Gli eretici d'Italia, vol. III - 39
Süzlärneñ gomumi sanı 4292
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 2085
31.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
46.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
52.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Cristo e Viva Calvino, eccitare alla libertà, ed occupato il Milanese e
fattosene duca, di là spingere le sue conquiste. Scoperto, molti suoi
settarj furono arrestati, sette dovettero in duomo far abjura solenne;
indi furono rimessi a Roma, e condannati a portar «per contrasegno dei
loro falli una mantelletta gialla sopra le spalle». Egli fuggì, e in
contumacia il Sant'Uffizio lo processò e condannò, ordinando omnia
illius scripta hæretica comburenda esse; _omnia bona mobilia et
immobilia confiscanda et applicanda, vetantes sub pœna latæ sententiæ ne
quis cum illo tentet, recipiat, juvet; et mandantes omnibus patriarchis
et primatibus ut ipsum Burrum arrestent, vel arrestandum curent,
teneant, certiores nos faciant ut statuamus quid ipsi faciendum;
relaxantes ut non solum magistratus secularis sed quilibet qui possit et
velit in favorem fidei nostræ ipsum capiat et teneat._
Ai 3 gennajo 1661 «l'effigie del detto Giuseppe Francesco Borro, depinto
al naturale in un quadro, fu portata per Roma sopra un carro
accompagnato dalli ministri della giustizia, nella piazza di Campo di
Fiore, dove dal carnefice fu appiccata sulle forche, e dopo abbruciata
con i suoi scritti».
Egli era rifuggito in Isvizzera, ben accolto come vittima
dell'Inquisizione, e a Strasburgo «è fama incitasse quegli eretici ad
abbruciare pubblicamente la statua del pontefice, forse in vendetta
d'esser egli stato abbruciato in effigie a Roma. In Olanda acquistò gran
credito come insigne chimico e medico, e cavalieri e principi di Francia
e di Germania veniano per le poste a consultarlo e conoscerlo»; onde
arricchito sfoggiò; faceasi dare dell'eccellenza, fu dichiarato
cittadino d'Amsterdam, e dicono avesse dodicimila doppie in denari e
gemme quando, caduto di credito colla facilità ond'era salito, fuggì di
colà lasciando pessima fama. Ad Amburgo incontrò Cristina regina di
Svezia, che gli diede soccorsi per raggiungere la grand'opera, cioè la
tramutazione de' metalli inferiori in oro. Fallitogli il tentativo, fu a
Copenaghen, ove re Federico III gli somministrò ancora denari e comodità
per fabbricar oro, anzi gli chiedeva consigli politici. Ma il succeduto
Cristiano V gli diede cinquecento talleri, patto che se n'andasse
subito. Difilossi allora verso la Turchia, ma in Moravia arrestato per
sospetto, fu dall'imperatore consegnato al nunzio pontifizio, che lo
spedì a Roma, con promessa gli sarebbe salva la vita. Al giudizio
comparve ben in arnese, «con un vestito di moàro fiorato nero, con
un'ongherina dell'istesso, ben fornita di guarnizione: la sua statura è
alta, ben proporzionato di membra: capelli neri e ricci, viso tondo,
carnagione bianca, sembiante maestoso». Fu tenuto per pazzo ed obbligato
solo a solenne abjura l'ottobre 1672, condotto a Loreto a far amenda
presso la Beata Vergine, poi condannato a recitar salmi e credo, e
chiuso in prigione perpetua. Quivi restava sempre oggetto di curiosità,
e il duca d'Estrée ambasciadore di Francia, gravissimamente malato, ne
chiese un consulto; e guarito, impetrò fosse detenuto semplicemente in
Castel Sant'Angelo; anzi potesse uscir qualche volta a visitare malati,
e tenere corrispondenze. Morì il 20 agosto 1695.
