Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 01

Süzlärneñ gomumi sanı 4338
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ISABELLA ORSINI
DUCHESSA DI BRACCIANO,
RACCONTO
DI F.-D. GUERRAZZI.

UNDECIMA IMPRESSIONE.

FIRENZE.
SUCCESSORI LE MONNIER.

1880.
————
AL MARCHESE
*GINO CAPPONI.*
_Col desiderio di porre l’onorato tuo nome a cosa maggiore in
segno di gratitudine per la tua benevolenza, di rispetto pel tuo
carattere, e di ammirazione per la dottrina, ti dedico frattanto
questa domestica storia._
Il tuo rispettoso e affezionato amico
F.-D. GUERRAZZI.
_3 aprile 1844._
————


INDICE

I. La colpa.
II. L’amore.
III. Il cavaliere Lionardo Salviati.
IV. L’omicidio.
V. Pasquino.
VI. Il figlio.
VII. La gelosia.
VIII. La confessione.
IX. La morte.


CAPITOLO PRIMO.

LA COLPA.

Ma Gesù chinatosi in giù scriveva col dito in terra. E com’essi
continuavano a domandarlo, egli rizzatosi disse loro: Colui di
voi ch’è senza peccato gitti il primo la prima pietra contro a
lei. — Gesù le disse: Io ancora non ti condanno: vattene, e da
ora innanzi non peccar più.
_S. Giovanni. VIII._

“_Ave Maria!_ Creatura di cui la vista persuase l’Eterno a offerirsi
vittima espiatoria per la stirpe onde nascesti alla giustizia
irrevocabile della sua legge; — Vergine, nel seno della quale Dio
penetrò come raggio purissimo in acqua pura;¹ — Madre, che nel tuo
grembo, meglio che nell’Arca Santa, la Divinità conservasti, abbi
misericordia di me.
“_Ave Maria!_ Regina dei cieli: Dio con gli Angioli più amorosi, che mai
creasse nella esultanza della sua gloria, ti circondava. Dio pei campi
del suo firmamento le stelle più luminose per tessertene una corona
sceglieva; sotto i tuoi piedi il sole poneva, e la luna. Cristo riposa
sopra il tuo braccio come sopra un trono eccelso a governare il creato.
Tu, che puoi tutto, abbi misericordia di me!
“_Ave Maria!_ Dio versò il suo sangue in osservanza dei fati della sua
legge. Tu vinci anche i fati; imperciocchè, quando ti vennero meno le
amorevoli inchieste, tu deponesti l’Eterno dal tuo braccio divino, e
davanti lui ti prostrasti, e con la preghiera ottenesti quello che non
aveva potuto impetrarti la domanda: — perchè quale uomo mai, o qual Dio,
potrebbe vedere la propria madre prostrata al suo cospetto, e
respingerla sdegnoso da sè?² Dio è sopra la natura, non contro la
natura. Misericordia dunque, misericordia di me!
“_Ave Maria!_ Solo che tu volga uno sguardo di benignità sopra l’anima
del parricida, ecco diventerà candida come quella del pargolo battezzato
pure ora. Tu, che hai una lacrima per ogni sventura; — tu, che dalla
miseria a soccorrere i miseri apprendesti; — tu, che possiedi una
consolazione per ogni tribolato, un buon consiglio per ogni traviato, un
soccorso per qualunque fallo, una difesa a qualsivoglia colpa, tu sarai
sorda solamente per me?
“La contemplazione delle tue glorie nell’alto ti dissuade dallo
abbassare più oltre i tuoi sguardi a questa valle di lacrime? Le laudi
dei celicoli ti hanno reso forse molesti i gemiti dei tuoi divoti? Madre
del tuo Creatore, ti sarebbe per avventura incresciuta la tua origine
terrena? Lassù nel cielo si costuma egli come nel mondo?....
