Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02

Süzlärneñ gomumi sanı 4522
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1858
35.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
immaginazione infiammata per la virtù del cuore, sibbene le altre
calcate sopra forme già ricevute e castrate ad _usum Delphini_; e queste
lettere componevano la delizia degli arnesi di corte, a cui la
esperienza e la paura aveva insegnato a toccare cautamente siffatta
pericolosa materia. Certamente sarebbe ingiustizia lasciare inosservato
qualche scrittore, che acceso dagli estremi aneliti della Repubblica,
osò dettare libri se non fortemente, almeno con coscienza; ma gli ultimi
sospiri durano sempre poco, e lo scrittore tacque, o piegò il capo ai
destini. Ve ne fu qualche altro che scrisse la verità, ma non osò
pubblicarla, come se avesse voluto instituire eredi delle vendette i
remoti nepoti; e per quello che sembra, i nepoti fecero aprire il
testamento, ma conosciuto il legato repudiarono la eredità. Le arti poi
e le scienze accoglievansi con migliore viso; ma la chimica era studiata
principalmente pel fine di comporre l’oro e i veleni di cui gli uomini
di quel tempo, in ispecie i Medici, diventarono solenni manipolatori, e
per quello che ne leggiamo, sembra che le ricerche moderne non arrivino
a gran pezza l’antica tossicologia. Michelangiolo, immortale monumento
della dignità umana, e testimonianza eterna della verità che l’uomo fu
creato a similitudine di Dio, quando non ebbe più patria, si consacrava
intiero al Paradiso, e gli subentrava Benvenuto Cellini, uomo di arguto
ingegno ma scemo di cuore, che logorò la sua potenza nei lavorii di
cinti, di monili, boccali, piatti, e simili altre quisquilie del lusso;
onde, allorquando egli ebbe a condurre la statua del Perseo, non seppe
più sollevare a grandi cose la mente avvezza agli arnesi del mondo
muliebre, per la quale cosa Alfonso dei Pazzi la morse con lo acerbo
epigramma:
Corpo gigante, e gambe di fanciulla
Ha il nuovo Perseo: sicchè tutto insieme
Ti può bello parer, ma non val nulla.
Ma ritornando al nostro Lelio Torelli, egli era riuscito a maraviglia in
tutti gli esercizi che desiderano forza e scioltezza di membra. Alle
discipline, ove bisogna assottigliare lo intelletto, o non avea rivolta
la mente, o non vi era arrivato; e nemmeno prendeva vaghezza dei suoni,
dei canti, o dei balli; i suoi sguardi cadevano sopra un coro di femmine
leggiadre, con minore compiacenza di quella che si fermassero sopra un
cespuglio di rose, e infinitamente poi minore di quella, con la quale
per piani o per boscaglie teneva dietro al cignale ferito. Nessuno più
prestante di lui a balzare di un salto in sella; nessuno più infallibile
a lanciare un dardo, o ad assestare un colpo di arcobugio; e per non
distenderci in troppe parole, in ogni maniera di prodezza superava
facilmente non pure tutti i giovani coetanei, ma si trovava appena chi,
anche tra i maggiori, potesse vantarsi a seguitarlo di gran lunga
secondo.
Però, assai più che non conveniva a nobile fanciullo, si mostrava
voglioso di garbugli e di risse, e in queste palesava indole feroce;
imperciocchè se per forza o per inganno gli veniva fatto superare
l’avversario, non così di leggieri si placava, ma chiuso ai miti sensi
della pietà e del perdono, continuava a percuotere, finchè o la
stanchezza, o gli accorsi al trambusto non glielo avessero cavato di
sotto. E poi gli durava il rancore; e guai se un giorno avesse avuto
luogo a sfogare il tesoro di vendetta accumulato nel profondo
dell’anima! i suoi nemici avrebbero fatto bene a procedere, come suol
dirsi, con l’olio santo in tasca. Del rimanente, tenace negli amori
quanto negli odii, a esporsi nei pericoli sempre primo, anzi egli solo
voleva correrli, e quelli che prediligeva avevano a ristarsene; e ciò
non si creda già per amore di lode, o per istudio della gratitudine
altrui, chè queste cose non cercava, o sprezzava; ma per generosità
naturale, ed anche per un certo sentimento di prevalenza ai suoi
compagni, di cui lo ascendente era più facile aborrire che evitare.
