Il buco nel muro - 10

Süzlärneñ gomumi sanı 4676
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1741
38.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
52.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
celebrarti degnamente in prosa e in versi. Io ti vorrei rendere più
illustre assai del buco di santo Alò, dov'egli ficcava il suo chiodo
ogni qual volta gli occorreva di ficcare il chiodo per non affiggere
con troppi fori la parete; onde venne il proverbio di fare come santo
Alò, che ficcava il chiodo sempre nel medesimo buco. Se adesso io ti
muro, non mi muove ingratitudine; al contrario affetto pari a quello
del buon padrone che riposa l'ottimo servo dalle lunghe fatiche: nè per
chiuso che tu rimanga io diverrò mai immemore di te, tutto ha fine nel
molto: separiamoci dunque a modo di benefattore e di beneficato, perchè
tu capisci che potendo sedermi da ora in poi a canto alla signora
Isabella e favellarle dappresso, sarebbe strano, per non dire peggio,
continuare a parlarle traverso un buco...
— Oh! siete voi? — Di un tratto mi parlò la voce soave della donna
amata; appunto io voleva dirvi cosa che non so perchè non mi attentai
favellarvi qui in casa, ed ora traverso la parete spero mi basterà
l'animo di farlo. Signor Marcello, quando si ringrazia, sì presume
pagare in parte il debito: ora io non voglio ringraziarvi, perchè amo
serbare intero l'obbligo mio verso di voi; io ho provato che in me può
venire meno l'amore, la gratitudine non mai, tanto vi basti...
— Anzi è troppo, mia riverita signora, e avrò mercede di gran lunga
superiore al merito, se mi concederà che io le rinnovi quotidianamente
la espressione della mia profonda stima... in casa sua.
— Giusto sopra di ciò voleva trattenervi, signor Marcello. La donna
povera deve avere cura, non dirò superiore a quella della ricca per la
sua onestà, bensì delle apparenze della onestà; in vero non basta alla
donna essere, ma deve eziandio parere onesta. Argomentate da ciò a che
mi esporrei io, se vedova, povera e sola, accogliessi in casa mia un
giovane elegante come voi? Voi siete troppo generoso, signor Marcello,
per mettere a duro partito la mia reputazione... io devo credere... io
credo che la mia fama ha da essere cara a voi quanto a me, non è egli
vero, Marcello?
— Eh!... non dico... ma se non isbaglio, mi pare che queste parole
significhino, ch'ella non mi vuole più d'intorno?
— Oh! no; io voglio vedervi e parlarvi tutti i giorni anzi più volte al
giorno, continuiamo a farlo come prima traverso questo buco...
— O nato sotto stelle maligne! esclamai dandomi un picchio su la
fronte. E il gesso da presa e la mestola ammanniti a che serviranno
eglino?
E siccome la signora, che cosa ci avessero a fare il gesso e la mestola
non capiva, io l'avvertii di quello che stava per condurre a termine,
quando sul più bello rimasi interrotto da lei; ond'ella tanto non si
potè tenere, che non ridesse, ma io nell'amarezza dell'anima e con riso
compunto ripresi:
— Poichè questo calice non può rimoversi dalle mie labbra, si faccia la
sua volontà, signora Isabella...
— Ma guardiamo un po' se la cosa comporti temperamenti tali da renderla
tollerabile; in prima io direi di allargare il buco a dimensioni tali
che di buco diventasse vera e propria finestra.
Oh! sì... larga finestra... grande quanto tutta la parete.
— Questo si nega; larga tre quarti di braccio, ed alta cinque soldi.
— Talchè se io non divento un gatto non ci potrò passare.
— Talchè se voi non diventale un gatto non ci potrete passare.
— Almeno sia praticata a tale altezza, che seduti entrambi sopra una
sedia possiamo vederci e favellarci.
— Questo si concede, anzi ogni sera tornato a casa metteremo, io da una
parte, voi dall'altra, il tavolino rasente all'apertura, e mentre io
lavoro, voi mi leggerete qualche bel libro di storia o di poesia.
