Il destino: romanzo - 1
Süzlärneñ gomumi sanı 4613
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1865
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IL DESTINO
ROMANZO
DI
F. D. GUERRAZZI
PRIMA EDIZIONE
con 14 incisioni
MILANO
E. TREVES. & C., EDITORI
1869.
Questo romanzo, di proprietà della ditta E. TREVES & C., Editori della
BIBLIOTECA UTILE, è posto sotto la salvaguardia della Legge e dei
Trattati di proprietà letteraria.
Tip. P. AGNELLI, Via Pietro Verri, 16.
A
G. ANTONA TRAVERSI
Intitolo a Voi questo racconto, a voi per gratitudine del molto bene,
che mi avete fatto; sì, in verità un gran bene, imperciocchè voi con la
benevolenza, e la cortesia vostre ravvivaste la fede nell'amicizia in me
se non affatto spenta, illanguidita almeno.
Confesso, che il nome vostro meritava fregiare più degna cosa, che
questo lavoro non è, ma, voi lo sapete, la vita ha sue stagioni come
l'anno, nè i frutti del finire dell'autunno pareggiano quelli del
cominciare della estate: e voi baderete al cuore che offre, non già al
pregio della offerta. Impertanto concedete, che conchiudendo dica con
messer Ludovico nostro:
«Nè per poco io vi dia da imputar sono,
«Che quanto posso dar tutto vi dono.»
Auguro a Voi, ed ai vostri, anni lunghi, e sereni, sopratutto sereni.
Livorno, 1 giugno 1868,
_Amico vostro_
F. D. GUERRAZZI.
[Illustrazione: Fulvia Piccolomini.]
INTRODUZIONE
A piè del soglio di Giove gli antichi immaginarono stesse il Destino
immoto ed arduo con mezzo il corpo nascosto dentro le nuvole, ed ambe le
mani una soprammessa all'altra sul coperchio dell'urna, dove sono
riposte le sorti degli uomini e degli Dei: egli tiene gli occhi volti in
su quasi per tagliare a mezzo gli sguardi di Giove tesi nell'universo
ove egli presumerebbe avventare la sua volontà insieme al suo fulmine.
Omero cantò, che i destini di Ettore posavano sopra le ginocchia di
Giove, e a diritto, secondo le credenze di allora, ma Giove non poteva
creare nè i propri nè gli altrui destini.
Sovente parvero gli uomini dati in balía degli Dei, e di fatti erano; ma
allora gli Dei operavano come mandatari del Destino; però nè i figli di
Latona avrebbero a colpi di saetta sterminato la famiglia di Niobe se
non l'assentivano i Fati, nè Venere penetrato nelle ossa di Pasifae e di
Fedra. Venere, la pessima fra le dee, anzi neppur meritevole di avere
fama fra i mortali, come si chiarisce dalla ostinata guerra che sostenne
perchè Amore non s'invaghisse di Psiche, ch'è l'anima, e non mai si
affrancasse dalla materia. Due Veneri non esisterono mai, la Venere
celeste, e la Venere terrena così in terra come in cielo una Venere
sola: forse può darsi, io non lo nego, Venere dopo il caso di Psiche
avrà mutato vita: non era vietato agli antichi immaginare a posta loro
una Maddalena penitente, e metterla in paradiso in compagnia degli altri
santi.
Però i nostri padri piuttostochè andarsene lassù in cielo pungeva la
cura di chiamare gli Dei in terra: invece di volersi indiare, eglino
attesero ad umanare gli Dei, non perchè essi portassero fra loro divini
concetti, bensì perchè delle passioni proprie s'imbevessero. A questo
modo giustificavano tutto: povero uomo! egli è cornuto a quattro, ch'è
superlativo, come il buon fabbro Vulcano; ovvero somiglia a Giove per
seminare nelle terre altrui; e così gli saldavano il conto
dell'adulterio. Per quanto uomo o femmina ci si affaticassero, quello
non poteva presumere di superare Mercurio nel genio del furto, nè
Giunone nel furore della vendetta. Messalina gareggiò con la nobile
cortigiana nel turpe arringo, e la vinse; nè manco una dozzina di
Messaline arieno vinto Venere.
