Il destino: romanzo - 6
Süzlärneñ gomumi sanı 4662
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1849
35.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
58.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
il suo cuore si volge a questo: veda, e' fu come passare di camera in
salotto: di più io non so dirle, per maggiori spiegazioni, benigno
lettore, io la rimando alla sua moglie, che naturalmente se ne intenderà
più di me: per la qual cosa la non m'impacci di più, e mi lasci finire
il racconto.
Pertanto ella si mise a pensare sul modo di avvertire Lattanzio del suo
desiderio: avrebbe voluto scrivergli, ma se costui la odiava, e avesse
voluto intorarsi nell'odio, non poteva adoperare cotesto suo invito per
farla la più vituperata femmina del mondo? E poi che dirgli? Se poco o
non sarebbe venuto, o chi sa che mai avrebbe abbacato col cervello: se
molto, ci era il caso, di vederci entrare chi doveva starne lontano, vo'
dire Don Mattias de' Medici governatore di Siena, ovvero i Signori Otto.
Meglio commettere il negozio in mano a donna discreta, che andasse a
tenergliene proposito destreggendosi cauta per non fare scappucci: ma
dallo altro canto rammemorando i modi da lei e da suo marito adoperati a
danno della povera Betta, quando le si condusse davanti messaggera di
Paride, s'invilì peritandosi di porre allo sbaraglio qualche persona
dabbene: di altre non si sarebbe potuto senza suo biasimo infinito
giovare. — Stringendo ogni ora più veemente la necessità, bisognò non
istar più sul lellarla e prendere partito, onde si risolvè scrivergli:
alla peggio avrebbe potuto stracciare la lettera.... sempre meglio, che
scaraventare giù una donna, ovvero uomo per le scale con pericolo di
fiaccargli il nodo del collo. Rispetto poi a serbare la lettera e
girsene intorno a mostrarla per rendere lei contennenda ed infame....
siffatte ribalderie tra gentiluomini, ella pensava, non costumano.... si
trattasse di un popolano, ti dia la peste! Insomma scrisse. O che
scrisse? Vediamo, leggiamo, sentiamo. Largo, donne mie, ella era una
lettera scema come.... talvolta ne scrivono talune femminuccie senz'arte
nè parte; io ve la riferirò in succinto:
«Signor Lattanzio Bulgarini,
«Se siete, come non dubito, gentiluomo, stasera a due ore di notte vi
aspetto a casa mia: mi pesa essere odiata da voi senza ragione, e solo
che mi concediate un po' di ascolto, io mi auguro chiarirvi interamente.
Vi chiamo in casa mia perchè darvi la posta altrove non mi parve onesto
nè sicuro: pregovi, per la memoria di Paride fratel vostro, a non farmi
attendere invano. Mio marito da molti giorni sta in campagna per
ricreare alquanto la inferma salute. State sano, e supplicando Dio, che
vi tenga nella sua santa custodia mi sottoscrivo: Io Fulvia Griffoli
nata Piccolomini mano propria, Siena 15 giugno 1660.»
Lattanzio quando ricevè la lettera di Fulvia sapete voi a cui pensava?
Ve lo dirò io, pensava alla Fulvia; da qualche giorno si spaventava per
sentirsi di ora in ora meno infellonito contro lei; e sì che il grido
del fratello chiedente vendetta gl'intronava le orecchie; aveva giurato
vendicare la fraterna vita, e piuttostochè mancare si sarebbe con le
proprie mani scannato. O dunque? Anco il lupo talvolta ha bisogno di
aizzarsi all'ira sferzandosi la pancia con la coda; anco il toro prima
della battaglia contro il rivale s'inferocisce cozzando delle corna nei
tronchi degli alberi. Lattanzio si sarebbe dato la disciplina, se non
avesse temuto di farsi male. Al ricevere che fece la lettera della
Fulvia, spiccò un salto, anzi ne spiccò due; proruppe in giuramenti da
tirare giù i travicelli del paradiso (il che per parentesi non sentì
troppo del gentiluomo) poi urlando e pestando i piedi, chiamò i servi
ordinando loro di troncare tutte e due le braccia a suono di bastonate
al portatore della lettera.
— O che un braccio solo non avrebbe a bastare? Domandò uno dei servi.
— No signore, tutte e due, e tre se gli avesse.
— Come comanda vostra signoria lustrissima.
Ma potevano forse essere i servi giunti a mezza la prima scala, che
Lattanzio uscendo con impeto di camera, e correndo loro dietro gridava a
squarciagola: — Bernardino addietro! Qua Giovanni, qua.
E i servi tornavano alla chiamata del padrone, il quale con la borsa in
mano, mite nella voce e nel sembiante favellò:
— Che colpa ha il servo della improntitudine del suo padrone?
— Era quello che diceva ancora io, soggiunse Bernardino.
— Avrebbe potuto toccare a voi.
— Giusto! Non fa nè anco una grinza.
— Dunque non gli fate ingiuria.
— Sarà obbedito.
— Invece pigliate questo scudo e dateglielo dicendogli che se lo goda
alla salute mia.
I servi uscirono piegando il capo, e venuti in parte dove non potevano
essere uditi, in breve si trovarono di accordo su questo, ch'essi da
parte del padrone non avrebbero dato bastonate, ma del pari nè anco
quattrini: si sarebbero spartito lo scudo, e meglio bevutoselo intero: e
su ciò non importa dire altro. — Spiegata e letta la lettera, mi tocca a
patire la umiliazione di raccontare come il pensiero che primo cadde
nella mente di Lattanzio fu per lo appunto quello di spifferare la
lettera strascinando la reputazione della Fulvia in mezzo al rigagnolo;
ma subito dopo gl'increbbe: tutta la mattina mulinò sopra la punta di
ago di una domanda molesta: «Devo andare, o non ci devo andare?» Come!
diceva a sè, tu andrai pacato a vedere la faccia, a udire la voce della
micidiale del fratel tuo? Potrai mirarla e non avventarti alla sua gola,
e strangolarla? Il solo trovarti insieme con lei, meno che per
ucciderla, non è forse renunzia alla vendetta fraterna? — Io non andrò.
— Lusinghe, blandi parlari e lagrimette, bene altri cuori irretirono,
che non è il tuo, Lattanzio: quando d'inganni fu penuria nelle donne,
ricorda Ulisse che, costretto a navigare presso il lido delle Sirene,
turò a sè ed ai compagni suoi gli orecchi con la cera, mentre tu invece
vai senza cera, e costretto a intendere le parole mortali di donna
nemica, di cui le mani, gli occhi, la lingua, i detti e i gesti sono
lacciuoli tesi alla tua vita. — Risolutamente io non andrò. E che può
dirti ella, e che cosa dirai a lei? Quali parole ormai possono correre
tra voi? Non le basta un'anima? O ch'ella è insaziabile come lo inferno?
Ah! temerei incontrare su la porta di lei lo spettro del povero Paride,
che in atto lacrimoso mi dicesse: — «Così hai cura della vendetta di tuo
fratello? — Senza fallo io non andrò.» — Insomma, durante la intera
mattinata, non ci fu rimedio, fermo al chiodo di non volerci andare: si
pose a pranzo, dove cessati i pensamenti stette come smemorato: sembrava
ed era fuori di sè; morse il bicchiere credendolo una pietanza, invece
di condire la insalata disegnò un circolo di gocciole di olio intorno
alla mensa; la mano manca, posta dentro il piatto, per poco mancò non se
la tagliasse immaginandola un pollo. Senza accorgersene bevve più del
consueto, sicchè al levarsi da tavola gli pareva avere il Mongibello nel
capo; il caldo essendo grandissimo si buttò sul letto dove tornò a
molestarlo la facoltà del pensiero, la quale prese a discorrere così: ma
in fine dei conti ella si afferma innocente, e chiede giustificarsi;
l'odio tuo giustissimo investe gli uccisori del tuo fratello; ma s'ella
ti chiarisse non essere fra questi, perchè ti adopri ai suoi danni?