— Faremo anco meglio; io congegnerò una lucerna per modo che abbia a
illuminare voi e me, e questo gioverà alla economia ch'è la seconda
provvidenza della povera gente.
Sta bene; e voi invece di andare all'osteria con perdita di tempo non
piccola e spesa grandissima, potreste trasportare il vostro pranzo
alla sera, e pranzeremmo insieme spartendo le spese; io mi piglierei il
pensiero di apparecchiarvelo.
— Accettato; accettato. Se venisse Lucullo a propormi adesso il baratto
di uno di questi pasti con cento suoi imbanditi in Apolline, io gli
darei di un calcio nella pancia.
— Siete contento della capitolazione?
— Eh! non potendo avere di meglio, adattiamoci; però delle parole io
non mi fido.
— Oh! che volete, che mandiamo pel notaro, che roghi del contratto?
— Dio ne liberi! Se un terzo entrasse fra noi lo strozzerei, ma ogni
convenzione costumano gli uomini raccomandare a segni più sensibili
che le parole non sono, come sarebbe a dire a segnatura, a croce, a
sigillo; io mi contento di una stretta di mano.
— E ciò non vi ricuserei davvero, se si potesse...
— Non si confonda; in due minuti rimedio a tutto. E anco in meno
remossi un mattone dond'ella mi porse la mano che io baciai con fervore
due volte, dicendo: la prima per lei, la seconda per la madre mia.
Per via di cotesta apertura io mi transumanai, per dirla con Dante,
e se avessi dovuto durare un pezzo nell'esercizio di tanta virtù
dinanzi a cotesto buco diventato finestra, io credo che a questa ora,
signore zio, avrebbe dovuto cercare il suo nepote fra gli angioli, con
suo sconcerto forse, e sicuramente col mio; chè fare un altro po' di
posata _in hac lacrymarum valle_ non mi scomoda punto. Però tra tanti
gaudii mi occorse uno stroppio, e questo fu che dimorando davanti
quella apertura mi trovai un giorno cotto per di fuori e per di dentro
così, che meglio non arrostisce un quarto di agnello sullo spiedo.
Gran giudizio mostrano di avere i Siciliani quando volendo imprecare a
taluno qualche grosso malanno gli dicono; tu possa essere innamorato!
Di fatti addio sonno, addio talento di cibo o di bevanda, mesto
sempre o pensoso senza pensare a nulla; fisso in una immagine, che mi
struggeva, uguale in tutto a cotesta povera fanciulla, che innamorata
del sole non cessava mai di guardarlo, senza badare che le consumava
la vista; e per maggiore rapina quanto più pativa, e meno mi sentiva
balìa di palesare i miei spasimi: se accadeva, e accadeva sovente, che
la pietosa donna mi domandasse: se mi sentissi male, se qualche pena
segreta mi angustiasse, non volessi celarla, a lei, che per me nutriva
affetto di sorella e di madre; io stava lì lì per isfogarmi, e voleva
e mi sforzava con ogni potere mio a farlo; ma sì, egli era niente, mi
si chiudevano i denti e mi saltava addosso il ribrezzo della febbre
quartana. Mi pareva di essere diventato un mantice da fabbro, tanto
era il mio fiatare da mattina a sera; mi pareva essere una rondine
in gabbia; certa volta mi affacciai alla finestra per buttarmici di
sotto, e lo faceva, se non fosse stata tanto alta: si trattava di sette
piani... capisce?
Ieri notte, sul fare del giorno, comecchè il solo coltrone mi coprisse,
mi parve avere addosso una lapide; volta di qua, volta di là non
trovava posa; nè anco se il diavolo avesse preso possesso del mio
corpo, mi sarei dimenato tanto; metteva sospiri da spegnere una torcia
a vento: — maledetto l'amore e chi gli vuol bene! esclamai infellonito,
e scappato fuori del letto mi posi col lenzuolo avviluppato intorno
alla persona a passeggiare di su e di giù per la stanza, come costuma
il Modena sul palco scenico quando fa la parte di Oreste. La signora
Isabella atterrita da cotesto tramestìo accorse all'apertura, e vistomi
mezzo vestito e arruffato a quel modo mi disse:
— Signor Marcello, per amore di Dio a che pensate voi?