Diversi noi: se Dio venne nelle dimore degli uomini ci venne per fare
fede delle virtù divine, di cui massima la benevolenza, e per mostrare
alle turbe la via che al ciel conduce: a fine di conto, fatta la
conveniente tara, i nostri santi non si possono dire furfanti; e allato
al truce san Domenico o inventore o promotore dei roghi della
Inquisizione ti occorre san Telemaco il quale col prezzo del proprio
sangue operò, che la infamia dei gladiatori cessasse.
Ma poichè gira e rigira le religioni nuove ci appaiono come un tallo sul
vecchio delle antiche, così nè anco noi abbiamo potuto rinnegare il
Destino: in vero egli è più agevole negarlo, che non patirlo. Ma da un
lato faceva ostacolo il libero arbitrio che pure si voleva ad ogni modo
concedere all'uomo; dall'altro impensieriva la ogniveggenza, che non si
poteva levare a Dio; e poi la inclinazione irresistibile della creatura
a certe passioni si contrasta invano, perchè necessitate dalla compagine
fisica di quella. — Dante Alighieri, che non fu mago, nè gentile, nè
tutto seppe, ma molto seppe, si trovò un dì a questa porta co' sassi, nè
sapendo che pesci pigliare, immaginò che le contingenze della umana vita
fossero tutte dipinte nel cospetto eterno, non già perchè quivi
prendessero necessità di succedere, ma sì per essere prevedute a modo di
un burchiello che passa strascinato in giù dalla corrente del fiume.
E qui come vede chiunque abbia fior di senno si salta il fosso, e non si
spiega niente, però che se la Provvidenza conosce per congettura, che il
burchiello fie tratto in foce al fiume, ella può fallare, chè non è
tolto tenerlo fermo a secca, o a cespuglio delle sponde, che rasenti:
ovvero ella lo sa di certo, ed allora bisogna, che ciò sia, e dovendo
essere non si comprende, che cosa giovi all'uomo il suo libero arbitrio.
Che dunque è mai questo Destino? Arduo dirlo: pure dacchè corse la
domanda, egli è pur mestieri risponderci. Il Destino si manifesta dentro
o fuori di noi; dentro, l'ho detto, resulta dalla compagine nostra,
dagli umori, e dal temperamento; queste cose insieme unite generano le
naturali disposizioni a cui di rado avviene, che l'uomo non si lasci
andare, poichè nella acerba guerra fra lo spirito e la materia, questa
senza requie trapana, e l'altro se si stanca, o si diverte un momento,
rimane sopraffatto; onde le sequele dei casi, che sono necessità e si
dicono Destino: fuori, da eventi i quali altresì stanno in potestà
nostra o non ci stanno; i primi non si prevedono, nè possono prevedersi,
epperò si sopportano; ai secondi, comecchè si prevedessero, e potessero
prevedersi, non è dato a noi riparare, e quindi da capo patisconsi. Se
garbi o no questa definizione del Destino, ignoro; questo so, che io non
valgo a profferirla migliore; se altri si sente capace, io gli dirò come
Donatello a Brunellesco a proposito di Cristi: _fa meglio tu_; e se farà
meglio davvero, io me gli caverò la berretta.
Impertanto ora vi voglio raccontare una storia dove il dito del Destino
(i preti odierni direbbero il dito di Dio) ci si vede espresso; la è
vera, proprio pretta storia; io ci metto di mio un po' di colorito, e
correggo qualche contorno; mi astengo da episodi immaginosi, da
accessori più o meno verosimili persuasi dai tempi, dai luoghi, e dalle
persone; non intrecci, non fantasie: io le ho poste da parte perocchè la
realtà delle vicende di noi mortali, ho potuto toccare con mano, superi
sovente qualsivoglia più sfrenata immaginativa; ed ora do di piglio ai
ferri ed incomincio.
