I Bianchi e i Neri: Dramma - 4
Süzlärneñ gomumi sanı 3477
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1466
36.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
57.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
_Gualfredi_ Ma e ch'egli è mai questo uomo, onde tu tanto
Ti travagli per esso? Ah! mal conosci
Di queste sedi la stirpe esecrata. —
Virtù maligna dalle stelle piove
Che il cuor dell'uomo indura e lo fa tristo. —
Anch'io nei primi giorni della vita,
Quando i sogni son di Angioli, e la mano
L'agnello e il serpe palpa, e il labro ride
Al fior della bellezza, e al fior de' morti,
Alla cicuta e alla rosa, — uno amico
Vagheggiava pur io sopra ogni volto.
Stolto! e credei che l'anima, non altri,
Informasse le voci. — Ahi! che ben presto
Conobbi a dura prova unirci l'odio. —
Fa al figlio il padre scontare il delitto
Di averlo ingenerato; — fa l'amico
Scontare amaro all'amico il delitto
Di aver posto in lui fede; — l'uomo all'uomo
Eterna è guerra; — in chi la scure teme,
O Dio, non è di sangue, ma di frode. —
Guai! se il timor di Dio cessasse; — guai!
Se della scure il timore: — avventarsi
Tu vedresti l'un l'altro, — trucidarsi. —
Ma vivi lascia la strage di tutti
Sol due: — si scorgono, — l'odio rattiene
L'anima che fuggiva, — egri, — carponi
Strascinansi; — son presso, — alzan la mano
Per percuotersi entrambi, — a mezzo l'atto
Tronca la morte, — spirano. La tomba
Gli uomini in pace unisce sola.
_Lemmo_ E verga
Del Signor fatti: egli è temuto Dio,
Ma è maladetto il fulmine. — Ah! non spenta
È virtù; — vive questa via di stelle;
Questa nei piani di Betuelle apparsa
Mistica scala, che alla terra il cielo
Aggiunge, — vive: — vedi dalle mura
Diroccate, dal suol sparso di sale
Della regia Milano assorge cinto
Di aureola immortal l'Italo genio: —
Vedi fuggire i Federighi, e in altre
Portar terre la rabbia di mal spenta
Fame, e il furore di un orgoglio oppresso. —
Vili fummo divisi, — uniti, invitti.
Natura invan co' monti e con le nevi
Ci difende; non v'è figlio d'Italia
Che accorra all'Alpi. — Lo straniero scende
A suo grand'agio; — averi toglie e vite,
E ci deride. — patria mia, ti strigni
Con Fiorenza, e con lei Milano; — o stati
Di poche spanne, in battagliarvi eterni
Che fate voi? — un regio manto in brani
Siete... V'unite, e surgeran più belle
Le itale glorie che non fur mai morte;
Però che il sole e la virtude spenti
Fieno a un punto in Italia.
_Gualfredi_ L'amistanza
Che sia del forte non intendi; — meglio
Servaggio intero, — meglio morte. — Il petto
Nostro, se perir dessi, oh!... per altrui
S'apra: per noi non già. Ma se t'è dato,
Con l'ala del pensier sorgi tant'alto
Che al baleno dell'occhio il mondo tutto
Scorga, ed i piani del passato. — Vedi,
Questa è vicenda di bene e di male;
Ma gemesi mille anni nel dolore
Per un lampo di gioia, e per la notte
Vagasi in traccia un secolo di un punto
Luminoso che appresso ha falsa luce. —
Son tenebre per tenebre: — che giova
Travagliarci? soffrire è la condanna
Dell'uomo. Or se fortuna dagli oppressi
Mi scevra, — accetto: — un più vetusto patto
Ho con natura; di fuggire il danno.
_Lemmo_[18] Cielo d'Italia, perchè non ti anneri.
Poichè la gente che il tuo azzurro allegra
Tanto è diversa? A che mai sorgi, o Sole?
Qui non contempli più le ardue battaglie
Che illuminavi un dì... qui non le geste.
Qui non tombe di eroi; — ma colpe e sangue.
O campi, o selve d'orror sacro piene,
Copritevi di lutto; — il vostro aspetto
Ridente mi contrista; — echi educati
Agl'inni dell'onore, or vi ammutite.
Qui non suona che gemito; sia nero
Il manto della bara, — oscuro: — insulto
È qui letizia; — è un oltraggio il sorriso.
SCENA VI.
GERI, MANENTE, GUIDO, NELLO, E DETTI.
_Geri_ Pace, — una volta — pace; — è breve il varco
Dall'ira all'odio, e or qui spirar dee amore.
_Lemmo_ Falli, Geri; non è suon d'ira il mio,
Ma di pietà...
_Gualfredi_ Per altri serba, Lemmo,
Codesta tua pietà; per me saria
Non sopportabil peso. — Esser temuto
Io voglio, — non compianto.
_Lemmo_ Odi, Gualfredo,
Cosa che in mente riporrai. — Son pochi
In questa terra i buoni, — i tristi molti; —
Agevol quindi è assuggettarla. — Capo
Di parte avversa a te mi dice il grido,
Ma nè anco potendo io ti sarei
Nemico, chè uomo esser di sangue aborro,
E tu mi se' fratello. — Uccidi e vinci. —
Forse tepido il sole al fiore stretto
Per gelo tornerà; — forse la scarsa
Scintilla fie che un dì riviva in fiamma. —
Quel che per colpa dei padri perdemmo
Racquisteranno con virtude i figli;
Così giova sperare. — Ai miei castelli
Mi ritrarrò.
_Gualfredi_ Dove il piacer ti mena
Ti scorti il cielo; e quando mai consiglio
Mutassi, — come il cor, teco diviso
Sarà l'imperio mio.
_Lemmo_ No, — abbilo tutto,
E l'abbominio....
_Geri_ Ora a men triste cose
S'intenda. — Volga fortuna la ruota,
E il villano sua marra. — Or dite, Lemmo,
Berrete voi per la salvezza nostra
Una coppa? Fia dessa in che bevea
Lo padre vostro.
_Lemmo_ E perchè di sua casa
Non berrà Lemmo alla salvezza? — Oh! viva
Mille anni, — viva e gloriosa sempre...
Ma e il mio figlio vi sia...
_Geri_[19] Porgi la coppa.
Prendi...[20]
_Lemmo_ Ma... e Dore?
_Geri_ Or vi sarà...
_Lemmo_ Gualfredo!
Sovvienti come il padre nostro — (il cielo
Faccia pace a quell'anima) i bei fregi
Di questa coppa scorrere godeva
A parte a parte, e mostrarne il fin niello:
Quindi additava l'arme: — ecco il lione,
Dicea, rampante, ecco la immagin nostra,
Sdegnosi e grandi. — O figli miei, lioni
Siatevi sempre, — e non mai volpi.