— Io glielo do in mille a indovinare.
— Forse a vostro zio infermo?
— No, signora.
— A vostra madre defunta?
— No, signora.
— A qualche sfida forse?
— Nè meno.
— Per sorte a congiurare contro questi cani di Austriaci?
— Nè manco per ombra.
— E dunque a che pensate, Marcello? Non mi fate più stare in angoscia...
— Vuol'ella saperlo?
— Sicuramente.
— Ma proprio lo vuole?
— Sì, sì lo voglio, lo pretendo.
— Ebbene allora lo sappia: io pensava a Marco Tullio Cicerone...
— Domine, aiutaci! esclamò la signora Isabella levando gli occhi al
cielo, come paurosa che mi avesse dato volta il cervello; ed io cui il
moto e l'impeto e lo sdrucciolo della favella avevano ormai sciolto lo
scilinguagnolo, sempre correndo continuai:
— Sì, signora, a Marco Tullio Cicerone; ella saprà, e se non lo sa
glielo dirò io, come questo padre della romana eloquenza immaginasse
varie maniere di cominciare le sue orazioni; che talora egli esordiva
esitando, come se si peritasse a dire, e tale altra alla brava
dichiarando che avrebbe esposto questa cosa o quell'altra, epperò gli
prestassero udienza che ei la sapeva lunga e la sapeva ben contare;
sovente si raggirava per copioso sermone, e spesso eziandio veniva
a mezza spada soltanto a piè pari dentro la materia. Ora tocca anco
a me recitare un'arringa, un'arringa, ahimè! pur troppo importante,
dacchè se mi riesce persuadere e commovere, io salverò un infelice da
certissima morte; se all'opposto faccio fiasco, il poverino è ito. In
tanta angustia non so nemmeno io che pesci pigliare. Signora Isabella,
ha mai studiato la rettorica?
— Io? perchè farmene?
— È vero, le signore non hanno mestieri d'imparare rettorica, esse
nascono tutte col _Decolonia_ in corpo, talune ci hanno anco il
_Blair_: dunque senta, signora Isabella, mi consigli per carità. Dovrei
essere lungo o corto, girare di largo ai cantoni, ovvero dire breve e
schietto?
— A me sembra, che senza tanti andirivieni, il meglio stia nel
partito ultimo, che dite: il semplice è sempre bello, e nel bello
ordinariamente alberga il buono....
— Dio la benedica, signora Isabella: ebbene, signora Isabella, io
l'amo.... — e chiusi gli occhi, apersi le braccia come chi aspetta
il colpo di grazia. La risposta stette qualche po' di tempo a venire,
pur venne con voce tremola e però tanto più soave; velata sì, ma dal
velo che adombrò Venere celeste quando prima apparve ad Adone, ad
Anchise, eccetera.... in somma un'aura di maggio, che passa su le rose
sbocciate, un buffo di armonia delle sfere udito solo da Pitagora e da
me, sospinto forse verso la terra dal ventilare dell'ala bianca di un
angiolo....
— E dalli con questi angioli....
— Le domando perdono, signore zio, ma creda in verità, che parlare
della signora Isabella e non cascare negli angioli gli è come
discorrere di pane e non rammentare la farina; pertanto ella mi
disse: Marcello, ancora io vi amo; siete un cervello balzano, ma
cuore amoroso, e lo starmi sola m'incresce; nè giovane povera, e per
avventura non ingrata di forme, potrei frequentare le compagnie senza
scapito della mia fama: questo è certo, che non potendo la donna
fornire sola il pelligrinaggio della vita io non vorrei scorta diversa
dalla vostra; e se la prima volta la sbagliai pur troppo, mi affido
che la seconda l'avrei indovinata, non per merito mio, ma per grazia
del Cielo. Però due cose, se non si oppongono ricisamente, impediscono
almeno che questo desiderio adesso si compia, e sono il consenso del
vostro zio e di mio padre. Chi si conduce a questo atto solenne della
vita in onta de' suoi maggiori semina di spine il sentiero sul quale ha
da camminare, ed io ne ho fatta a mie spese amarissima esperienza.
