Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11

Süzlärneñ gomumi sanı 4447
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1831
38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
non solamente savore, ma sapa dolce, e mostarda fine, anzi salsa
reale: così ognuno fruga e rifruga, mesta e rimesta, si spinge
innanzi, si ringalluzza, e si fa forte. Io ho fatto dipingere un
gatto soriano, con gli occhi di topazzi sfavillanti, con un motto,
che gli esce dal c... di fra le zampe, e che dice: _in tenebris
lucet_.
»È stato pure dipinto un sole incoronato con cappello ed arme, e
alcuni vi hanno scritto sotto: _custos, et causa salutis; dulce
decus nostrum_; altri: _laborum dulce lenimen_; ed altri
finalmente: _instar operum pretiose_.
»Fino a questo oggi gli sono state porte 2000 supplicazioni, le
quali tutte si sperano graziate coll’_ita est concedesi_, e non
come quelle del defunto duca, che avendo supplicato alla Divina
Maestà di volere cambiare vita obbligandosi a trattare bene, contro
il solito suo, i bambini, le balie, e la brigata, fu rimessa la
informazione al protettore nostro San Giovanbattista, et ebbe un
rescritto: — si rimette agli ordini di Giustizia; — onde infiniti
versi sono stati appiccati in vari luoghi, dei quali i più notabili
che sieno apparsi e veduti, sono questi:
Medicea stirpe, del ben fare ignuda,
Di sudore e di fame al mondo nata;
Tanto in te stessa, quanto in altri cruda,
E del comun languir fatta beata,
Finchè in te stessa alma gentile intruda,
Che in Francia, Spagna, e Fiandra si dilata;
Lupa, Lion, sotto di Pietro il manto
Cangerai alfine in riso il lungo pianto.
»E prima era divulgato il seguente sonetto:
Nol so se sia del Ciel destino, o fato,
Che Firenze in tal modo è fatto inferno,
Sendo ridotto a così rio governo,
Che ciascun piange come disperato.
Hanno gli empj al maggior gli occhi bendato.
Fa seppellirsi, Dio giusto ed eterno!
Co’ loro inganni giù nel basso Averno,
E pon miglior ministri in ciascun lato.
Pietro gli uffici incanta e l’Uguccione,
Ti rinnegar con la sua propria voce,
Il Troscia, il Giovannaccio col Cappone;
Carlo Napoleon, che ai banchier nuoce,
Filippo Alberto il negro uccel briccone,
Che i tristi assolve, e i giusti mette in croce.
»E della Bianca:
Qui giace in un avel pien di malie
E pien di vizj, la Bianca Cappella,
Bagascia, strega, maliarda e fella.
Che sempre favorì furfanti e spie.
»e di più:
In questa tomba, in questa oscura buca,
Ch’è fossa a quei che non han sepoltura,
Opra d’incanti, e di malie fattura,
Giace la Bianca moglie del Granduca.
»Il sig. Orazio Rucellai mio biscompare gli trattò dell’arcivescovo
di Pisa! affinchè tra tanto dolce non fosse mescolato un po’ di
amarore; ma egli assicurollo dicendo, ch’egli era qua per suoi
particolari negozj, e non per altre faccende; ma si vede bene che
l’arcivescovo mesta tutto, onde è stato scritto, e divulgato così:
Di grazia, Serenissimo Signore,
Fate mercede a tutto il popol grata,
Prendete una granata,
Cacciate l’Uguccione col Corsino,
L’Antella, il Troscia e il Conte in un cantone;
E quello ippocritone
Arcifiscal pisano
Tenetevel lontano,
Chè ognuno ha gran timore
Che non vi faccia infiscalare il cuore,
Perchè egli è tanto tristo,
Che faria diventar cattivo Cristo.