Perchè la opprimi col tuo abborrimento? Giudicare, senza avere prima
ricercata la causa, non è da cristiani nè da gentiluomini, nè da uomini.
_Priore, udite l'altra parte_: sta scritto nella spalliera del
seggiolone del Giudice di Lucignano; ora quello, ch'è buono a seguitarsi
nei villaggi di Siena, non lo sarà in Siena? Se condanni senza difesa
chi andrà assoluto da te? E poi... e poi... bisogna pure confessarlo, la
fronte aperta, e gli occhi.... ah! gli occhini sono testimoni del cuore,
lo dicono tutti, e gli occhi parlanti della Griffoli non attestano animo
pravo; nè brutta femmina può estimarsi, anzi a confessarlo schietto ora,
che nessuno ci sente è bella e baliosa gentildonna... e se non fosse una
tal quale acerbezza nei contorni del volto, si potrebbe sostenere
bellissima; il portamento, lo incesso, i capelli, lo incarnato delle
guance, le labbra vermiglie, tutto stupendo. Le belle donne non possono
professare iniquità, sarebbe una sconcordanza della natura, e di simili
svarioni, frequenti fra gli uomini, non si ammettono nel Creatore. Non
sarebbe mica affatto affatto fuori di proposito andare a sentirla; forse
ti farà conoscere i veri delinquenti, e badiamo veh! Lattanzio, Paride
ha chiesto lo eccidio dei rei non quello degl'incolpevoli. Che viltà
t'ingombra, Lattanzio? Forse è ella una lionessa, e tu un cerbiatto? O
che non hai rasciutto il latte sopra le labbra per avere paura, ch'ella
ti abbindoli? Hai paura? — «Chi dice qui che io ho paura?» — E diede un
salto sul letto agguantando la spada attaccata al muro; — visto poi che
egli stesso si era offeso, e certo senza intenzione di offendersi,
giudicò opportuno di non si ammazzare; e, perchè più oltre io non
produca la esposizione di cotesto spirito incerto, conchiuderò col
dirvi, che al finire del giorno egli era al tutto deciso di andare.
Avvicinandosi l'ora della posta, si vestì nobilmente, esaminò se le
lattughe fossero bene stirate, se gli abiti in punto, scelse tra i
guanti profumati un paio novissimi, poi quasi consultandosi cominciò a
dire: «O che la spada io l'abbia a prendere? — Mai no, o che la Fulvia
sarebbe capace di tanto tradimento?» — E depose la spada sul letto: — e
non di manco, egli proseguiva: «_Fidati_ era un galantuomo, ma _Non ti
Fidare_ fu galantuomo due cotanti più di lui; e i sospetti non sono mica
sassate: quando anco ella si opponesse con tutte le forze, ma la sua
gente potrebbe usarmi mal tratto; e forse avrebbero potuto condurmi nel
bertovello costringendola a scrivermi lo invito pel ritrovo; di queste
trappole ne abbiamo viste delle altre; dunque prendiamola. Ma davvero,
va là che ti puoi vantare paladino finito, condurti armato ad onesto
colloquio di gentildonna: si capisce che il Griffoli potesse odiare il
povero Paride, perchè amante spasimato della sua moglie; ma te per qual
cagione dovrebbe odiare a morte, o che forse tu ami la Fulvia? — Io no
davvero... la devo odiare, e la odio... almeno, finchè non mi si
dimostri innocente come gli Angioli custodi al seggio di Maria
santissima; ond'io non dico amarla... no questo mai... e poi mai come
amante, ma come prossimo sì, già a patto sempre, s'intende che la mi si
mostri bianca come un lenzuolo di bucato.» Lasciò la spada, come quella
che non si poteva celare; ma per via di compromesso tenne il pugnale
nascondendolo nelle tasche delle brache: un termine mezzano, un partito
_da moderato_.
La Fulvia quasi nel medesimo tempo dava opera al proprio abbigliamento:
più che non pareva decente attese a scerre vesti, e colori ed ornati:
forse in occasione tanto solenne ella aveva mente a piacere? Giusto
così: la donna non renunzia mai a piacere; dicesi, una dama presso a
morte volle contemplarsi nello specchio, e miratasi pallida ordinò le
recassero tosto polvere di amido, e pezzetta di levante per
incandidirsi, e imporporarsi dicendo: «Essere sconvenevole aversi a
presentare alla Morte con quella faccia da cataletto;» e la stessa Morte
vidi io raffigurata in uno scheletro inghirlandato di rose. Però la
Fulvia sopra cotesta fronte ampia e bianca su la quale, se Venere
avrebbe deposto lieta il suo serto, Minerva pure non avrebbe sdegnato
coprire col suo elmo, non mise niente. Provò una rosa amaranto, e non le
piacque; soli i capelli nerissimi, acconciati in modo che parevano
arruffati, ed erano con esquisita arte composti; le vesti di colore
oscuro facevano risaltare vie più l'abbagliante candidezza della pelle,
nè tanto accollate, nè scollate tanto da celare troppo, nè palesare
troppo i tesori del seno: appunto come il Tasso dice della rosa, che
quanto si mostra meno, tanto è più bella. Messa bene in arnese si
contemplò anco una volta nello specchio, non senza segreta inquietudine,
chè una voce sottile e pure molesta le zufolava nel cuore, ormai ella
essere giunta al suo trentesimo anno; ma quando, in mezzo al lume dei
doppieri, vide la sua faccia sfavillò di riso, e dallo specchio parve
movere il solito plauso: — va franca, donna, va franca, tu sei ancora
bella.
Oh! che tormento aspettare incerti se la persona desiderata verrà o non
verrà: per me ne ho provato parecchie, ma la dubbia aspettativa mi lima
non pure il cuore e il cervello, ma le altre viscere tutte, e i nervi e
i muscoli; se fosse in balía dei Giudici, io sostituirei la pena della
ansietà a quella di morte: o per meglio dire non la surrogherei
reputandola in coscienza più tormentosa di quella. La Fulvia aperse la
finestra a mezzo e tuffò lo sguardo, quanto poteva protenderlo più lungo
per iscoprire qualche sembiante umano, che colà si appressasse; indarno,
chè le ombre fitte non permettevano spaziare alla vista. Ambe le mani a
mo' di ventola metteva intorno gli orecchi per raccogliere l'onda sonora
mossa da pedate lontane; ma non raccoglieva niente, si alzava cento
volte, e su quanti lettucci, e sedie erano nella stanza si abbandonava;
cominciava un discorso per esortarsi alla pazienza, e, a mezzo si
rizzava in piedi furente e smaniosa. Di un tratto la torre del Mangia
sonò un'ora, Fulvia schiuse gli occhi donde le schizzarono due lacrime;
sentì proprio picchiarsi il battaglio sul capo; successe il secondo
colpo, e con esso la seconda sensazione: se avesse continuato al quinto,
o al sesto, io penso, Fulvia ne sarebbe rimasta o spenta o matta. Il
petto mano a mano ansando ora si angoscia in tali palpiti ai quali
sembra impossibile, che duri il tenue tessuto del petto della donna:
alfine le parve udire strepito lontano; prima di pensarlo si trovò
all'uscio, e apertolo si diede ad origliare; certo avevano schiuso il
portone, certo parecchia gente veniva su per le scale, vide appressarsi
insolito chiarore di torchi: senz'altro era Lattanzio: allora ella
richiuse pianamente l'uscio, e si mise a sedere pestando mani e piedi
per comparire tranquilla. Difatti dopo brevi istanti ecco comparirle
davanti l'aspettato giovane: questi con gentile fierezza fattosi presso
al lettuccio dond'erasi levata la Fulvia per riceverlo:
— Signora, le disse, voi m'invitaste in casa vostra; io sono venuto.