Ratteneva l'alito per paura che meno chiaro mi venisse il suono di
quei santi detti, e cessato ch'ella ebbe, non potendo favellare io,
la mirava; ella mi diè coraggio, ella ravvivò la mia speranza, ella mi
spinse nelle sue braccia, mio padre... mio zio, ed io mi ci abbandono
mettendo in sua balìa la mia morte e la mia vita. _Ho detto_.
— E non posso rispondere male, come quel bizzarro al predicatore, che
fece il panegirico di san Giuseppe per dieci lire... no, in verità non
lo posso rispondere. Hai un zigaro?
— No.
— Ebbene, to' questo e fuma; Betta, tanto che io fumo va a rifarmi il
thè, e porta anco una caraffa di rum; sento il bisogno di ravvivare gli
spiriti.
Il thè fu fatto, il rum portato; lo zio Orazio bevve dell'uno e
dell'altro; camminava ora lento, ora concitato per la camera, e Betta
lo seguiva col guardo volgendo il capo ora a destra ora a sinistra,
quasi fosse stato un pendolo; alla fine Orazio disse, come favellando
seco medesimo:
— Guà! tutto può darsi; ai tempi miei una donna dopo avere assistito
alle missioni di un gesuita ingravidò, e partorì un figliuolo con
le orecchie di asino; — poi rivolto al nipote soggiunse: — _suadent
cadentia sidera somnos_; vien meco, che ti condurrò io stesso nel
quartiere ammannito nel presagio del tuo ritorno.
Accompagnando poi col fatto le parole, tolse il candelliere e precede
Marcello in certe stanze fatte accomodare per lui al terzo piano della
casa; quivi egli lo lasciò dicendo:
— Non è terminato, ma non ti faceva così presto di ritorno, però quanto
occorre ce lo troverai; poi se alcuna cosa ti abbisognasse suona il
campanello. Buona notte. Addio.
Il giovane rifinito per la stanchezza, e dalla mansuetudine con la
quale lo aveva accolto lo zio ricavando argomento a bene sperare, si
gettò sul letto senza nè anco spogliarsi, e presto si fu addormentato.
Se anche in cotesta notte sognasse, io non ve lo saprei contare,
perchè non me lo disse. Sicuro! voi potreste apporre: questo non fa
caso, dacchè voi altri, quando vi piace, entrate nel cervello degli
uomini desti o addormentati, e ci vedete, o piuttosto voi ci volete
vedere quello che vi pare e piace. Al quale obbietto rispondo che
voi avete perfettamente ragione, ma che per ora non mi piace entrare
nel cervello, nè in verun altro luogo dei miei personaggi, e chi
legge si contenti sapere che il giovane giacque fino a giorno alto,
e appena desto si sentì agitato dallo amore e dalla fame; quello era
grande, ma questa non canzonava: il primo occupava tutta l'anima, la
seconda tutto il corpo, l'uno toglieva refrigerio a mandare fuori
sospiri, l'altro s'impazientiva a non mandare giù bocconi. Peccato
proprio, che gl'innamorati non diventino sostanze spirituali, o per
lo meno cicale, le quali, se la fama porge il vero, si nutrono di
rugiada. L'appetito nella lotta con lo amore messo di sotto quattro
volte e sei, allo improvviso prese il di sopra, e con tanto impeto,
che Marcello si fece a corsa per uscire dal quartiere; la porta della
stanza gli si aperse sotto mano e facilmente: non così l'uscio dello
appartamento; allora lo scosse, lo spinse, e crescendo l'ira, tentò
a calci sfondarlo, ma e' non venne a capo di niente, che l'assito era
forte e gli arpioni gagliardi: quando si fu bene riscaldato, ammaccato
nelle mani e nei piedi, dette spese al suo cervello, e si ricordò del
cordone del campanello pendente in camera sua. Allora chiamandosi cento
volte bestia e soffiandosi nelle dita afflitte, tornò lemme lemme in
camera per sonare: del qual accidente mi è parso bene avvertire il
lettore, non mica ond'ei ne pigli insegnamento, perchè so che quando
gli capiterà incollerirsi, lo farà subito senza rispetti, accorgendosi
dopo che avrà la spuma alla bocca e sarà andato in acqua per la pena,
come con un po' di pazienza avrebbe avuto il fatto suo di quieto e con
risparmio di salute e di tempo; onde se mi domanderanno perchè dunque
mi è parso bene avvertirlo, dirò che non lo so nemmeno io; si dicono e
si fanno e si sopportano tante cose cattive in questo mondo, che non si
metteranno mica all'indice se ne ho detta una delle inutili.
