Io sono Frate Marcello. Gli altri dormono, ma a me il Signore ha
detto: — Veglia, perchè la tua vita sarà breve, e dormirai presto i
sonni perduti dentro il sepolcro. — La preghiera è la mia sposa, la
predicazione la sorella, il pianto la mia voluttà....”
E tratto a sè l’uscio, si cacciava dietro ai passi dello sconosciuto.
Lo sconosciuto, il quale (imperciocchè io non ami procedere per via di
sorpresa) era Titta, camminava a capo chino con passi obliqui come
persona presa fortemente da qualche passione; e di vero la cosa stava
siccome appariva. Egli, che aveva logorato tanti anni di vita negli
articoli di fede ai quali credeva Margutte, adesso, nel giro di poche
ore, la sua fortuna gli poneva davanti due generose anime, quella di
Cecchino, e l’altra del Padre Marcello; sicchè, quando se lo pensava
meno, un dubbio gli sorgeva nella mente, che forse egli aveva forviato
per tutto il tempo ch’era vissuto nel mondo, e, senza troppo
comprenderla, quella dignità gli sembrava un fatto stupendo. — Inoltre,
quel confidarsi pronto e spontaneo in lui, tanto poco di confidenza
meritevole; la onesta baldanza che nasce dal sentirci innocenti; l’oblio
o il disprezzo di qualunque pericolo quando si trattava di fare opera di
carità, lo agitavano di affetti così nuovi e profondi, che non sapeva
darsene pace. Quello poi che ai sottili indagatori di questa nostra
umana natura, senza comparire punto impossibile, giungerà maraviglioso,
era questo, che mentre procedeva deliberato di condurre a fine la
insidia tramata ai danni del frate, supplicava l’Angelo Custode che lo
trattenesse, e frugava nelle latebre intime del cuore in traccia di una
qualche virtù, che gli servisse a modo di áncora, alla quale
appigliandosi, salvarsi dal naufragio.
Fra Marcello, quantunque le strade di Firenze ignorasse, pure conobbe
che per bene due volte lo aveva fatto passare nella medesima via, onde
gli parve bene di percuotere sopra la spalla il suo conduttore, e dirgli
— “Fratello, avvertite al cammino...”
— “Ah! voi avete ragione; io mi era sprofondato in un pensiero dal
quale, se la mercè vostra non mi soccorreva, non so quando mi fosse
avvenuto di uscire; e perchè questo caso non si rinnuovi, piacciavi
rispondere ad alcuni dubbi che mi sono caduti nel pensiero. Ora via,
Padre, dove pensate voi che ci menino con tutte queste contese intorno
alla religione?”
— “Questo è troppo lungo discorso; ma io ho fede che meneranno a bene.
Per me Lutero è un cerbero, che abbaia perchè non gli hanno gettato
l’osso: ma egli morse le foglie, non la radice; lacerò la frangia, e non
la stoffa. Egli è noioso come una critica, e dura soltanto perchè dura
il difetto: se la Chiesa si forbisca nella piscina mistica, manca Lutero
con altri innovatori. Già non s’intendono fra loro nel fabbricare la
nuova Babelle; ritorna l’antico prodigio della confusione delle lingue,
tutti percorrono sentieri senza riuscita. Queste tribolazioni
passeranno; ma prima che passino, io temo che vi se ne aggiungeranno
molte altre delle nuove: ribellato lo spirito umano dall’autorità, forza
è che si stanchi nel cammino dei superbi ragionamenti. Immaginando le
superstizioni e gli errori necessaria sostanza delle religioni, si
legheranno per distruggerle tutte; e questi io presagisco essere giorni
pieni di dolore: vedo rinnovarsi l’aceto, e il fiele, e le spine, e le
percosse, e i chiodi, e la lanciata di Cristo; vedo il dubbio come un
vento venuto dal deserto inaridire le mèssi della fede, della carità, e
della speranza. Ma poichè l’uomo col solo lume della ragione non attinge
le sedi celesti, rimarrà spaventato considerando nel cielo uno abisso
come nello inferno, e sentirà di nuovo bisogno di un Dio, che abbia
avuto dolore, amore e senso di umanità, e cercherà di nuovo il suo
Cristo, il quale, come si racconta che per San Francesco facesse,
staccherà le braccia dalla croce per abbracciarlo. La religione rivenuta
pronuba delle anime umane, dopo averle sposate sopra questa terra co’
vincoli dell’amore, le avvierà verso la patria eterna a cui tutti
aspiriamo, ch’è il cielo...”