Piuttosto temuto che amato, piuttosto riverito che seguitato, egli
sembrava degnissimo d’impero.
Ma certa volta accadde, che donna Isabella avendolo chiamato a gran
fretta, egli ebbe appena tempo di sbrigarsi dalle mani del suo
avversario, e le comparve così com’era sanguinoso davanti. La nobile
signora, vedutolo in cotesto stato, con voce sdegnosa gli disse:
— “Toglietevi dal mio cospetto; voi mi fate orrore.”
Da quel giorno in poi Lelio non sembra più lo stesso: se intende
profferire qualche motteggio, che nei tempi passati avrebbe fatto
rientrare in gola con furia di colpi allo incauto parlatore, oggi dal
comprimere forte che fa delle labbra, dal rossore che gli accende il
viso fino alla radice dei capelli, ci accorgiamo come usi violenza a sè
stesso per frenarsi, e sorride più dolce, e benignamente guarda. Nella
persona va più composto di prima, e cura con diligenza maggiore la
chioma biondissima, e la mondizie degli abiti; però quel bel colore di
amaranto, che sfumato gli rendeva così fiorite le guance, adesso è
impallidito; il volto ha pensoso, e gli occhi azzurri un poco rientrati
sotto le sopracciglia. Ma non è tutto ancora: Lelio si apparta spesso
dai compagni, e sta mesto e taciturno a considerare lunga ora o un
fiore, o un falco che gira con magnifiche ruote per lo emisfero, una
nuvoletta che oscilla perplessa pel sereno celeste, come se i venticelli
innamorati se la contendessero; e molto più spesso la sera, sopra il
pendío di un colle, con ambe le mani intrecciate davanti alle ginocchia,
e la faccia elevata con intentissimo sguardo, contempla il sole che
declina, e l’oro, e la porpora, e i doviziosi colori della madreperla e
dell’iride, co’ quali il potente padre della vita circonda il suo
sepolcro momentaneo. Appena guarda il suo giannetto spagnuolo, che si
affatica invano risvegliare lo inerte signore co’ nitriti, e invano il
levriere gli corre davanti, poi cuccia uno istante, gli torna incontro,
fugge di nuovo a precipizio, gli abbaia intorno, lo guarda, gli lambisce
le mani, gli salta addosso: Lelio placidamente co’ cenni e con voce
gl’impone starsi quieto, sicchè il povero animale, veduti riuscire
inutili tutti i suoi accorgimenti, con gli orecchi bassi e con la coda
dimessa si pone a giacere ai piedi del padrone: nè incontravano sorte
migliore le armi, quantunque talora le afferrasse come mosso da subita
smania, e le trattasse così smoderatamente, da venirne tutto molle di
sudore, e sentirsi per alcun giorno prostrato di forze.
Madonna Isabella possedeva un volumetto delle rime di messer Francesco
Petrarca che si toglieva quasi sempre a compagno delle sue passeggiate
solitarie: quel libro disparve, chè Lelio se lo era appropriato, e non
si saziava mai di leggervi dentro.
Com’era avvenuta tanta mutazione nel giovane? — Un giorno, mentr’egli
tutto sprofondato nel libro si avvolgeva a sghembo pei sentieri del
bosco di Cerreto, certe sollazzevoli giovanette della villa lo
aspettarono in cima del viale nascoste dietro alle roveri, e gittandogli
copia di viole nella faccia, gli dissero ridendo: — “E’ non sono occhi
cotesti da logorarsi su i libri: ridi, e fa all’amore!” — E un castaldo
giovialone, che passava portando un paniere di uva sopra il capo,
ridendo più forte favellò: — “O voi sì, che ve ne intendete! o mira come
ei sia innamorato fracido! Si avvicina il finimondo, le nostre ragazze
non conoscono più amore.”
