Il destino: romanzo - 7

Süzlärneñ gomumi sanı 4660
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1841
35.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
cercate, e trovate, ed ora le mani loro vedevansi intrecciate come in un
laccio di amore. In cotesto atto rimasero... non so quanto rimasero, ma
un quarto di ora rimasero, forse venti minuti; molto più che al chiarore
dello spirante crepuscolo uno specchiavasi dentro gli occhi dell'altro,
ed entrambi compiacendosi contemplare la propria immagine dentro le
pupille degli occhi loro, fantasticavano (pietoso inganno!) che
scambievolmente nel fondo del cuore la portassero impressa. Così
guardando un pelaghetto di linfe limpidissime tu vi scorgi i minimi
lapilli, che gli fanno pavimento: ancora ricambiavansi sorrisi
leggiadri, e andavano infaticabilmente domandandosi, e rispondendosi le
mille volte parole, che agli orecchi degli amanti paiono divine, ed a
tutto altro, che intabaccato non sia il metro tedioso del grillo
cantaiolo. Stettero gli amanti fermi al canapo, o lo saltarono? Cari
miei, poco ci vedeva innanzi, adesso poi se non accendete i lumi io non
ci vedo più: forse è da credersi ci sarà corso un bacio, forse dieci o
venti; ma indi in là no davvero, ed io in testimonio pel vero mi offro
sostenere il cimento non già del fuoco, bensì dell'acqua; la prova di
Tuzia vestale, che per dimostrare la propria verginità portò non so per
quanti stadi un crivello pieno di acqua... O che fate bocca da ridere?
Supponete forse, che i miracoli sieno invenzione o privilegio dei preti
cattolici? Quando scoppiò fuori il prete, scoppiò ancora il miracolo
perchè prete, e miracolo sono quasimente due starnuti usciti uno subito
dopo l'altro dal medesimo naso. Difatti dove il miracolo viene meno, il
prete svapora, e poichè questo i preti sanno, talora si provano
rinfrescarsi la origine con prodigi da fare strabiliare i cani; se in un
luogo non attecchiscono, in altro sì, dove durano, e dove fanno
l'effetto della neve marzolina: non importa; la morte ci ha da trovare
vivi; prima, tutti i preti formavano un boa solo a traverso i secoli,
adesso sono bachi da seta, di cui ognuno attende a rodere la sua foglia.
In tutte le faccende di questo mondo gli è il primo passo quello, che
costa, come disse il sagrestano al conte di Say, stupito di udire come
san Dionisio avesse camminato oltre un miglio con la sua testa mozza
sotto il braccio; in quelle poi di amore si ribadisce il chiodo. Quindi
Fulvia e Lattanzio andarono innanzi a golfo lanciato, ma in fondo alla
dolcezza trovavano sempre un senso di amaro; la diffidenza insinuavasi
fra loro come serpe tra i fiori, e Lattanzio a guisa del buono
schermitore, il quale spia il momento di affibbiare all'avversario la
botta maestra, attendeva a cavare fuori dalla bocca di Fulvia la
confessione del veneficio di Paride operato per colpa di Lelio; ed ella
parecchie volte nello abbandono dei facili colloqui era stata le cento
volte lì lì per ispiattellarla, sicchè appena aveva potuto agguantare
per l'ale la parola, mentr'essa stava per volarle dai labbri; ed ora le
toccava a tenere l'occhio alla penna per non rimanere sorpresa; cosa che
fa allo amore, quello che ogni baco fa ai frutti ed ai fiori.
E tuttavia il contrasto, la paura, e (bisogna dirlo a vergogna dello
amore) qualche cosa di peggio, partecipano all'amore una maniera di
mordente per cui dura di più, e i suoi diletti ne acquistano augumento
acre ed intenso.