— “Bè, bè, queste paionmi cose da venire di là da giudicare i vivi e i
morti. Lasciamo il cielo, dacchè, come dite, è negozio lungo: di questa
nostra terra, di questa cosa che chiamano patria terrena, che ne pensate
voi?”
— “Figliuolo mio, ella è morta: no, non è morta... è apparenza di morte
il sonno che l’opprime... ma così è grave questo sonno, che oggimai
parmi che senza un miracolo di Dio ella non possa risvegliarsi mai più.
Sappi, sappi, figliuolo mio, che non possono tormentare oppressori, se
non consentono a lasciarsi tormentare gli oppressi; nè la difficoltà
consiste a tôrre di mezzo il tiranno, sibbene a procurare le virtù
costituenti l’onesto vivere civile. Questa città nel tempo della morte
del duca Alessandro palesava come possa, spento il tiranno, rimanere la
servitù; e ciò avverti per le sorti interne: in quanto alle esterne poi,
Dio è forte, e sta coi forti. Questi stolti immaginano vincere Spagna
col Cristianissimo, il Cristianissimo con la Spagna, e stendono ora
all’uno, ora all’altro, supplichevoli quelle mani che dovevano chiudere
per minacciare e percuotere ambedue. — Fuori i barbari! — gridava il
glorioso pontefice Giulio II; e barbari erano tutti quelli che non
ebbero nascimento quaggiù. O stolti! che credete la baronia di Spagna e
di Francia avere a lasciare i dolci castelli, e le consorti, e i figli,
perigliarsi su i mari, arrampicarsi per le cime ardue dei monti, e
convenire nelle vostre contrade per combattere un torneo a tutta
oltranza, e darne il premio a voi neghittosi, che lo state a vedere. O
stolti! quel popolo che non sa difendere la terra nella quale lo pose la
natura, non merita possederla; il mondo è di cui se lo piglia; così
provvide la legge del fato. Luigi XI fece la Francia unito e forte
reame. Carlo V ebbe lo intendimento medesimo per Germania e Spagna. Quel
sì vantato Lorenzo de’ Medici, che cosa fece egli? Con artificj da
giocoliere mantenne in equilibrio discorde i frammenti dei frammenti di
un popolo. Non fu monumento quello, ma un mosaico di pietruzze, o
piuttosto una statua di carta pesta, e il primo vento che si messe dalle
Alpi la rovesciò: Carlo VIII corse la Italia con gli speroni di legno.
Ora siamo rotti sopra la vita, i popoli italiani stettero a vedere
morire la repubblica di Firenze come un gladiatore combattente: alla
morte onorata applausero tutti, non la soccorse nessuno; e la repubblica
cadendo scrisse col proprio sangue sopra l’arena una sentenza fiera, e
che deve compirsi: — E voi pure cadrete, ma infami. — Venezia si finge
seduta sopra un trono, e siede sopra il sepolcro che la deve
raccogliere. Genova fa come la rondine, che composto il nido in luogo
eccelso si tiene sicura, e non pensa alla freccia del cacciatore, che
arriva alle nuvole.... Io respiro un’aria di avelli; io calpesto una
terra di camposanto....”