»E il prelodato mio biscompare ricordògli, che la più importante
cosa che si appartenga e che si desideri da un principe, si è che
stia in grazia di Dio, cerchi con ogni studio mantenersi la sanità
e la benevolenza delle persone, più appresso conosca che negli
uomini, quantunque per molte parti perfetti, pure andare sottoposti
a varie imperfezioni, tra le quali deve annoverarsi quel desio di
cui ciascuno è punto, ansio e anelante, cioè la vendetta in cui sta
volto con ogni studio, e con ogni arte, e con ogni pensiero, nè può
vivere, nè può stare, non trova posa o quiete, e sempre cerca
farla, e continuamente pensa, e si stimola in essa; allo incontro
poi ricevuto il benefizio, tosto anzi subito se lo dimentica, non
ha punto pensiero, nè si rammemora di chi gli ha fatto servizio, lo
fugge, lo declina, e se crede trovarlo lo scansa. Dovere l’uomo
prode essere più pronto a rimunerare chi gli è stato benefattore,
che alla vendetta, e alla ira. Ciò essere parte di principe
generoso e magnanimo, e così facendo essergli per avvenire sempre
bene, e moltiplicare nelle felicità per se, e per i suoi. — E più
appresso, dovere avere innanzi lo scritto degli Spiriti Volterrani,
che dice: — chi ha in odio la ingratitudine non faccia servizj,
imperciocchè egli sempre incapperà in essa; — ma ciò non doverlo
trattenere punto, perchè il principe quando ha fatto il bene è
contento per se, e poi giovando a uno si contentano molti per lo
esempio, o per la speranza. Inoltre, che avesse sempre in mente lo
scritto a Santa Croce del Barberino: _frustra habet, qui non
utitur_; e poichè anche quivi è scritto, che il mondo si regge con
le opinioni, cercare di conformarsi nelle sue opinioni con le
migliori, e oltre a ciò porsi davanti gli occhi la gran buona mente
di Samadio re, il quale diceva intendere a ragunare tesori per
istrascinarsene dietro le some cariche, per darne a quanti
bisognosi incontrasse, e poi rifarsi da capo, affermando il
Principe essere un Giove per tutti onde giovare a ognuno, e più che
per altro per questo doversi reputare uguale a Dio; finalmente il
principe avere a fuggire tutti i ministri, i quali per proprio
conto abbiano affetti particolari, e passioni di loro comodo, utile
e interesse.
»E così speriamo che la porchetta nuoti, il mondo vada in
guazzetto, in candito e in gelatina. Fiorentini e Romani corrono la
cavallina; Orsini, Mattei, Cecchi, Menichelli, marchese d’Ariano,
monsignore del Monte, Titta, Arragonia, ed alcuno di loro gli è
commensale continuo. — Se non che monsignore del Monte, non si
volendo contentare, si è ridotto a mangiare solo con don Virginio,
e gli è stato ordinata stanza separata, servimenti e vivande da
principe.
»Monsignore S. Galletto è comparso tra i primi per S. S. a dargli
dell’altezza, e del serenissimo, visitando il più potente e ricco
cardinale che mai abbiano creato, perchè il cardinale di Portogallo
fu reggente, non re; — vi sarebbe Gastone se fosse eletto re di
Pollonia, ma si afferma dicerto che sarà eletto quello di Svezia,
se la vittoria del combatterlo stando nella vittoria delle armi,
non inchini a Massimiliano.
»I mandati, o lettere ai Cardinali, non sono mancate, tra i quali a
Gioiosa, e a Farnese, ma più per ironia, che per altro:
Correte, forestieri e terrazzani,
Dacchè il granduca nostro Cardinale
I fegatelli lancia in bocca ai cani.
»Ed è corsa ancora una Caterina, che dice:
Caterina, gatti, gatti,
Assai ciance, e pochi fatti.
»Il cittadino è rimesso; gli amici sono diventati servitori, i
servitori schiavi. I forestieri sopra tutti gli altri graditi, e
antesignani.
»Il granduca attende a terminare tutti i lavori incominciati dal
fratello, tanto di fabbriche, quanto di uffizj manuali, e anzichè
no accresce, avendo preposto a tutti il signore Emilio Cavalieri
signore di virtù, d’ingegno, e d’invenzione rara; come addrizzare
Arno in canale, condurre in piazza l’acqua di Montereggi, finire il
Palazzo, alzandolo dietro secondo l’architettura dell’Ammannato;
levare la Dogana, e appianando case allargarsi dalla piazza del
Grano, edificare quivi grandi logge, e, sopra, granai pubblici;
rafforzare gli Uffizj rimettendo sotto gli architravi, colonne
doppie in coppia vicine, levando quelle di pietra serena, finire la
Galleria dall’altra banda, e farne rigirare intorno delle altre
unite a quella per tutta la piazza granducale, e rigirando dal Sole
rientrare sopra la Dogana in palazzo. Ha in animo di edificare un
ospedale pei convalescenti. Dove aveva ad albergare la Sapienza ora
alloggia la bestialità, e vi crescono le stalle alla barba di
Niccolò da Vagliano, che ciò prevedere non potè, e dietro a se
nell’orto fare un memorabile Semplicista. Vuol fare terminare il
palazzo Pitti, e in mezzo della piazza pendente fare trasportare la
gran pila elbigna, e similmente mettere mano a rizzare la colonna
giacente di S. Marco, e dove si può abbellire et ornare la città,
farlo. Gli è dispiaciuto notabilmente il disfacimento della
facciata del Duomo, e per riordinarla a modo vi fa invigilare sopra
il cavaliere Pacciotto con altri architetti. Ha fantasia
d’ingrandire e illustrare il palazzo dell’Ambrogiana, dove avendo
compro un podere, ha donato al venditore sopra la stima fatta Sc.