Ora accadde certa volta, che trovandosi i nostri amanti insieme
producessero la veglia oltre quella parte della notte nella quale non
può giustificarsi nè in greco nè in latino la presenza di un uomo nelle
stanze di una donna, laddove sua legittima moglie non sia, sposata
davanti il sindaco del municipio, o in chiesa al cospetto del prete,
secondo i gusti. Il Mangia puntuale aveva battuto le sue ore con braccio
di ferro sopra la campana di bronzo, ma essi non l'avevano sentite; come
due formiche cascate nel calice di un fior di magnolia inebbriate
dall'odore vi rimangono improvvide di ogni caso, che accada fuori delle
foglie, Fulvia e Lattanzio avevano mandato i loro sensi a spasso in
altre troppo più leggiadre regioni che non sono queste nostre terrene,
onde nè manco udirono uno schiamazzo, che si fece alla porta del palazzo
Griffoli, e l'urto di persone che contrastano, e finalmente lo strepito
dei soperchiatori che irrompono. Domine aiutaci! — S'intende acqua, ma
non tempesta! Essi erano sprofondati di santa ragione. — Sì, signora,
erano sprofondati. Chi può in amore dormire come una lepre, o non ha
cuore, ovvero ha il cuore negli orecchi; chi ama davvero concede a
Lancillotto di appressarsi inaudito, e inosservato a Paolo e a Francesca
e passargli fuor via da banda a banda con un colpo solo di spada. E poi,
o mi dica un po'; quando i Romani, capitano il consolo Flaminio,
combatterono al Trasimeno contro i Cartaginesi, non racconta Livio,
nella Deca, credo terza, che tanto li teneva presi la voluttà di
sbranarsi, che non si accorsero punto del terremoto, il quale in cotesto
istante subbissò città, respinse all'origine parecchi fiumi, e perfino
spianò monti: adesso, vuol essa, gentilissima, concedere all'odio la
virtù che nega allo amore? Legherà i sensi nostri più veemente la rabbia
che la tenerezza? Io non ci vo' mettere su altre parole: me ne rimetto
in lei. E poi tra il fracasso di un terremoto, e il rumore di usci a
forza aperti, e il clamore di servi respinti, una differenza ci corre, e
ne deve convenire anco _lei_. Dunque abbia fede, o signora, ai miei
racconti, almeno quanto a quelli, che le farà il suo confessore.
Ma ecco a riscotere gli amanti Virginia (questo nome ella diceva, le
avevano posto i suoi genitori il giorno dopo la sua nascita, senza
consultarla), la sparvierata fantesca, si rovescia nella stanza
sclamando:
— Eccolo! Eccolo!
— Chi ecco? Domanda Fulvia.
— Don Lelio, accompagnato da tre scherani, armati fino ai denti e con le
spade ignude.
— Bene, senza scomporsi rispose Fulvia; tu, Virginia, va, vola per le
scale segrete e avvisa Nardino.
La Virginia sparve a mo' di baleno. Fulvia rimasta sola con Lattanzio,
senza mostrare fretta nè indugio, tolta la mano del giovane gli disse:
— Vien meco.
E quegli andò: allora ella aperto l'uscio della camera nuziale
soggiunse:
— Trattienti qui dentro tanto, che io torni.
— Ma.... non è questo il pessimo dei luoghi ove celarmi?
— Va, non dubitare, e gli prese la mano, e Lattanzio la sua. — In
cotesta stretta si ricambiarono tali e tante parole, che a significarle
tutte ci verrebbero meno il tempo e la candela; le ometterò;
compendiaronsi in queste poche profferite dalla Fulvia:
— Va, in casa Piccolomini non vissero mai traditori.
— E Vallestein?[6] Ma la Fulvia non intese, chè in cotesto punto chiuse
l'uscio mettendosene la chiave in tasca; poi si assettò sicura, o
almanco tale in apparenza.
[6] Ottavio Piccolomini traditore del Vallestein trucidato a
Egra nel 25 febbraio 1634.
Ecco spalancarsi la porta, ed ecco fragoroso, e feroce entrare Lelio, in
compagnia di tre masnadieri; due alla sembianza ed agli atti più che
altro rompitori di strada racimolati da Lelio nella Campagna romana, il
terzo pareva ed era gentiluomo, anzi cavaliere, non però dei santi
Maurizio e Lazzaro. La Fulvia levate le ciglia in su, sembrava volesse
interrogarli col guardo non si giovando farlo con le labbra; a cotesta
interrogazione rispose Lelio tremando per le membra e nella voce.