_Geri_ Bevi.
_Lemmo_ Bevo. — Cortese il ciel vi sia... Ma questo
È sangue!
_Geri_ E t'abbi entro quel sangue il figlio...
_Lemmo_ Tu... Dore hai morto?... Dio eterno!
_Gualfredi_ Oh misfatto![21]
_Lemmo_ Dov'è il mio figlio, scellerato? il figlio
Rendimi... Ah! tu non lo uccidesti? — Cessa
Dal triste giuoco; — egli feroce è troppo: — Le
mie paterne viscere dirompe; —
Io sopportar noi posso. — O Geri, in nome
Di Dio chiamami il figlio...
_Geri_ Il suono indarno
Le sue orecchie percuote... ei non lo intende; —
Perocchè dorme...
_Lemmo_ Oh! — s'ei riposa... statti.
Forte lo udii nelle trascorse notti
Travagliarsi nei sonni... A lui mi guida
Tacitamente; — ch'io lo vegga, lascia: —
Vedere un figlio al genitor chi nega?
_Geri_ Vieni, — lo vedi, — e mori.
_Gualfredi_[22] Scellerato!
Se il giudicio di Dio non mi tenesse...
Io parricida... — A te che dir mai posso,
Caro infelice?... maladetto l'uomo
Che confida nell'uomo... entrambi fummo
Traditi. — Oh! non confondermi nell'ira
Co' rei: — deh! nel pregar da Dio vendetta,
Non maledirmi; — del misfatto questa
Ben è la casa, — ma innocente io sono.
_Lemmo_ Sii benedetto... ma mi rendi il figlio...
Le mie castella vuoi? — l'abbi. — Di patria
Fuori desii che ramingando io vada? —
Andrò. — Ma deh! fratel mio dolce, — Dore
Rendimi, — Dore... solo...
_Gualfredi_ Ah! s'io potessi
Renderti il figlio, — sallo il ciel se a prezzo
Del sangue mio lo ti rendessi. — O servi,
Da questo infame luogo il rimovete...
Infortunato! — in te l'angoscia ha spento
La luce della mente...
_Lemmo_ Chi mi strappa
A forza? — o Dore, il padre aita. — Fuggi,
O ch'ei ti ucciderà... possente ha braccio
Siccome bello ha il core: — eccolo! — Vieni;
Beami nel tuo amplesso. — Ahimè! disparve;
Ei sotterra disparve. — Occhi miei tristi,[23]
Spegnetevi, dacchè veder v'è tolto
Il figliuolo nostro.
_Gualfredi_ O deh! non farlo, misero![24]
Solo, — come da fulmine percosso
Di Dio merti le lagrime; — da questo
Terreno affanno una pietà profonda
Ben tosto ai gaudi dell'eterna vita
Ti avvierà: — piagni, ma spera; — il cielo
Me poi condanna al pianto, e alla paura.
Vedi, uom di sangue, la bell'opra? —[25]Godi.
_Lemmo_ Io ebbi amici, e non son più! — consorte
Io m'ebbi, e non è più! — aveva un figlio,
E non è più! — Ramingo... disperato
Come Caino, e non ho colpa. — Dio,
Perchè col peso del tuo sdegno aggravi
Uno innocente?
SCENA VII.
GUALFREDI, GERI, MANENTE.
_Gualfredi_ Il giorno in che la donna
Dal materno alvo accolseti, e a me volta
Disse: — Gualfredo, avete un figlio, — giorno
Fu di dolore a Dio, e di tremenda
Gioia a Satano.
_Geri_ E porpora più vaga
Al mondo fu di quella tinta in sangue
Di un odiato? — E quale ebbe Fiorenza
Vivo colore che al paraggio valga
Di quel che scorre per entro le vene
Di un nemico?...
SCENA VIII.
NELLO, E DETTI.
_Nello_ Gualfredo! — a rumor mossa
È la terra, — qui piegano aspramente
Feriti i Bianchi: — per Dio! sorti...
_Gualfredi_ Oh! tutti[26]
Si trafiggano, — tutti; — e il corpo mio
Faccia coperchio alla universa tomba.
SCENA IX.
GUIDO, E DETTI.
_Guido_ Damiata è cinta: — ognun di voi domanda,
Messere, e traditor vi appella.
_Gualfredi_ Il tristo.
Buon tempo egli è che pei sembianti appresi
Starsi, — non per le cose. — Il nome è nulla, — E
E poichè infame io non la temo... guardo
Fiso la morte, e alla morte sorrido.
SCENA X.
ALTRO SERVO, E DETTI.
_Servo_ Messer... la porta scassinata... a terra
Cadde. — Lazzarri, il fier nemico vostro.
Porta un capestro, e di appiccarvi grida
Al balcon del castello.
_Gualfredi_ Oh! nequitosa
Plebe! — me appeso! — me d'infame morte
Ucciso! — Ov'è una spada? — Or proverai
Che sia destar lion quando si posa. —
Io niuno stringo; — seguami chi vuole...
Qualche bel colpo or la mia morte onori.
SCENA XI.
GERI, MANENTE.
_Geri_ Inferocisti alfine! — Or corri ratto
Manente a Uberto: — per la minor porta
Esca, — furtivo i Neri a tergo assalga. —
Io finch'ei giunga terrò fermo: — vola, —
Pensa qui andarne di morte o di vita.
ATTO QUINTO.
Innamorata se ne va piangendo
Fuora di questa vita
La sconsolata, che la caccia Amore.
Ella si muove sì dolendo,
Che anzi la sua partita
L'ascolta con pietade il suo Fattore.
DANTE ALIGHIERI.
SCENA I.
Facciata di una Chiesa intorno alla quale stanno le arche de'
Cancellieri. È sera.
BIANCA.
Grato ufficio compiei. — Trovai l'angoscia,
Ho lasciato il contento... Oh! di qual puro
Gaudio brillò! dei Santi gaudio egli era. —
Quanti pochi deliziarsi sanno
Nel gaudio altrui! Povera zia! di gioia
Ben era tempo. — Tu piangesti tanto!
Altro, e più mesto ufficio avanza. — In questa
Tenebra, chi mai la diletta tomba
Additerammi? — Il core. — Eccola... è dessa. —
Polve che dentro di quest'arca stai,
Di tal che fu tua figlia odi la prece: —
I baci miei del marmo che ti fascia
Temprino il freddo e ti riscalda. — Sorga
Qualche scintilla dell'antico amore...
Non risponde che l'eco. — E qual del cielo
Parte ti accoglie, o madre, che non m'odi?