— “E allora, Padre, non vi sia grave ascoltare queste parole, che cento
e più anni fa compose un canonico, che la sapeva lunga, ma lunga
davvero:
O ciechi, il tanto affaticar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica,
E il nome vostro appena si ritrova.“⁸⁹
— “Poni mente: primo perchè il cielo non mi largiva il dono della
profezia, e siccome potrei per avventura andare errato, così bisogna
fare quello che dobbiamo, senza darci pensiero di quanto sia per
avvenire; secondo, perchè da un maestro mio intesi dire, che un Dio e un
popolo, comecchè morti, non possono stare lungamente dentro il sepolcro:
e di vero, Gesù Cristo vi dimorò tre giorni. Le giornate dei popoli
veramente sono secoli; ma gli uomini fuggono come ombre; la umanità
rimane. Ogni buon germe fruttifica al cospetto di Dio, e a tempo debito
uscirà a giocondare la terra; se non ne mangeremo noi, seminiamolo, ne
mangeranno i nostri figliuoli. Terzo, perchè io vi ho detto, che non la
reputo morta, ma sì appresa da mortale letargo. Ormai non mi giova, anzi
aborro spendere la vita che Dio mi compartiva, a scolpire una cassa di
marmo egregio con sottile lavoro, e riporvi dentro la patria, e poi
ammantarmi di paramenti maestosi, accendere lumi sopra candelabri di
oro, empire d’incenso i turiboli, e cantarle intorno con note divine la
preghiera dei defunti. Questo io aborro, comecchè con infinita amarezza
dell’anima lo vegga praticare da uomini di nobile ingegno, ma di cuore
pusillo... Hai tu sentito narrare della regina Giovanna, la madre di
Carlo V? Quando le morì il consorte Filippo, ch’ella amò tanto, non lo
volle sepolto, ma imbalsamato lo pose sopra un letto ricchissimo di
velluto nero, e finchè visse gli sedeva accanto, ad ora ad ora spiando
se mai si risvegliasse: questa era carità, e follia. Io poi imito lo
esempio caritatevole con sapienza, imperciocchè non reputi morta la
patria, ma addormentata come per forza d’incantagione; e giorno e notte
la veglio, profferendo sopra di lei parole di amore, più spesso di
dolore, e d’ira: talvolta con sali spiritosi, e con altri cosiffatti
argomenti m’ingegno richiamarla alla vita; tale altra le mani le caccio
dentro alle chiome, o le appresso alle labbra un carbone ardente, come
Dio fece ad Isaia, o le incido la carne presso il cuore per vedere se ne
spicci vivido sangue. — Certo.... certo, fin qui indarno tornarono le
parole, e dei capelli mi rimasero in mano intere le ciocche
strappate.... Ma se presso allo svegliarsi, queste parole d’ira, di
dolore, e di amore, questi fatti di carità e di sdegno valessero a
romperle il letargo dalla testa un minuto, un secondo, prima del tempo
stabilito dal fato, non ti parrebbe la mia vita, cento vite di cittadini
santamente spese....”
— Questo cervello di frate, pensava Titta fra sè, mi pare un molino a
vento; ma anche simili molini, quando la stagione corre propizia,
macinano grano, e bene. Per uscire da questo vespaio, non ci è altro
rimedio che farlo incappucciare; — e non ostante mi sembra una grande e
nobile creatura. L’Aretino non era degno di legargli il calzare; — però
di mutamento non è più tempo, e mi bisogna lasciare il trave tarlato per
paura che non rovini la casa.... — Eccoci al punto!.... Davver davvero,
io commetto un solenne tradimento: ma gettato sul mucchio delle mie
cattive opere, non ne crescerà il volume.... E poi, guai a cui gli
torcesse pure un capello.... Alfine non si tratta di cosa grave; poche
ore di chiusa, co’ migliori comodi che sapesse mai desiderare.... E gli
chiederò perdono..., ed egli come umanissimo me lo concederà.... —
Così tra sè mulinando, vide esser giunto alla posta; ch’era lo sbocco
della via del Mandorlo: allora accostatesi le dita della mano destra
alle labbra, ne trasse un fischio acutissimo, e allo improvviso, senza
sapere donde fossero piovuti, staccandosi quasi dalle pareti delle case,
ecco apparire quattro uomini, che circondarono il frate. Padre Marcello
sentendosi infiammato di subita ira, stese la mano, e forte stringendo
il braccio a Titta, con voce commossa gli disse:
— “Tu mi tradisci!” — Ma indi a poco ridivenuto mite, in suono mansueto
gli aggiunse: “Dio ti perdoni. — _Domine, in manus tuas commendo
spiritum meum._”
— “No, Padre mio, non dubitate; noi non vogliamo farvi un male al mondo.