“Ahi trista me! Me misera! La mente mi vacilla a modo di ebbra: pur
troppo, pur troppo m’inebbriò il dolore, e la parola m’imperversa
procellosa per le labbra quasi un vento di bufera.
“Maria, perdono! Tu sai se infante non aborrendo io bagnarmi i piè nudi
per l’erbe rugiadose, lasciato il letto tepido, mi conducessi a
sceglierti i fiori, che dai calici aperti bevevano i raggi primi del
sole mattutino; tu sai se io vigilava sempre a guisa di vestale, perchè
il lume della lampada domestica a te consacrata non si estinguesse; — e
se qualche fatto non degno della tua santa vista commisi, io prima ti
velai il volto, e poi te ne chiesi perdono. In te sola confido.
“M’infiamma il sangue, anzi pure le midolle mi consuma e le ossa uno
amore....
“Chi è che ha detto amore? Ho io profferito amore? Ah! per pietà, che
nessuno lo sappia.... che nessuno lo intenda.... che le mie orecchie non
lo ascoltino dalle mie labbra! Folle! E che importa questo, se ho
l’inferno nel cuore? — Sì, un amore infame mi arde tutta, un amore da
far piangere gli angioli. Maria, non mi guardare nell’anima! Tutti i
confessori del paradiso, non che tu, Vergine immacolata, diventerebbero
rubicondi per vergogna a guardarmi nell’anima!
“E non pertanto questa fiamma così arde segreta, che nessuno
contemplando la mia pallida faccia potrebbe dire: — Ecco un’adultera! —
Chi dei viventi saprà distinguere in me come tinga la colpa, o come il
dolore? In quella guisa, che la lampada sepolcrale arde illuminando gli
scheletri umani senza comparire di fuori, così l’amore mi vive
nell’anima, splendendo sopra le reliquie miserabili della mia
contaminata virtù.
“Ma in questa fiera battaglia ogni spirito vitale è venuto meno. Già si
approssima l’ora in cui si aprirà lo abisso entro il quale rovineranno
verecondia di donna, reverenza di marito, decoro di famiglia, e amore di
madre, e tutto insomma, e la salute dell’anima con essi!
“La salute dell’anima! la perdizione eterna! E se io, disperata ormai di
superare la corrente, mi lasciassi sopraffare dalle acque....? Se, anima
piena di amarezza, io ardissi fuggire dal tristo carcere del corpo....?
Se prima della chiamata io disciogliessi le ali fuori della vita, e
riparassi sotto il manto del perdono di Dio....? si apriranno esse le
braccia di Dio per accogliermi, o mi respingeranno? E di vero, non sono
io intieramente corrotta? Dio non penetra nei nostri cuori, e non vede
come li abbia rosi il peccato? In questa acerba contesa io difendo
quella parte di me che diventerà polvere; l’altra, che ha da vivere
immortale, ormai è perduta. Sia che io rimanga, o che fugga; sia che mi
abbandoni, o che resista, Isabella, tu sei dannata.... dannata per
sempre!
“Dov’è, chi è colui che pose questa legge iniquissima? Se io non valgo a
rompere, voglio mordere almeno questo fato di ferro. Non ho combattuto,
e non combatto tuttora? Qual è in me la colpa, se io non posso vincere?
In che cosa peccai, se un serpe mentre io dormiva mi si è insinuato nel
cuore, vi ha fatto il nido, e lo ha reso a vedersi più tremendo della
testa di Medusa? In che peccai, se non mi basta la lena a portare questa
croce? I caduti non s’irridono, non si condannano, ma si aiutano.
Ebbene, poichè colpa pensata vale colpa consumata, e portano ambedue la
pena medesima, scendiamo interi negli abissi del delitto, e moriamo....”
Queste ed altre parole in parte profferiva, in parte mormorava fra i
denti una giovane donna bellissima di forme, davanti la immagine della
Madonna, opera divina di Frate Angelico.