— Levata sempre a questa ora?
— Qual maraviglia per voi levato pure a questa ora, e vagatore di notte
per sentieri, e assalitore di case. — Questo fin qui ella favellò
irridendo: di un tratto però mutato suono di voce, ed aggrondati gli
occhi interroga severa: — Or su, dite, che volete voi qui, che cosa
cercate?
— Che cerco ti dirò io, or ora, che l'avrò trovato gettandoti il suo
cadavere tra le braccia.
— Tu non moverai un passo... scellerato!... qui non si tratta propinare
veleno...
E siccome l'altro vie più inviperito faceva atto di avventarsele
addosso, ella stese le mani sotto un cuscino cavandone fuori due pistole
pese, e voluminose come a cotesti tempi costumavano, e tenendole rivolte
a Lelio gli gridò:
— Addietro... avvelenatore...
È da credersi, che coteste armi non sarebbero bastate davvero a
spaventare Lelio, molto meno gli uomini di sua compagnia, là dove cheti
cheti non fossero entrati nella stanza per la medesima porta, ond'erano
venuti i primi, uomini armati di moschettoni ponendosi dietro le spalle
loro: erano sei, e li guidava Nardino, il quale dal battesimo in fuora,
caso mai lo avesse avuto, non serbava altro vestigio di uomo; ci si
sarebbe accostato più un cane mastino: masnadiero maremmano di razza
pura; del paese di Giuncarico dove mangiavano (non so se mangino adesso)
le serpi per anguille. Lelio, e i compagni scossi dal lieve rumore, che
mossero i sopraggiunti voltaronsi alquanto e viste le armi, e i ceffi
scomunicati cagliarono; di ciò finse non addarsi la Fulvia la quale
contegnosa continuò:
— Signore cavaliere Aloisi, ben vi ravviso; voi più volte della vostra
presenza onoraste casa mia, ed io fui lieta accogliervi con la cortesia,
ch'è debito fra persone dabbene: ed ora come va, che vi fate esecutore
delle ribalderie del Griffoli? Comprendo le strette in mezzo alle quali
gettano la scioperatezza e il mal costume; comprendo altresì quale, e
quanto guaio menino sopra gli animi umani gli esempi di uomini come
Lelio Griffoli, ma non mi sarei mai persuasa, che gentiluomini venissero
al punto di bassezza in cui voi siete caduto. Voi siete romano, però
ricordatevi, che il papa ha le mani lunghe non solo per benedire.... ed
io sono sua parente. Sgombrate tosto da Siena, tornate a Roma, e per
parte vostra fate, che io possa come vorrei dimenticarvi: ogni indugio
potrebbe tornarvi funesto; se mi trovassi nei vostri piedi non
aspetterei l'alba: levatevi di costì, e deponete prima la spada;
Nardino, fategliela deporre, il cavaliere, che non seppe tenerla con
onore, forza è che la ceda con disdoro.
E Nardino con un pugno menato alla sprovvista sopra la mano del
cavaliere gliela fece cascare; e l'altro, comecchè per ira gli
avvampasse la faccia, reputò buon consiglio tacersi.
— Quanto a voi altri due... siete stati pagati?
— Lustrissima, no.
— Ravvisò il Griffoli: ebbene eccovi due scudi per uno, e tornate a casa
vostra; quello, che vi attende non vi potrà mancare; — però di qui non
uscirete se non a patto, che deponiate le vostre armi.
— Lustrissima, e allora con che noi eserciteremo il nostro mestiere?
— Con la zappa, furfanti, toglietevi di qua; appena sia giorno
accompagnateli fuori di porta Romana. — Ora lasciatemi col mio marito
sola.
— Comanda...? Interrogò Nardino con tale un garbo, che significava: devo
levare la spada anco a costui?
— Oh! no, rispose Fulvia, non è il ferro quello, che si ha da temere da
coteste mani.