E quando nelle notti serene madonna Isabella, aperti i balconi della
sala, diffondeva pel bruno aere torrenti di armonia, cantando e sonando,
sia che ripetesse numeri e poesie già composte, o sia che lasciandosi
andare alla ispirazione che l’agitava, componesse allo improvviso i
versi, e le note alle quali gli sposava, Lelio, come cosa inanimata, se
ne stava giù nel giardino appoggiato a un tronco di albero, o ad un
piedestallo di statua, e beveva uno incanto fatale, reso più intenso dal
tempo, dall’ora, dagli odorosi effluvii, che l’erbe ed i fiori spruzzati
di rugiada tramandano, e dalla luce dolcissima che piove dal firmamento
stellato; e tanto cotesta estasi rapiva fuori di sè il povero giovane,
che chiusi i balconi, remossi i lumi, abbandonati tutti gli animali alla
quiete che loro persuade la natura, egli solo rimaneva, immemore, sempre
fisso nel luogo medesimo, finchè i primi raggi del sole ferendogli gli
occhi non lo richiamassero agli ufficii consueti della vita.
E prima ch’io continui nel racconto di questo amore, mi giovi dichiarare
quello che accennava qui sopra; voglio dire come non per finzione di
poeta, ma con verità di storico affermassi la Isabella duchessa di
Bracciano dotta in comporre versi e prose e musiche non solo
pensatamente, ma anche allo improvviso. Nè qui restavano le virtù della
inclita donna, che oltre la lingua materna favellava e scriveva
speditamente gl’idiomi latino, francese, e spagnuolo; nelle arti del
disegno intendeva quanto qualsivoglia più celebrato maestro; ed in ogni
ornamento, che a perfetto gentiluomo si addice, e in ogni maniera di
donnesca leggiadria così compita, da esserne reputata meritamente
piuttosto maravigliosa, che rara. E tutte le cronache che ci sono
capitate tra mano, le quali parlano di questa infelice principessa,
quasi concordi adoperano le seguenti parole: — «Basti dire, che ella era
estimata da tutti, così vicini come lontani, una vera arca di virtù e di
scienze, e per queste sue eroiche virtù l’amavano tutti i popoli, e il
padre le portava svisceratissimo amore.»⁸ — Beata lei, se tanti bei doni
di natura, e tanto frutto di discipline gentili avesse saputo, o potuto
adoperare a rendere avventurosa la sua vita, e la sua memoria immortale!
Lelio, quando gli veniva fatto, s’introduceva nella sala d’Isabella, e
quivi, speculato bene che nessuno l’osservasse, prendeva gli strumenti
sopra i quali le agili dita della sua signora avevano volato, e li
baciava smanioso, al cuore se li accostava e alla testa, e di largo
pianto bagnavali; e se rinveniva fogli dove Isabella avesse vergato
qualche verso, leggeva e rileggeva, e poi provava a formare rime egli
stesso; ma comunque l’anima gli traboccasse di poesia, non rispondeva la
voce amica a significare tanto e bollentissimo affetto, nè forse sarebbe
riuscito a cui per lungo studio si fosse esercitato nell’arte del dire:
sicchè fremeva, seco medesimo si corrucciava, e finalmente concludeva
cancellando con le lagrime quanto aveva scritto con lo inchiostro. Però
quel conforto, seppure possiamo considerarlo tale, gli venne meno: donna
Isabella, trovando le sue polite carte imbrattate, nè le riuscendo
rinvenire il colpevole, di ora in avanti le ripose con molta avvertenza.