Sonò pertanto Marcello, e mentre sporgeva la faccia verso la porta per
vedere comparire qualche servo, sentì chiamarsi dalla finestra. Ciò gli
parve strano, chè tale si è appunto l'indole dei cervelli bizzarri,
voglio dire non sapersi capacitare che altri viva nel mondo balzani
quanto o più di loro; recatosi pertanto alla finestra, guardò giù e
vide Betta la quale seduta tranquillamente all'ombra di un fico, gli
domandò perchè menasse tanto rumore.
— Perchè voglio scendere e fare... cioè salutare lo zio, e poi fare
colazione.
— Di tutte queste cose due non si possono fare, ed una la puoi fare
costà in camera.
— Come? Come? E quali sono le cose che non posso fare?
— Per esempio quella di uscire....
— E perchè?
— Perchè lo zio è uscito e si è portato seco la chiave.
— Ebbene manda pel fabbro che venga su co' grimaldelli ad aprire la
porta.
— Anco questa non si può fare, perchè lo zio, dopo messa una fettuccia
traverso le imposte, ne ha sigillato l'estremità.
— O che sono diventato un magazzino di fallito? o un deposito messo nel
monte di pietà? Questo è un delitto contemplato nel codice. Ai tempi
nostri doveva vedersi rinnovato il carcere domestico! violentare la
libertà di un cittadino! E poi da cui? Da un liberale!... da uno zio!
Ma diceva bene il consigliere Saureau, chi vuol vedere la schiavitù
vada in America. E adesso lo zio dov'è ito?
— Te lo dirà quando torna..
— E quando tornerà questo benedetto uomo?
— Credo nell'ora in che sarà venuto.
— Bada, Betta, non mi mettere al cimento di scaraventarti la brocchina
nella testa; e sentiamone un altra: il mio riverito zio e tu avete
nella vostra sapienza deliberato farmi morire di fame....
— Dio guardi! fruga nella stanza e troverai una funicella alla quale,
calata che tu l'abbia, io legherò un paniere pieno di cose buone così
per l'anima come pel corpo.
Marcello, considerato come per quel momento non ci era a fare di
meglio, rinvenuta la corda, la calò e Betta tosto legatoci il paniere
fece cenno che lo tirasse in su. Sentendo lo peso egli diceva tra sè:
che diavolo ci avranno messo dentro?
Curioso pertanto di esaminare, appena lo ebbe messo sul davanzale,
frugando trovò un libro e disse:
— Un libro! _Imitazione di Gesù Cristo_; che ci ha da fare cotesto
libro?
— Ma! lo zio disse ch'è la camicia del galantuomo.
— Anco un libro _Erasmo; Elogio della pazzia_; e questo a che buono?...
— Ma lo zio ha detto, caso mai tu volessi scrivere, potresti spassarti
a farvi i commenti di tuo.
— Senti, Betta, quando lo zio tornerà a casa gli dirai per parte mia,
che se vuole ristamparlo lo faccia con le sue note soltanto, che sono
anco troppe, anzi taluno ha detto che le sue chiose affogano il testo.