Partirono tutti in parte mogi, e in parte insolenti; non si dicono gli
oltraggi, che ebbero a patire, e non si contano le busse. Rimasto solo
Lelio con la Fulvia, egli si sentì umiliato, e conoscendo la figura
strana, ch'ei sosteneva brandendo il ferro, lo depose sopra una sedia.
Allora la Fulvia incominciò:
— Or bene, Griffoli, che novità sono queste?
— Per Cristo! non sono novità. Sono io morto? Sono io diventato così
straniero a casa mia, che non devo pigliarmi pensiero del mio onore?
— Che parlate di onore? L'onore uscì di casa vostra quando ci conduceste
l'omicidio e il tradimento.
— E fu colpa vostra: ma io devo sentire apatico il grido della mia
vergogna, che viene a turbarmi anco in villa?
— Qual vergogna dite?
— Non parlaste voi con Lattanzio Bulgarini?
— Sì certo gli parlai.
— Non lo mandaste a cercare?
— Mandai.
— Non lo accoglieste notturno qui in casa?
— Lo accolsi.
— Dunque è vero?
— Che vero?
— La turpe tresca, che in onta mia, mantenete con lui.
— Questo altro, udite, è vero, il signor Lattanzio ha fatto sopra le
lapide del fratello da voi avvelenato un fiero sacramento chiamandone
testimoni Dio, ed i Santi, di vendicare sopra voi, sopra me la morte di
Paride: se poco mi cale morire, molto mi preme essere non giustamente
causa di odio implacabile. Posso curarmi poco dello affetto altrui!
Posso, aimè! anco desiderare, tanti affanni mi ha portato! che veruno mi
ami; non posso patire, che veruno mi odi. — Io non mi estimo l'arbore
donde emana il balsamo, no, ma nè anco soffro sentirmi maledetta come il
rovo, che straccia i panni e ferisce le carni: quindi lo ebbi a me più
volte, lo supplicai a deporre giù gli odi, e gli sdegni; m'industriai
giustificarmi, gli giurai la mia innocenza... che più? Mi genuflessi al
suo cospetto per ottenere la pace pel colpevole.
— Ebbene?
— Confermò l'atroce sacramento di vendicare la vita fraterna, dovesse in
questa vita dare il capo al carnefice; nell'altra l'anima al diavolo:
quanto a me pose il suo perdono a duro patto, gli svelassi l'omicida del
fratello...
— E voi mi avete tradito?
— Qual fede doveva serbarvi io? Io non vi ho accusato. E tanto vi basti.
Non vantate vincolo di marito; il delitto lo ruppe: veruna legge obbliga
la donna a sedersi a mensa con un uomo di cui la mano è assueta a
versare veleno nella bevanda, a mettere il proprio capo sul capezzale
insieme all'uomo, che può nel sonno agguantarti la gola per
istrangolarti: noi siamo diventati stranieri, e come Dio vuole da noi
non uscirono figli, che ci tengano legati nostro malgrado... catena di
amore fabbricata dal demonio: perchè dunque vi gittate traverso al mio
cammino? Se di alcuna cosa vorreste prendervi cura con profitto, sarebbe
l'anima vostra. Orsù, Griffoli, a me non conviene, che voi finiate la
vita su la forca, e a voi credo nemmeno: dunque parole brevi: vedete...
già spunta l'alba... tornate in villa... colà rammentate, che vi si
concede vivere... ma ad un patto, ed è, che voi facciate il morto...
capite bene il morto.
E proferendo queste parole essendosi destramente accostata alla stanza
da letto, ne aperse l'uscio di un tratto, e sparve. Al tempo stesso si
presentarono a Lelio Nardino con un altro compagno, il primo dei quali
in atto cerimoniale levatasi la berretta gli disse:
— Lustrissimo! La cavalcatura è lesta; l'attende giù a piè dell'uscio.