300. Usò liberalità con aver dato elemosina ai poveri, e, mancata
la provvisione ai contadini, li sovvenne del suo. A quattro,
trovati a pescare in bandita, fattisigli venire innanzi, volle
sapere chi fosse stato il primo a spogliarsi per pescare, e
intesolo, diede a questo 4 scudi, e agli altri uno per uno,
minacciando loro per la seconda volta la cavezza. Fatte l’esequie,
alle quali egli non intervenne, ma le stette a vedere circa a mezzo
corridore per una gelosia, dacchè i cardinali non vanno mai ai
morti, se non ai papi, aspettiamo qualche amorevolezza giovevole
per molte cose proprie e particolari, almeno quando riceverà la
Gran Croce di Gran Maestro, o alle nozze; ma aggravj di momento per
ora non si tolgono, e le imposizioni importanti si mantengono. Levò
ancora il dazio delle stufe, del legname della Opera, e si crede
che così si farà del corame, e di altre piccole cosette di non
molta rilevanza, o acconcio. Quanto al Governo, Marco Tullio
Cicerone lasciò scritto ogni uomo sapere bene incominciare, la
importanza essere nel perseverare, e più nell’ottimamente finire.
Ultimamente deve VS. Ill. sapere che ogni nuova granata spazza bene
sempre, e netta lindamente la casa da prima. Io per me faccio conto
che dove prima mi conveniva portare, e andar carico di una soma di
acqua, d’ora in poi sarà greco, lagrima, o chiarello, ma sempre a
soma, e da asino; e qui ricordando a VS. Ill. ch’Ella non è per
essere così pronta a comandare a me, ch’io non sia altrettanto e
più sollecito a servire lei, le bacio le mani di cuore, e me le
raccomando ec.»


CAPITOLO SESTO.

IL FIGLIO.

Ma il bacio della madre, oh! non ha pari
E vivon mille affetti in quello affetto.
Oh! figli, figli lagrimati e cari,
Chi più vi muoverà la bianca cuna?
Chi più vi guiderà nei vostri lari?
Ci apre il labro la madre, e ad una ad una
Ci scioglie le parole, e il primo accento:
È madre:
_Ispirazioni di Bisazza da Messina._

Caterina di Francia! — Moglie di re, madre di re.... e non pertanto
quale più trista femmina che mai abbia vissuto o viva nel mondo,
accetterebbe col reame di Francia i dolori della sua vita, o la sua fama
dopo la morte! Nata da principe aborrito, fanciullina, derelitta, e
sola, venne in potestà di repubblicani inferociti che volevano vendicare
in lei le ingiurie del suo sangue, ed esporla sopra i bastioni alle
artiglierie dei suoi parenti, i quali per certo non si sarieno rimasti
dal trarre...! E nonostante, alacre e animosa, punto curando il pericolo
presentissimo, ella congiurava per la grandezza della sua casa. In lei
posero i cieli lo istinto e la capacità del regno. — Moglie giovanetta
di Enrico II, si vide posposta a Diana di Poitiers ormai matura adultera
del re suo marito; e tacque, e chiuse in cuore la offesa alla donna,
alla moglie e alla regina, ed ella si rimase come un fuoco nascosto per
comparire improvviso a illuminare o a spaventare il mondo. — Madre di
Francesco II, alla esperienza e gravità sue vide preferite le frivolezze
di Maria Stuarda, moglie quasi infante di re fanciullo; e tacque, e
blandì col riso sopra le labbra le follie dei reali giovanetti, mentre
guardava addensarsi sul capo il turbine fatale ai gigli di Francia. —
Alla perfine, eccola regina vera, e regna. — Come Niobe ella ripara
sotto il suo manto una testa pargola di re. Non dubitate, ella saprà
molto meglio difenderla dalla ira delle fazioni, che la Niobe antica non
facesse dagli strali dei figli di Latona. Che cosa appariva il regno?