Forse ti specchi in Dio, e nel suo ardente
Riso ti fai beata? — Oh! a questa valle
Volgi il guardo, e vedrai cosa che in cielo
Anco ti fie diletta. — Ah! noi raminghi
Di Eden condanna allo sapere al pianto; —
Forse più che non temo a me si appresta
Di travaglio... — A soffrire ti apparecchia...
Meditiamo la morte...[27]
SCENA II.
DUE UOMINI CHE PORTANO UNA BARA.
_1º Uomo_ A quel superbo
Che per meglio punire il cielo innalza
Piegan tutti, non io. — Ti aborro, o vile
Idol di creta.
_2º Uomo_ Alto corriam periglio...
_1º Uomo_ Pari al piacer di dire allo infelice
Padre: — piagnete qui; — qui dentro è il corpo
Del figlio vostro. — Senza croce, — a lume
Spento, volea ch'io lo gittassi a' cani. —
Ma tu pria che a congiungerti alla terra
Ritorni, — oscuro sì ma pur sincero
Avrai, misero, il pianto.
_2º Uomo_ Infortunato!
Dei begli anni sul fior tolto alla vita
Chi mai lo avrebbe detto? — Sì cortese.
Sì costumato egli era.
_1º Uomo_ Amico! il core
Come per morte di un mio stesso figlio
Ho sanguinente.
_2º Uomo_ Sua dimora ha tolto
Fra Lotteringo in questo monastero;
Andianne a lui, e lo preghiam che venga
Di acqua aspergerlo santa, e dei defunti
Dirgli la prece pria che in tomba ei scenda.
_1º Uomo_ O buon Gaudente, qual sarà il cor tuo
All'atroce novella? Indarno pace
Bramasti; ch'ella in questa terra frutta,
Della scienza nuovo arbore, la morte.
_2º Uomo_ Esaudisci, Signor, la mia preghiera;
Questo spirto raccogli sotto il manto
Di tua misericordia.
_1º Uomo_ Così sia.
Requie eterna concedi a lui, Signore.[28]
SCENA III.
BIANCA.
Esser pareami in cielo... Or dove sono?
Misera me! oltre il dovere assente
Stetti; — al castello di tornare è tempo. —
Polve diletta, che secondo spiro
Per avviarmi a lieto porto sei,
Vale: — estremo a involarti nella notte,
Primo a spuntare sul mattino, — dolce
Pensiero e caro. O santa madre mia,
Volgi talvolta un guardo di conforto
Alla figlia nella ora che frappone
Ai nostri amplessi desiati il tempo.
Ma alcun qui mosse: — già non v'era dianzi
Quella torcia! — Che fia? — Cristo! un feretro!
Ahi! come tremo io forte... Il tristo trema
All'aspetto dei morti, o Bianca; — tutti
Saran com'esso, e tu... Or chi fie questo
Che come maladetto senza prece
È portato alla fossa? — Ove a te ogni altra
Manchi, — infelice! — avrai la mia: — ma in volto
Io vo' vederti. — Ah mi si strigne il core;
Nol far... Me preme una secreta forza.[29]
Dore... Gran Dio! l'anima stanca acco...gli.[30]
SCENA IV.
GUALFREDI, GERI, MANENTE, UBERTO E SUA MASNADA, ED ALTRI PARTIGIANI.
_Partigiani_ Vivano i Bianchi!
_Altri_ Viva!
_Al Al tempio.
_Tutti_ Al tempio.
_Gualfredi_[31] Da questa plebe che aborro travolto,
Mi accosto al tempio tremando e sperando
Che se reietti, non saranno almeno
Esecrati i miei voti... Scellerato!...
Come l'osate voi?...
_Geri_ Ogni uom si stringe
Dove gli torna la cintura. — Ogni uomo
Provegga alla sua anima. — Volete
Che io batta al tempio?
_Gualfredi_ Scostati, demonio...
Dio non s'insulta... Io batterò...
_Geri_ Battete.
SCENA V.
FRA LOTTERINGO DAL TEMPIO, E DETTI.
_Lotterin._ Chi percuote alle porte? — Che si vuole
Dalla casa di Dio? — Chi se'? — Gualfredo!
Esecrata dell'empio è la preghiera;
Dio la disperde irato, o la converte
In maledizion, e su la testa
Folgorando allo iniquo la ripiomba. —
Scostati dagli altari: — un giorno Dio
Ti ruggirà su l'anima, e la impronta
Vi scorgendo del sangue: — Immaculata —
Ei dirà — e casta ella da me partissi,
Perchè l'hai sozza? Non è più mia figlia.
Scostati dagli altari. — Oza protervo
Un fuoco arse celeste, e Core un fuoco
Terreno incese. Una fraterna guerra
Pugnasti, — una fraterna alma sciogliesti;
E vuoi compagno a' tuoi misfatti Iddio?
Tu non se' degno ch'ei la man ti posi
Grave, tremenda sul capo, e ti sperda.
Miserabile! — il fulmine è serbato
A più alti delitti. — Al tuo... gli orrori
Bastano della notte, e lo sognate
Fantasime crucianti del rimorso,
E la paura del fuoco infinito. —
Ma Dio t'insegue: — oh! qua ti volgi; — vedi
Questa bara? sai chi racchiude? — Il tuo
Nepote atrocemente assassinato. —
Tra il santuario e te, frapposto ha Dio
Il tuo delitto.
_Gualfredi_ Ahi! che innocente io sono.
_Lotterin._ Sì, — come Giuda. Se tal sei, t'accosta,
Vieni, e lo giura sul capo del morto...
Ma temi che non scorra dalle peste
Narici il sangue su le labbra; temi
Non venga a ribollir spumoso... temi
Fino all'inferno non si avvalli il suolo.
_Gualfredi_ Padre! non sono io reo...
_Lotterin._ Giuralo...
_Gualfredi_ Il giuro...
_Lotterin._ Tu tremi?
_Gualfredi_ Sì... ma di pietà...
_Lotterin._ Si scopra
Il cadavero: or vieni... Oh morte eterna!
Tua figlia!
_Gualfredi_ Cristo! Lasciami...[32] O diletta!
_Lotterin._ Scostati; — è morta!
_Tutti_ È morta!
_Gualfredi_ O Bianca!... o figlia,
Nell'ora del dolor vegliami, o Dio,
Che la morta ragion l'alma non stringa
Al fiero passo dei martirii eterni.
_Manente_ Io non ho vena che non tremi tutta. —
Rendiamci a Lui che volentier perdona;
Geri... rendiamci... a... Dio.