Le dottrine sue sono deposte nella _Chiave del gabinetto del cavaliere
G. F. Borro, col favor della quale si vedono varie lettere scientifiche,
chimiche e curiosissime, con varie istruzioni politiche, ed altre cose
degne di curiosità, e molti segreti bellissimi_ (Colonia 1681); e sono
dieci lettere che fingonsi scritte a persone qualificate intorno ai
segreti della grand'opera. Per la quale Olao Barch non esita a chiamarlo
_phœnicem naturæ et gloriam non tantum Hesperiæ suæ sed Europæ_[360]. Ma
essa fu stampata da altri durante la sua prigionia, ed è strano come,
mentre vi discorre degli spiriti elementari, della pietra filosofale, di
cosmetici e panacee, mostri beffarsi delle scienze occulte, e «aver
sempre sospettato fossero piene di vanità»: ma si giovò della credulità
universale; «e così (dice) mi trovai ben tosto un grand'uomo; aveva per
compagni principi e gran cavalieri, dame bellissime e delle brutte
ancora, dottori, prelati, frati, monache, infine persone d'ogni serie.
Alcuni inclinavano a' diavoli, altri agli angeli; alcuni al genio, altri
agli incubi; alcuni a guarire d'ogni male, altri alle stelle; alcuni ai
segreti della divinità, e quasi tutti alla pietra filosofale». Certo e'
profittava dei creduli, come fanno i ciarlatani de' nostri giorni.
Altra cura dell'Inquisizione fu il vigilare sopra devozioni o improvide
o eccessive, quali erano quelle degli schiavi della Madonna santissima;
del voto sanguinario, che importava di sostener anche colle armi
l'Immacolata Concezione di Maria; le indulgenze prodigate a chi portava
l'abitino, e simili. Di ciò doveva peccare Giacomo Lombardi, la cui
_Semplicità spirituale_, il _Trattato dell'esteriorità_, ecc., furono
proibiti il 28 marzo 1675 con tutti i costui opuscoli. Le pratiche o
arsenali del Sant'Uffizio contengono lunghi cataloghi di libri
superstiziosi, preghiere, storielle devote, scapulari, come la _Hebraica
Medaglia detta Maghen David et Abraham_, dichiarazione di Angelo
Gabriello Anguisciola, che la sant'Inquisizione ordinò consegnasse al
Sant'Uffizio chiunque ne possedesse alcun esemplare.
Neppur era dimenticato il concetto dell'Evangelio Eterno, cioè d'una
nuova rivelazione che si surrogasse, e compisse quella di Cristo,
conducendo ad una perfezione cenobitica più sublime[361]. Marc'Aurelio
Scaglia del Monferrato vestiva da prete, possedeva le visioni del Beato
Amedeo confessore di Sisto IV e quelle del Neri fiorentino; e diceva
che, in tempo di Paolo V, seguirebbe gran riforma della Chiesa con
grandissime tribolazioni; e che verrebbe un Francescano, uomo angelico
di nome Pietro, indi altri Pietri; e ogni felicità succederebbe a
Firenze[362].
Anche una suor Teresa in Sicilia da pretese illuminazioni si lasciò
indurre a credere d'esser la quarta persona della Trinità e
corredentrice, e trovò fede in molti. Nel 1693 si conobbe una setta di
cavalieri dell'Apocalisse, che proponeasi di difender la Chiesa
cattolica contro l'anticristo. L'aveva istituita Agostino Gabrino, nato
da un mercante bresciano, e avea reclutati da ottanta seguaci, la più
parte mercanti ed operaj, che anche durante il lavoro doveano tenersi a
lato uno stocco; sul petto portavano una stella con sette raggi e una
coda, circondata da un filo d'oro: questa dovea figurare il globo
terracqueo; la coda, la spada veduta dal rapito di Patmo. Il Gabrino
intitolavasi monarca della santa Trinità; e chi dicea mirasse a
sovvertimenti politici, chi che volesse introdur la poligamia. La
domenica delle palme del 1693, allorchè in San Pietro del Vaticano
intonavasi _Quis est iste rex gloriæ_, cacciossi colla spada alla mano
fra i celebranti, gridando: _Ego sum rex gloriæ_: altrettanto fece in
altra chiesa; onde fu posto ne' pazzi. Ma uno de' suoi adepti,
intagliatore di legno, lo denunziò all'Inquisizione, che processò gli
accusati.