[Illustrazione: Signora, le disse, voi m'invitaste in
casa vostra; io sono venuto (Pag. 116.)]
— Grazie.
— Non ci ha mestiero ringraziamenti perchè qui venni per amore di
cortesia, e per istudio di vendicare la morte fraterna.
— Pregovi accomodarvi, signore.
— Gran mercè! Mi sento a mio agio tenendomi in piedi.
— Allora, ancora io mi terrò ritta.
— Questo non sia: ecco fatto il desiderio vostro.
— Ve ne sono tenuta. — E dopo qualche esitanza un po' vera, ed un po'
finta, ella riprese: — perdonate il mio fiero turbamento; ma vi parlerò
come il cuore mi detta, ed a voi piaccia avvertire la sostanza delle
cose non lo inconsulto favellare (tutto ciò era falso di pianta, perchè
a quello, ch'ella voleva dire aveva pensato tutta la notte, e tutto il
giorno antecedente: ma ciò non importa). Voi, signor Lattanzio, mi
odiate.
Lattanzio non fiatò. La donna ripetè:
— Voi mi odiate; e bene sta; ma perchè mi odiate? Certo perchè credete,
me causa della morte del fratello vostro Paride.
— E se così fosse: non mi apporrei al vero?
— Non vi apporreste al vero, perchè io mi affermo affatto innocente di
cosiffatta sciagura.
— E non vi peritate voi, signora, a mentire così; non temete, che di un
tratto l'anima del povero Paride apparisca qui fra noi e vi dica: «A che
vale la bugia? Cotesto atto è scritto nel libro dei peccati, che
vendicherà la giustizia divina, ed anco la umana.»
— E sia, ma la partita non apparisce accesa a mio nome.
— Od a qual nome dunque?
— Signore, rammentatevi, che nacqui gentildonna e sono dei Piccolomini.
— Sì bene, ma moglie a un punto di Lelio Griffoli. E negherete voi, che
dopo avere condotto alla disperazione il mio povero fratello
inebriandolo con la venustà di cui male vi fu prodiga la natura, voi e
il vostro marito per levarvelo davanti gli occhi gli propinaste il
veleno?
— Non dite questo, signor Lattanzio, disdice a gentiluomo, e a cristiano
calunniare atrocemente come fate voi.
— Lo giurereste?
— Comecchè cugina di un Papa, giurerò se volete, ma assai volentieri mi
asterrei dal giuramento perchè Cristo ha detto: «Non giurare: non pel
firmamento ch'è casa di Dio, non per la terra, ch'è sgabello dei suoi
santi piedi, non pel Signore, il quale vuolsi adorare non sacramentare,
non per te, che nulla hai di tuo, nè manco i vermi, imperciocchè tutto
l'essere tuo ti abbia prestato la natura.» Pertanto adopererò meglio,
che giurare invano, vi narrerò schiettamente il caso. Paride vostro mi
amava certo senza pari, ma per soverchio di passione m'inseguiva più
ardente che il segugio non fa alla lepre; ed io mi sento moglie e
figlia, la mia prosapia onoro, nè io vorrei, nè i parenti patirebbero,
che per me ricevesse oltraggio la casa alla quale appartengo....
— Però voi nella superba mente vostra non trovaste miglior partito oltre
quello di consegnare alla terra il mal capitato amante?
— Io tacqui, ma le sue persecuzioni mi avevano reso favola del paese;
tacqui, finchè potei in casa, e negai; però un giorno venne a parlarmi
certa femmina dello amore suo; il mio marito prese a dirmi vituperio, ed
io vergognando, e crucciata gli apersi l'animo mio alieno affatto da
simili trascorsi, e voglioso di trovarmi affrancata da tanta molestia.
— Voi non uccideste, vi contentaste guidare la mano dell'uccisore.
— Chi vi dà facoltà di giudicare così iniquamente di me? Chi fu
l'uccisore? È ignoto; nè per quanta diligenza ci abbiano messo i
Magistrati si è potuto rinvenire indizi da instituire un processo.
— Sta bene; signora, avete altro da dirmi?
— Ah! Lattanzio, che voi non mi odiate... come micidiale del vostro
fratello.
— Signora... Fulvia, io potrò non odiarvi, e potrò anco... riverirvi,
quando mi avrete aiutato a scoprire il vile avvelenatore di Paride, ed a
compire sopra di lui la vendetta fraterna.
E, salutando profondamente, mosse per uscire. Alla donna non parve
opportuno trattenerlo: così separaronsi la prima volta; la Fulvia rimase
come il pescatore il quale tirando le reti mentre sperava acchiappare un
dentice si trova ad avere preso un crognolo; certo si riprometteva di
più, e il primo senso fu di dispetto, che a mo' del poco vento sul
fuoco, attizzò la sua passione; di vero dopo averci bene bene pensato
su, esclamò: «Faremo meglio un'altra volta» — e non a torto, la pesca
era stata scarsa, ma il mare era riconosciuto pescoso, sicchè nè
contenta nè lieta se ne andò a giacere.
Lattanzio, per la parte sua dando spesa al cervello, ragionava così: «Se
veramente ella non aveva peccato perchè la odierebbe egli? Il fratel suo
tanto nemico di ogni ingiustizia, mentre fu in vita, potrebbesi supporre
mai, che l'amasse morto, e a lui come un giogo di pena lo imponesse?
S'ella aveva detto il vero, in lei sarebbe stata colpa d'imprudenza, non
dolo; e comecchè non bene, pure in parte aveva già scoperto come era
andato il fiero caso.» Simile allo antiquario, che con molto travaglio
tenta ricomporre una iscrizione antica, talvolta si ferma a ritrovare le
ultime lettere; egli con due o tre notizie di più avrebbe ricostruito
precisa la storia della morte fraterna: nondimanco, prima di mettere
mano ai ferri, voleva essere chiaro; per lui spegnere l'omicida del
fratello era meritorio quanto comunicarsi, ma se si fosse ingannato ne
sarebbe morto di affanno: avrà pensato male, ma la pensava così, nè
adesso corre stagione opportuna da fargli una predica.
Ora Fulvia sperava, che Lattanzio la richiedesse di nuovo colloquio, e
Lattanzio per converso teneva per certo di ricevere un secondo invito.
Ella, ad ogni picchio alla porta di casa, sporgeva il capo fuori della
stanza domandando chi fosse; egli tornando a casa, se dopo avere chiesto
se fosse capitata persona a portare lettera o messaggio, udiva di no,
tirava su per le scale fischiando come un serpe. — Così la non poteva
durare, e per queste faccende, bisogna pur dirlo, le donne corrispondono
fra loro come le corde armoniche del medesimo strumento: di nutrice, e
di fantesche fidate, non fu mai penuria nel mondo; le amiche poi fanno a
farsela. Le scuse di cui si ravvolse la seconda chiamata furono
parecchie e sottili; sottili tanto, che a guisa del mantino verde
intorno al lume non celavano il motivo vero. Lattanzio, richiesto se
sarebbe andato rispose di botto: — Magari! — E subito dopo profferita la
parola si morse le labbra in pena del peccato d'imprudenza; ma sasso
lanciato, e parola detta non si revocano più; onde la messaggera
sparvierata sorrise, ed egli diventò rosso fino alle ciglia. La
messaggera discreta fece capace Lattanzio non essere caso ora, ch'egli
come la prima volta si presentasse alla porta maestra, nè che i servi lo
mirassero, nè co' torchi accesi su per le scale lo accompagnassero:
venisse solo verso la mezzanotte e passasse per la viuzza dietro al
palazzo, donde passò Ciriaco reduce da Roma dopo avere avvelenato
Paride. Battesse nei vetri, che gli sarebbe aperto, non traesse seco
compagni, ma venisse difeso di giaco e armato di spada. Ora voi avete a
sapere, come nelle faccende di amore mistero è mezza colpa, o piuttosto
il cartello messo sul crocicchio delle vie per indicare la strada che
mena al paradiso, o allo inferno, secondo che giudicheranno o la
castità, o la età dei lettori così femmine come maschi.