Io ve lo giuro per la Santissima Nunziata, che sendo qui presso, come
vedete, può dirsi in certo modo che mi ascolti. Noi non abbiamo bisogno
della vostra vita, ma sì della vostra cappa. Noi vogliamo per qualche
ora diventare voi, senza però che voi cessiate essere voi. Voi a tempo
debito sarete ricondotto al convento come una sposa. Intanto, voi non
potreste venire innanzi se prima non consentiste a farvi bendare gli
occhi...”
— “Fate... Assai più gravi oltraggi ebbe a soffrire il mio divino
Maestro. Non mi dolgo per me, ma io mi addoloro per quelle povere anime
allo esizio delle quali io troppo bene mi avveggo che voi tramate
qualche opera di tenebre....”
E porse il capo alla benda, studioso di evitare più che per lui si
potesse i contatti della gente tristissima. Bendato il frate che fu, e
assicuratisi bene che non potesse vedere, lo condussero nella piazza
della Santissima Nunziata, dove aggiratolo per tutti i lati, affinchè
non si addasse del cammino per lo quale intendevano avviarlo, percorsa
la via dello Studio, e la piazza di San Marco, lo messero dentro al
casino.
Condottolo in una stanza apparecchiata all’uopo, che corrispondeva al
giardino di cui le finestre però erano state chiuse con saldissime
imposte inchiodate esternamente, Titta esitando, che quasi sentiva
venirsi meno il cuore all’atto inverecondo, con una voce dimessa così
favellò:
— “Padre, non vi sia grave se vi tolgo la cappa di dosso....”
— “Guarda, che tu commetti sacrilegio, e se Dio ti cogliesse in questo
punto di mala morte, tu ruineresti irreparabilmente nello inferno....”
— “Padre, _in primis_, protesto ch’io già nol faccio per recarvi
oltraggio; poi mi obbligo solennemente a riportarvela fra non molte ore;
ed infine, essendo il caldo grandissimo, io non mi persuado come possa
commettere tanto brutto peccato liberandovi per alcun poco di tempo da
così grave cilizio....”
— “Quando io vestiva questo abito, giurai che non lo avrei deposto
finchè mi durava la vita....”
— “E voi non rompete il giuramento, imperciocchè patite violenza, e non
vi concorre per nulla la volontà vostra....”
— “Ma perchè mi usi violenza? In che cosa ti nocqui? Dove mai ti
conobbi?”
— “O Padre, avreste dovuto accorgervi ch’io violentato adopro
violenza...”
— “Se conosci il male, perchè non te ne astieni?”
— “Arduo sarebbe stato prima di ora: adesso poi, impossibile.”
— “Sciagurato! Io ti compiango. Quando mi riporterai questa veste, sarà
macchiata di sangue: forse ad occhio mortale non comparirà quel sangue,
ma Dio lo vedrà: un’anima cristiana starà allora davanti al suo trono, e
chiederà vendetta.... e l’avrà....”
— “E fosse la sola!” mormorò Titta. — “Padre, l’ora si fa tarda, datemi
la vostra cappa....”