Antonio Oliva di Reggio (1624-89), venuto in tal fama a Roma, che a soli
diciannove anni fu eletto teologo del cardinale Barberini, prese parte
alla sollevazione di Masaniello: sbandito, ritirossi a Firenze, ove fu
ascritto all'accademia del Cimento, e scrisse sui liquidi, sui sali,
sulla generazione dei bacherozzoli, molto lodato dai contemporanei.
Repente abbandonata la cattedra di Pisa, forse per nimicizie col Redi,
portossi a Roma, careggiato dai prelati e dai pontefici. Ma sotto
Alessandro VIII il Sant'Uffizio scoprì che, in casa di monsignor
Gabrielli, tenevasi una conventicola, nominata Accademia de' Bianchi,
perchè proponeasi dar _di bianco_ non solo ad abusi del governo
pontifizio, ma della religione, col fine di ricondurla alla primeva
semplicità. V'apparteneva il nostro Oliva, con un Picchetelli detto
Cecco Falegname, un Alfonsi, un Capra, i dottori Mazzutti, e un Pignatta
segretario. Furono arrestati, e messi tutti alla tortura, eccetto il
Gabrielli il quale passò per imbecille, e riversò ogni colpa sull'Oliva.
Questi vedendo disperato il caso suo, si precipitò da una finestra del
palazzo dell'Inquisizione, e si fracassò la testa.
Altrove indicammo come il misticismo invadesse anime pie e sante; nel
qual senso anche il Bellarmino scrisse _La scala per ascender a Dio
dalle creature_, tradotta dal latino in tutte le lingue, e il _Gemito
della Colomba ossia il ben delle lacrime_. Più illustre fu santa Teresa,
destinata dal papa e da Filippo II a riformare monasteri: la quale
definiva il diavolo «quell'infelice che mai non amò»; e diceva «che
l'intelletto umano dovrebbe giudicar delle cose come se al mondo non
esistessero che Dio e lui»[363].
Ma altre volte i mistici pareano trasportar ancora al medioevo, quando
l'ardimento e fin la temerità delle idee associavasi alla più fervente
pietà, alla fede più ferma: e questa tendenza a ingolfarsi nella
divinità di Cristo fin a dimenticarne l'umanità, portava a pensieri che
davano alimento pericoloso alle passioni e a teorie superbe, le quali
non valgono il minimo atto di bene pratico.
A un frate Egidio fu rivelato che una buona donna può amar Dio meglio
d'un dottore di teologia: ed egli corse per le vie gridando: «Venite,
buone donne; amate Dio Signor nostro, e potrete esser più grandi di san
Bonaventura».
Michele Molinos prete di Saragozza (1627-96), stabilitosi a Roma nel
1662, e salito in fama di gran pietà, nel 1675 vi stampò una _Guida
spirituale che conduce l'anima per cammino interiore a conseguire la
perfetta contemplazione e il ricco tesoro della pace interiore_. Suo
dogma fondamentale era che, chi coll'orazione della quiete congiunge
l'anima a Dio, più non può peccare di volontà; e così induceva ad una
specie di estasi; insomma ad annichilarsi pensando a Dio, e in tale
stato non prendersi briga di checchè succedesse nel corpo; le fantasie
più lubriche possono sorgere nell'anima sensitiva senza contaminarla, e
senza giungere alla superiore dove risiedono l'intelligenza e la
volontà. Iddio sottomette il credente al martirio spirituale di vive
tentazioni per dargli a conoscere la propria abjettezza, ma non che
sgomentarsene, convien mostrarne disprezzo, lasciando operar il demonio,
e tenendosi tranquilli, nella certezza che Dio guida alla salute non
solo colle virtù ma coi vizj. Parrebbe udir Lutero quando scriveva a
Melantone: «Sii peccatore e pecca poderosamente, ma la tua fede sia più
grande che il tuo peccato... Ci basta aver conosciuto l'agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo. Il peccato non può cancellare in noi il
regno dell'agnello, quand'anche fornicassimo e uccidessimo mille volte
al giorno»[364].