_Geri_ Sul capo nostro
Piovve commista al maledir di Dio
La linfa del battesmo: eternamente
Dannati... il cielo per tremar non s'apre...
Gemi, codardo? — In me ti affisa... io voglio
Che ben degno di lui m'abbia l'inferno.
ALLUSIONI STORICHE.
Pag. 424.
_Appiè del letto_
_Starsi un demonio che vi guata fiso._
Questa credenza religiosa era comune a quei tempi. Nello _Specchio della
vera Penitenza_ trovasi un fatto molto somigliante all'esposto; non sia
grave di leggerlo qui trascritto. — «E' fu uno cavaliere in Inghilterra
prode in arme, ma di costumi vizioso, il quale gravemente infermato, fu
visitato dal re che era uno santo uomo; e indotto che dovesse
acconciarsi nell'anima, confessandosi come buon Cristiano, rispose, e
disse: Che non era bisogno, e che non voleva mostrare di aver paura, nè
essere tenuto codardo o vile. Crescendo la infermità, e il re un'altra
volta venne a lui, e confortandolo, e, come aveva fatto prima,
inducendolo a penitenzia e a confessare li suoi peccati, rispose: Tardi
è oggimai, messer lo re; perocchè io sono già giudicato e condennato,
chè male a mio uopo non vi credetti l'altro giorno quando mi visitaste,
e consigliastemi della mia salute, che, misero a me! ancora era tempo di
trovare misericordia. Ora, che mai non fossi io nato! m'è tolta ogni
speranza; chè poco dinanzi che voi entraste, a me venneno due bellissimi
giovani, e puosonsi l'uno da capo del letto, e l'altro da piè, e
dissono: Costui dee tosto morire; veggiamo se noi abbiamo nessuna
ragione in lui. E l'uno si trasse di seno un piccolo libro scritto di
lettere d'oro, dove, avvegnachè in prima non sapessi leggere, lessi
certi piccoli beni e pochi ch'io aveva fatti nella mia giovanezza,
innanzi che mortalmente peccassi: nè non me ne ricordava. E avendone
grande letizia, sopravvennero due grandissimi, nerissimi e crudelissimi
dimoni, e puosono innanzi a' miei occhi uno grande libro aperto, ove
erano scritti tutti i miei peccati, e tutti i mali ch'io aveva mai
fatti, e dissono a quelli due giovani ch'erano gli angioli di Dio: Che
fate voi qui? conciossiachè in costui nulla ragione abbiate, e il vostro
libro, già è molti anni, non sia valuto niente. E sguardando l'uno
l'altro, gli angioli dissono: E' dicono vero. E così, partendo, mi
lasciaro nelle mani dei dimoni: i quali con due coltella taglienti mi
segano l'uno dal capo, l'altro da' piedi. Ecco quelli da capo mi taglia
ora gli occhi, e già ho perduto il vedere. e l'altro ha segato infino al
cuore, e già non posso più vivere — E dicendo queste parole, si morì.» —
Dante, al XXVII dell'_Inferno_, tal fa parlare Guido da Montefeltro:
Francesco venne poi, com'io fu' morto,
Per me; ma un de' neri cherubini
Gli disse: Nol portar; non mi far torto.
Venir se ne dee giù tra' miei meschini,
Perchè diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono a' crini;
Ch'assolver non si può chi non si pente;
Nè pentere e volere insieme puossi,
Per la contraddizion che nol consente.
O me dolente! come mi riscossi,
Quando mi prese, dicendomi: Forse
Tu non pensavi ch'io loico fossi!
E al VI del _Purgatorio_, non con diversa immagine si esprime Buonconte
figlio dello stesso Guido.
Pag. 425.
_Il terzo giorno ciberò del pane_
_Nel vin temprato su l'arca del morto._
La causa di parlare siffatto è manifesta dal Commento che fa il Landino
al verso del Canto XXXIII del _Purgatorio, — Che vendetta di Dio non
teme suppe_. «Creda che Dio ne farà vendetta.»
Referisce lo Imolese che in Firenze era opinione, che chi avesse
commesso omicidio, e mangiasse sopra il corpo del morto una zuppa, non
potea dipoi per vendetta esser morto: e il figliuolo di Dante, il quale
commentò questa Commedia, afferma che in questi tempi, quando alcuno dei
grandi cittadini era stato morto nella nostra città, i propinqui
guardavano la sepoltura insino a nove giorni che alcuno non vi mangiasse
zuppa.
Pag. 427.
_Oretta, — Oretta, non ti vedrò più!_
_L'eco dei monti gli risponde — più. _
Questa idea fu suscitata da quel verso di Byron nella _Fidanzata
d'Abido_, «Where is my child? an Echo answers, Where.» — Byron poi
confessa di averla tolta da un manoscritto arabo citato nelle note dei
_Piaceri della Memoria_, che dice: «I came to the place of my birth and
cried, the friends of my youth, where are they? and Echo answered, Where
are they?»
Pag. ivi.
_Mesto mesto incamminasi al piviere ec._
Da tutti i monumenti storici della età della quale trattiamo, agevol
cosa è rilevare _pivieri_ dirsi li scompartimenti dei contado oggidì
chiamati cure e parrocchie; qui poi Piviere sta propriamente per la casa
del Pastore, che ora intendo nominare Canonica: _sere_ essere il titolo
del sacerdoti e dei notaj, che or tuttavia questi ultimi conservano,
avendolo i primi mutato col don; e mastro, o maestro, quello dei medici.
Pag. 429.
_Il libro della vita è scritto._
La quistione sul libero arbitrio, di cui si fa motto nella Scena
presente, era la favorita dei tempi. Dante nel VII dello _Inferno_ aveva
attribuito una qualche influenza alla fortuna su le azioni umane. Cecco
di Ascoli, che trasse l'oroscopo alla figlia del duca di Calabria, e per
influsso di pianeta chiarì entrambi sagacissime femmine, che, come
astrologo fu abbruciato a Firenze, stimando aver tolto l'Alighieri il
libero arbitrio, nel suo poema l'_Acerba_ acremente il rimprovera al
passo che comincia: _In ciò peccasti, o Fiorentin Poeta_: il quale per
esser riferito dai Tiraboschi, dal Ginguené, dal Pignotti e da molti
altri, non riportiamo. Niuno però era più che Dante convinto del libero
arbitrio; la sua dottrina in questo proposito è chiara pel discorso che
fa tenere a Marco Lombardo al XVI Canto del _Purgatorio_, e più anche
Ti travagli per esso? Ah! mal conosci
Di queste sedi la stirpe esecrata. —
Virtù maligna dalle stelle piove
Che il cuor dell'uomo indura e lo fa tristo. —
Anch'io nei primi giorni della vita,
Quando i sogni son di Angioli, e la mano
L'agnello e il serpe palpa, e il labro ride
Al fior della bellezza, e al fior de' morti,
Alla cicuta e alla rosa, — uno amico
Vagheggiava pur io sopra ogni volto.