Ecco un giornale, la Civiltà Cattolica; e di questo che me ne ho a
fare?
— Ma! lo zio ride tanto quando lo legge, ch'io ce l'ho messo di capo
mio per divertirti caso mai ti pigliasse la malinconia....
— _Byron?_
— Per tenerti sveglio.
— _Il quaresimale del padre Segneri?_...
— Per dormire.
— _Magnesia calcinata... Gioco chinese_, ovvero il _rompicapo_?...
— Questo per esercitare la pazienza, quella per levarti la bile di
corpo.
— A quanto pare non ci manca altro che la maschera di ferro.... ecco
sigari... pane.... vino.... _et reliqua_. Mangiamo prima e poi il tempo
darà consiglio.
— Salomone stesso non avrebbe potuto ragionare di meglio... Gol tempo e
con la paglia anco a te si maturerà il cervello....
Accadde una tregua alle parole; alla quale pose fine Marcello
affacciandosi alla finestra col suo sigaro acceso, dicendo:
— Betta?
— Che vuoi figliuolo?
— Tu sai che subito dopo il pasto il leggere e lo scrivere guastano la
salute; però ragionerei teco se non fosse questa vampa di sole che mi
brucia la faccia.
— Io mi ricordo che su in un canto dell'anticamera del tuo quartiere ci
ha da essere un ombrello, piglialo e schermisciti dal sole.
Di fatti l'ombrello ci era, Marcello lo sporse fuori della finestra, lo
aperse, e tra lui riparato dall'ombrello e Betta al rezzo del fico fu
continuato il dialogo seguente:
— Betta, lo zio prima di andare a letto ti fece altri discorsi?
— Sicuro che me ne fece....
— E che disse?
— Disse tante cose, che ci voleva un magazzino a tenercele tutte....
— E non te ne rammenti di alcuna?
— Ecco, mi rammento di queste: tu hai da sapere, o Betta, egli mi
diceva, che ai tempi antichi ci furono due Dee, una delle quali
di manica larga anco troppo, che si dilettò di chiappare uomini e
Dei, e tenerseli per amanti contro il precetto del decalogo, perchè
la sciagurata aveva marito, un po' zoppo per la verità e di molto
sudicio, chè di sua arte egli fu magnano, ma non importa; marito egli
era e doveva rispettarsi in lui il sacramento del matrimonio; l'altra
all'opposto fu di manica stretta e fuggiva gli uomini come i cani
arrabbiati dall'acqua; questa fu abitatrice di selve e cacciatrice
solenne; nè fiere nè uccelli la passavano liscia con lei, che o di
saetta cadevano o da mille arzigogli insidiati rimanevano presi, ed
ella li pelava, arrostiva, mangiava come facciamo noi: in questo, come
vedi, valeva meglio l'altra di lei, però che Venere (quella che faceva
preda degli uomini si chiamava Venere) la preda fatta non arrostiva e
non mangiava, solo le assotigliava le gambe, e le affilava il muso.
Un giorno o una notte, salvo il vero, Giove mosso dai giusti lagni
degli uccelli superstiti, i quali gli dimostrarono come qualunque
tanto valeva non averli creati, che lasciarli in balìa di cotesta
sterminatrice, la quale gli uccelli non poteva patire, eccettochè
arrostiti, operò in guisa che Diana (quest'altra si chiamava per lo
appunto così) s'imbattesse in un giovane tanto ben fatto e bello, sto
per dire più del capo tamburo del reggimento delle guardie reali;
l'effetto di questo incontro fu che Diana volle diventare amica di
Venere; gli uccelli ebbero tregua; ma diceva sempre lo zio, la burrasca
si rovesciò addosso agli uomini, perchè Diana insegnò a Venere tutte
le insidie con le quali pigliava gli uccelli, e Venere a Diana tutti
i tranelli co' quali pigliava gli uomini, e insieme composero un
catechismo, che le donne per non istare in ozio imparano nei nove mesi
che si trattengono in corpo alle genitrici loro, onde lo zio concludeva
che a buttarsi dalla finestra, a torre moglie, insomma a fare tutte
quelle cose che si fanno una volta sola, bisogna avvertire almeno
due...