Che cosa il re? — Carlo IX era un uccello, — un sinistro uccello se vi
piace, — che si contendevano gli artigli di un falco e di un avvoltoio.
I Guisa si dichiaravano suoi difensori; ma comprendete voi un re che
abbisogni di un suddito che lo protegga? Gli Ugonotti anch’essi lo
volevano proteggere, come un padrone lo schiavo; e gli uni e gli altri
erano più potenti di Caterina. I primi si dicevano amici della religione
e del trono, e commisero atti che la religione avrebbe desiderato esser
cieca per non vedere: amici del trono, essi composero una genealogia che
gli faceva discendere da Carlo-Magno per cacciare dal regno i Capetingi,
come Capeto ne cacciava i Carlovingi; e per ultimo si fecero demagoghi,
e si spensero. — I secondi, avversi ai riti cattolici, consentirono che
Enrico IV scambiasse Parigi con una messa: avversi al trono, terminarono
col dare un re alla Francia. Non pel re dunque si combatteva, ma pel
regno. Caterina non doveva dubitare soltanto della corona, ma del capo;
deposta la clamide reale, lei e i suoi figli aspettava la veste di terra
e di verdura che la morte concede ai cadaveri. Fiero retaggio
apparecchiato dalle insidie di Luigi XI, dalle sventure di Luigi XII,
dalle insanie di Francesco I, e fatto più arduo per le dottrine di
Lutero, e degli altri settarii che lo seguitarono. Lo equilibrio non
poteva allora come adesso mantenersi con l’oro sparso, e col gettare dei
voti nella urna; — qui bisognava un fiume di sangue; — qui invece di
voti era forza gettare teste nella urna del destino: — e Caterina
accettò quel retaggio con tutte le sue conseguenze, — tutte! — Certo
coteste non sono virtù di donna, ma neanche di uomini: pure gli enti che
la Provvidenza pose al governo dei popoli in questi casi estremi
appartengono appena alla umana natura; anime di bronzo create là dove si
generano il fulmine, l’uragano e gli altri flagelli di Dio. Caterina
impedì che andasse disperso in brani il reame di Francia nella maggiore
stretta che prima o poi egli abbia dovuto patire.
Lodano Luigi XI, perchè tagliando le teste alla idra feudale instituiva
la grandezza del regno; e plaudendo il fine, ai mezzi non badano. —
Lodano il cardinale di Richelieu, che ridusse per ultimo i baroni servi
dorati di corte. — Lodano ancora i Convenzionali, quando col sangue dei
Girondini scrissero essere la Repubblica una e indivisibile. Ma
lasciando di questi ultimi, erano poi così savii i primi come predica il
mondo? Trasportati anche essi dallo ardore del disegno, ogni estrema
forza essi adoperarono ad abbattere una muraglia, senza conoscere quello
che dietro di cotesta muraglia potesse loro apparire; e dietro il muro
abbattuto trovarono una fiera dai denti acuti, dagli occhi infiammati,
avida anch’essa di mordere, cupida di avere, affamata dalla necessità,
sitibonda di sangue, — il popolo flagellato insomma. — I due principii
invasori, senza un principio tra mezzo che o li disgiungesse, o li
temperasse, certo giorno si avventarono addosso, e il secondo divorò il
primo; ma trangugiato che l’ebbe, sentì risuscitarlo dentro le proprie
viscere, e da quell’ora giace infermo, e giacerà.... fino a quando? I
destini del mondo stanno chiusi nel pugno di Dio. Però a me sembra, cosa
strana a pensarsi, che Luigi XI e Richelieu, i più assoluti dei
dominatori, sieno stati padri delle rivoluzioni dei popoli. Caterina dei
Medici, femmina, con re bambini sopra le braccia, con forze più deboli
delle loro, anzi pure senza forze, fece per la Francia assai più che
essi non fecero: nè i casi le consentirono essere più mite; nè fu di
costumi niente più trista dei suoi tempi; ed io vorrei che mi dicessero
se Luigi XI, se Richelieu, se Francesco, ed Enrico di Guisa, se lo
stesso Coligny, sieno stati migliori di lei? Eppure una perpetua infamia
si rinnuova in Francia sopra la memoria di Caterina dei Medici: non vi è
generazione che in passando non la maledica, e non le imprechi grave sul
capo il marmo del sepolcro, e la vendetta di Dio! — Quello poi che
riuscirebbe inverosimile a credersi, se non fosse vero, a lei regina
sepolta in tomba reale con la corona e il manto dei re, mancò una bocca
— bocca comunque comprata, — che pronunziasse la laude venale sopra il
suo feretro. Tre giorni dopo la sua morte, il predicatore Lincestre così
dall’alto del pergamo la raccomandava agli astanti: «La Regina madre è
morta, la quale vivendo, fece molto bene e molto male, e per me credo
molto più male che bene. In quest’oggi si presenta una difficoltà, che
consiste in sapere se la Chiesa cattolica deva pregare per lei che visse
tanto male, e così spesso sostenne la eresia, quantunque si dica che in
ultimo sia stata per noi, e non abbia acconsentito alla morte dei nostri
principi. Su di che io devo dirvi, che se volete recitarle un _pater_ ed
_ave_ così a casaccio, fate voi; varrà per quello che può valere: e lo
rimetto nella vostra libertà.»