E cotesta immagine, simbolo di celeste verecondia e di casti pensieri,
sembrava come sbigottita da preci siffatte; imperciocchè per le parole
assai, ma più pel modo col quale venivano pronunziate, paressero e
fossero in parte immani empietà. La donna non istava atteggiata a
reverenza, ma dritta, proterva, a fronte alta, con occhi torvi ed
intenti, affannoso il petto, tremule le labbra, dilatate le narici,
strette le mani, inquieti i piedi, — leonessa insomma, piuttostochè
donna, e molto meno poi donna supplichevole.
Aveva ella ragione?
I Greci ricercando sottilmente la natura di questo nostro cuore,
conobbero tali vivere vizi così inerenti alla sostanza umana da non si
potere vincere dalle forze unite della volontà, delle leggi, dei
costumi, nè dalla religione: però con quello ingegno portentoso, che a
loro soli concessero i cieli, resero amabile il vizio, e lo fecero
contribuire al bene della repubblica: invece di aspettare quello che non
poterono prevenire, gli andarono incontro. A modo di quanto si narra di
Mitridate avendo a bere veleno, vi si abituarono per tempo, togliendogli
la facoltà di nuocere. Osarono anche di più: fecero gli Dei complici dei
misfatti degli uomini; non potendo sollevare questa polvere fino al
cielo, abbassarono il cielo fino alla polvere, e il colpevole diventò
argomento non di odio, ma di compassione, come quello che aveva ceduto
alla onnipotenza del fato, cui Giove non che altri cedeva, e che
guidando i volenti, i repugnanti strascina.
Il quale concetto esteso ad ogni maniera di azioni, sopra modo
accoglievano nelle cose di amore. — Anacreonte, al quale cominciano già
a incanutire le chiome tante volte coronate della lieta edera e di
pampini, se ne sta solo davanti al fuoco in una trista notte d’inverno.
Borea imperversa per lo emisfero e pei mari, e un turbine di gragnuola
forte percuote la casa del poeta. Egli non ricorda i raggi del sole di
primavera diffusi sopra i fiori e sopra i capelli delle donne
bellissime, non le molli erbe piegate appena dai piè fugaci delle
danzatrici, non l’aure pregne di vita, che gli parevano susurrare nelle
orecchie: — amore, amore; — i suoi pensieri versano intorno alla
caducità delle nostre sorti quaggiù; vede la vita volgere più veloce
della ruota del carro vincitore nei giuochi olimpici, i nostri giorni
dileguarsi più ratti di un’ombra sopra la parete: le rose della sua
fantasia appassiscono alla considerazione della morte. All’improvviso è
battuto alla porta del poeta, ed accompagna il colpo una voce di pianto.
— Può non sentire pietà il poeta, se la pietà è una delle più armoniche
corde della sua lira celeste? Apre Anacreonte la porta, e comparisce un
fanciullo, molle di pioggia, e pel dolore allibito: povero fanciullo! i
capelli grommati di diacciuoli gli stanno giù distesi lungo le guance;
le labbra ha livide, le membra intirizzite. — “Qual mala ventura, o bel
fanciullo, ti sforza a vagare per questa notte consacrata agli Dii dello
inferno?” E intanto senza aspettare risposta gli spreme il gelo dai
capelli, lo spoglia, lo asciuga, e col calore del fuoco lo ravviva; nè
ciò gli bastando, le mani del fanciullo si ripone in seno per iscaldarle
soavemente co’ tepidi effluvii del suo sangue. Poichè tornò sopra le
labbra il cinabro, e la tremula luce alle pupille, il fanciullo
sorridendo dice: “Or vo’ provare se la pioggia mi ha guasto l’arco;” — e
lo tende dopo avervi adattata la freccia. Anacreonte improvviso si sente
ferito prima di accorgersi che Amore irridendo abbandonava la sua casa.