— Fosse anco san Tommaso in persona, se lo zio vedesse la signora
Isabella, rimarrebbe estatico di riverenza e di ammirazione: non mi
sembra di essere uccello da cascare sul vergone al primo cocoveggiare
della civetta....
— E questo gli diceva ancora io. I giovani, che sia benedetto, la sanno
più lunga di noi, io gli diceva; ma egli mi rispose: no signora, tu,
Betta, costumi tenere per lo meno tre giorni i granchi teneri in purga
prima di friggerli e darmeli a mangiare; ora non vuoi che io provi
per altrettanto tempo una donna di prima di consentirla a moglie pel
mio nipote? Io opposi che tra i granchi teneri e una moglie ci correva
grandissimo divario; ma egli ostinato replicava, che se differenza ci
entrava, era a carico della donna, per la quale tre giorni a ripurgarla
forse non sarieno bastati. Però stamane è partito per Milano....
— Ah! zio, zio, zio, — esclamò arruffato Marcello e lì fe' punto;
se gli frullasse nella mente di aggiungere qualche altra parola
e precisamente quale, io non affermo nè nego, certo è che ei non
la profferì; però tempestando si tirava indietro dal balcone, e
siccome l'ombrello aperto gli faceva contrasto, lo lasciò andare;
poi sbattacchiate a furia le finestre, prese a pestare i piedi, e
strapparsi i cappelli e a commettere pazzie da disgradarne Orlando
matto, meno che non isvelse pini come Orlando, perchè nella stanza non
ce ne trovò; per ultimo si mise a letto.


CAPITOLO OTTAVO
Dove sarà narrato quello che ci si racconterà.

— Ci sono lettere? — domandò la signora Isabella a Teresa, che le recò
secondo il consueto i pochi alimenti di cui ella abbisognava nella
giornata.
— Senza lettere.
E la signora Isabella rabbrividì e si fece bianca, indi a poco il
sangue le si risospinse alla faccia; il di dentro non le si poteva
vedere, ma a giudicarne dalla irrequietezza dei moti parve il bel
sereno dell'anima le si rannuvolasse; però di lieve tornò tanto
tranquilla ch'ebbe balìa di ripigliare il lavoro, e lavorava di lena,
senonchè di tratto in tratto levava gli occhi a mirare l'apertura
talora di colta, e talora a mo' dell'ago della bussola, che per subita
scossa deviato, tremando tremando si accosta al polo, e mi bisogna anco
aggiungere come il moto della signora Isabella spesso fosse spontaneo
e qualche volta no, perchè le pareva udire rumore da codesta parte,
ma levati gli occhi verso l'apertura le compariva fosca come la bocca
dell'inferno, onde ella tornava ad abbassarli sopra il telaio irridendo
alla speranza, che, Dea mansueta e pia, pure tal fiata ha vaghezza di
tormentare come una Furia.
E il giorno appresso, vista appena Teresa, la prima domanda che le
volse fu:
— E lettere ce ne sono?
— Senza lettere, rispose Teresa stringendo le labbra, e sollevando
entrambe le mani. Per questa volta la signora Isabella portò vivamente
la destra al cuore, quasi che le fosse stato ferito, e non potè
trattenere le lacrime, le quali però, voltando la faccia verso
l'apertura, nascose a Teresa.
E l'apertura parve che avesse senso di pietà, imperciocchè, uscita
che fu Teresa dalla stanza, ella prese a rischiararsi con luce sempre
crescente, quasi alba che ceda luogo al sole. Isabella proruppe in un
grido, e s'indirizzò a quella parte come... come... oh! sono pure lo
zotico uomo a lambiccarmi il cervello in cerca di una similitudine,
quando Dante me ne ha fatta una, che qui s'incastona meglio di gemma
dentro l'anello, come colomba vola con ale aperte e ferme al dolce
nido. Ma che diavolo vuole egli significare questo? La signora Isabella
appena affacciata all'appertura caccia uno strido non già di sorpresa,
bensì di spavento, e scappa via coprendosi con le mani la faccia.