Ma veramente, eccetto quel guasto dei fogli, donna Isabella non poteva
desiderare paggio più assiduo e più diligente di Lelio: dai moti del
volto, tanto ei la contemplava fisso, aveva appreso a conoscere i più
riposti pensieri dell’animo di lei, nè gli faceva mestieri di altra
dimostrazione per soddisfare alla sua signora; la quale assiduità poi
cresceva al punto, da comparire fastidiosa quante volte la Isabella
conversava col signor Troilo, dacchè egli allora immaginasse mille
trovati, o per entrare non chiamato nella stanza, o per non uscirne più.
E siccome di rado avviene, che due creature che si odiino, o che
divisino nuocersi, per quanto s’ingegnino celare giù nel profondo il
proponimento loro, a cagione di qualche indizio non se ne porgano
scambievole avviso, così gli sguardi di Troilo e di Lelio s’incontravano
acerbi come due spade nemiche; e quanto più Troilo si ostinava a
guardarlo bieco, perchè o per reverenza per timore Lelio declinasse gli
occhi, questi tanto più si ostinava a tenerglieli fitti nella fronte con
espressione inenarrabile di rabbia: il senso delle poche parole che si
ricambiavano conteneva sempre qualche cosa di amaro; amaro il suono
della voce; amari gli atti, il portamento, ed i gesti.
Lelio, certo giorno, insinuatosi secondo il costume nella stanza
d’Isabella, si era recato in mano il suo leuto, e facendo sembiante
tasteggiarlo, prese a cantare una canzone, che più di ogni altra piaceva
alla Isabella: non si attentava spiegare tutto il volume della sua voce
limpidissima, trattenuto dalla reverenza del luogo, e perchè, ignaro di
musica, l’aveva appresa a aria ripetendola chi sa quante volte; ma
infervorandosi a poco a poco, cesse allo impeto che lo moveva, e di
rado, o non mai, gli echi di cotesto sale risonarono di canto così
poderoso. Sopraggiunse inosservata Isabella, e commossa a tanta
dolcezza, si accostò pianamente, e quando Lelio ebbe terminato la
canzone, gli pose una mano sopra i capelli, palpandoglieli per vezzo, ed
esclamò:
— “Chi ti ha insegnato cotesto, mio bel fanciullo?”
— “Amore.... grandissimo, che mi ha preso per la musica.”
— “E tu, segui i consigli di cotesto amore, perocchè lo esercizio delle
belle discipline affinando lo intelletto ingentilisca il cuore.”
E siccome la duchessa gli teneva sempre la mano sul capo, Lelio con voce
sofferente così se le raccomandò:
— “Madonna..., per amore di Dio, io vi supplico di levarmi la vostra
mano dal capo....”
— “Doveva io non porvela mai....” risponde la duchessa con voce un cotal
poco risentita; e la ritira a sè prestamente.
— “O signora mia, abbiatemi misericordia, chè ella mi ardeva il
cervello.”
— “Io non vedo perchè la mia mano deva farvi ufficio della camicia di
Nesso.”
— “Non lo so neppure io.... ma lo sento.” E queste parole profferiva il
fanciullo con voce sì tremula, così pietosa, che la duchessa gli accostò
il palmo della destra alla fronte, e come atterrita riprese:
— “Dio mio, come ti brucia! povero Lelio!... non vorrei che male lo
prendesse.... Aimè! ti svieni! E qui non giunge nessuno per
soccorrerlo.... Lelio! Lelio! Ahi, che mi muore fra le braccia! Vergine
santa, aiutatelo voi!”
E Lelio fattosi bianco in volto come voto di cera, tutto madido di
freddo sudore, chiuse le palpebre, abbandonava il capo sopra il seno di
donna Isabella, che lo reggeva con ambedue le braccia; ma di lì in breve
rinveniva, e aperte con un gran sospiro le palpebre, poichè riconobbe
dov’era, e rammentò il modo e la cagione del suo venir meno, disse
mestamente:
— “Mi era parso morire — oh! perchè non sono io morto davvero?”
Allora la duchessa si affaccendò a prendere certe sue acque stillate
preziosissime, e gliene bagnò le tempie, comunque il giovane per
reverenza ripugnasse.