Stolto! e credei che l'anima, non altri,
Informasse le voci. — Ahi! che ben presto
Conobbi a dura prova unirci l'odio. —
Fa al figlio il padre scontare il delitto
Di averlo ingenerato; — fa l'amico
Scontare amaro all'amico il delitto
Di aver posto in lui fede; — l'uomo all'uomo
Eterna è guerra; — in chi la scure teme,
O Dio, non è di sangue, ma di frode. —
Guai! se il timor di Dio cessasse; — guai!
Se della scure il timore: — avventarsi
Tu vedresti l'un l'altro, — trucidarsi. —
Ma vivi lascia la strage di tutti
Sol due: — si scorgono, — l'odio rattiene
L'anima che fuggiva, — egri, — carponi
Strascinansi; — son presso, — alzan la mano
Per percuotersi entrambi, — a mezzo l'atto
Tronca la morte, — spirano. La tomba
Gli uomini in pace unisce sola.
_Lemmo_ E verga
Del Signor fatti: egli è temuto Dio,
Ma è maladetto il fulmine. — Ah! non spenta
È virtù; — vive questa via di stelle;
Questa nei piani di Betuelle apparsa
Mistica scala, che alla terra il cielo
Aggiunge, — vive: — vedi dalle mura
Diroccate, dal suol sparso di sale
Della regia Milano assorge cinto
Di aureola immortal l'Italo genio: —
Vedi fuggire i Federighi, e in altre
Portar terre la rabbia di mal spenta
Fame, e il furore di un orgoglio oppresso. —
Vili fummo divisi, — uniti, invitti.
Natura invan co' monti e con le nevi
Ci difende; non v'è figlio d'Italia
Che accorra all'Alpi. — Lo straniero scende
A suo grand'agio; — averi toglie e vite,
E ci deride. — patria mia, ti strigni
Con Fiorenza, e con lei Milano; — o stati
Di poche spanne, in battagliarvi eterni
Che fate voi? — un regio manto in brani
Siete... V'unite, e surgeran più belle
Le itale glorie che non fur mai morte;
Però che il sole e la virtude spenti
Fieno a un punto in Italia.
_Gualfredi_ L'amistanza
Che sia del forte non intendi; — meglio
Servaggio intero, — meglio morte. — Il petto
Nostro, se perir dessi, oh!... per altrui
S'apra: per noi non già. Ma se t'è dato,
Con l'ala del pensier sorgi tant'alto
Che al baleno dell'occhio il mondo tutto
Scorga, ed i piani del passato. — Vedi,
Questa è vicenda di bene e di male;
Ma gemesi mille anni nel dolore
Per un lampo di gioia, e per la notte
Vagasi in traccia un secolo di un punto
Luminoso che appresso ha falsa luce. —
Son tenebre per tenebre: — che giova
Travagliarci? soffrire è la condanna
Dell'uomo. Or se fortuna dagli oppressi
Mi scevra, — accetto: — un più vetusto patto
Ho con natura; di fuggire il danno.
_Lemmo_[18] Cielo d'Italia, perchè non ti anneri.
Poichè la gente che il tuo azzurro allegra
Tanto è diversa? A che mai sorgi, o Sole?
Qui non contempli più le ardue battaglie
Che illuminavi un dì... qui non le geste.
Qui non tombe di eroi; — ma colpe e sangue.
O campi, o selve d'orror sacro piene,
Copritevi di lutto; — il vostro aspetto
Ridente mi contrista; — echi educati
Agl'inni dell'onore, or vi ammutite.
Qui non suona che gemito; sia nero
Il manto della bara, — oscuro: — insulto
È qui letizia; — è un oltraggio il sorriso.
SCENA VI.
GERI, MANENTE, GUIDO, NELLO, E DETTI.
_Geri_ Pace, — una volta — pace; — è breve il varco
Dall'ira all'odio, e or qui spirar dee amore.
_Lemmo_ Falli, Geri; non è suon d'ira il mio,
Ma di pietà...
_Gualfredi_ Per altri serba, Lemmo,
Codesta tua pietà; per me saria
Non sopportabil peso. — Esser temuto
Io voglio, — non compianto.
_Lemmo_ Odi, Gualfredo,
Cosa che in mente riporrai. — Son pochi
In questa terra i buoni, — i tristi molti; —
Agevol quindi è assuggettarla. — Capo
Di parte avversa a te mi dice il grido,
Ma nè anco potendo io ti sarei
Nemico, chè uomo esser di sangue aborro,
E tu mi se' fratello. — Uccidi e vinci. —
Forse tepido il sole al fiore stretto
Per gelo tornerà; — forse la scarsa
Scintilla fie che un dì riviva in fiamma. —
Quel che per colpa dei padri perdemmo
Racquisteranno con virtude i figli;
Così giova sperare. — Ai miei castelli
Mi ritrarrò.
_Gualfredi_ Dove il piacer ti mena
Ti scorti il cielo; e quando mai consiglio
Mutassi, — come il cor, teco diviso
Sarà l'imperio mio.
_Lemmo_ No, — abbilo tutto,
E l'abbominio....
_Geri_ Ora a men triste cose
S'intenda. — Volga fortuna la ruota,
E il villano sua marra. — Or dite, Lemmo,
Berrete voi per la salvezza nostra
Una coppa? Fia dessa in che bevea
Lo padre vostro.
_Lemmo_ E perchè di sua casa
Non berrà Lemmo alla salvezza? — Oh! viva
Mille anni, — viva e gloriosa sempre...
Ma e il mio figlio vi sia...
_Geri_[19] Porgi la coppa.
Prendi...[20]
_Lemmo_ Ma... e Dore?
_Geri_ Or vi sarà...
_Lemmo_ Gualfredo!
Sovvienti come il padre nostro — (il cielo
Faccia pace a quell'anima) i bei fregi
Di questa coppa scorrere godeva
A parte a parte, e mostrarne il fin niello:
Quindi additava l'arme: — ecco il lione,
Dicea, rampante, ecco la immagin nostra,
Sdegnosi e grandi. — O figli miei, lioni
Siatevi sempre, — e non mai volpi.
_Geri_ Bevi.
_Lemmo_ Bevo. — Cortese il ciel vi sia... Ma questo
È sangue!
_Geri_ E t'abbi entro quel sangue il figlio...
_Lemmo_ Tu... Dore hai morto?... Dio eterno!