Per ventidue anni egli fu tenuto in concetto di santo direttore di
spirito; e Paolo Segneri, che lo confutò nell'_Accordo dell'azione e del
riposo nell'orazione_, passò per invido calunniatore, e per poco non
ebbe a perdervi la vita; ma il vescovo Inigo Caracciolo di Napoli
s'accorse de' guasti che ne venivano nella sua diocesi: e smascherati
gli errori, papa Innocenzo XI ne ammonì la cristianità. Il Molinos avea
così estesa corrispondenza, che, quando fu arrestato nel 1685, gli
furono trovate dodicimila lettere e molto denaro affidatogli da' suoi
devoti. Malgrado le potenti protezioni, sottoposto a processo dal
Sant'Uffizio, furono condannati i suoi libri; ed egli, convinto di
brutali eccessi, dovette ritrattarsi pubblicamente sulla piazza di Santa
Maria sopra Minerva il 3 settembre 1687, vestito di giallo con croce
rossa davanti e dietro. Erasi pubblicata indulgenza di quindici anni e
quindici quarantene a chi assistesse a quell'atto, sicchè, oltre il
sacro collegio v'accorsero gran popolo e nobili e dotti, pe' quali
eransi eretti palchi. All'udir leggere quelle massime, non men mostruose
che le colpe, la folla fischiava, e gridava _Al fuoco, al fuoco_.
Terminato, abjurò gli errori, ricevette l'assoluzione e i colpi di verga
sulle spalle e l'abito di penitenza, poi chiuso in una camera
coll'obbligo di confessarsi quattro volte l'anno, e recitare ogni giorno
il _Credo_ e la terza parte del rosario, sopravvisse in pentimento fino
al 28 dicembre 1696.
Con lui furono condannati all'abjura e alla prigionia i suoi proseliti
Simone Leoni sacerdote e Antonmaria suo fratello laico, di Campione sul
lago di Lugano. L'ultimo si ostinò per due mesi anche in false
interpretazioni di certi passi della Scrittura, finchè pur esso abjurò.
Sessantotto proposizioni di Molinos vennero formalmente condannate da
Innocenzo XI colla bolla _Cœlestis Pastor_, 20 novembre 1688. Insieme
condannossi come infetta di quietismo la _Contemplazione mistica_ del
cardinale Pietro Matteo Petrucci, natìo e vescovo di Jesi che avea
difeso il Molinos, e che, pentito, rinunziò a tutte le dignità.
Così l'immoralità veniva eretta in teorica con un osceno quietismo.
I nostri paesi subalpini, e nominatamente Vercelli, udirono dal
barnabita savojardo Francesco La Combe, e dalla famosa Guyon predicare
le vie dell'interiore, l'orazione del silenzio, la fede nuda, l'amor di
Dio puro e per se stesso, senza timori nè speranze: in modo che l'anima,
perduta l'individualità, confonde la volontà propria con quella di Dio,
al punto che non sa più qual cosa condannare in sè, di qual colpa
confessarsi. È noto che lo stesso Fénélon andò preso alle esaltazioni
mistiche della Guyon, e n'ebbe diverbi con Bossuet, poi condanna da Roma
come d'opinioni erronee, alla quale egli si sottomise.