Subito dopo s'intesero uscire traverso la finestra le parole:
— Sono io diventato tale da barattarmi con gli spauracchi, che piantano
i contadini in mezzo ai campi di gran turco? E fosse anco così, mi
dica, signora mia, sarebbe gentilezza a farmelo sapere?
— Ma chi siete voi?
— Non lo vedete? Oh! che avete bisogno di consultare il Dizionario
della storia naturale per iscoprire chi sono?
— Come vi chiamate, via?
— Orsù, Curiosità, il tuo nome è donna, mi chiamo Orazio, e sono zio
di Marcello, tutto questo non varrà a trovarmi grazia presso di voi? Mi
fuggirete sempre peggio di un coccodrillo?
— Mi scusi, signore, la sorpresa, la paura... e Marcello dove si trova?
— In prigione.... ma Orazio vedendo che Isabella stava per venire meno,
maledicendo la sua bizzarìa, si affrettò ad aggiungere — ma in casa
sua, per ordine mio, e Betta gli fa da sopprastante.
— Ed ella è arrivato stamani?
— No, signora, arrivai ieri l'altro.., e non mi sono mosso un momento
dall'apertura spiando tutti i vostri moti, ed ascoltando tutti i vostri
detti....
— Ma questo, signore... non mi pare....
— Non vi peritate; dite addirittura che non è onesto, ed io vi
risponderò che avete centomila ragioni; però se non è onesto io l'ho
trovato utilissimo per fare presto e bene. Alla mia età l'uomo pende
al sospettoso. Il diavolo, giova rammentarlo, è cattivo perchè vecchio.
Adoperando questo spediente non vi recava ingiuria, imperciocchè se vi
scopriva lusinghiera, vi avrei barattato i vostri cinque franchi con
cento soldi; se all'opposto buona e santa donna, come vi predicava il
nipote con fiducia piena e larghezza di cuore, vi avrei abbracciato
e detto: — «vieni, cara creatura, a questo seno, che gli uomini non
hanno potuto o saputo intristire tanto, ch'ei non sappia o possa amare,
vieni; dammi una figliuola, io ti darò un padre». Praticando in diversa
maniera ci sarebbero voluti anni, e nè anco sarebbero bastati, perchè,
vedi, la esperienza è simile all'avvoltoio di Prometeo; insegna ma
divora, e le lezioni ella si fa pagare in moneta di cuore, nè compie
mai il suo corso, anzi quanto più ne frequenti la scuola, e più ti
erudisce nella maledetta scienza di sospettare e temere. Ma adesso io,
senza che tu il sapessi, da due giorni ascolto perfino i tuoi sospiri,
speculo il moto e il colore della faccia, seguito con gli occhi il tuo
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Çirattagı - Il buco nel muro - 11
  • Büleklär
  • Il buco nel muro - 01
    Süzlärneñ gomumi sanı 4525
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1804
    37.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    53.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 02
    Süzlärneñ gomumi sanı 4728
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1789
    36.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 03
    Süzlärneñ gomumi sanı 4679
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1913
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 04
    Süzlärneñ gomumi sanı 4744
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1915
    34.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 05
    Süzlärneñ gomumi sanı 4701
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1782
    37.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 06
    Süzlärneñ gomumi sanı 4676
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1887
    36.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 07
    Süzlärneñ gomumi sanı 4641
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1889
    36.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 08
    Süzlärneñ gomumi sanı 4709
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1776
    36.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 09
    Süzlärneñ gomumi sanı 4588
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1776
    37.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 10
    Süzlärneñ gomumi sanı 4676
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1741
    38.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    52.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 11
    Süzlärneñ gomumi sanı 4615
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1778
    35.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    51.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
  • Il buco nel muro - 12
    Süzlärneñ gomumi sanı 4165
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1604
    37.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    61.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.