— Vendetta di Apollo fu, se Mirra arse di fiamma incestuosa per Ciniro;
vendette di Venere gli amori di Pasifae pel tauro, di Fedra per
Ippolito; e volere di Giunone e di Minerva lo immane affetto di Medea
per Giasone: poche commisero colpe, o nessuna, di cui non attribuissero
la causa a qualche Nume; e così i tragedi, giovandosi della fede
universale nel fato, rappresentarono sopra le scene quegli orribili
fatti, che diversamente non si sarieno potuti sopportare. E certo vive,
piuttosto sembra talvolta vivere in noi qualche cosa che può meglio di
noi; nè le nostre credenze, comunque tanto procedano lontane dalle
dottrine antiche, vi repugnano affatto. Forse non crediamo noi, che la
prima madre venisse tentata dal serpente? E da cotesta ora in poi le
orecchie della donna si lasciano andare più facili delle altre alle
insinuazioni del tentatore. Forse il tentatore non istà fuori, ma dentro
alla femmina, e le siede nel sangue sottile, nel finissimo tessuto delle
vene, nei pori della pelle dilicata, nel mobile cervello, e nel cuore
mobilissimo: e quando pur fosse così, il tentatore apparirebbe più
inevitabile e gagliardo. Ma le donne sole cedono alle persuasioni di un
demonio, che ora va tentando con l’odio, ora con la voluttà, ora con lo
amore, ora con la copia dei beni, e, per non discorrerle tutte, con
quante passioni hanno potenza di muovere il cuore dell’uomo? Oimè! a
pochi bastò la costanza contro la lascivia e l’oro, crudelissimi, sopra
ogni altro, tiranni dell’anima nostra. Personaggi incliti delle antiche
e delle moderne storie, uomini venerati e venerabili, o per quanto durò
ai medesimi la vita ebbero a combattere siffatte passioni, o troppo
spesso vi giacquero sotto: — e se tra noi fu inalzata alla degnità del
sacramento la penitenza, parmi evidentissima prova, che neppure Dio
sperò che ci avessimo a mantenere innocenti; no, non lo sperava, dacchè
imponeva a Simone Pietro, che perdonasse non solo sette volte, ma bensì
settanta volte sette.³ — Povera Isabella, chi è senza peccato ti scagli
la prima pietra....
Aveva ella torto?
Il primo sorso non inebbria mai, e chi vuole, può deporre la tazza, e
dire: — Basta! — Che Amore nato appena, il grande arco crollando, e il
capo, sieda re dello spirito, e gridi: — Voglio, e vo’ regnar solo, — lo
cantano i poeti immaginando;⁴ ma la verità non è questa. Amore di
momento in momento si compone l’ale di dolci pensieri e di ardenti
desiri, e i suoi dardi si fanno duri in proporzione che il cuore, contro
il quale si dirigono, diventa molle. Nè Delia accecava perchè contemplò
il sole una volta sola; e chi vuole fuggire le Sirene imiti lo esempio
di Ulisse, e turi le sue orecchie con la cera. Noi fidiamo troppo, o
troppo poco, in noi stessi. Quando la fiamma di uno sguardo, o il
fáscino di una voce ci lusingano, e la Provvidenza con senso arcano ci
avverte, non tenghiamo conto dell’ammonizione; e diciamo, — “Non anche
questo affetto trasmoda; ove trasmodasse, basteremo al riparo:” — quando
poi lo sentiamo soverchiare, differiamo il rimedio di giorno in giorno;
vinti finalmente, accusiamo il destino, che ci siamo fabbricato con le
nostre mani medesime. Così avendo il potere ci manca il volere, e avendo
il volere ci manca il potere; noi siamo i nostri reziarj.⁵ Delle leggi
del fato l’uomo può subire quelle che stanno fuori di lui; le altre, che
stanno dentro di lui, non hanno forza: vincesi il corpo, l’anima no. E