_Gualfredi_ Oh misfatto![21]
_Lemmo_ Dov'è il mio figlio, scellerato? il figlio
Rendimi... Ah! tu non lo uccidesti? — Cessa
Dal triste giuoco; — egli feroce è troppo: — Le
mie paterne viscere dirompe; —
Io sopportar noi posso. — O Geri, in nome
Di Dio chiamami il figlio...
_Geri_ Il suono indarno
Le sue orecchie percuote... ei non lo intende; —
Perocchè dorme...
_Lemmo_ Oh! — s'ei riposa... statti.
Forte lo udii nelle trascorse notti
Travagliarsi nei sonni... A lui mi guida
Tacitamente; — ch'io lo vegga, lascia: —
Vedere un figlio al genitor chi nega?
_Geri_ Vieni, — lo vedi, — e mori.
_Gualfredi_[22] Scellerato!
Se il giudicio di Dio non mi tenesse...
Io parricida... — A te che dir mai posso,
Caro infelice?... maladetto l'uomo
Che confida nell'uomo... entrambi fummo
Traditi. — Oh! non confondermi nell'ira
Co' rei: — deh! nel pregar da Dio vendetta,
Non maledirmi; — del misfatto questa
Ben è la casa, — ma innocente io sono.
_Lemmo_ Sii benedetto... ma mi rendi il figlio...
Le mie castella vuoi? — l'abbi. — Di patria
Fuori desii che ramingando io vada? —
Andrò. — Ma deh! fratel mio dolce, — Dore
Rendimi, — Dore... solo...
_Gualfredi_ Ah! s'io potessi
Renderti il figlio, — sallo il ciel se a prezzo
Del sangue mio lo ti rendessi. — O servi,
Da questo infame luogo il rimovete...
Infortunato! — in te l'angoscia ha spento
La luce della mente...
_Lemmo_ Chi mi strappa
A forza? — o Dore, il padre aita. — Fuggi,
O ch'ei ti ucciderà... possente ha braccio
Siccome bello ha il core: — eccolo! — Vieni;
Beami nel tuo amplesso. — Ahimè! disparve;
Ei sotterra disparve. — Occhi miei tristi,[23]
Spegnetevi, dacchè veder v'è tolto
Il figliuolo nostro.
_Gualfredi_ O deh! non farlo, misero![24]
Solo, — come da fulmine percosso
Di Dio merti le lagrime; — da questo
Terreno affanno una pietà profonda
Ben tosto ai gaudi dell'eterna vita
Ti avvierà: — piagni, ma spera; — il cielo
Me poi condanna al pianto, e alla paura.
Vedi, uom di sangue, la bell'opra? —[25]Godi.
_Lemmo_ Io ebbi amici, e non son più! — consorte
Io m'ebbi, e non è più! — aveva un figlio,
E non è più! — Ramingo... disperato
Come Caino, e non ho colpa. — Dio,
Perchè col peso del tuo sdegno aggravi
Uno innocente?
SCENA VII.
GUALFREDI, GERI, MANENTE.
_Gualfredi_ Il giorno in che la donna
Dal materno alvo accolseti, e a me volta
Disse: — Gualfredo, avete un figlio, — giorno
Fu di dolore a Dio, e di tremenda
Gioia a Satano.
_Geri_ E porpora più vaga
Al mondo fu di quella tinta in sangue
Di un odiato? — E quale ebbe Fiorenza
Vivo colore che al paraggio valga
Di quel che scorre per entro le vene
Di un nemico?...
SCENA VIII.
NELLO, E DETTI.
_Nello_ Gualfredo! — a rumor mossa
È la terra, — qui piegano aspramente
Feriti i Bianchi: — per Dio! sorti...
_Gualfredi_ Oh! tutti[26]
Si trafiggano, — tutti; — e il corpo mio
Faccia coperchio alla universa tomba.
SCENA IX.
GUIDO, E DETTI.
_Guido_ Damiata è cinta: — ognun di voi domanda,
Messere, e traditor vi appella.
_Gualfredi_ Il tristo.
Buon tempo egli è che pei sembianti appresi
Starsi, — non per le cose. — Il nome è nulla, — E
E poichè infame io non la temo... guardo
Fiso la morte, e alla morte sorrido.
SCENA X.
ALTRO SERVO, E DETTI.
_Servo_ Messer... la porta scassinata... a terra
Cadde. — Lazzarri, il fier nemico vostro.
Porta un capestro, e di appiccarvi grida
Al balcon del castello.
_Gualfredi_ Oh! nequitosa
Plebe! — me appeso! — me d'infame morte
Ucciso! — Ov'è una spada? — Or proverai
Che sia destar lion quando si posa. —
Io niuno stringo; — seguami chi vuole...
Qualche bel colpo or la mia morte onori.
SCENA XI.
GERI, MANENTE.
_Geri_ Inferocisti alfine! — Or corri ratto
Manente a Uberto: — per la minor porta
Esca, — furtivo i Neri a tergo assalga. —
Io finch'ei giunga terrò fermo: — vola, —
Pensa qui andarne di morte o di vita.
ATTO QUINTO.
Innamorata se ne va piangendo
Fuora di questa vita
La sconsolata, che la caccia Amore.
Ella si muove sì dolendo,
Che anzi la sua partita
L'ascolta con pietade il suo Fattore.
DANTE ALIGHIERI.
SCENA I.
Facciata di una Chiesa intorno alla quale stanno le arche de'
Cancellieri. È sera.
BIANCA.
Grato ufficio compiei. — Trovai l'angoscia,
Ho lasciato il contento... Oh! di qual puro
Gaudio brillò! dei Santi gaudio egli era. —
Quanti pochi deliziarsi sanno
Nel gaudio altrui! Povera zia! di gioia
Ben era tempo. — Tu piangesti tanto!
Altro, e più mesto ufficio avanza. — In questa
Tenebra, chi mai la diletta tomba
Additerammi? — Il core. — Eccola... è dessa. —
Polve che dentro di quest'arca stai,
Di tal che fu tua figlia odi la prece: —
I baci miei del marmo che ti fascia
Temprino il freddo e ti riscalda. — Sorga
Qualche scintilla dell'antico amore...
Non risponde che l'eco. — E qual del cielo
Parte ti accoglie, o madre, che non m'odi?
Forse ti specchi in Dio, e nel suo ardente
Riso ti fai beata? — Oh! a questa valle
Volgi il guardo, e vedrai cosa che in cielo
Anco ti fie diletta. — Ah! noi raminghi
Di Eden condanna allo sapere al pianto; —
Forse più che non temo a me si appresta
Di travaglio... — A soffrire ti apparecchia...
Meditiamo la morte...[27]
SCENA II.