CAPITOLO I.
Lo Amore.
La Fulvia Piccolomini fu bellissima donna, anzi divina, nacque in Siena
il 14 marzo 1630 al signore Alessandro, cui bastarono il cuore e i lombi
per darle la compagnia nientemeno di quindici fratelli: di diciotto anni
ella si maritò con Lelio Griffoli gentiluomo di Siena, e gli portò in
dote fiorini 7376, che non furono troppi, ma nè anco sembreranno pochi a
cui consideri la compagnia dei predetti quindici fratelli.
Ho affermato, che la signora Fulvia fu bellissima donna, e questo dissi
non già perchè ogni eroina di poema o di racconto deva esser bella, ma
sì perchè tale veramente a giudizio di quanti la videro, e scrissero di
lei: io vi potrei dichiarare, che i suoi occhi chiamavano quanti amori
volavano sopra la città di Siena, dove ce ne volano molti, e se diceste,
puta il caso, quanto le rondini di maggio, voi direste niente,
imperciocchè per l'aere di Siena si veggano gli amori andare su, giù,
per diritto e per traverso, fitti e luminosi come gli atomi dentro i
raggi del sole: potrei eziandio accertarvi che l'Amore avendo un dì
intinte le ale nel sugo del melogranato ne colorì il sommo delle guancie
alla venustissima donna; altre e più cose potrei vergare sopra la carta,
che non vi farebbero comprendere un ette della bellezza di lei. _Ut
pictura poesis_; proviamo un po' se la parola possa diventare pennello.
La Fulvia era di statura anzichè no vantaggiosa, di spalle lata, di
colmo petto, di fianchi e di anche potente; camminava con andatura
gagliarda forte premendo del bel piede la terra, e pure agile ad un
punto e maestosa: dov'ella si fosse sciolti i lunghi capelli neri
avrieno coperto lei ignuda del più denso velo, che mai avesse potuto
desiderare il pudore; neri altresì gli occhi, forse troppo lucidi e
certo troppo spesso immoti, i quali le partecipavano certa aria di
stupidità, che poi di subito sprigionando baleni sotto la stretta dei
sopraccigli, neri anch'essi, e folti, l'accusavano di fierezza, e per
avventura di crudeltà. Fidia non avrebbe sdegnato torre a modello
cotesto naso, che segnava tutta una linea diritta, e pure non rigida con
quella della fronte; la pelle candidissima da disgradarne il collo del
cigno, e le guancie spruzzate, per così dire, del colore di amaranto: le
labbra poi vermiglie, mobilissime, sicchè non parrà strano se affermo,
ch'elleno parlavano quanto e più degli occhi. Non sarà stato così,
perchè io mi professo servitore devoto di tutti, massime delle donne, ma
pareva, che il liquore della voluttà o troppo spesso bevuto, o di
qualità troppo ardente, avesse infiammato coteste labbra.
[Illustrazione: Nei dì feriali, quando Fulvia passava per le vie
il popolo poeta al solo vederla gioiva.... (Pag. 16.)]