— “Lascia, lascia,” diceva la duchessa; “io vo’ farti da madre: già per
età potrei esserlo....... quasi.... e per amore..... di certo. Bisogna
bene ch’io ti ami, perchè tua madre vera è lontana, e non può aiutarti,
povero figliuolo. Ma che cosa sono queste smanie? donde viene questo
disperarti? Parlami, aprimi il tuo cuore intero: io mi sono accorta del
tuo impallidire, del tuo struggerti, e vedo come ti tremi il braccio
allorchè me lo porgi per salire a cavallo. — Ami forse? Male accorto,
non lo celare a me! Anch’io conobbi gli affanni dello amore e so
compatirli. Tu, gentile come sei, non puoi avere posto i tuoi affetti in
basso luogo, e se fosse troppo alto, oltre che non vi ha disuguaglianza
che amore non uguagli, tu, e per natali incliti, e per censo, e molto
più per bontà, mi sembri degno di qualunque più illustre parentado; e se
io nulla valgo, ti prometto adoperarmi con tutte le forze per vederti
contento.”
Frattanto Lelio era ridivenuto sano come se non avesse avuto nulla;
anzi, deposta ogni tristizia, si mostrava ridente, e le guance gli
comparivano floride del colore della giovanezza, primavera della vita.
— “Oh! sì, giusto,” rispondeva con finta verecondia; “sanno eglino di
coteste cose i fanciulli? sono pensieri da diciotto anni? Che cosa è
amore? un frutto, un’arme, uno sparviero? Ho inteso sempre dire che
crescendo il giovane smagrisce, ma torna poi più rigoglioso di prima.
Io, signora mia, mi sento così lieto, così bene disposto, che non mi
riesce desiderare di più; e profferendovi con tutte le viscere quella
mercè, che io posso maggiore, per la vostra pietà, mi raccomando
affinchè vogliate continuarmi la benevolenza di madre che voi mi avete
promessa, dandovi fede di gentiluomo, che io dal canto mio mi studierò
sempre a non demeritarla giammai.”
— “Lo farò, Lelio,” soggiunse quasi suo malgrado Isabella: “perchè io
abbisogni più che non credi di persone che mi amino davvero.... Io,
vedi, Lelio, sono misera, ma misera assai, e nessuno sopra questa terra
mi ama; mi amava, e svisceratamente, il padre mio, ma mi ha lasciata. O
padre mio, perchè mi hai lasciata così sola.... senza consiglio....
derelitta da tutti....?” — E mentre in siffatto modo favellava, Lelio,
posto un ginocchio a terra, e baciandole il lembo estremo della vesta,
profferiva queste parole:
— “Io faccio voto a Dio essere tutto vostro fino alla morte.”
La duchessa, come quella che per necessità e per uso sapeva
padroneggiare i moti dell’animo, accorgendosi essersi lasciata andare
più che a lei non convenisse, per distrarre sè e Lelio dai mesti
pensieri e dagli eventi.
— “Orsù,” disse, “Lelio, io non voglio che vada perduto il tesoro della
voce che ho in voi discoperto: io intendo che non dobbiate più cantare
ad aria, e mi vi offerisco disposta a insegnarvi la musica. Se voi
proseguite con la medesima prontezza con la quale avete incominciato,
non passerà molto tempo che non troverete pari in corte del serenissimo
mio fratello Francesco. Prendiamo la musica della canzone che avete
cantato pur dianzi; io vi mostrerò le note, e i luoghi dove conviene
alzare, dove abbassare la voce: il signore Giulio Caccini, musico
romano, l’ha composta espressamente per me; ella è piana, e soavissima
per melodia....”
— “Se avessi saputo prima, onoranda signora, di cui ella fosse opera, mi
sarei guardato bene apprenderla a mente, e molto più cantarla.”
— “Perchè questo, Lelio? avete per avventura inimicizia col signor
Giulio?”
— “Io non ci ho cambiato mai parola; ma cotesto suo volto mi torna
sinistro, mi pare che abbia tutto intero un collegio di Farisei dentro
il cuore....”