Basta: — dal giudizio degli uomini si appella a quello di un giudice che
non può fallare. — Intanto, per questo giudizio terreno giovi pensare
che è giudizio di tali che può dubitarsi perfino se abbiano veramente
giudizio, e che Caterina come Italiana non deve sperare giustizia da un
popolo presuntuoso, un tempo grande a caso, perchè vi spruzzò sopra gli
effluvii del suo genio una immensa anima italiana.
Caterina dei Medici regina di Francia, desiderosa di risparmiare infamia
alla famiglia donde nasceva, aveva risposto alla lettera di donna
Isabella, mostrandosi dispostissima a darle asilo, ma la consigliava e
pregava di mandare subitamente ad esecuzione il concetto disegno: avere
ordinato a Genova la raccogliessero; a Marsiglia l’accompagnassero, e
quindi sotto buona scorta fino a Parigi la conducessero, dove avrebbe
pensato ella a metterla in parte sicura dai sicarii e dai pugnali. Il
cavaliere Lionardo Salviati, ricevuta appena la lettera, la fece
pervenire quanto più sollecitamente e secretamente potè nelle mani della
Isabella col mezzo di don Silvano Razzi, monaco camaldolese amicissimo
suo, per evitare sospetti ed incontri funesti. Ma Isabella da poco tempo
in qua aveva perduto la consueta costanza; erasi invilita nell’animo,
presentiva il fato, e lasciava sopraffarsi da quello. I manoscritti che
ci rimangono intorno a questo miserabile caso, in siffatta maniera
favellano: «Ma l’accordo non seguì altrimenti, perchè così non era la
volontà di Dio benedetto, essendo le cose sue troppo scoperte, che ormai
non si potessero più colorire i disegni, e poi i suoi pensieri
conoscevano tutti.»⁶⁴ — Insomma, o non potesse, o non volesse, il fatto
sta che prima assai della risposta di Caterina regina di Francia, ella
poneva giù dall’anima ogni disegno di fuga.