Nei dì feriali quando passava per le vie, il popolo poeta al solo
vederla gioiva; il calzolaio si affacciava allo sporto con la forma
nella mano manca, e con la destra al cappello in atto di cavarselo; il
falegname, che segava una tavola sottoposta al suo ginocchio teneva la
sega sospesa, e fintantochè la poteva scoprire la seguitava con gli
occhi; la vecchia con le dita appiccicate alle labbra dimenticava
inumidirsele con la saliva per filare la canapa; dei maggiorenti, chi le
faceva di berretta per amore dell'arte, imperciocchè Siena essendo la
città dello Amore, questo si meni dietro, o piuttosto lo seguitino le
Belle Arti figliuole: non so se questa figliazione sia ortodossa,
secondo l'antica mitologia, ma egli è certo, che Amore ha più figli, che
altri non pensa. Il Cristianesimo per avventura in Siena non ebbe il
coraggio di cacciare via dai luoghi sacri Venere madre di Amore; di
chiesa la bandiva, ma accompagnatala in sagrestia quivi la lasciò stare,
non si sentendo il coraggio di metterla così ignuda fuori della porta;
ed ora ammiriamo la Madre dello Amore nella sagrestia o biblioteca
ammirata ella stessa di vedersi circuita da una corona di messali
miniati dai Frati Benedetto da Matera e Gabriele Mattei, non però
ammirata delle pitture che la circondano, le quali rappresentano i gesti
di Enea Silvio Piccolomini dipinti dal Pinturicchio, e da Raffaello di
Urbino; perchè questi, e il papa Pio fossero grandi maestri di Amore,
come pel primo ne porgono immortale testimonianza i suoi dipinti, pel
secondo il suo libro degli _Amori di Eurialo e di Lucrezia_: i Papi una
volta si ricordavano, che gli uomini dalla parte manca del petto portano
un cuore.....
Altri poi salutavano la Fulvia sapendola donna di alto affare, e capace
così in patria come a Roma, se lo avesse voluto, di avvantaggiare le
faccende loro.
E nè mancavano di quelli, che le facevano reverenza estimandola quasi
appendice del Papa, avvegnachè ella fosse congiunta del pontefice
Alessandro VII, che fu un Fabio Chigi; e Siena meritamente salutavasi
città papale noverando ella otto Papi, e trentanove Cardinali; onde se
alla Fulvia avesse preso il ghiribizzo di alzare tre dita della mano
destra distribuendo croci a diritta ed a sinistra, se le sarieno tolte
per buone, nè forse l'avrebbero barattate con le genuine papali. Narrasi
come Pio VII vedendo certo giovane screpante sghignarlo per via delle
benedizioni, che egli impartiva alle moltitudini accorse, gli dicesse: —
non disprezzate la benedizione di un vecchio; essa non ha mai fatto male
ad alcuno; — la Fulvia a miglior dritto avrebbe potuto dire: —
accogliete la benedizione di una donna giovane e bella, essa altro non
può, che farvi bene a tutti.
Siete voi mai andati a Genova? Se sì tornateci, se no fatevici condurre
per vedere una donna maravigliosa, anzi divina, anzi un vero paradiso su
questa terra. Or come, dovremmo noi lasciare la moglie, e l'ombrello per
imprendere il pellegrinaggio alla casa di una femmina sia pure quanto
vuolsi famosa? Poffar del mondo! O voi, o i vostri padri recaronsi pure
in pellegrinaggio alla casa del Loreto per venerare una Madonna, che, a
parte la santità, pare una cafra, potreste dunque portarvi senza
contradizione a visitare a Genova una creatura divina.
Voi la troverete pronta a ricevervi così di notte come di giorno; non
mai schiva, sempre cortese in tutto e con tutti, veruno scarta, a quanti
sono sorride, toccatela quanto vi piace, si lascia fare; anco se vi
attentaste a baciarla non si sdegnerà per questo, purchè adoperiate con
discretezza: ella ha marito gagliardo a un punto e geloso, il quale la
vigila sempre, ma non si sdegna mai; all'opposto si compiace dello
smisurato affetto di cui si accendono gli amatori della sua donna: cioè,
a dire la verità, non so se se ne compiaccia, egli è certo che sta
fermo: e tutto questo perchè la dama è dipinta, e il suo marito altresì.