Lelio capì la ragia, e fatta di necessità virtù si accomodò al tempo:
chi gli avesse visto la faccia ne avrebbe avuto paura, così compariva
tinta in bile e stravolta, pure se avesse potuto contemplargli l'anima,
io non credo, che ne avrebbe sostenuto l'orrore: tutte le atroci
passioni esacerbate stavano ritte per nuocere, pari ai serpenti del capo
di Medusa allora allora riciso da Perseo; e come quelli ormai incapaci a
far danno.
E da cotesta notte innanzi le faccende ripigliarono il consueto cammino,
senonchè gli amanti adoperavano alquanto maggiore discretezza per non
parere. Però una mutazione accadde in Lattanzio, che non isfuggì punto
alla Fulvia, la quale sagacissima donna era, e questa fu, che ora
Lattanzio le si mostrava delirante di amore dando in quelle
dimostrazioni eccessive, che sogliono costumare gli amanti quando
cascano in simile stato di frenesia, ed ora si rimaneva lì freddo e
apatico; interrogato rispondeva a vanvera: per cosa al mondo non ci era
verso di cavarlo da cotesta astrattezza. Una notte, eravamo nell'ottobre
del 1663, Lattanzio si palesò più fantastico del solito, il turbamento,
che lo agitava vinceva ogni suo conato per dissimularlo: si rizzava in
piedi e passeggiava come se lo molestasse il caldo insopportabile, di
repente buttavasi giù a sedere con le mani prosciolte sciogliendo un
sospiro lunghissimo: pareva volesse parlare, ma poi si peritava:
parecchie volte, dopo avere preso commiato, tornò indietro ad
abbracciare la Fulvia, alla quale, che lo interrogava affannata, che mai
lo turbasse, egli sul punto di andarsene rispose:
— È destino — e si tirò dietro l'uscio.
La mattina di poi giacendosi tuttavia in letto la Fulvia, l'entrò in
camera la fidata fantesca, la quale atterrita, con voce a strappi si
mise a gridare:
— Signora, signorina mia, oh! che disgrazia è accaduta! Dio mio! Dio
mio! mi sento mancare.
E Fulvia rizzatasi sul letto a sedere:
— Levami di pena, di' su, di' su presto.
— A me non regge il cuore; qui fuori ecci il contadino, permettete ch'ei
passi: vi narrerà ogni cosa per filo e per segno.
— Venga tosto...
E il contadino essendosi fatto innanzi come uomo di giudizio spifferò
addirittura, che un'ora fa era stato ammazzato il padrone signor Lelio.
Forse il villano dalle scarpe grosse, e dal cervello sottile avrà
odorato per aria, che alla Fulvia premeva venire a mezza spada senza
tanti andirivieni: difatti Fulvia su le prime n'ebbe più maraviglia, che
pietà; poi alle istanze di lei continuando a dire il villano, narrò come
il padrone per ingannare la noia avesse preso usanza di recarsi alla
Frasconaia per uccellare ai tordi, dove pigliava qualche sollievo,
quando ecco stamani sul bruzzo uscendo fuori dal boschetto per buttare
giù con la ramata i tordi invescati dal vergone, coglierlo un nugolo di
palle squartate tratte da qualche sicario di dietro alla siepe; bene
avere sentito le pedate di un uomo, che fuggiva, ma non averne potuto
ravvisare il sembiante: essere il padrone rimasto ferito in più parti,
massime nella mano; averlo subito trasportato in casa, e adagiato sul
letto; comecchè tutti lo giudicassero basìto avere mandato pel prete e
pel cerusico; egli messasi fra le gambe la via ad avvertirla
dell'accidente per suo governo.
[Illustrazione: .... coglierlo un nugolo di palle squartate
tratte da qualche sicario di dietro alla siepe (Pag. 137).]
Quando licenziato il villano, la Fulvia si gittò resupina sul letto, e
si pose a meditare sul caso, di un lampo, comprese il tiro venire da
Lattanzio; sentì scorrersi un gelo per le ossa, le s'increspò per
ribrezzo la pelle; alla catena si alternavano spaventosamente gli anelli
ora di peccato, ora di delitto: di volgere gli occhi in su per soccorso
non correva più tempo, nè lo avrebbe voluto: detestava la colpa e questa
vie maggiormente la stringeva al colpevole.