— “Oh! prendimi, prendimi piuttosto la vita....”
— “Io vi ho detto abbisognare noi della vostra cappa, e non della vostra
vita: io, quanto più so e posso, mi raccomando umilmente, affinchè non
consentiate che noi vi mettiamo le mani addosso. — Toglieteci la
necessità di questo estremo; anche noi obbediamo a cui può molto più di
noi. E non obbedendo, saremmo tutti morti....”
— “Ebbene, strappatemela di dosso; — e Dio rimeriti colui che n’è
cagione a misura delle opere.”
Titta e gli altri si strinsero attorno al frate, il quale per quanto gli
bastarono le forze fece prova resistere: ma in breve rimase superato,
come colui che di piccola lena era: e troppo lo vincevano i suoi
avversarii. Avuta la cappa, si allontanarono frettolosi, come lupi che
ghermita la preda s’intanino; e Padre Marcello, accortosi dal silenzio
essere rimasto solo, si tolse la benda.
Vôlti attorno gli sguardi, vide una stanza ornata di pitture egregie, ed
insigne di opere di scoltura condotte in marmo e in bronzo; vide
apprestato un letto magnifico, una tavola coperta di varie ragioni cibi
e bevande, ed i doppieri che tramandavano vivissima luce: ma da tutte
queste cose torse gli occhi contristati, e li posò sopra uno
inginocchiatoio dove gli occorse un crocifisso e un libro, che dalla
mole gli parve, ed era, un messale. Col cuore pieno si gettò davanti al
crocifisso, e si sciolse in lacrime amare.
Egli pianse, conciossiachè comunque piissimo uomo ei si fosse,
nonostante anche in lui quel di Adamo vivesse; pianse la ingiuria atroce
sofferta e il sacrilego strazio; pianse l’offesa fatta a Dio; pianse per
l’anima o anime a cui aveva compreso ordirsi tradimento; e fervorose
inalzava le preghiere perchè il Signore sorgesse, e agli empii la sua
virtù dimostrasse. Certo non fu mai con voti più ardenti supplicato un
miracolo, nè con maggiore fede atteso, nè da casi più urgenti voluto: ma
a cui poteva operarlo piacque diversamente.
————
Le stelle incominciavano a farsi meno spesse nel cielo, quando dallo
interno della chiesa di Santa Croce, vicino alla porta maggiore della
facciata, fu udito un fragore di chiavi, e un muovere di passi pesanti.
Subito dopo, tutto di un tratto tirarono il catorcio. Un frate converso
sporse il capo guardando a destra e a sinistra, lo sollevò fiutando
quasi la vivida aura matutina, e stropicciandosi presto e forte le mani
esclamò: — bella giornata! — Poi salutato di nuovo con uno sguardo il
firmamento, rientrò in chiesa investigando se le lampade fossero rimaste
accese; e poichè, sebbene accese, un lume così fioco tramandassero, che
parevano presso a morire, si affrettò verso la sagrestia per infondervi
nuovo olio.
In questo mezzo, un altro frate, strisciando lungo le mura, s’introdusse
sospettoso e furtivo in chiesa per la porta maggiore, e con presti passi
si accostò ad un confessionale sotto l’organo, lo aperse, e vi si chiuse
dentro.
In fede di Dio, cotesta apparizione avrebbe cacciato addosso lo spavento
ai meglio animosi, imperciocchè al passare di dietro le colonne della
navata del tutto scomparisse, e allo improvviso attraversando il raggio
delle lampade appese agli archi, una figura nera e lunga pel pavimento,
sopra la parete si vedesse trascorrere veloce come una fantasima.