Dicono, che cotesta dama fosse della famiglia dei Brignole Sale, dicono
cotesto dipinto essere stato condotto dal grande pittore Van Dyck, e
dicono ancora, che Van Dyck ne fosse innamorato; veramente se dovessi
dire la mia, io per me giudico, che se Amore non gli guida, i pennelli
non possono dipingere così. — Se la dama poi s'innamorasse del pittore,
se con tenero affetto lo compensasse di averla resa immortale, almeno
fintantochè i topi, le tarle, e la polvere, con gli altri nemici della
immortalità non abbiano distrutto il quadro, io non ve lo saprei dire:
la storia è antica, e fosse moderna, non vale il pregio rovistarne gli
scartafacci per andarci a pescare di cosiffatte novelle.
E comecchè dipinta, e solo spirante dalla tela ciò non fece ostacolo
d'innamorarsene al buon Revere, che maestrevolmente la descrisse nel
capitolo degli _Amori a olio_ nel suo libro: _Paesi e Marine_. Revere
cui natura concesse bella e spigliata la nave dello ingegno, ed egli con
l'arte ornò di fregi dorati e di polena, e corredò di elettissime vele e
pareva destinata a navigare senza requie su le acque dei nostri mari; ma
l'assalsero rabbiosi lo scilocco dei pedanti, e il libeccio degl'invidi,
ond'ei per dispetto la spinse a dare in secco dentro l'arena, e quivi
stette immobile. Rimetti a galla la tua nave o Revere; che fa a te ciò,
che quivi ti bisbiglia? Anco la fama a taluno tocca domare come belva
feroce; nè qui tutto è male, perchè se vinci la prova non ti troverai
costretto a pararle la mano per ottenere la elemosina dei suoi favori,
bensì l'agguanti pei capelli e la costringi a prestarti omaggio; te la
strascini schiava dietro al carro,... così mi piace la fama. Rimetti a
galla la tua nave, o Revere, e se tornando in porto non ti auguri
vedere, come immaginò per sè messere Ludovico Ariosto, aspettarti sul
molo plaudenti donne illustri, principi, e letterati magni, tienti
lontano dalle sponde, naviga sempre in alto mare, e canta e scrivi per
la Patria e per te.
Gli anni poi non contano; il cuore non invecchia mai, Anacreonte si
metteva gli anni intorno al capo per sostituire le foglie della edera
che cadevano dalla sua ghirlanda.
Pari a questa dama, fu la nostra Fulvia, se porge la tradizione il vero;
per lo meno doveva arieggiarla, però che i segni corrispondano come
goccia d'acqua a goccia; sicchè mentre la donna si aggirava per le
anguste vie di Siena la precorreva, la seguiva un'aura vocale, che
diceva: _divina! divina!_ Se il vento l'avesse circumfusa di un nembo
pregno di quanti produce l'Arabia profumi, non avrebbe di uguale
allegrezza esultato il suo cuore.
Nei dì di festa, o di obbligo di messa i cittadini sapendo com'ella
costumasse recarsi al Duomo verso nona si assiepavano davanti la sua
porta per vederla uscire, a mo' che si usa in parecchi paesi, nei quali
i giovani fanno il serraglio dinanzi alla porta, donde la sposa si reca
a marito, sicchè questa è forza, che si riscatti se pure desidera di
giungere all'altare. Giusto adesso avevano fatto a quel modo, perchè
correva il mercoledì delle ceneri; ed ella, cessato il carnevale delle
feste e dei balli ora sta per cominciare il carnevale delle prediche: si
spalanca la porta, e si leva il solito sussurro di ammirazione, ed ella
graziosa a tutti sorride, e tutti saluta. Dico cosa incredibile, e non
di manco vera, e tutto giorno rinnuovata, cioè, che ognuno si reputava
da lei singolarmente distinto, ed ella non vedeva mai persona distinta,
bensì una congerie, una polenta, per modo di esprimermi, di facciacce
umane.