In così profondo turbamento dell'animo, pure desiderando mantenere le
apparenze, si vestiva in fretta per recarsi in villa di poco più di un
miglio fuori delle porte di Siena, e già era scesa nella strada, e già
teneva il piede nel montatoio per salire in calesse, quando da un lato
della via vide una calca di gente, che accorreva intorno ad una barella
portata soavemente sopra le spalle di quattro contadini; e mentre stava
in asso col piè su la staffa, a cavarla di ambage ecco levarsi un
turbinio di voci: — Non è morto! è resuscitato! non lo ha voluto Dio nè
il Diavolo come l'anima di Lorenzino dei Medici! Gli è come i gatti,
egli ha sette vite!
— È destino! — Mormorò la Fulvia, e accorse incontro alla barella dove
riconobbe tutto sanguinoso, e bendato il suo marito; la compassione, che
mai si scompagna da cuore gentile, punse la donna, che con voce pietosa
favellò così:
— Cristiani! mi raccomando, usate carità, andate bel bello, non lo fate
patire, che io poi adopererò con voi la cortesia che meritate.
E la plebe: — Oh! lasci andare l'acqua per la china, gli è meglio
perderlo, che guadagnarlo, sia benedetta! La è proprio la mano di Dio,
che glielo leva dintorno. Non ha mai dato un Cristo a baciare; gli è una
tigna, un cacastecchi, uno spilorcio, un avaro; e via di questo gusto:
chè il Romano trionfante al Campidoglio non curasse a' vituperii degli
sboccati comilitoni, io lo capisco; forse non gli avrà nè anco uditi, o
per cagione dello strepito delle trombe o per l'urlo dell'orgoglio
soddisfatto, che più clamoroso delle trombe gli ruggiva su l'anima, ma
coteste litanie a cui sente approssimarsi la morte, che lo precipita per
una via di sangue dentro il sepolcro, devono tornare amarissime,
quantunque l'uomo che le provoca, come quello di Lelio, possa essersi
convertito in un nido di vipere.
Non per questo, anzi a cagione di questo, non si ristava la Fulvia, la
quale con maggiore istanza che mai, non senza aggiungervi l'atto
supplice delle mani, si raccomandava: — Carità! cristiani, carità!
Questa voce udì il ferito, il quale sporta la mano fuori della barella
l'agitava: che intendeva egli fare? Chi lo sa? Chi può saperlo? La mano
dell'uomo si muove nella stessa maniera, sia che benedica, o sia che
maledica. Prossimo al fine, non posso trattenermi per ispiegare enigmi.
Adagiato sul letto, e visitato il ferito da quel medesimo maestro di
medicina e cerusico che curò Paride Bulgarini prossimo a morte, fu di
leggeri conosciuto, lievi tutte le altre ferite, eccetto quella della
mano gravissima. Un pezzo il maestro stette incerto se dovesse
_disarticolare_ parecchie dita, ovvero _amputare_ addirittura la mano,
entrambi verbi che in buono italiano significano tagliare; e più volte
levò il coltello in alto, e poi lo declinò avvertendo come alle cose che
non si possono fare se non una volta sola, giovi pensarci due; e di vero
parve il fatto lodare il consiglio, imperciocchè lo infermo andò di mano
in mano migliorando dando speranza di non lontana guarigione.
La Fulvia, dopochè giacque ferito Lelio, o non volle, o non potè più
vedere Lattanzio; forse fu un po' l'una cosa e l'altra; però Lattanzio
aveva per così dire notizia di ora in ora della salute dello infermo.