DUE UOMINI CHE PORTANO UNA BARA.
_1º Uomo_ A quel superbo
Che per meglio punire il cielo innalza
Piegan tutti, non io. — Ti aborro, o vile
Idol di creta.
_2º Uomo_ Alto corriam periglio...
_1º Uomo_ Pari al piacer di dire allo infelice
Padre: — piagnete qui; — qui dentro è il corpo
Del figlio vostro. — Senza croce, — a lume
Spento, volea ch'io lo gittassi a' cani. —
Ma tu pria che a congiungerti alla terra
Ritorni, — oscuro sì ma pur sincero
Avrai, misero, il pianto.
_2º Uomo_ Infortunato!
Dei begli anni sul fior tolto alla vita
Chi mai lo avrebbe detto? — Sì cortese.
Sì costumato egli era.
_1º Uomo_ Amico! il core
Come per morte di un mio stesso figlio
Ho sanguinente.
_2º Uomo_ Sua dimora ha tolto
Fra Lotteringo in questo monastero;
Andianne a lui, e lo preghiam che venga
Di acqua aspergerlo santa, e dei defunti
Dirgli la prece pria che in tomba ei scenda.
_1º Uomo_ O buon Gaudente, qual sarà il cor tuo
All'atroce novella? Indarno pace
Bramasti; ch'ella in questa terra frutta,
Della scienza nuovo arbore, la morte.
_2º Uomo_ Esaudisci, Signor, la mia preghiera;
Questo spirto raccogli sotto il manto
Di tua misericordia.
_1º Uomo_ Così sia.
Requie eterna concedi a lui, Signore.[28]
SCENA III.
BIANCA.
Esser pareami in cielo... Or dove sono?
Misera me! oltre il dovere assente
Stetti; — al castello di tornare è tempo. —
Polve diletta, che secondo spiro
Per avviarmi a lieto porto sei,
Vale: — estremo a involarti nella notte,
Primo a spuntare sul mattino, — dolce
Pensiero e caro. O santa madre mia,
Volgi talvolta un guardo di conforto
Alla figlia nella ora che frappone
Ai nostri amplessi desiati il tempo.
Ma alcun qui mosse: — già non v'era dianzi
Quella torcia! — Che fia? — Cristo! un feretro!
Ahi! come tremo io forte... Il tristo trema
All'aspetto dei morti, o Bianca; — tutti
Saran com'esso, e tu... Or chi fie questo
Che come maladetto senza prece
È portato alla fossa? — Ove a te ogni altra
Manchi, — infelice! — avrai la mia: — ma in volto
Io vo' vederti. — Ah mi si strigne il core;
Nol far... Me preme una secreta forza.[29]
Dore... Gran Dio! l'anima stanca acco...gli.[30]
SCENA IV.
GUALFREDI, GERI, MANENTE, UBERTO E SUA MASNADA, ED ALTRI PARTIGIANI.
_Partigiani_ Vivano i Bianchi!
_Altri_ Viva!
_Al Al tempio.
_Tutti_ Al tempio.
_Gualfredi_[31] Da questa plebe che aborro travolto,
Mi accosto al tempio tremando e sperando
Che se reietti, non saranno almeno
Esecrati i miei voti... Scellerato!...
Come l'osate voi?...
_Geri_ Ogni uom si stringe
Dove gli torna la cintura. — Ogni uomo
Provegga alla sua anima. — Volete
Che io batta al tempio?
_Gualfredi_ Scostati, demonio...
Dio non s'insulta... Io batterò...
_Geri_ Battete.
SCENA V.
FRA LOTTERINGO DAL TEMPIO, E DETTI.
_Lotterin._ Chi percuote alle porte? — Che si vuole
Dalla casa di Dio? — Chi se'? — Gualfredo!
Esecrata dell'empio è la preghiera;
Dio la disperde irato, o la converte
In maledizion, e su la testa
Folgorando allo iniquo la ripiomba. —
Scostati dagli altari: — un giorno Dio
Ti ruggirà su l'anima, e la impronta
Vi scorgendo del sangue: — Immaculata —
Ei dirà — e casta ella da me partissi,
Perchè l'hai sozza? Non è più mia figlia.
Scostati dagli altari. — Oza protervo
Un fuoco arse celeste, e Core un fuoco
Terreno incese. Una fraterna guerra
Pugnasti, — una fraterna alma sciogliesti;
E vuoi compagno a' tuoi misfatti Iddio?
Tu non se' degno ch'ei la man ti posi
Grave, tremenda sul capo, e ti sperda.
Miserabile! — il fulmine è serbato
A più alti delitti. — Al tuo... gli orrori
Bastano della notte, e lo sognate
Fantasime crucianti del rimorso,
E la paura del fuoco infinito. —
Ma Dio t'insegue: — oh! qua ti volgi; — vedi
Questa bara? sai chi racchiude? — Il tuo
Nepote atrocemente assassinato. —
Tra il santuario e te, frapposto ha Dio
Il tuo delitto.
_Gualfredi_ Ahi! che innocente io sono.
_Lotterin._ Sì, — come Giuda. Se tal sei, t'accosta,
Vieni, e lo giura sul capo del morto...
Ma temi che non scorra dalle peste
Narici il sangue su le labbra; temi
Non venga a ribollir spumoso... temi
Fino all'inferno non si avvalli il suolo.
_Gualfredi_ Padre! non sono io reo...
_Lotterin._ Giuralo...
_Gualfredi_ Il giuro...
_Lotterin._ Tu tremi?
_Gualfredi_ Sì... ma di pietà...
_Lotterin._ Si scopra
Il cadavero: or vieni... Oh morte eterna!
Tua figlia!
_Gualfredi_ Cristo! Lasciami...[32] O diletta!
_Lotterin._ Scostati; — è morta!
_Tutti_ È morta!
_Gualfredi_ O Bianca!... o figlia,
Nell'ora del dolor vegliami, o Dio,
Che la morta ragion l'alma non stringa
Al fiero passo dei martirii eterni.
_Manente_ Io non ho vena che non tremi tutta. —
Rendiamci a Lui che volentier perdona;
Geri... rendiamci... a... Dio.
_Geri_ Sul capo nostro
Piovve commista al maledir di Dio
La linfa del battesmo: eternamente
Dannati... il cielo per tremar non s'apre...
Gemi, codardo? — In me ti affisa... io voglio
Che ben degno di lui m'abbia l'inferno.
ALLUSIONI STORICHE.
Pag. 424.