— “A me sembra l’opposto: con tutti è amorevole e discreto; dolce parla,
e dolce ride; io mi vi confesserei....”
— “Ed io lo tengo per il più solenne traditore che mai sia stato da
Giuda in poi. Notate cotesto suo riso: non sembra suo; io credo che lo
abbia accattato da qualche rigattiere; in quelle sue manine vellutate
non vedete le zampe del gatto, che ha ritirato gli ugnòli? A tutti
raccomanda carità, amore del prossimo, ma per amore suo, perchè non
trova conto che la gente cerchi pel minuto, e dopo giusto esame metta i
bianchi co’ bianchi e i neri co’ neri.”
Ed Isabella sorridendo: — “Non giudicate, Lelio, se non volete essere
giudicato.”
— “Queste sono parole sante, che devono intendersi per filo e per segno,
avvegnachè bisognerebbe in caso diverso rinnegare la esperienza e la
vita. E poi io posso giudicare, perchè non repugno di essere giudicato.”
E Lelio aveva ragione; e ne fu prova un fatto di sangue. — Le cronache
raccontano, come il capitano Francesco degli Antinori dovendo portare a
Eleonora di Toledo, moglie di Piero dei Medici, una lettera amatoria del
cavaliere Antonio suo fratello, per cagione di cotesto amore confinato a
Portoferrajo, aspettato il destro che don Piero uscisse con la sua
comitiva, salisse subito in Palazzo-Vecchio, recandosi alle stanze di
donna Eleonora, la quale allora abitava quelle dipinte che riescono
sopra la Piazza del grano, e subito chiedesse udienza al portiere: ma
questi aveva ordine assoluto di non lasciare passare anima al mondo,
però che la signora si acconciasse la testa. Il capitano instava
trattarsi di cosa importantissima: non badasse a cotesto ordine; gli
concedesse passare, o almeno andasse ad avvisarne la signora. Il
portiere, nato ed educato in Inspruck, non volle intendere ragione; la
signora aveva ordinato che per lo spazio di un’ora non consentisse lo
ingresso a persona, e finchè tutti i sessanta minuti non erano scorsi,
nessuno doveva passare: e non ci era rimedio. Il capitano prese a
passeggiare su e giù per l’anticamera sbuffando; e venutogli presto a
fastidio quell’oscillare a modo di pendolo da orologio, vide che anche
il mansueto Caccini stava aspettando udienza: mutate seco lui alcune
parole di cortesia, e sembrandogli tutto dolcezza, e per di più
svisceratissimo della signora Eleonora, cui egli con aria di compunzione
e con le lacrime agli occhi chiamava la sua adorata e virtuosa padrona,
gli dette incautamente la lettera, raccomandandogli che per quanto amore
portava a Dio, guardasse bene di non consegnarla altrui, se non se
proprio nelle mani di donna Eleonora. Il musico, appena il capitano ebbe
voltato le spalle, si nascose nel vuoto di una finestra dietro la tenda,
e aperta la lettera perfidiosamente, conobbe quello di cui correva
generale il sospetto, cioè gli amori del cavaliere con la principessa;
laonde, nella speranza della buona mancia, ne andò difilato al granduca,
ove domandato prima umile perdono dello avere aperta la lettera,
scusandosi col dire che a ciò lo aveva condotto lo infinito amore che
portava alla dignità del graziosissimo e serenissimo suo signore e
padrone, gliela ripose in mano. Il granduca leggendo si mutò in volto;
ma, terminata che l’ebbe, con apparente pacatezza la ripiegò a bello
agio, e dopo aversela messa nel seno, a voce cupa, com’era il suo
costume, così è fama che gli favellasse in brevi parole: — “Musico, qui
vedo quattro colpevoli: il cavaliere Antinori che scrisse, il capitano
Antinori che portò, Eleonora che doveva ricevere, e te che apristi la
lettera: va; ognuno avrà mercede secondo i meriti.”