Trovaronsi insieme, dissero, ridissero, e dissero poi le medesime cose:
la Fulvia vinta e sopraffatta non indicò per nome il suo marito, ma lo
descrisse per modo, che di certo non si sarebbe potuto scambiare: ella
insomma fece come il fanciullo còrso quando il bandito si ricoverò in
casa di Piccione; la lingua tacque, ma additò la mano il luogo dove
l'ospite bandito stava acquattato sotto un mucchio di concio. Nel cuore
di Lattanzio ormai era risoluta la morte di Lelio: ora bisognava trovare
tempo, ed occasione per compire la vendetta sicura, per non levarsi come
suol dirsi la sete col presciutto, o pigliare il male per medicina; con
Fulvia ormai i vincoli di amore o ferrei o serici lo avevano stretto più
che fra loro si fossero confessato; si sentirono uno tratto verso
l'altro per la mano, tuttavia comprendendo, che il destino gli avrebbe
strascinati nolenti pei capelli; si amavano, e si odiavano; lontani
smaniavano, trovarsi uniti, vicini pareva loro mille anni di separarsi:
stato di animo di cui avrebbe pòrto immagine l'arme di Siena, spartito
di bianco e di nero: temevano aprirsi il cuore, e tremando che il
terreno si scoscendesse sotto loro, non osavano movere un passo più in
là.
Ma la immobilità non fu mai il peccato di amore: troppo, e troppo forti
le offese non alla stregua affatto delle difese; e chi li spinse innanzi
sapete voi chi fosse, o come si chiamasse? Ve lo do a indovinare in
mille: fu messere Francesco Petrarca. O Petrarca figlio di Petracco
notaro pubblico fiorentino e canonico di Padova, se tu comparivi al
mondo prima di Dante Alighieri, per me credo, che questi invece
d'incolpare Galeotto signore delle quattro Riviere di essere stato il
mezzano tra Isotta e Lancellotto, egli avrebbe addirittura messo in
ballo il Canonico di Padova. — Io pongo su pegno, che le rime del
Canonico innamorato abbiano fatto rompere il collo a più amanti, che il
Boccaccio, l'Aretino, il Casti, e tutti quanti dei quali si tace il nome
_honestatis causa_. Invero, sua mercè, ogni voce di tentazione è messa
in suono di flauto: dittami e rose egli sceglie nei campi dello idioma e
del senso esquisito dello spirito umano e te ne infiora la via che mena
alla perdizione: i suoi sonetti mi hanno sempre avuto l'aria di arazzi
co' quali nel dì del _Corpus Domini_ tappezzano il bordello per celare
la luridezza dei muri: insomma nel volume del canonico tu trovi come si
abbiano ad usare gli atti, i sospiri, le sussurrate parolette brevi, i
dolci sdegni, le molli repulse; e i sorrisi in fondo, veri arcobaleni
degli amorosi temporali: colà tu trovi descritto ed inventariato intero
l'arsenale di amore per istruzione di chiunque volesse approfittarsene.
Aggiungi la civetteria, qualità suprema nei poeti, massime se canonici
(e questo bandisco a voce alta) e nelle donne (questo altro mormoro a
voce sommessa), di mostrarsi e non mostrarsi, e qui dirti quasi a
lettere di avviso della compagnia equestre _Guillaume_, che di non
leciti amplessi egli fu lieto peccatore, e là quasi giurarti su l'ostia,
ch'egli simile in tutto all'armellino, innanzi di maculare la sua
candida pelle, avrebbe preferito morire una volta e mezzo: ipocrito
miscuglio di vanità indiscreta, e di gentilezza stantía. Il corpo non
dona ale, bensì sensi all'anima, ond'ella esaltata dalla sua natura
eterea, e da questi, s'innalza al firmamento dove legge la Gazzetta
ufficiale del Creatore stampata in carattere di stelle; giù, su corre, e
ricorre con voli raddoppiati il cielo col desío della rondine in cerca
di mosche esca aspettata al caro nido. Allora sembra alle anime
innamorate vedere nella luna una vestale che nei silenzi della notte
muova a visitare la tomba dell'amica defunta; per loro i raggi degli
astri lontani paiono benedizioni di luce sopra le sepolture obliate,
forse derise dei caduti ad Aspromonte o a Mentana. Disgraziati!
Ignoravano, che ai popoli è interdetto mangiare il pane della libertà,
se non venga prima, pesato loro sopra la stadera della monarchia: da ora
in poi sapranno dovere che sia. _Discite iustitiam moniti et non temnere
divos_, insegna Tantalo ai dannati nello inferno, ed io lo insegno a
voi, o morti, quasi con altrettanta efficacia... Ah! torniamo alle
beatitudini delle anime innamorate: esse penetrano nei misteri degli
amori odorosi dei fiori, esse sentono i palpiti della marina, e nella
tremendamente indefessa creazione e distruzione sembra loro (o
beatissime!) udire l'inno di ringraziamento dell'universo a Dio, che ci
creò per soffrire e per morire. Però, dopo tanto spaziare dell'anima per
la terra e pel cielo, il caso con uno strettone la tira a sè ed essa
casca giù languida e spossata facile preda del senso, che l'aspetta al
varco. Lasciarci governare dal solo senso è grave fallo; ma a
commetterci in balía del solo spirito non corriamo minore pericolo:
affermarono, che a Roma si va per tutte le strade terrene (ora il
proverbio non corre più, conciossiacchè il governo guastatore di ogni
umana e divina cosa non potesse lasciare intatti neanche i proverbi), ma
allo inferno si fa capo anco per le vie del paradiso: di fatti il
diavolo, o che ci andò da Pontedera? Ci andò precisamente dal paradiso.
Lattanzio solenne ammiratore del Petrarca cominciò dal mostrare alla
Fulvia i motti arguti, i concetti festosi, le locuzioni divine, poi
lasciò cascare il libro, e mise le lezioni nel dimenticatoio; elle
finirono come quelle di Abelardo e di Eloisa, e come erano finite sempre
fra giovani innamorati prima di cotesti due incliti amanti: più baci,
che parole, _eccetera_, finchè il canonico traditore zio di Elisa, che
Dio faccia tristo per tutta la eternità, siccome a Ferraù costumò
Rinaldo.
_Ziffe e acconciollo pel dì delle feste_.[5]
[5] Ricciardetto, cap. XX.
[Illustrazione: .... ed entrambi compiacendosi contemplare
la propria immagine dentro le pupille degli occhi loro, (Pag. 125.)]
E complici erano l'ora, il tempo, e la dolce stagione tutti uniti a
reggere il sacco al canonico, sicchè verso sera, sul bruzzo, quando del
giorno si può dire quello che Dante favellò del foglio che brucia, che
non è nero ancora e il bianco muore, Lattanzio e Fulvia si trovarono
seduti a canto su di un lettuccio; a mano a mano accostaronsi, e poi
tanto si strinsero, che in mezzo a loro non sarebbe cascato, nè un
granello di miglio, nè un pensiero molesto. Come la fosse andata, io per
me non lo so, ma il braccio destro della Fulvia a mo' del vilucchio si
era disteso lungo il collo di Lattanzio, e la sua mano si era posata
sopra la spalla destra di lui; mentre il braccio manco di Lattanzio, in
virtù della medesima natura attaccaticcia, si era allungato a ricingere
la vita alla donna, le braccia rimaste libere si erano anch'esse
salotto: di più io non so dirle, per maggiori spiegazioni, benigno
lettore, io la rimando alla sua moglie, che naturalmente se ne intenderà
più di me: per la qual cosa la non m'impacci di più, e mi lasci finire
il racconto.