Nella Valcamonica, terra alpina bagnata dall'Oglio fra il Trentino e il
Bresciano, il vescovo di Brescia Marco Morosini, per istruzione di quei
montanari, aveva istituiti molti oratorj o congregazioni. Ricevettero
queste eccitamento da Giacomo Filippo, laico milanese, il quale indusse
il vescovo a sistemarli a somiglianza degli oratorj di Santa Pelagia in
Milano, ma subito ne apparver tali disordini, che il vescovo sospese e
proibì l'opera (1653). Pure il mal seme fruttò, diffondendosi una specie
di quietismo, secondo il quale laici e sacerdoti predicavano
pubblicamente; uomini e donne indistinti s'adunavano nottetempo a orare
e flagellarsi, negando obbedienza ai parroci e ai vescovi, prolungando
fin sette e otto ore la preghiera, credendo sè soli santi, e
confessavansi pubblicamente. Pietro Ottoboni cardinale, divenuto vescovo
di Brescia, accorse rigorosissimamente a reprimer questi _Pelagiani_;
mentre stava alla finestra (raccontano) vide passar un fabbro, con
chiavi e catenacci, che gridava la sua mercanzia; poi un altro, e un
terzo e un quarto. Insospettito fe chiamar il seguente, e legò discorso
con esso, poi frugando nella cassetta di que' chiavacci, ecco vi trova
catechismi calvinici e libretti concernenti le credenze e le pratiche
pelagiane: onde emanata una pastorale il 13 marzo 1656, mandò
inquisitori nella valle, che molti ne scopersero: furono aboliti gli
oratorj, relegati o carcerati i sacerdoti Marc'Antonio Ricaldini,
Giambattista Maurizio, Benedetto Passanesio, e alquanti. Pretendeano
anche far miracoli; e specialmente un Francesco Negri, detto il
Fabianini, vantavasi di parlar faccia a faccia con Dio, e avea scritto
un discreto volume di rivelazioni e profezie, con tanti errori, che
l'inquisitore di Treviso il decretò al fuoco.
Giovanni Agostino Ricaldini, fratello del Marc'Antonio, fe la sua
ritrattazione nella chiesa di Treviso, abjurando d'aver creduto che
l'orazion mentale sia l'unica porta della salute; che il dono
dell'orazion mentale è maggior che quello della redenzione e
dell'istituzione del ss. Sacramento: che le asprezze e penitenze non son
care a Dio in quanto domano la carne, poichè non è bene macerar questa,
essendo noi creati per amare non per patire; che Dio vuol levare il
ministero di spiegar le sacre scritture di mano dei ministri della
Chiesa e darlo ai secolari; che i principi avranno giurisdizione sopra
gli ecclesiastici, e ne faranno morire molti, altri spoglieranno delle
dignità.
Come quietista fu dai savj sopra l'eresia di Venezia condannato un
Giuseppe Beccarelli di Brescia.
Tale eresia aveva fatto guasto principalmente fra le donne e nei
monasteri, e nominatamente quelli di Faenza, di Ravenna, di
Ferrara[365]. Quell'Ottoboni che sopra nominammo, fatto inquisitore
generale, operò assai a sradicar il quietismo, e più dopo che salì papa
col nome d'Alessandro VIII. E il Bernino, ripetendo il grand'orrore che
aveva per ogni eresia, aggiunge che fece arrestare anche un chierico
della propria camera, protonotaro apostolico e sospetto di spinosismo, e
processare dalla Congregazione del Sant'Uffizio, benchè in questo si
trovassero quattro cardinali parenti del reo.
Dalla Inquisizione fu nel 1689 condannata suor Francesca pistojese,
monaca in San Benedetto di Pisa, che si fingea santa. Morta senza
ricredersi, fu condannata ad esser sepolta come i convinti d'eresia;
cioè sul carro dei malfattori furono portate le ossa e il ritratto di
essa, e per man del carnefice bruciati al luogo del supplizio, e le
ceneri disperse.
La Ricasoli è una famiglia delle più illustri di Toscana, d'antica
origine longobarda, avente il titolo di barone; e nel sepolcro d'uno di
essa in Santa Maria Novella leggesi come sia per retaggio devota alla
famiglia regnante.