Isabella per eccellenza di naturale singolarissima femmina, e dai casi
ardui della vita resa mesta, non diffidente, di subito soggiunse:
— “Chiunque mi vuol bene, ha da smettere questi mali umori senza
ragione: a mio parere, sono disonesti ed ingiusti, e per lo più palesano
indole inchinevole alla tristizia. Tutti abbiamo diritto di essere
giudicati a seconda delle opere: tu fa, Lelio mio, di avere sempre
migliore l’animo della mente, e ti parrà la vita meno infelice che agli
altri figliuoli di Adamo. Ora vieni, e impara la canzone di questo
valoroso Romano. Come vuoi tu che l’uomo capace di concepire così dolci
note, abbia dentro di sè un cuore malvagio?”
Vedi maniera di giudicare degli uomini!
La duchessa, recatasi in mano la carta della musica, e ordinato a Lelio
male repugnante le sedesse a lato, incominciò a indicargli dove la voce
avesse a posarsi, e come e dove scorrere distesa, o avvolgersi in
gorgheggi melodiosi; insomma tutti gli accorgimenti del musico arguto.
Ma Lelio badava assai più alle mani candidissime, che non alle note; più
che alle mani, al volto angelico che si animava al canto; e rimasto
estatico, non pure cessava dallo accompagnare la signora Isabella, ma
egli era gran fatto se durava in lui l’alito vitale. Ed Isabella gli
diceva: — “Ma seguita.” — Ed egli, traendo a fatica un filo di voce,
continuava per tacere un momento dopo; ed Isabella di nuovo: — “A che ti
stai?” — E così alternavano i rimproveri e il silenzio. Lelio poi, come
lo persuadeva l’amoroso desio, accostava il suo al volto della duchessa;
onde avveniva sovente che qualcheduno degli anelli della chioma
nerissima di lei, agitati dal moto della testa, gli toccassero la
guancia: allora vedevi trepidare il fanciullo per tutte le membra,
corruscargli gli occhi di luce maravigliosa e di lacrime; le labbra
aride crisparglisi; pareva gioia, ed era dolore. E poi la guancia
(maraviglioso caso!) nel punto tocco dai capelli diventava ad un tratto
vermiglia come se vi avessero applicato una piastra candente di metallo,
e la voluttà che ne veniva al giovane paggio così lo agitava acre e
convulsa, da non la potere sopportare; ma riavutosi alquanto, tornava
alla prova, in quella guisa appunto che vediamo la farfalla condotta
dallo istinto fatale ostinarsi ad aleggiare intorno alla fiaccola che la
consuma. Così, nulla badando al tempo che fuggiva, dimorarono lungamente
i nostri personaggi; finchè la duchessa, levando a caso gli occhi, vide
starle davanti messere Troilo Orsino.
Troilo dalla pallida fronte. — I suoi occhi sotto le ciglia nere ed
irsute sfolgoravano come quelli del milvio intenti alla preda. La destra
teneva dentro la sopra-veste di velluto nero, con la sinistra sopra il
fianco reggeva il cappello a larghe falde ornato di piume nere, immobile
così, che lo avresti creduto inanimato. Isabella senza sospetto al mondo
sostenne cotesto sguardo sinistro, e non lo badò; e con modi facili
disse
— “Benvenuto, messere Troilo, prendete parte nelle mie contentezze: ecco
che io ho scoperto in questo dabben giovane una nuova virtù; canta come
un angiolo, ed io mi propongo coltivargliela, finchè arrivi alla
eccellenza; onde tornato a casa, sua madre ne abbia gioia, ed egli sia
la delizia delle gentildonne di Fermo.”
E Troilo:
— “Voi rinnoverete la ingiustizia di Amerigo Vespuccio, dacchè io prima
assai di voi aveva scoperto che cotesto fanciullo col debito governo
sarebbe riuscito, più che altro, musico maraviglioso.”
Sentì Lelio l’acerba e disonesta puntura, e divampò per la faccia; pur
tacque.