Pertanto ella si mise a pensare sul modo di avvertire Lattanzio del suo
desiderio: avrebbe voluto scrivergli, ma se costui la odiava, e avesse
voluto intorarsi nell'odio, non poteva adoperare cotesto suo invito per
farla la più vituperata femmina del mondo? E poi che dirgli? Se poco o
non sarebbe venuto, o chi sa che mai avrebbe abbacato col cervello: se
molto, ci era il caso, di vederci entrare chi doveva starne lontano, vo'
dire Don Mattias de' Medici governatore di Siena, ovvero i Signori Otto.
Meglio commettere il negozio in mano a donna discreta, che andasse a
tenergliene proposito destreggendosi cauta per non fare scappucci: ma
dallo altro canto rammemorando i modi da lei e da suo marito adoperati a
danno della povera Betta, quando le si condusse davanti messaggera di
Paride, s'invilì peritandosi di porre allo sbaraglio qualche persona
dabbene: di altre non si sarebbe potuto senza suo biasimo infinito
giovare. — Stringendo ogni ora più veemente la necessità, bisognò non
istar più sul lellarla e prendere partito, onde si risolvè scrivergli:
alla peggio avrebbe potuto stracciare la lettera.... sempre meglio, che
scaraventare giù una donna, ovvero uomo per le scale con pericolo di
fiaccargli il nodo del collo. Rispetto poi a serbare la lettera e
girsene intorno a mostrarla per rendere lei contennenda ed infame....
siffatte ribalderie tra gentiluomini, ella pensava, non costumano.... si
trattasse di un popolano, ti dia la peste! Insomma scrisse. O che
scrisse? Vediamo, leggiamo, sentiamo. Largo, donne mie, ella era una
lettera scema come.... talvolta ne scrivono talune femminuccie senz'arte
nè parte; io ve la riferirò in succinto:
«Signor Lattanzio Bulgarini,
«Se siete, come non dubito, gentiluomo, stasera a due ore di notte vi
aspetto a casa mia: mi pesa essere odiata da voi senza ragione, e solo
che mi concediate un po' di ascolto, io mi auguro chiarirvi interamente.
Vi chiamo in casa mia perchè darvi la posta altrove non mi parve onesto
nè sicuro: pregovi, per la memoria di Paride fratel vostro, a non farmi
attendere invano. Mio marito da molti giorni sta in campagna per
ricreare alquanto la inferma salute. State sano, e supplicando Dio, che
vi tenga nella sua santa custodia mi sottoscrivo: Io Fulvia Griffoli
nata Piccolomini mano propria, Siena 15 giugno 1660.»
Lattanzio quando ricevè la lettera di Fulvia sapete voi a cui pensava?
Ve lo dirò io, pensava alla Fulvia; da qualche giorno si spaventava per
sentirsi di ora in ora meno infellonito contro lei; e sì che il grido
del fratello chiedente vendetta gl'intronava le orecchie; aveva giurato
vendicare la fraterna vita, e piuttostochè mancare si sarebbe con le
proprie mani scannato. O dunque? Anco il lupo talvolta ha bisogno di
aizzarsi all'ira sferzandosi la pancia con la coda; anco il toro prima
della battaglia contro il rivale s'inferocisce cozzando delle corna nei
tronchi degli alberi. Lattanzio si sarebbe dato la disciplina, se non
avesse temuto di farsi male. Al ricevere che fece la lettera della
Fulvia, spiccò un salto, anzi ne spiccò due; proruppe in giuramenti da
tirare giù i travicelli del paradiso (il che per parentesi non sentì
troppo del gentiluomo) poi urlando e pestando i piedi, chiamò i servi
ordinando loro di troncare tutte e due le braccia a suono di bastonate
al portatore della lettera.
— O che un braccio solo non avrebbe a bastare? Domandò uno dei servi.
— No signore, tutte e due, e tre se gli avesse.
— Come comanda vostra signoria lustrissima.
Ma potevano forse essere i servi giunti a mezza la prima scala, che
Lattanzio uscendo con impeto di camera, e correndo loro dietro gridava a
squarciagola: — Bernardino addietro! Qua Giovanni, qua.
E i servi tornavano alla chiamata del padrone, il quale con la borsa in
mano, mite nella voce e nel sembiante favellò:
— Che colpa ha il servo della improntitudine del suo padrone?
— Era quello che diceva ancora io, soggiunse Bernardino.
— Avrebbe potuto toccare a voi.
— Giusto! Non fa nè anco una grinza.
— Dunque non gli fate ingiuria.
— Sarà obbedito.
— Invece pigliate questo scudo e dateglielo dicendogli che se lo goda
alla salute mia.
I servi uscirono piegando il capo, e venuti in parte dove non potevano
essere uditi, in breve si trovarono di accordo su questo, ch'essi da
parte del padrone non avrebbero dato bastonate, ma del pari nè anco
quattrini: si sarebbero spartito lo scudo, e meglio bevutoselo intero: e
su ciò non importa dire altro. — Spiegata e letta la lettera, mi tocca a
patire la umiliazione di raccontare come il pensiero che primo cadde
nella mente di Lattanzio fu per lo appunto quello di spifferare la
lettera strascinando la reputazione della Fulvia in mezzo al rigagnolo;
ma subito dopo gl'increbbe: tutta la mattina mulinò sopra la punta di
ago di una domanda molesta: «Devo andare, o non ci devo andare?» Come!
diceva a sè, tu andrai pacato a vedere la faccia, a udire la voce della
micidiale del fratel tuo? Potrai mirarla e non avventarti alla sua gola,
e strangolarla? Il solo trovarti insieme con lei, meno che per
ucciderla, non è forse renunzia alla vendetta fraterna? — Io non andrò.
— Lusinghe, blandi parlari e lagrimette, bene altri cuori irretirono,
che non è il tuo, Lattanzio: quando d'inganni fu penuria nelle donne,
ricorda Ulisse che, costretto a navigare presso il lido delle Sirene,
turò a sè ed ai compagni suoi gli orecchi con la cera, mentre tu invece
vai senza cera, e costretto a intendere le parole mortali di donna
nemica, di cui le mani, gli occhi, la lingua, i detti e i gesti sono
lacciuoli tesi alla tua vita. — Risolutamente io non andrò. E che può
dirti ella, e che cosa dirai a lei? Quali parole ormai possono correre
tra voi? Non le basta un'anima? O ch'ella è insaziabile come lo inferno?
Ah! temerei incontrare su la porta di lei lo spettro del povero Paride,
che in atto lacrimoso mi dicesse: — «Così hai cura della vendetta di tuo
fratello? — Senza fallo io non andrò.» — Insomma, durante la intera
mattinata, non ci fu rimedio, fermo al chiodo di non volerci andare: si
pose a pranzo, dove cessati i pensamenti stette come smemorato: sembrava
ed era fuori di sè; morse il bicchiere credendolo una pietanza, invece
di condire la insalata disegnò un circolo di gocciole di olio intorno
alla mensa; la mano manca, posta dentro il piatto, per poco mancò non se
la tagliasse immaginandola un pollo. Senza accorgersene bevve più del
consueto, sicchè al levarsi da tavola gli pareva avere il Mongibello nel
capo; il caldo essendo grandissimo si buttò sul letto dove tornò a
molestarlo la facoltà del pensiero, la quale prese a discorrere così: ma
in fine dei conti ella si afferma innocente, e chiede giustificarsi;
l'odio tuo giustissimo investe gli uccisori del tuo fratello; ma s'ella
ti chiarisse non essere fra questi, perchè ti adopri ai suoi danni?