se Dio ci concesse l’anima capace da poterne adoperare le facoltà
perfino contro il suo trono immortale, perchè, o come vorremo
incolparlo, se combattenti codardi gettammo lo scudo sul principiare
della battaglia, o se aborrimmo adoperare la spada che ci fu posta nelle
mani? Atomi queruli ed ingiusti, noi vorremmo che il Creatore, rompendo
gli ordini eterni delle cose, s’inchinasse ad ogni momento dalla volta
dei cieli per riparare ai nostri falli, e per acquietarci le procelle
del cuore, che vi andiamo suscitando; egli.... il Creatore, che lascia
rotare vorticosi nello infinito i frammenti di mondi lacerati, e
distendersi nella orribile sua immensità la tempesta dell’Oceano! Anche
la colpa conosce una specie di dignità; osiamo averla. Lucifero bandito
dalle sedi celesti non accusava veruno, oppure incolpava sè stesso
perchè non era riuscito nello intento; e Lucifero nella sua tetra
grandezza ci apparisce tale, che se noi non possiamo desiderargli
destini migliori, non ci possiamo astenere da imprecare per male
augurato il momento nel quale egli provocava lo sdegno dello Eterno. Ma
noi troppo siamo inferiori, sia nel bene sia nel male, alle angeliche
nature. Per darci ad intendere che valghiamo qualche cosa, presumiamo
farci l’onore di credere che Satana ne abbia tentato. Dove Satana
potesse volgere sopra di noi i suoi sguardi di fuoco, non ci tenterebbe
ma riderebbe. Può egli darsi Satana peggiore delle triste nostre
inclinazioni, e del volere nostro intentissimo a educarle ed a
crescerle? — Io non voglio per certo togliere e diminuire alla povera
anima d’Isabella la compassione degli uomini e la misericordia di Dio,
ma solo persuadere che la misera morte alla quale venne condotta fu pena
condegna ai meriti, o piuttosto ai demeriti suoi.
Mentre Isabella profferiva la strana preghiera che in parte è stata
riferita qui sopra, un cavaliere di fiera sembianza, aitante della
persona, sporse la testa dal limitare della sala, e stette ad ascoltare
le parole della donna; poi con placido passo le si accostava chiamando:
— “Isabella!....”
La donna a quella voce improvvisa rimase percossa: le si fece il volto
più bianco, le labbra si mossero senza suono; e la palpebra pesa le
cadde, mentre intorno l’occhio si diffuse un lividore cagionato dalla
rete delle tenui vene diventate sanguigne, o di colore di piombo. Ella
stramazzava per certo, se il cavaliere era meno pronto a sorreggerla.
Dopo breve silenzio, il cavaliere riprese a dire così:
— “Isabella! voi avete qualche cosa sul cuore, che desiderate celarmi:
perchè questo, Isabella? Sono io forse così povero amico vostro, che non
mi reputiate degno di essere messo a parte dei vostri più riposti
segreti? O così mi credete voglioso delle mie contentezze, che non
sappia anteporre loro, comecchè con mia angoscia inestimabile, il riposo
e i desiderii vostri? Parlate; io per amor vostro mi chiamo parato a
tutto, ma parlate una volta.... Ahi misero me! E quale vi ha bisogno,
Isabella, che voi favelliate? Io ho inteso anche troppo: non mi credete
animoso voi? Ecco che io vi provo il contrario. Voi pregate la mia
morte; ed io posso, anzi voglio unire le mie preghiere alle vostre; io
richiamerò sopra le mie labbra la più soave delle preghiere che
m’insegnasse la madre dilettissima. Giù via, Isabella, prostratevi; io,
lo vedete, mi son già prostrato.”
E la donna, male sapendo che cosa si facesse, cadde genuflessa; ed ambi
pregarono.