Avvi chi afferma darsi una cura più grave di quella che nasce dal
commesso delitto, ed è quella, che deriva dal delitto tentato, e
riuscito a male; altri all'opposto assicura, che l'uomo si senta come
sgravato da un peso enorme quando per fortuna non compì il criminoso
disegno: su di che giudichino i savi; io mi contento affermarvi come
Lattanzio adesso si trovasse in siffatta condizione di animo. Non usciva
più di casa; poco si cibava, meno dormiva, sempre su e giù per la stanza
quasi belva in gabbia, aggrottate le sopracciglia, chino il capo sul
petto di cui con la manca sorreggeva il mento, e la destra si teneva
dietro chiusa a pugno lungo al dorso; tutto in sè rannicchiato; i
capegli incomposti parevano avessero lite fra loro; una calza legata,
l'altra rovesciata fin su la noce del piede lasciava ignuda la gamba.
Certa notte, credo fosse la precedente al giorno della commemorazione
dei morti, uscito dalla stanza andò nella camera, dove dormiva un suo
fidato servitore, e svegliatolo a cenni lo avvertì, che si vestisse e lo
seguitasse, la quale cosa avendo costui fatto, egli lo condusse in
camera sua e quivi si pose fitto fitto a ragionare con lui; però a voce
tanto sommessa, che si saria udito il ronzio dell'ultima zanzara rimasta
viva in onta al principiare del novembre. Ad argomentare dai gesti si
poteva credere, che si fossero trovati d'accordo, per così dire, in
massima, ed ora si trovassero disformi intorno a negozi di seconda
importanza: all'ultimo parvero essersi concertati; allora il servo tornò
a dormire, Lattanzio a fare la lionessa; ma all'ultimo la stanchezza lo
vinse, e così come si trovava vestito si gittò boccone sul letto a
prendere un po' di riposo.
Adesso vuolsi sapere come il servo col quale Lattanzio aveva tenuto la
conferenza segreta fosse quel desso, che lo accompagnava armato nelle
sue notturne visite in casa Fulvia, e quivi si tratteneva finchè al
padrone non piacesse tornarsene alla propria magione; quivi pertanto
aveva preso domestichezza, come colui, che si mostrava sollazzevole e
motteggiatore, con tutta la famiglia; e poichè il padrone non faceva
seco a spilluzzico per tenere allegra la brigata, ed egli era di quelli
pei quali tanti ne cresce e tanti ne muore, non è da credersi il bene
pazzo, che gli avevano posto, massime l'uomo nero della Signora, di cui
il naso tinto in vermiglio raccontava la gloria del vino. Da lui
quotidianamente, e spesso più volte il dì, sapeva dello stato di salute
del Griffoli, e con lui faceva a scarica barili delle ambasciate di
Lattanzio alla Fulvia, e della Fulvia a Lattanzio: insomma per non
menare più a lungo il can per l'aia: due anime in un nocciolo.
Ordinariamente si davano la posta alla osteria dell'Oca, dove si trovava
il miglior vino, che producesse il Chianti, il quale a cotesti tempi
godeva men fama, e se la meritava di più che ai nostri, dove il padrone
corrotto non ha sofferto che uomini nè cose rimanessero innocenti. Colà
bevevano l'oblio dei mali e dei padroni; se tardavano troppo a tornare a
casa, colpevoli tutti, eccetto loro. Ormai piegando la ferita, quella
della mano, a perfetta guarigione (si erano già chiuse le altre) il
cerusico visitava il malato una volta in capo a due giorni avendo
commesso alla Fulvia, che lo medicava, uno o due volte al dì gli mutasse
le fila stendendo sopra la faldella vie via un po' di unguento di
semifreddi, ed avvertisse non fosse stantío; per la quale cosa ella lo
mandava a pigliare dallo speziale tutti i giorni la mattina per tempo. —
Il dì che successe al colloquio notturno di Lattanzio col servo fidato,
questi si pose sul canto di via Volpe, sfiaccolato, fischiando come se
non fosse fatto suo; appena visto spuntare di faccia l'uomo nero, se la
svignò nascondendosi, poi si rimise alla posta; nè si mosse finchè
costui non fosse di ritorno col vasetto dell'unguento in mano. Allora lo
abbordò di stianto, e abbracciollo con insolita tenerezza; poi lo invitò
di portarsi alla consueta osteria per gustare un vino di Broglio, che
pareva stillato dalle benedette mani di Dio; di più ci troverebbe un
tocco di presciutto di Casentino, presente di un suo compare, da far
piangere di tenerezza non che altri re Erode: non istesse su le smorfie;
già pagare tutto _lui_: cinque minuti più o meno non guastavano, e il
signor Lelio poteva pure aspettare; non istava a suo agio? Certo che sì,
o non giaceva in letto? Così ce lo conficasse Cristo per tutta la vita!