Però se stamane taluno l'avesse considerata a partito avria rinvenuto le
sue sembianze sconvolte, e se non brutte, che tali non avrebbero mai
potuto essere, almanco sinistre: nè senza ragione, che quello ed il
precedente giorno ella aveva provato _uziaci_, come dicevano Fiorentini
di allora. Di fatti nella festa d'ieri con suo piuttosto spavento che
maraviglia ella non era stata acclamata regina, lo sciame degli
adoratori si era addensato intorno alla Virginia Chigi, sua dolcissima
amica, e la Virginia procedeva in mezzo ad essi appunto come la regina
in mezzo alle api, contenendoli ovvero letiziandoli _maiestate tantum_:
ma forse la Virginia era più bella di Fulvia? No, mille volte no; anco
Fulvia la pensava così: e dunque a che attribuire la subitanea
parzialità? Oh! ecco, la Virginia era tuttora zitella, sicchè tra la
Fulvia e lei correva la differenza tra un posto preso ed un posto da
prendere; la Virginia sorgeva da levante, e Fulvia inchinava
all'occidente; non mica potesse chiamarsi vecchia, dacchè allora ella
noverasse ventisette anni _confessati_, ma reali ventinove, che questo
caso successe nel 1659, e lei i registri battesimali fanno nata nel
1630, ma vi ha una aura di maggio ed un'aura di settembre entrambe
tepide e liete, pure la prima è messaggera di vita, l'altra prima di
rinfrescarti la faccia sembra sia passata tra le fronde dei cipressi;
splende il sole in primavera ed in autunno, e pure lì ti blandisce come
un saluto, qui t'intristisce a guisa di addio. Il suo marito Lelio
fastidioso per molesta gelosia alla stregua, che si approssimava alla
vecchiezza (che i suoi cinquantanove anni allora ei non doveva andarli a
cercare) in cotesta notte le aveva detto parole acerbe, perchè la notò
carezzevole oltre l'onesto (egli affermava) e certo oltre il consueto di
lei verso i cavalieri; ed era vero, ma non ci entrava malizia; la povera
donna aveva raddoppiato le blandizie come il capitano spinge in campo le
riserve per vincere la battaglia. — Ultima trafittura fu, che dopo avere
aspettato ore ed ore il sarto, che le riportasse una veste di velluto
pagonazzo con la quale disegnava comparire alla predica bellissima fra
le belle, la mandò ad avvisare, che aveva dovuto lasciarla indietro per
finire un vestito di velluto nero per donna Virginia Chigi: e poi per la
prima volta quel richiamo della polvere a ricordarsi ch'ella pure era
polvere, incominciava a darle un tantino di uggia; anco il vento
pungeva, il cielo era grigio, e una pioggierella minuta cacciava il
ribrezzo nelle ossa: bastava tanto, e ne avanzava perchè Fulvia in
cotesto dì fosse di animo disposta a tirare il collo all'amore se mai le
capitava fra le mani, e metterlo in pentola a bollire come un cappone.
Comparsa appena su la porta, ecco il solito serraglio stringerlese alla
vita, e i soliti salutari, e le consuete ammirazioni, ed ella a destra
ed a sinistra snodando il collo flessibile a guisa di colombo quando
vezzeggia, sorrideva a questo, ed a quello: tutti si credevano da lei
conosciuti, e particolarmente distinti, ed ella secondo il solito non
aveva avvertito veruno; dico male; uno avvertì, e parve gran cosa, che
quel giovane da due mesi non mancasse mai alla corona del popolo, che
l'aspettava al suo uscire di casa, e del continuo la seguisse per le
vie, ai ritrovi, in chiesa, e allora giusto allora per la prima volta
gli fissasse gli occhi addosso.
[Illustrazione: .... e allora, giusto allora, per la prima
volta gli fissasse gli occhi addosso (Pag. 23.)]