— “Signora duchessa,” proseguiva Troilo “io ho da parlarvi di cose che
non sono senza rilievo: piacciavi concedermi ascolto. — Paggio,
prendete; riponete nella mia stanza, e avvertite di non comparirci
davanti prima della chiamata.”
— “Salvo il vostro onore, messere Troilo, io m’intrattengo qui ai
servigi della clarissima duchessa mia signora; epperò, ove a lei non
piaccia diversamente, pregovi a tôrre in pace s’io di qui non mi
rimuovo.”
Questa volta toccò a Troilo farsi rosso; e già muoveva le labbra a
qualche acerba risposta, quando Isabella interpostasi prestamente così
favellò:
— “Lelio, obbedite a messere Troilo.”
E Lelio, presa spada, guanti e cappello, inchinatosi prima in atto di
ossequio, s’incamminava lentamente verso la porta.
— “Paggio!” gli gridò dietro l’Orsini, “fate di sostenere la mia spada
con ambedue le mani; è pesa, e potrebbe cadervi.”
E Lelio, tratta di un lampo la spada dalla guaina, e la volgendo in
velocissima ruota attorno alla sua persona, con voce baldanzosa, e senza
interrompere il cammino, rispose:
— “State di buon animo, messere Troilo; chè il cuore e la lena mi
bastano da sostenerla come conviene a gentiluomo contro a qualunque
cavaliere onorato; — intendete, contro a qualunque cavaliere....”
E non fu sentito se aggiungesse altre parole, perchè già si era fatto
lontano.
— “Ed ecco come,” parlò dispettoso Troilo chiudendo l’uscio della sala,
“la tua biasimevole rilassatezza ti educa intorno una corona
d’insolenti.”
— “Degli insolenti non mi era anco accorta, bensì di qualche ingrato,
Troilo....”
E qui sedutosi accosto, cominciarono a favellare con parole sommesse, ma
concitate; e dagli atti e dalle sembianze era dato argomentare come non
piacevolezza, non benevolenza, o affetto altro più tenero, reggessero
cotesto colloquio, sibbene rampogne, e rancori, e paure, avendo la
Provvidenza nei suoi eterni consigli ordinato che l’uomo per delitti non
abbia ad essere lieto giammai.
Ora io voglio che i miei lettori, e meglio le mie leggitrici, conoscano
essere decorsi tre buoni anni dal giorno in cui costoro si giurarono
eternità di un affetto, che non avrebbe mai dovuto avere
incominciamento; e tre anni fanno molte eternità nelle cose di amore. —
Eternità! vedete un po’ voi se sia concetto o parola che alla mente e
alle labbra dell’uomo, e più a quelle della femmina, convengano! I
contratti di amore principiano ordinariamente bilaterali, e spesso
terminano unilaterali; il meglio sta, ma è raro, nello scioglierli a
tempo fisso per consenso scambievole. I contratti di amore hanno di
particolare anche questo, che mentre nelle permute, nelle compre, nelle
locazioni, e simili, il contraente prima di obbligarsi vuole conoscere
il fatto suo circa le stime, gl’inventarii, e gli accessorii, con
diligenza consueta praticarsi da qualunque che non sia improvvido del
tutto, qui poi stipula e si obbliga col capo nel sacco, riserbandosi a
cose consumate di stimare e inventariare quanto abbisogna. E questo
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Çirattagı - Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03
  • Büleklär
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4338
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1770
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4522
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1858
    35.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4446
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1819
    39.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4460
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1835
    37.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1676
    39.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4639
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1843
    34.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4552
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1891
    35.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4500
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1808
    34.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4304
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1785
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4248
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1725
    37.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1831
    38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4581
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4701
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1839
    36.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4449
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1980
    34.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4497
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1764
    37.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4572
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1863
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4293
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1880
    36.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4519
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1853
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4448
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1926
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 4548
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1821
    34.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22
    Süzlärneñ gomumi sanı 4385
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23
    Süzlärneñ gomumi sanı 2556
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1256
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.