La duchessa aveva una sorella di latte: ella bevve l’avanzo
dell’alimento della figlia del popolo; e avventurata lei, se come del
latte, si fosse nutrita delle virtù domestiche della buona nutrice! Però
essendo dotata di naturale eccellente, volle sempre al suo fianco la
sorella, che aveva nome Maria, e l’amò d’amore svisceratissimo. Senza di
lei non le pareva poter vivere; e a lei confidava i più riposti secreti
del cuore, fintantochè questi furono tali da potersi confidare senza
vergogna; quando poi cessarono essere innocenti, allora prese a
ravvilupparsi in ambagi e in reticenze; molto più, che avendo provato
mettere a parte Maria di qualche suo pensiero, che se non poteva
reputarsi colpevole, almeno incominciava a deviare dalla diritta strada,
n’ebbe cotale ammonimento, che le tolse la voglia di continuare. Maria,
comecchè buona femmina fosse, e non la guardasse tanto pel sottile, pure
troppo bene si accorse che il cuore della sua padrona non era più con
lei, e si accorse ancora che non lo potrebbe riacquistare se non per via
di compiacenza ai suoi stolti desiderii, e facendosi per così dire
complice sua. Ciò non le consentiva la propria religione, e nè anche la
fede avuta sempre nella sua padrona, e poichè non trovava maniera di
riunirsi a lei qual fu, deliberò lasciarla qual’era. La povera giovine,
per non istaccarsi dal fianco della Isabella, aveva ricusato onesti
partiti da accasarsi, e a lode sua conviene anche aggiungere, avere ella
soffocato qualche affetto che sentiva nascersi nel cuore. Le prime rose
della giovinezza erano alcun poco appassite per lei: ma vissuta
castamente, e schiva di ogni reo costume, si manteneva pur sempre
sanissima e bella. Mentr’ella stava in simile situazione di animo, la
fortuna le parò innanzi un giovine chiamato Cecchino del Bandieraio, di
cui le andarono a genio la persona, e più della persona assai la pietà
che dimostrava grandissima verso la sua vecchia madre. Maria, rimasta
sola di casa sua, non ebbe a domandare licenza a nessuno, tranne alla
padrona; e questa, tanto la vinceva allora la passione, senza dolore
lasciò che Maria l’abbandonasse, la quale poteva considerarsi come
l’àncora estrema di salvazione per lei; anzi la vide allontanare con
piacere, come persona di cui lo aspetto le riusciva importuno. Però,
secondo che le porgeva la sua natura veramente reale, ella non le fu
parca di doni: le dette in copia vesti, masserizie, gioie, e denari, e
dolci parole, e raccomandazioni che in ogni suo bisogno facesse capitale
di lei. Quando vennero al punto del dividersi, prevalse l’antica
tenerezza, e l’abbracciò tanto strettamente, che non pareva potesse
distaccarsi da lei, e pianse; — ma un bacio ardente dello amore asciugò
subito cotesta lacrima, e Maria fu ben presto dimenticata.
Maria all’opposto non seppe dimenticare Isabella, e non cessò mai di
recarsi giornalmente al palazzo per vederla: ma di cento volte le veniva
fatto di vederla una sola, imperciocchè le dicessero ora, che non
poteva; tale altra, ch’era assente; e la povera Maria se ne tornava
indietro mortificata, col cuore grosso, e gli occhi sovente lacrimosi,
ma non aveva fornita anche mezzo la strada, che scusava Isabella,
credeva vero il motivo del commiato, si dava torto per averne dubitato,
e si confortava nel presagio che sarebbe stata più avventurosa domani.
Il giorno appresso si rinnovava l’avventura, e a inacerbirle il
rammarico si aggiungeva il ricorrere che la gente faceva a lei per
essere raccomandata alla Isabella. Invano ella assicurava con mesto
sembiante oramai non potere più nulla sopra l’animo della duchessa: non
la credevano; pensavano volesse schermirsi da rendere servigio, e le
dicevano: «Sapersi, tanto lei quanto Isabella essere tutta una cosa,
un’anima in due cuori; quanto piaceva a lei, essa fare; quello che
voleva, potere: non ributtasse la preghiera della vedova e della orfana,
intercedesse e ottenesse; operasse cotesta carità, ricordasse essere
nata dal popolo; non insuperbisse; un giorno il Signore potrebbe provare
anche lei, e allora le sarebbe dolce pensare al bene che aveva fatto, e
potrebbe domandarne il compenso dal popolo, che glielo renderebbe
gratamente, conciossiachè ella sapesse che il popolo conserva viscere di
gratitudine.»
Immaginatevi se cotesto era un dare delle coltella nel cuore alla povera
giovane: nonostante, come meglio poteva s’ingegnava, e nel suo segreto
si confortava nel pensiero, che se la duchessa le aveva tolta la grazia
sua, non se l’era in verun conto demeritata.
Intanto Cecchino si era accomodato per lancia spezzata col signor Paolo
Giordano, che lo aveva condotto a Roma. Egli stette dubbio di menare
seco la Maria, ma considerando che da tutti a un tratto non poteva
essere abbandonata senza infamia la vecchia madre,⁶⁵ decise lasciarla,
molto più che sperava tornare spesso a casa. Ma la fortuna gli troncò i
disegni, che di mese in mese promettendo tornare, e non tornando mai,
aveva compiuto i tre anni; e in questo frattempo la madre con
inestimabile amarezza della moglie e di lui se n’era andata con Dio.