E non saltasse fuori con lo scusarsi, che di mattina non beveva vino,
perchè sapeva di certa scienza, che prima di coricarsi aveva cura di
mettere il fiasco a canto all'orinale sotto il letto; così parte con le
parole, e parte con le braccia lo scarrucolò, lo abbindolò, che l'uomo
nero dal naso rosso si trovò ruzzolato nell'osteria dell'Oca, assettato
ad una tavola, col fiasco e il prosciutto davanti. Fin lì la mente gli
aveva tenzonato fra il sì ed il no, come dice Dante Alighieri; ma
davanti a cotesti oggetti della sua tenerezza gli naufragarono volontà e
coraggio, e (orribile a dirsi!) primo afferrò il fiasco, si versò un
colmo bicchiere di vino, e se lo rovesciò nella gola a digiuno. — Di
pensiero in pensiero, di monte in monte, questo dice messer Francesco
Petrarca, ed io di bicchiere e in bicchiere si venne al punto, che
l'uomo nero giurava di vedere le stelle e il sole, anzi due soli, e
millanta stelle, nè si accorse di aver fatto tardi se non quando messo
il fiasco con la bocca in giù mandava stille rade, più rade di quelle
che versa l'erede dopo aperto il testamento; allora gli prese la rosa di
avere fatto troppo tardi, e salutata la compagnia andossi con Dio.
Tornato a casa, a mo' che le anguille vanno, fu accolto dalla Fulvia,
che impazientissima lo attendeva con turbata cera, e pure non si attentò
fiatare; era mestieri soffrire, imperciocchè quando poniamo i servi a
parte delle cose, che non arieno a sapere, perchè le non si dovrebbono
fare, il primo guaio, e forse non maggiore degli altri, egli è quello di
sopportare da loro qualunque strazio.
[Illustrazione: .... si versò un colmo bicchiere di vino,
e se lo rovesciò nella gola a digiuno. (Pag. 142.)]
La Fulvia pertanto tolto di mano a costui il vaso dell'unguento recavasi
al letto del marito, che ora in sembianza mansueto le favellava blande
parole e benigne: quivi ella con molta prescia si diede a sfasciare la
ferita, e intrise le fila nello unguento con avvedutezza lo medicò: poco
dopo egli ristoratosi alquanto con brodo, e vino chiuse gli occhi al
riposo, onde Fulvia se ne andò ad attendere alle cure di casa. Scoccava
per lo appunto il mezzogiorno, e così giusto tre ore dopo la medicatura,
che lo infermo cominciò a urlare come un dannato lagnandosi che gli
tagliavano, gli segavano, gli bruciavano la mano; accorse tosto la
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Çirattagı - Il destino: romanzo - 8
  • Büleklär
  • Il destino: romanzo - 1
    Süzlärneñ gomumi sanı 4613
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1865
    34.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Il destino: romanzo - 2
    Süzlärneñ gomumi sanı 4684
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1820
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  • Il destino: romanzo - 3
    Süzlärneñ gomumi sanı 4669
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1835
    34.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Il destino: romanzo - 4
    Süzlärneñ gomumi sanı 4640
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1844
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  • Il destino: romanzo - 5
    Süzlärneñ gomumi sanı 4638
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1875
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  • Il destino: romanzo - 6
    Süzlärneñ gomumi sanı 4662
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1849
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  • Il destino: romanzo - 7
    Süzlärneñ gomumi sanı 4660
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1841
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  • Il destino: romanzo - 8
    Süzlärneñ gomumi sanı 4583
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1873
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  • Il destino: romanzo - 9
    Süzlärneñ gomumi sanı 456
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 300
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