Perchè la opprimi col tuo abborrimento? Giudicare, senza avere prima
ricercata la causa, non è da cristiani nè da gentiluomini, nè da uomini.
_Priore, udite l'altra parte_: sta scritto nella spalliera del
seggiolone del Giudice di Lucignano; ora quello, ch'è buono a seguitarsi
nei villaggi di Siena, non lo sarà in Siena? Se condanni senza difesa
chi andrà assoluto da te? E poi... e poi... bisogna pure confessarlo, la
fronte aperta, e gli occhi.... ah! gli occhini sono testimoni del cuore,
lo dicono tutti, e gli occhi parlanti della Griffoli non attestano animo
pravo; nè brutta femmina può estimarsi, anzi a confessarlo schietto ora,
che nessuno ci sente è bella e baliosa gentildonna... e se non fosse una
tal quale acerbezza nei contorni del volto, si potrebbe sostenere
bellissima; il portamento, lo incesso, i capelli, lo incarnato delle
guance, le labbra vermiglie, tutto stupendo. Le belle donne non possono
professare iniquità, sarebbe una sconcordanza della natura, e di simili
svarioni, frequenti fra gli uomini, non si ammettono nel Creatore. Non
sarebbe mica affatto affatto fuori di proposito andare a sentirla; forse
ti farà conoscere i veri delinquenti, e badiamo veh! Lattanzio, Paride
ha chiesto lo eccidio dei rei non quello degl'incolpevoli. Che viltà
t'ingombra, Lattanzio? Forse è ella una lionessa, e tu un cerbiatto? O
che non hai rasciutto il latte sopra le labbra per avere paura, ch'ella
ti abbindoli? Hai paura? — «Chi dice qui che io ho paura?» — E diede un
salto sul letto agguantando la spada attaccata al muro; — visto poi che
egli stesso si era offeso, e certo senza intenzione di offendersi,
giudicò opportuno di non si ammazzare; e, perchè più oltre io non
produca la esposizione di cotesto spirito incerto, conchiuderò col
dirvi, che al finire del giorno egli era al tutto deciso di andare.
Avvicinandosi l'ora della posta, si vestì nobilmente, esaminò se le
lattughe fossero bene stirate, se gli abiti in punto, scelse tra i
guanti profumati un paio novissimi, poi quasi consultandosi cominciò a
dire: «O che la spada io l'abbia a prendere? — Mai no, o che la Fulvia
sarebbe capace di tanto tradimento?» — E depose la spada sul letto: — e
non di manco, egli proseguiva: «_Fidati_ era un galantuomo, ma _Non ti
Fidare_ fu galantuomo due cotanti più di lui; e i sospetti non sono mica
sassate: quando anco ella si opponesse con tutte le forze, ma la sua
gente potrebbe usarmi mal tratto; e forse avrebbero potuto condurmi nel
bertovello costringendola a scrivermi lo invito pel ritrovo; di queste
trappole ne abbiamo viste delle altre; dunque prendiamola. Ma davvero,
va là che ti puoi vantare paladino finito, condurti armato ad onesto
colloquio di gentildonna: si capisce che il Griffoli potesse odiare il
povero Paride, perchè amante spasimato della sua moglie; ma te per qual
cagione dovrebbe odiare a morte, o che forse tu ami la Fulvia? — Io no
davvero... la devo odiare, e la odio... almeno, finchè non mi si
dimostri innocente come gli Angioli custodi al seggio di Maria
santissima; ond'io non dico amarla... no questo mai... e poi mai come
amante, ma come prossimo sì, già a patto sempre, s'intende che la mi si
mostri bianca come un lenzuolo di bucato.» Lasciò la spada, come quella
che non si poteva celare; ma per via di compromesso tenne il pugnale
nascondendolo nelle tasche delle brache: un termine mezzano, un partito
_da moderato_.
La Fulvia quasi nel medesimo tempo dava opera al proprio abbigliamento:
più che non pareva decente attese a scerre vesti, e colori ed ornati:
forse in occasione tanto solenne ella aveva mente a piacere? Giusto
così: la donna non renunzia mai a piacere; dicesi, una dama presso a
morte volle contemplarsi nello specchio, e miratasi pallida ordinò le
recassero tosto polvere di amido, e pezzetta di levante per
incandidirsi, e imporporarsi dicendo: «Essere sconvenevole aversi a
presentare alla Morte con quella faccia da cataletto;» e la stessa Morte
vidi io raffigurata in uno scheletro inghirlandato di rose. Però la
Fulvia sopra cotesta fronte ampia e bianca su la quale, se Venere
avrebbe deposto lieta il suo serto, Minerva pure non avrebbe sdegnato
coprire col suo elmo, non mise niente. Provò una rosa amaranto, e non le
piacque; soli i capelli nerissimi, acconciati in modo che parevano
arruffati, ed erano con esquisita arte composti; le vesti di colore
oscuro facevano risaltare vie più l'abbagliante candidezza della pelle,
nè tanto accollate, nè scollate tanto da celare troppo, nè palesare
troppo i tesori del seno: appunto come il Tasso dice della rosa, che
quanto si mostra meno, tanto è più bella. Messa bene in arnese si
contemplò anco una volta nello specchio, non senza segreta inquietudine,
chè una voce sottile e pure molesta le zufolava nel cuore, ormai ella
essere giunta al suo trentesimo anno; ma quando, in mezzo al lume dei
doppieri, vide la sua faccia sfavillò di riso, e dallo specchio parve
movere il solito plauso: — va franca, donna, va franca, tu sei ancora
bella.
Oh! che tormento aspettare incerti se la persona desiderata verrà o non
verrà: per me ne ho provato parecchie, ma la dubbia aspettativa mi lima
non pure il cuore e il cervello, ma le altre viscere tutte, e i nervi e
i muscoli; se fosse in balía dei Giudici, io sostituirei la pena della
ansietà a quella di morte: o per meglio dire non la surrogherei
reputandola in coscienza più tormentosa di quella. La Fulvia aperse la
finestra a mezzo e tuffò lo sguardo, quanto poteva protenderlo più lungo
per iscoprire qualche sembiante umano, che colà si appressasse; indarno,
chè le ombre fitte non permettevano spaziare alla vista. Ambe le mani a
mo' di ventola metteva intorno gli orecchi per raccogliere l'onda sonora
mossa da pedate lontane; ma non raccoglieva niente, si alzava cento
volte, e su quanti lettucci, e sedie erano nella stanza si abbandonava;
cominciava un discorso per esortarsi alla pazienza, e, a mezzo si
rizzava in piedi furente e smaniosa. Di un tratto la torre del Mangia
sonò un'ora, Fulvia schiuse gli occhi donde le schizzarono due lacrime;
sentì proprio picchiarsi il battaglio sul capo; successe il secondo
colpo, e con esso la seconda sensazione: se avesse continuato al quinto,
o al sesto, io penso, Fulvia ne sarebbe rimasta o spenta o matta. Il
petto mano a mano ansando ora si angoscia in tali palpiti ai quali
sembra impossibile, che duri il tenue tessuto del petto della donna:
alfine le parve udire strepito lontano; prima di pensarlo si trovò
all'uscio, e apertolo si diede ad origliare; certo avevano schiuso il
portone, certo parecchia gente veniva su per le scale, vide appressarsi
insolito chiarore di torchi: senz'altro era Lattanzio: allora ella
richiuse pianamente l'uscio, e si mise a sedere pestando mani e piedi
per comparire tranquilla. Difatti dopo brevi istanti ecco comparirle
davanti l'aspettato giovane: questi con gentile fierezza fattosi presso
al lettuccio dond'erasi levata la Fulvia per riceverlo:
— Signora, le disse, voi m'invitaste in casa vostra; io sono venuto.