Ma coteste non furono preghiere pure e serene, che s’inalzano al cielo
come un profumo di anime innocenti, e gli angioli si piacciono portare
sopra il dorso delle ale candidissime al trono dello Eterno, e Dio le
accoglie come ospiti celesti, e le consola non altramente, che se
afflitte figlie del suo amore si fossero. Coteste preghiere volarono dai
petti anelanti, rubiconde e scomposte, per modo che non sarebbero
apparsi diversi i delirii della lascivia; e per l’aria si aggirarono
fosche, a guisa di nuvole sorte da impuri effluvii terreni; nè toccarono
le soglie del cielo, ma ricaddero respinte come il fumo della offerta
del primo omicida, ad accrescere la passione dei peccatori.
E fu ragione; imperciocchè coteste preci non uscissero sincere dal
cuore, e chi le profferiva temeva venissero esaudite, e dette appena
avrebbe voluto revocarle. — Mente mortale, o come mal ferma nel
desiderio del bene! Però le guance accese si toccarono; le mani convulse
si cercarono, e si tennero intrecciate; e le preghiere terminarono con
giuramenti orribili di amarsi sempre in onta dei sacri vincoli, del
decoro geloso di famiglia, della morte, e dello inferno. Tanto
procederono immemori di loro, che dello iniquo giuramento chiamarono in
testimonio la Donna divina, alla quale intendevano supplicare per
salute; e la Madre della misericordia non torse altrove la faccia,
persuasa che se bugiarde furono allora coteste preci, le avrebbe poi
dovute ascoltare anche troppo sincere il giorno del pentimento.
Intanto la giustizia registrò la colpa nel libro ove nulla cancella se
non che il sangue.
————
¹ Come raggio di sole in acqua mera.
(_Dante_.)
Gli Gnostici, distinti con lo epiteto di _dociti_, negarono in Gesù
Cristo la natura umana, e lo supposero un fantasma, però che: _non
dignum est ex utero credere Deum, et Deum Christum.... non dignum
est, ut tanta majestas per sordes et squallores mulieris transire
credatur_. Questa eresia fu condannata fino dai primordii della
Chiesa da San Giovanni.
² L’altro esempio fu, che si legge scritto da Cesario, che nel
contado di Lovagno fu uno cavaliere giovine di nobile lignaggio, il
quale in torneamenti e nell’altre vanitadi del mondo aveva speso
tutto il suo patrimonio: e venuto a povertà, non potendo comparire
cogli altri cavalieri, com’era usato, divenne a tanta tristizia e
malinconia, che si voleva disperare. Veggendo ciò un suo castaldo,
confortollo, e dissegli che s’egli volesse fare il suo consiglio,
egli lo farebbe ricco, e ritornare al primo onorevole stato. E
rispondendo che sì, una notte lo menò in un bosco: e faccendo sua
arte di nigromanzia, per la quale era usato di chiamare i demonii,
venne uno demonio, e disse quello che domandava. Al quale
rispondendo com’egli gli aveva menato uno nobile cavaliere suo
signore acciocchè egli lo riponesse nello primo stato, dandogli
ricchezze e onore: rispose, che ciò farebbe prestamente e
volentieri, ma che conveniva che in prima il cavaliere rinnegasse
Gesù Cristo e la fede sua. La qual cosa disse il cavaliere che non
intendeva fare. Disse il castaldo: Dunque non volete voi riavere le
ricchezze e lo stato usato? andiamci: perchè m’avete fatto
affaticare indarno? Veggendo il cavaliere quello che fare pure gli
convenia se volea essere ricco, e la voglia avea pur grande di
ritornare al primo stato, lasciossi vincere, e consentì al mal
consiglio del suo castaldo; e avvegnachè mal volentieri e con
grande tremore, rinnegò Cristo e la sua fede. Fatto ciò, disse il
diavolo: Ancora è bisogno ch’egli rinnieghi la Madre di Dio, e
allora di presente sarà fornito ciò ch’elli desidera. Rispuose il
cavaliere, che quello giammai non farebbe; e diede la volta,
partendosi dalle parole. E vegnendo per la via, e ripensando il
grande suo peccato d’avere rinnegato Iddio, pentuto e compunto
entrò in una chiesa, dov’era la Vergine Maria dipinta col figliuolo
in braccio, di legname scolpita; davanti alla quale reverentemente
inginocchiandosi, e dirottamente piangendo, domandò misericordia e
perdonanza del grande fallo che commesso avea. In quell’ora, un
altro cavaliere, il quale avea comperato tutte le possessioni di
quello cavaliere pentuto, entrò in quella chiesa; e veggendo il
cavaliere divotamente orare, e con lacrime di doloroso pianto
dinanzi alla imagine, maravigliossi forte, e nascosesi dietro ad
una colonna della chiesa, aspettando di vedere il fine della
lacrimosa orazione del cavaliere compunto, il quale bene conoscea.