Non vi spazientite, che per me non sono uso tenere i miei lettori su la
corda, io vi dirò addirittura chi ei si fosse: era Paride figlio di
Belisario Bulgarini giovane gentiluomo sul fiore degli anni; egli non
aveva più che un fratello di qualche anno minore a lui, il quale
dilettandosi di cacciagioni e delle cure di villa, di rado veniva in
città, e mai ci si fermava: ambedue celibi, per cotesti tempi doviziosi:
entrambi poi di bel costume, e cortesi; ma a Paris diede la natura uno
spirito inquieto, il quale sariasi nudrito negli esercizi della guerra,
o in altri consimili, dove lo ingegno si affatica insieme col corpo; ma
la stagione correva tanto propizia a cui volesse dare di piglio ad uno
aspersorio, quanto contraria a quale inclinasse di trattare spada; tempi
da campane non già da tamburi; tempi nei quali quando s'imbatte la
storia, deposto lo stile, stira le braccia, e sbadiglia. Ora questa
copia di forza fisica rovesciandosi sopra lo intelletto faceva sì che il
peso ne sembrasse e fosse veramente soverchio; e per isfogarsi con lo
esercizio s'inoltrava dentro il mare magno dei pensamenti senza il filo
di Arianna per tornarsene a casa, come senza scopo prestabilito: andava
per andare, come quei cani randagi, che si gettano la coda sul groppone
e vanno tutto dì aggirandosi attorno senza sapere dove si ricovereranno
la notte. Di qui egli diventò fosco sempre e accigliato, pensoso senza
pro, e la confusione dello spirito si diffuse sul passo, negli occhi, su
le voglie e su tutto: si mostrava ostinato a proseguire una cosa come se
quella massimamente desiderasse, ed in sostanza non adoperava così
perchè veruna cosa nè desiderasse nè amasse. Fu biondo, fu aitante della
persona, ben disposto di membra; di occhio ceruleo, un dì alacre, ora
spento come di pesce, che cominci a passare: fastidioso a sè e ad
altrui; favellatore scarso, degli altri poco amatore, di sè nulla. Ora a
questa anima in isciopero, venuta ventotto anni su senza un perchè, ecco
offerirsi di un tratto splendida nella sua bellezza la Fulvia
Piccolomini moglie di Lelio Griffoli: davvero in lui l'amore si palesò
con un colpo di freccia, che lo traferì da banda a banda; non come
quello che messere Francesco canta in rima ferisse lui, di saetta,
mentre a madonna non mostrò pur l'arco, sicchè, a suo _parere non gli fu
onore_[1]. Entrato appena in cotesto cuore, l'Amore, giusto secondo la
immagine del Parini, crebbe gigante, e squassando ferocemente il
turcasso gridò: «_valgo, e vo' regnar solo_» amori nati a mo' di turbine
di neve nelle Alpi; di vortice di arena nel deserto, amori di uracano,
essi varrebbero non già a sperdere un cuore ma l'esercito di Cambise, e
la grande armata di Filippo II se potessero infuriare su le cose come
infuriano su l'uomo.
[1] Ferir me di saetta in quello stato
E a voi armata non mostrar pur l'arco.