[Illustrazione: Signora, le disse, voi m'invitaste in
casa vostra; io sono venuto (Pag. 116.)]
— Grazie.
— Non ci ha mestiero ringraziamenti perchè qui venni per amore di
cortesia, e per istudio di vendicare la morte fraterna.
— Pregovi accomodarvi, signore.
— Gran mercè! Mi sento a mio agio tenendomi in piedi.
— Allora, ancora io mi terrò ritta.
— Questo non sia: ecco fatto il desiderio vostro.
— Ve ne sono tenuta. — E dopo qualche esitanza un po' vera, ed un po'
finta, ella riprese: — perdonate il mio fiero turbamento; ma vi parlerò
come il cuore mi detta, ed a voi piaccia avvertire la sostanza delle
cose non lo inconsulto favellare (tutto ciò era falso di pianta, perchè
a quello, ch'ella voleva dire aveva pensato tutta la notte, e tutto il
giorno antecedente: ma ciò non importa). Voi, signor Lattanzio, mi
odiate.
Lattanzio non fiatò. La donna ripetè:
— Voi mi odiate; e bene sta; ma perchè mi odiate? Certo perchè credete,
me causa della morte del fratello vostro Paride.
— E se così fosse: non mi apporrei al vero?
— Non vi apporreste al vero, perchè io mi affermo affatto innocente di
cosiffatta sciagura.
— E non vi peritate voi, signora, a mentire così; non temete, che di un
tratto l'anima del povero Paride apparisca qui fra noi e vi dica: «A che
vale la bugia? Cotesto atto è scritto nel libro dei peccati, che
vendicherà la giustizia divina, ed anco la umana.»
— E sia, ma la partita non apparisce accesa a mio nome.
— Od a qual nome dunque?
— Signore, rammentatevi, che nacqui gentildonna e sono dei Piccolomini.
— Sì bene, ma moglie a un punto di Lelio Griffoli. E negherete voi, che
dopo avere condotto alla disperazione il mio povero fratello
inebriandolo con la venustà di cui male vi fu prodiga la natura, voi e
il vostro marito per levarvelo davanti gli occhi gli propinaste il
veleno?
— Non dite questo, signor Lattanzio, disdice a gentiluomo, e a cristiano
calunniare atrocemente come fate voi.
— Lo giurereste?
— Comecchè cugina di un Papa, giurerò se volete, ma assai volentieri mi
asterrei dal giuramento perchè Cristo ha detto: «Non giurare: non pel
firmamento ch'è casa di Dio, non per la terra, ch'è sgabello dei suoi
santi piedi, non pel Signore, il quale vuolsi adorare non sacramentare,
non per te, che nulla hai di tuo, nè manco i vermi, imperciocchè tutto
l'essere tuo ti abbia prestato la natura.» Pertanto adopererò meglio,
che giurare invano, vi narrerò schiettamente il caso. Paride vostro mi
amava certo senza pari, ma per soverchio di passione m'inseguiva più
ardente che il segugio non fa alla lepre; ed io mi sento moglie e
figlia, la mia prosapia onoro, nè io vorrei, nè i parenti patirebbero,
che per me ricevesse oltraggio la casa alla quale appartengo....
— Però voi nella superba mente vostra non trovaste miglior partito oltre
quello di consegnare alla terra il mal capitato amante?
— Io tacqui, ma le sue persecuzioni mi avevano reso favola del paese;
tacqui, finchè potei in casa, e negai; però un giorno venne a parlarmi
certa femmina dello amore suo; il mio marito prese a dirmi vituperio, ed
io vergognando, e crucciata gli apersi l'animo mio alieno affatto da
simili trascorsi, e voglioso di trovarmi affrancata da tanta molestia.
— Voi non uccideste, vi contentaste guidare la mano dell'uccisore.
— Chi vi dà facoltà di giudicare così iniquamente di me? Chi fu
l'uccisore? È ignoto; nè per quanta diligenza ci abbiano messo i
Magistrati si è potuto rinvenire indizi da instituire un processo.
— Sta bene; signora, avete altro da dirmi?
— Ah! Lattanzio, che voi non mi odiate... come micidiale del vostro
fratello.
— Signora... Fulvia, io potrò non odiarvi, e potrò anco... riverirvi,
quando mi avrete aiutato a scoprire il vile avvelenatore di Paride, ed a
compire sopra di lui la vendetta fraterna.
E, salutando profondamente, mosse per uscire. Alla donna non parve
opportuno trattenerlo: così separaronsi la prima volta; la Fulvia rimase
come il pescatore il quale tirando le reti mentre sperava acchiappare un
dentice si trova ad avere preso un crognolo; certo si riprometteva di
più, e il primo senso fu di dispetto, che a mo' del poco vento sul
fuoco, attizzò la sua passione; di vero dopo averci bene bene pensato
su, esclamò: «Faremo meglio un'altra volta» — e non a torto, la pesca
era stata scarsa, ma il mare era riconosciuto pescoso, sicchè nè
contenta nè lieta se ne andò a giacere.
Lattanzio, per la parte sua dando spesa al cervello, ragionava così: «Se
veramente ella non aveva peccato perchè la odierebbe egli? Il fratel suo
tanto nemico di ogni ingiustizia, mentre fu in vita, potrebbesi supporre
mai, che l'amasse morto, e a lui come un giogo di pena lo imponesse?
S'ella aveva detto il vero, in lei sarebbe stata colpa d'imprudenza, non
dolo; e comecchè non bene, pure in parte aveva già scoperto come era
andato il fiero caso.» Simile allo antiquario, che con molto travaglio
tenta ricomporre una iscrizione antica, talvolta si ferma a ritrovare le
ultime lettere; egli con due o tre notizie di più avrebbe ricostruito
precisa la storia della morte fraterna: nondimanco, prima di mettere
mano ai ferri, voleva essere chiaro; per lui spegnere l'omicida del
fratello era meritorio quanto comunicarsi, ma se si fosse ingannato ne
sarebbe morto di affanno: avrà pensato male, ma la pensava così, nè
adesso corre stagione opportuna da fargli una predica.
Ora Fulvia sperava, che Lattanzio la richiedesse di nuovo colloquio, e
Lattanzio per converso teneva per certo di ricevere un secondo invito.
Ella, ad ogni picchio alla porta di casa, sporgeva il capo fuori della
stanza domandando chi fosse; egli tornando a casa, se dopo avere chiesto
se fosse capitata persona a portare lettera o messaggio, udiva di no,
tirava su per le scale fischiando come un serpe. — Così la non poteva
durare, e per queste faccende, bisogna pur dirlo, le donne corrispondono
fra loro come le corde armoniche del medesimo strumento: di nutrice, e
di fantesche fidate, non fu mai penuria nel mondo; le amiche poi fanno a
farsela. Le scuse di cui si ravvolse la seconda chiamata furono
parecchie e sottili; sottili tanto, che a guisa del mantino verde
intorno al lume non celavano il motivo vero. Lattanzio, richiesto se
sarebbe andato rispose di botto: — Magari! — E subito dopo profferita la
parola si morse le labbra in pena del peccato d'imprudenza; ma sasso
lanciato, e parola detta non si revocano più; onde la messaggera
sparvierata sorrise, ed egli diventò rosso fino alle ciglia. La
messaggera discreta fece capace Lattanzio non essere caso ora, ch'egli
come la prima volta si presentasse alla porta maestra, nè che i servi lo
mirassero, nè co' torchi accesi su per le scale lo accompagnassero:
venisse solo verso la mezzanotte e passasse per la viuzza dietro al
palazzo, donde passò Ciriaco reduce da Roma dopo avere avvelenato
Paride. Battesse nei vetri, che gli sarebbe aperto, non traesse seco
compagni, ma venisse difeso di giaco e armato di spada. Ora voi avete a
sapere, come nelle faccende di amore mistero è mezza colpa, o piuttosto
il cartello messo sul crocicchio delle vie per indicare la strada che
mena al paradiso, o allo inferno, secondo che giudicheranno o la
castità, o la età dei lettori così femmine come maschi.