In tal maniera l’uno e l’altro cavaliere dimorando, la Vergine
Maria per la bocca della imagine parlava sì, che ciascheduno di
loro chiaramente l’udiva, e dicea al figliuolo: Dolcissimo
figliuolo, io ti priego che tu abbi misericordia di questo
cavaliero. Alle quali parole niente rispondendo il figliuolo,
rivolse da lei la faccia. Pregandolo ancora la benigna madre, e
dicendo, com’egli era stato ingannato, rispuose: Costui, per lo
quale tu preghi, m’ha negato: che debbo fare a lui io? A queste
parole la imagine si levò in piede; e posto il figliuolo in
sull’altare, si gettò ginocchione davanti a lui, e disse:
Dolcissimo figliuol mio, io ti priego, che per lo mio amore tu
perdoni a questo cavaliere contrito il suo peccato. A questo priego
prese il fanciullo la madre per mano, e levandola su, disse: Madre
carissima, io non posso negarti cosa tu domandi: per te perdono al
cavaliere tutto suo peccato. E riprendendo la madre il figliuolo in
braccio, e ritornando a sedere, il cavaliere certificato del
perdono per le parole della madre e del figliuolo, si partia
dolente e tristo del peccato, ma lieto e consolato della perdonanza
conceduta. Uscendo dalla chiesa, il cavaliere, che dopo alla
colonna avea ascoltato e osservato ciò che detto e fatto era, li
tenne celatamente dietro, e salutollo, e domandollo perchè egli
avea tutti gli occhi lacrimosi: ed egli rispuose, che ciò avea
fatto il vento. Allora il cavaliere secondo disse: Non me lo celate
tutto ciò che in vêr di voi è stato detto e fatto. Onde alla grazia
che avete ricevuta, per amor di quella che l’ha impetrata, io
voglio porgere la mano. Io ho una sola figliuola et unica, vergine,
la quale vi voglio sposare, se v’è in piacere: e tutte le vostre
possessioni grandi e ricche, che da voi comperai, vi voglio per
nome di dota ristituire, e intendo di avervi per figliuolo, e
lasciarvi reda di tutti i miei beni, che sono assai. Udendo ciò il
giovane cavaliere, consentì al proferto matrimonio. E adempiuto
tutto ciò che promesso gli era, ringraziò la Vergine Maria, dalla
quale riconobbe tutte le ricevute grazie. (_Passavanti._)
³ Signore, quante volte, peccando il mio fratello contro a me, gli
perdonerò io? Fino a sette volte? — Gesù gli disse: Io non ti dico
fino a sette volte, ma fin a settanta volte sette.
(_S. Matteo_, Cap. 18.)
⁴ _Parini._ _Il Mattino._
⁵ _Reziarj_ erano i gladiatori che combattevano con una rete, ed
inseguivano i Marmilloni o Galli, che portavano un pesce per
cimiero, gridando: _Non peto te, Galle, sed piscem peto_.


CAPITOLO SECONDO.

L’AMORE.

E bevea da’ suoi lumi
Un’estranea dolcezza,
Che lasciava nel fine
Un non so che di amaro.
Sospirava sovente, e non sapeva
La cagion dei sospiri.