E fu sventura, che la Fulvia in cotesto giorno, in quell'ora e con la
disposizione di animo nella quale si trovava contemplasse Paride,
conciossiachè subito sentisse per lui aborrimento, e paura. Al contrario
parve a Paride, che ella lo guardasse con amore: credè l'affare fatto:
stette sul punto di stramazzare; un bel pezzo barellò, ma poi si diede a
correre a correre, che tanto non va presto lo struzzo nel deserto, per
arrivare al Duomo prima della donna amata; e vi arrivò: allora si pose
accanto la pila dell'acqua benedetta aspettando la Fulvia con un battito
di cuore, che parve miracolo se in cotesto punto non isfiancò. La Fulvia
giunse, ma non pareva dessa, tanto mostrava sconvolte la sembianza e la
persona; senza punto avvertire gli obietti circostanti ella allungò il
braccio per immergere la breve mano dove non appariva nodo, nè vena
eccedeva, nell'acqua santa, ma improvviso le sorse davanti dall'altro
lato della pila Paride che tuffata la mano tremula più che foglia al
vento a lei la porse grondante. Rabbrividì la donna, e quasi mirasse o
biscia, o scorpione, od altro più odiato animale, con un grido represso
scappò via. Paride sentì stringersi ad un punto il cervello, ed il
cuore; troppo breve, e troppo intenso il suo inganno, come troppo
crudele la verità: spazio non breve di tempo rimase con la mano in alto,
all'ultimo si segnò; le stille dell'acqua benedetta gli gocciarono fino
agli occhi, e quivi crebbero per le lacrime che al povero uomo
proruppero fuori irrefrenate. Preso da vergogna deliberò uscire e non
potè; allora brancolando, chè la chiesa era buia a cagione delle tende
tirate alle finestre, e di quella più grande stesa sopra il pulpito come
costumasi quando entra la predica, si trasse fino la terza colonna della
navata a mano manca, e quivi si rimase rannicchiato: adagio adagio egli
riprese balìa, e gli occhi suoi assuefacendosi al buio incominciò a
frugare dove si fosse nascosta la creatura nemica; per quanto rovistasse
da ogni parte, e più volte si rifacesse alla ricerca, non la seppe
rinvenire: ella era sparita: tuttavia non gli riuscendo darsi pace
mentre stava per gittarsi al disperato, ecco lì, proprio accanto a lui,
dalla parte opposta della colonna mira Fulvia inginocchiata con le mani
giunte e il capo inchinato su quella: gli occhi teneva chiusi, e pareva,
che pregasse. Paride anch'egli era genuflesso, sicchè camminando su i
ginocchi si trasse innanzi per contemplarla meglio: a che rassomigliasse
costui mentre aveva giù prosciolte le braccia, e le mani aperte, con la
bocca schiusa, e un riso di marmo, la vita intera trasfusa nelle pupille
degli occhi alacri, lucide al pari della punta di un coltello, io non
potrei dire: certo si conosceva, che in cotesto istante qualche ordigno
della sua compagine sforzato cedeva all'urto della passione, e di ora in
poi lo intelletto, e la parola ne avrebbero patito nocumento ognuno per
sè, e peggio nella corrispondenza fra loro. All'improvviso il meschino
giovane sentendosi dentro mancare cadde col volto davanti, e lo avrebbe
percosso sul pavimento se non gli facevano difesa le mani; non potendo
più frenarsi dette in un sospiro profondo così, che parve un bramito di
belva: allora la Fulvia spaventata abbassò gli occhi e vide l'uomo
odiatissimo, a suo parere, trasformato in demonio, o in bestia, che
cammini su quattro piè; e ciò tanto più parve vero alla sua
immaginativa, che Paride cadendo a quel modo sul suolo teneva la faccia
storta in molto brutta maniera per guardare in su. La ignoranza, che
tornava a infittire le sue tenebre diradate alquanto dagli studi
classici dei secoli decimoquarto, e decimoquinto aveva reso credibili
anco alle persone di alto affare le leggende delle streghe,
l'apparizione dei demoni, ed altre ciurmerie siffatte, anzi n'era
cresciuto il numero con l'accessione dei lemuri, dei geni, degli dei
mediossumi, e degl'inferi: perchè dove vi ha preti vi saranno sempre in
un modo e nell'altro inferno, e paradiso; e poi non fu arduo in ogni
tempo mai così ad uomini come alle donne immaginarsi gli uomini con la
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Çirattagı - Il destino: romanzo - 2
- Büleklär
- Il destino: romanzo - 1Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4613Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186534.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 2Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4684Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182035.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 3Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4669Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183534.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 4Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4640Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184437.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 5Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4638Unikal süzlärneñ gomumi sanı 187535.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 6Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4662Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184935.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 7Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4660Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184135.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 8Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4583Unikal süzlärneñ gomumi sanı 187337.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Il destino: romanzo - 9Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 456Unikal süzlärneñ gomumi sanı 30057.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.69.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.76.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.