Non andò guari, che da più parti convennero alcuni devoti ed alcune
devote, recando in mano quale la lanterna, e chi il torchietto, che
l’aria quieta non valeva ad agitarne neppure la fiammella, e tutti si
accolsero, a modo che i colombi fanno alla pastura, intorno al
confessionale di sotto l’organo. — Cominciano le confessioni: ma in quel
giorno, con maraviglia non piccola dei devoti, Padre Marcello pareva
avere messo da parte la consueta mansuetudine. Poco udiva, meno
favellava, e negli atti e nelle parole troppo appariva diverso da quello
che era.
A certa madre, che si accusava avere maledetto il figliuolo perchè si
fosse ardito di batterla, disse: — “Ha fatto bene, conciossiachè ora vi
castighi per non averlo voi o voluto o saputo castigare quando era
tempo.”
A tale, che ricevuto in deposito del danaro da uno amico, aveva nei
proprii bisogni convertito la pecunia depositata, e domandava adesso
perdono e consiglio, rispose brevemente acerbo: — “Gettatevi in Arno.”
Vi fu una femmina, che confessava essere troppo inchinevole alle ire, e
intemperante di lingua, per cui spesso tra lei e il marito correvano di
brutte parole, e si empiva di subuglio la casa; ond’ella dalla carità
del frate supplicava sapesse indicarle rimedio efficace: e il frate
senza più: — “Chiedetene alle cesoie.”
Ad altra donna, che esposta una serie di peccati non piccola, minacciava
andarsene per le lunghe, ruppe la parola di bocca interrogando: —
“Quanti anni contate voi? — Sessantacinque, Padre, come viene
ferragosto. — Meglio per voi; così, dacchè voi non sapete lasciare il
peccato, presto il peccato lascerà voi.”
A tale, che con lacrime molte si accusava avere tradito un suo parente
facendogli la spia agli Otto, chiuse dispettoso lo sportello in faccia,
esclamando: — “Largo è lo inferno!”
E prima che io termini, piacemi riportare quanto egli disse a un
curiale. — “Padre, favellava il curiale, in certa lite nella quale
sentiva avere il torto, ingannai l’avversario, e mi riuscì ottenere una
sentenza favorevole.” — “Figliuolo mio, le difese forensi mi paiono
talvolta partite a primiera giuocate fra due professori di carte. Poco
male! Peccato più, peccato meno, ci vorrebbero più argani a tirare su
un’anima come la vostra in paradiso, che non ne abbisognarono per
portare le campane in cima al campanile: è tempo perso; potete
andare....”
Se via se ne andassero i penitenti sbigottiti non è da domandare. —
Cotesto, pensavano essi, vorranno dire santo uomo? Lui teologo sommo, e
in divinità dottissimo? Lui a conoscere le infermità capace, a trattarle
pietoso, a guarirle unico? Più che di altro costui ha sembianza di uomo
di arme; e meglio del cappuccio sopra la testa, o del breviario nelle
mani, gli starebbe una barbuta e una spada.
Allo improvviso, due donne avvolte dentro ampissima mantiglia di seta
nera, curando poco la turba, che genuflessa e stipata stava intorno al
confessionale, trapassano; e mentre una occupa la nicchia del penitente,
l’altra in atto di preghiera le si pone ai piedi. La turba sentendosi
così urtare senza compassione, non che osasse lamentarsi, si scansa
rispettosa, dicendo: — “Coteste hanno ad essere due grandi signore; —
passano, e pestano!...”
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Çirattagı - Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18
  • Büleklär
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4338
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1770
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4522
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1858
    35.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4446
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1819
    39.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4460
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1835
    37.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1676
    39.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4639
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1843
    34.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4552
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1891
    35.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4500
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1808
    34.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4304
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1785
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4248
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1725
    37.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1831
    38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4581
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4701
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1839
    36.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4449
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1980
    34.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4497
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1764
    37.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4572
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1863
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4293
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1880
    36.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4519
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1853
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4448
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1926
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 4548
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1821
    34.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22
    Süzlärneñ gomumi sanı 4385
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23
    Süzlärneñ gomumi sanı 2556
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1256
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.