Così fui prima amante, che intendessi
Che cosa fosse amore:
Ben me ne accorsi alfin....
_Tasso_.

Messer Antonfrancesco Torelli era dei migliori uomini della terra di
Fermo: copioso dei beni di fortuna, onorato dai suoi, riverito dagli
stranieri, lieto di moglie egregia, e di un figlio in cui aveva riposta
ogni speranza dei suoi anni cadenti.
Beato lui, se avesse creduto vero quello che pur troppo è verissimo;
cioè, il migliore ammaestramento che possono apprendere i figliuoli
derivare dagli esempii degli ottimi genitori; e non avesse mai
accomiatato da casa il dilettissimo suo Lelio! che non avrebbe prodotto
contristati di amarezza i suoi ultimi giorni verso il sepolcro. Ma egli
compiacendo ai tempi, desiderò il figlio perito nelle arti
cavalleresche, ed il suo cuore paterno esultò nel presagio che le
gentili donne di Fermo salutassero il figliuolo suo pel più compito e
cortese gentiluomo di tutto il paese. — In questo pensiero, avendo
Antonfrancesco servitù grande col cardinale dei Medici in Roma, gli
venne fatto molto di leggieri accomodare nella corte del granduca Cosimo
il suo Lelio in qualità di paggio nero. Ma Cosimo, logoro per lo smodato
esercizio di tutte le passioni, essendo venuto a morte non bene ancora
maturo, Lelio, giovanetto di leggiadre maniere e di forme venuste,
piacque a donna Isabella figlia di Cosimo, duchessa di Bracciano, la
quale ottenne che il bel paggio si acconciasse al servizio di lei.
In quei tempi, i gentiluomini servendo in corte dovevano apprendere a
trattare le armi di taglio e di punta, a combattere con la spada e il
pugnale, ed anche a difendersi inermi dagli assalti improvvisi di stilo
o daghetta, e su ciò andarono per le stampe eccellenti trattati, che
servirono di modello alle altre nazioni.⁶ Non trascuravano il trarre di
arcobugio, comecchè questa non fosse reputata nobilissima cosa; molto
importava maneggiare cavalli, sia nella corsa, sia armeggiando, sia
(arte più difficile assai) corvettando davanti alle dame, solenni
giudici allora di simili industrie.⁷ Venivano poi le destrezze della
caccia, tra le quali primeggiava quella di lanciare opportunamente gli
sparvieri grifagni e i falconi, adesso caduta in disuso, o per quello
che io sento solo mantenuta in Olanda; seguitavano gli accorgimenti
dello scalco, e del complire con leggiadria le nobili donne. A onore del
vero, quei gentiluomini facevano sembianza tenere in pregio le lettere,
ma non le virili, nè quelle che sgorgano nuove e bollenti dalla
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Çirattagı - Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 01
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    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1770
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4522
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1858
    35.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4446
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1819
    39.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4460
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1835
    37.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4381
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1676
    39.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4639
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1843
    34.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4552
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1891
    35.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4500
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1808
    34.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4304
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1785
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4248
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1725
    37.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1831
    38.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4581
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1752
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 13
    Süzlärneñ gomumi sanı 4701
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1839
    36.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 14
    Süzlärneñ gomumi sanı 4449
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1824
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 15
    Süzlärneñ gomumi sanı 4447
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1980
    34.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 16
    Süzlärneñ gomumi sanı 4497
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1764
    37.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 17
    Süzlärneñ gomumi sanı 4572
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1863
    35.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 18
    Süzlärneñ gomumi sanı 4293
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1880
    36.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 19
    Süzlärneñ gomumi sanı 4519
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1853
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 20
    Süzlärneñ gomumi sanı 4448
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1926
    35.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 21
    Süzlärneñ gomumi sanı 4548
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1821
    34.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 22
    Süzlärneñ gomumi sanı 4385
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1758
    37.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - 23
    Süzlärneñ gomumi sanı 2556
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1256
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.