Trovaronsi insieme, dissero, ridissero, e dissero poi le medesime cose:
la Fulvia vinta e sopraffatta non indicò per nome il suo marito, ma lo
descrisse per modo, che di certo non si sarebbe potuto scambiare: ella
insomma fece come il fanciullo còrso quando il bandito si ricoverò in
casa di Piccione; la lingua tacque, ma additò la mano il luogo dove
l'ospite bandito stava acquattato sotto un mucchio di concio. Nel cuore
di Lattanzio ormai era risoluta la morte di Lelio: ora bisognava trovare
tempo, ed occasione per compire la vendetta sicura, per non levarsi come
suol dirsi la sete col presciutto, o pigliare il male per medicina; con
Fulvia ormai i vincoli di amore o ferrei o serici lo avevano stretto più
che fra loro si fossero confessato; si sentirono uno tratto verso
l'altro per la mano, tuttavia comprendendo, che il destino gli avrebbe
strascinati nolenti pei capelli; si amavano, e si odiavano; lontani
smaniavano, trovarsi uniti, vicini pareva loro mille anni di separarsi:
stato di animo di cui avrebbe pòrto immagine l'arme di Siena, spartito
di bianco e di nero: temevano aprirsi il cuore, e tremando che il
terreno si scoscendesse sotto loro, non osavano movere un passo più in
là.
Ma la immobilità non fu mai il peccato di amore: troppo, e troppo forti
le offese non alla stregua affatto delle difese; e chi li spinse innanzi
sapete voi chi fosse, o come si chiamasse? Ve lo do a indovinare in
mille: fu messere Francesco Petrarca. O Petrarca figlio di Petracco
notaro pubblico fiorentino e canonico di Padova, se tu comparivi al
mondo prima di Dante Alighieri, per me credo, che questi invece
d'incolpare Galeotto signore delle quattro Riviere di essere stato il
mezzano tra Isotta e Lancellotto, egli avrebbe addirittura messo in
ballo il Canonico di Padova. — Io pongo su pegno, che le rime del
Canonico innamorato abbiano fatto rompere il collo a più amanti, che il
Boccaccio, l'Aretino, il Casti, e tutti quanti dei quali si tace il nome
_honestatis causa_. Invero, sua mercè, ogni voce di tentazione è messa
in suono di flauto: dittami e rose egli sceglie nei campi dello idioma e
del senso esquisito dello spirito umano e te ne infiora la via che mena
alla perdizione: i suoi sonetti mi hanno sempre avuto l'aria di arazzi
co' quali nel dì del _Corpus Domini_ tappezzano il bordello per celare
la luridezza dei muri: insomma nel volume del canonico tu trovi come si
abbiano ad usare gli atti, i sospiri, le sussurrate parolette brevi, i
dolci sdegni, le molli repulse; e i sorrisi in fondo, veri arcobaleni
degli amorosi temporali: colà tu trovi descritto ed inventariato intero
l'arsenale di amore per istruzione di chiunque volesse approfittarsene.
Aggiungi la civetteria, qualità suprema nei poeti, massime se canonici
(e questo bandisco a voce alta) e nelle donne (questo altro mormoro a
voce sommessa), di mostrarsi e non mostrarsi, e qui dirti quasi a
lettere di avviso della compagnia equestre _Guillaume_, che di non
leciti amplessi egli fu lieto peccatore, e là quasi giurarti su l'ostia,
ch'egli simile in tutto all'armellino, innanzi di maculare la sua
candida pelle, avrebbe preferito morire una volta e mezzo: ipocrito
miscuglio di vanità indiscreta, e di gentilezza stantía. Il corpo non
dona ale, bensì sensi all'anima, ond'ella esaltata dalla sua natura
eterea, e da questi, s'innalza al firmamento dove legge la Gazzetta
ufficiale del Creatore stampata in carattere di stelle; giù, su corre, e
ricorre con voli raddoppiati il cielo col desío della rondine in cerca
di mosche esca aspettata al caro nido. Allora sembra alle anime
innamorate vedere nella luna una vestale che nei silenzi della notte
muova a visitare la tomba dell'amica defunta; per loro i raggi degli
astri lontani paiono benedizioni di luce sopra le sepolture obliate,
forse derise dei caduti ad Aspromonte o a Mentana. Disgraziati!
Ignoravano, che ai popoli è interdetto mangiare il pane della libertà,
se non venga prima, pesato loro sopra la stadera della monarchia: da ora
in poi sapranno dovere che sia. _Discite iustitiam moniti et non temnere
divos_, insegna Tantalo ai dannati nello inferno, ed io lo insegno a
voi, o morti, quasi con altrettanta efficacia... Ah! torniamo alle
beatitudini delle anime innamorate: esse penetrano nei misteri degli
amori odorosi dei fiori, esse sentono i palpiti della marina, e nella
tremendamente indefessa creazione e distruzione sembra loro (o
beatissime!) udire l'inno di ringraziamento dell'universo a Dio, che ci
creò per soffrire e per morire. Però, dopo tanto spaziare dell'anima per
la terra e pel cielo, il caso con uno strettone la tira a sè ed essa
casca giù languida e spossata facile preda del senso, che l'aspetta al
varco. Lasciarci governare dal solo senso è grave fallo; ma a
commetterci in balía del solo spirito non corriamo minore pericolo:
affermarono, che a Roma si va per tutte le strade terrene (ora il
proverbio non corre più, conciossiacchè il governo guastatore di ogni
umana e divina cosa non potesse lasciare intatti neanche i proverbi), ma
allo inferno si fa capo anco per le vie del paradiso: di fatti il
diavolo, o che ci andò da Pontedera? Ci andò precisamente dal paradiso.
Lattanzio solenne ammiratore del Petrarca cominciò dal mostrare alla
Fulvia i motti arguti, i concetti festosi, le locuzioni divine, poi
lasciò cascare il libro, e mise le lezioni nel dimenticatoio; elle
finirono come quelle di Abelardo e di Eloisa, e come erano finite sempre
fra giovani innamorati prima di cotesti due incliti amanti: più baci,
che parole, _eccetera_, finchè il canonico traditore zio di Elisa, che
Dio faccia tristo per tutta la eternità, siccome a Ferraù costumò
Rinaldo.
_Ziffe e acconciollo pel dì delle feste_.[5]
[5] Ricciardetto, cap. XX.
[Illustrazione: .... ed entrambi compiacendosi contemplare
la propria immagine dentro le pupille degli occhi loro, (Pag. 125.)]
E complici erano l'ora, il tempo, e la dolce stagione tutti uniti a
reggere il sacco al canonico, sicchè verso sera, sul bruzzo, quando del
giorno si può dire quello che Dante favellò del foglio che brucia, che
non è nero ancora e il bianco muore, Lattanzio e Fulvia si trovarono
seduti a canto su di un lettuccio; a mano a mano accostaronsi, e poi
tanto si strinsero, che in mezzo a loro non sarebbe cascato, nè un
granello di miglio, nè un pensiero molesto. Come la fosse andata, io per
me non lo so, ma il braccio destro della Fulvia a mo' del vilucchio si
era disteso lungo il collo di Lattanzio, e la sua mano si era posata
sopra la spalla destra di lui; mentre il braccio manco di Lattanzio, in
virtù della medesima natura attaccaticcia, si era allungato a ricingere
la vita alla donna, le braccia rimaste libere si erano anch'esse
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Çirattagı - Il destino: romanzo - 7
- Büleklär
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