_Appiè del letto_
_Starsi un demonio che vi guata fiso._
Questa credenza religiosa era comune a quei tempi. Nello _Specchio della
vera Penitenza_ trovasi un fatto molto somigliante all'esposto; non sia
grave di leggerlo qui trascritto. — «E' fu uno cavaliere in Inghilterra
prode in arme, ma di costumi vizioso, il quale gravemente infermato, fu
visitato dal re che era uno santo uomo; e indotto che dovesse
acconciarsi nell'anima, confessandosi come buon Cristiano, rispose, e
disse: Che non era bisogno, e che non voleva mostrare di aver paura, nè
essere tenuto codardo o vile. Crescendo la infermità, e il re un'altra
volta venne a lui, e confortandolo, e, come aveva fatto prima,
inducendolo a penitenzia e a confessare li suoi peccati, rispose: Tardi
è oggimai, messer lo re; perocchè io sono già giudicato e condennato,
chè male a mio uopo non vi credetti l'altro giorno quando mi visitaste,
e consigliastemi della mia salute, che, misero a me! ancora era tempo di
trovare misericordia. Ora, che mai non fossi io nato! m'è tolta ogni
speranza; chè poco dinanzi che voi entraste, a me venneno due bellissimi
giovani, e puosonsi l'uno da capo del letto, e l'altro da piè, e
dissono: Costui dee tosto morire; veggiamo se noi abbiamo nessuna
ragione in lui. E l'uno si trasse di seno un piccolo libro scritto di
lettere d'oro, dove, avvegnachè in prima non sapessi leggere, lessi
certi piccoli beni e pochi ch'io aveva fatti nella mia giovanezza,
innanzi che mortalmente peccassi: nè non me ne ricordava. E avendone
grande letizia, sopravvennero due grandissimi, nerissimi e crudelissimi
dimoni, e puosono innanzi a' miei occhi uno grande libro aperto, ove
erano scritti tutti i miei peccati, e tutti i mali ch'io aveva mai
fatti, e dissono a quelli due giovani ch'erano gli angioli di Dio: Che
fate voi qui? conciossiachè in costui nulla ragione abbiate, e il vostro
libro, già è molti anni, non sia valuto niente. E sguardando l'uno
l'altro, gli angioli dissono: E' dicono vero. E così, partendo, mi
lasciaro nelle mani dei dimoni: i quali con due coltella taglienti mi
segano l'uno dal capo, l'altro da' piedi. Ecco quelli da capo mi taglia
ora gli occhi, e già ho perduto il vedere. e l'altro ha segato infino al
cuore, e già non posso più vivere — E dicendo queste parole, si morì.» —
Dante, al XXVII dell'_Inferno_, tal fa parlare Guido da Montefeltro:
Francesco venne poi, com'io fu' morto,
Per me; ma un de' neri cherubini
Gli disse: Nol portar; non mi far torto.
Venir se ne dee giù tra' miei meschini,
Perchè diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono a' crini;
Ch'assolver non si può chi non si pente;
Nè pentere e volere insieme puossi,
Per la contraddizion che nol consente.
O me dolente! come mi riscossi,
Quando mi prese, dicendomi: Forse
Tu non pensavi ch'io loico fossi!
E al VI del _Purgatorio_, non con diversa immagine si esprime Buonconte
figlio dello stesso Guido.
Pag. 425.
_Il terzo giorno ciberò del pane_
_Nel vin temprato su l'arca del morto._
La causa di parlare siffatto è manifesta dal Commento che fa il Landino
al verso del Canto XXXIII del _Purgatorio, — Che vendetta di Dio non
teme suppe_. «Creda che Dio ne farà vendetta.»
Referisce lo Imolese che in Firenze era opinione, che chi avesse
commesso omicidio, e mangiasse sopra il corpo del morto una zuppa, non
potea dipoi per vendetta esser morto: e il figliuolo di Dante, il quale
commentò questa Commedia, afferma che in questi tempi, quando alcuno dei
grandi cittadini era stato morto nella nostra città, i propinqui
guardavano la sepoltura insino a nove giorni che alcuno non vi mangiasse
zuppa.
Pag. 427.
_Oretta, — Oretta, non ti vedrò più!_
_L'eco dei monti gli risponde — più. _
Questa idea fu suscitata da quel verso di Byron nella _Fidanzata
d'Abido_, «Where is my child? an Echo answers, Where.» — Byron poi
confessa di averla tolta da un manoscritto arabo citato nelle note dei
_Piaceri della Memoria_, che dice: «I came to the place of my birth and
cried, the friends of my youth, where are they? and Echo answered, Where
are they?»
Pag. ivi.
_Mesto mesto incamminasi al piviere ec._
Da tutti i monumenti storici della età della quale trattiamo, agevol
cosa è rilevare _pivieri_ dirsi li scompartimenti dei contado oggidì
chiamati cure e parrocchie; qui poi Piviere sta propriamente per la casa
del Pastore, che ora intendo nominare Canonica: _sere_ essere il titolo
del sacerdoti e dei notaj, che or tuttavia questi ultimi conservano,
avendolo i primi mutato col don; e mastro, o maestro, quello dei medici.
Pag. 429.
_Il libro della vita è scritto._
La quistione sul libero arbitrio, di cui si fa motto nella Scena
presente, era la favorita dei tempi. Dante nel VII dello _Inferno_ aveva
attribuito una qualche influenza alla fortuna su le azioni umane. Cecco
di Ascoli, che trasse l'oroscopo alla figlia del duca di Calabria, e per
influsso di pianeta chiarì entrambi sagacissime femmine, che, come
astrologo fu abbruciato a Firenze, stimando aver tolto l'Alighieri il
libero arbitrio, nel suo poema l'_Acerba_ acremente il rimprovera al
passo che comincia: _In ciò peccasti, o Fiorentin Poeta_: il quale per
esser riferito dai Tiraboschi, dal Ginguené, dal Pignotti e da molti
altri, non riportiamo. Niuno però era più che Dante convinto del libero
arbitrio; la sua dottrina in questo proposito è chiara pel discorso che
fa tenere a Marco Lombardo al XVI Canto del _Purgatorio_, e più anche
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Çirattagı - I Bianchi e i Neri: Dramma - 5
- Büleklär
- I Bianchi e i Neri: Dramma - 1Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3732Unikal süzlärneñ gomumi sanı 145537.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- I Bianchi e i Neri: Dramma - 2Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3210Unikal süzlärneñ gomumi sanı 122535.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- I Bianchi e i Neri: Dramma - 3Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3245Unikal süzlärneñ gomumi sanı 127637.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- I Bianchi e i Neri: Dramma - 4Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3477Unikal süzlärneñ gomumi sanı 146636.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- I Bianchi e i Neri: Dramma - 5Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 2920Unikal süzlärneñ gomumi sanı 143139.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.