Allora Maria gli scrisse, che non restando altro che la tenesse a
Firenze, anzi essendole venuta in fastidio, voleva ad ogni patto
raggiungerlo a Roma; ma Cecchino le rispose, non si movesse,
imperciocchè il duca pochi più giorni potrebbe differire per mettersi in
cammino alla volta di Firenze, e sarebbero tornati in su tutti assieme;
non gli parendo bene, che ella donna sola si avventurasse al viaggio,
mentre le strade erano rotte da masnade intere di grassatori, e in Roma
stessa non si viveva sicuri. E la buona Maria, tolta la cosa con santa
pazienza, aspettava ogni giorno il marito.
Era la sera del quattro luglio 1576, e la Maria se ne stava soletta
_traendo dalla rocca la chioma_, e in silenzio, dopo avere cantato
alcune ottave della canzone di Giosaffatte e Barlaam, e tutto lo
episodio della morte di Zerbino e d’Isabella, commoventissima
immaginazione di Lodovico Ariosto,⁶⁶ quando sentì battere alla porta di
strada. Trasalì come avviene a chi ha il cuore sollevato; balzò in
piedi, e tirata la corda della porta si recò a capo di scala con un suo
lume in mano, tra il sì e il no di vedersi comparire davanti il suo
Cecchino: invece ella vide entrare un uomo tutto nero, che messo il
piede dentro la soglia con molta avvertenza richiuse l’uscio, e poi
prese a salire gravemente le scale. Maria n’ebbe sospetto, ma come donna
animosa non si lasciando punto sopraffare dalla paura, guardando meglio,
ravvisò nell’uomo nero don Inigo, il taciturno maggiordomo della
duchessa.
— “Buona sera, don Inigo; ben venuto: che miracoli sono questi?”
Ed Inigo, con parole che ormai non ritenevano più dello spagnuolo, e non
per anche erano diventate italiane, le rispose:
— “Dio vi guardi, señora Maria, e la Santissima Vergine del Pilar.” — E
continuava a salire: giunto in sala, si riposò alcun tempo, e finalmente
disse:
— “La mia Señora mi manda a voi perchè verso la mezzanotte voi vi
troviate quanto più potrete cautamente alla porta segreta di fianco al
palazzo; picchierete due volte, e vi sarà aperto. Dalla Señora
apprenderete il resto: la quale si raccomanda a voi per la massima
discretezza, trattandosi di cosa ove ne va la morte o la vita. Buona
notte.”
Ed alzandosi, don Inigo com’era venuto se ne andava.
— “Don Inigo, sentite, fermatevi un momento: volete _bagnarvi la
parola_? O che cosa sia questa? Gran Madre di Dio! levatemi di pena! se
ne sapete voi nulla, non mi lasciate in questa tribolazione....”
Intanto don Inigo, arrivato in fondo della scala tirava su il
saliscendi, e mezzo fuori della porta si voltava a inchinare Maria; poi,
senza aggiungere verbo, tirato l’uscio a sè, scompariva.
Rimasta sola, Maria cominciò a mulinare col cervello: e che cosa fosse,
e che cosa volesse, se bene, o male; ad ogni modo un gran segreto covava
li sotto; dunque Isabella le ritornava la confidenza antica?
Riacquistava la sorella amatissima? se l’avesse posta a parte di qualche
sua contentezza se ne sarebbe rallegrata; se di qualche suo affanno,
l’avrebbe consolata: proprio il suo angiolo custode l’aveva trattenuta
da partirsi per Roma; ed è pur troppo così, che non bisogna lasciarci
prendere dallo impeto della furia, che basta non esserseli meritati, la
fortuna a lungo andare ripara i suoi torti, e la città vi rende onore, e
gli amici tornano ad amarvi e a riverirvi a mille doppi di prima. E in
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Çirattagı - Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12
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    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4522
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1858
    35.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4446
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1819
    39.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4460
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1835
    37.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1676
    39.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4639
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1843
    34.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4552
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1891
    35.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4500
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1808
    34.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4304
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1785
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4248
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1725
    37.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1831
    38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4581
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4701
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1839
    36.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4449
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1980
    34.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4497
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1764
    37.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4572
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1863
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4293
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1880
    36.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4519
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1853
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4448
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1926
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 4548
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1821
    34.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22
    Süzlärneñ gomumi sanı 4385
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23
    Süzlärneñ gomumi sanı 2556
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1256
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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