Dal ramo di tal casa detto dei Baroni della Trappola, e precisamente da
Francesco Maria e da Diamante Antinori, era nato ai 2 aprile 1581,
Pandolfo, che dotto nelle lingue greca ed ebraica, valente teologo ed
oratore, entrò gesuita, poi uscitone prima della professione, divenne
canonico della metropolitana fiorentina. Scrisse senza pubblicarle molte
opere di controversia e d'ascetica, fra cui le _Istruzioni pei
sacerdoti, dove si formano le spirituali medicine, mediante le quali
devesi da quelli far la spirituale cura alle inferme anime dei fedeli, e
darne lo spirituale soccorso a quelle che nell'agonia e fine di loro
vita sono venute_. Recitò pure le orazioni funebri pel principe
Francesco de' Medici e per Cosimo II: stampò a Bologna nel 1613
l'_Accademia Giaponica_, dialogo in difesa delle verità cattoliche; e
v'aggiunse un'_Orazione in lode di Gesù Crocifisso_, ch'egli avea
recitata davanti ai magistrati di Ragusi; e nel 1621 a Napoli pubblicò
_Osservazioni di una molto eminente virtù cristiana ed una sacra istoria
sopra la celeste vita e divini sacrifizj della beata Margherita da
Cortona_; poi nel 1623 a Venezia, _Osservazioni sul modo facile
dell'acquisto della perfezione cristiana contenute nella vita del padre
Angiolo Maria Montorsi, con un'aggiunta che mostra la via d'adempiere
gli obblighi del proprio stato_. Restano molte sue cose inedite, di cui
principale quella _De unitate et trinitate Dei, et de primo et secundo
adventu filii Dei, hebraice et latine, adversus nostræ ætatis atheistas,
hæreticos et judæos_.
Sono opere destituite d'ogni merito e dottrinale e letterario, pure
vantatissime de' contemporanei, che lo lodano di grande assiduità al
pulpito e al confessionale, e di zelo e costumatezza.
Faustina Mainardi vedova Petrucci, avea fondato un istituto di fanciulle
sotto il titolo di Santa Dorotea, e non credette poter collocarlo meglio
che sotto la direzione del canonico Ricasoli. Mal per lui; che già di
cinquant'anni fu preso d'amore per la direttrice; e per giungere a' suoi
fini si giovò della propensione di lei all'ascetismo; o forse egli
stesso, per desiderio di tranquillar la coscienza, credette poter
volgere i libri santi e le dottrine teologiche a significare che tutto
potesse esser permesso al senso, purchè l'anima restasse indifferente:
merito d'un cristiano l'accettare quel che Dio manda; i tocchi carnali,
non che peccaminosi, esser meritorj purchè fatti nell'intenzione di
rendersi sempre più perfetti nella vita spirituale, e di dar gloria a
Dio. Appoggiava tali errori a rivelazioni che asseriva fattegli
dall'angelo custode, il quale gli appariva spesso, e gli faceva
prelibare le gioje del paradiso; anche con miracoli manifestandogli il
volere e l'approvazione di Dio.
Non solo la maestra, ma le educande rimasero illuse da dottrine così
conformi al senso; e che erano propagate e applicate da un padre
Serafino Lupi servita, autore di opere di teologia mistica, da un
giovane prete di casa Fantoni, da un cavaliere Andrea Biliotti, da un
Girolamo Mainardi, e da un innominato.
Neppure di mezzo a questa corruttela il Ricasoli cessava gli studj e lo
zelo; all'occasione della peste del 1630 tradusse e pubblicò la bella
orazione di san Cipriano sulla morìa: finì il _Typus optimi regiminis
ecclesiastici, politici et œconomici_, ove offre David come esempio ai
regnanti; interpretò varj salmi per esercizio di ebraico[366], e la
_Perfectio pulchritudinis, seu Biblia ebraica_.
Da otto anni durava l'oscena tresca quando l'Inquisizione n'ebbe
sentore. Il Ricasoli non esitò ad andare accusarsene egli stesso, onde
fu messo in carcere coi compagni. Giovanni Mazzarelli da Fanano
inquisitore non potè procedere alla sicura, trattandosi di personaggi
d'alta nobiltà e dottrina, e imparentato con primarie famiglie.
Aggiungansi i segni di sincero pentimento ch'egli diede in prigione,
sicchè la pena fu men severa che non meritasse il delitto.
Mentre la prudenza avrebbe imposto di tirare un velo sulle colpe e sulla
pena, al contrario, il 23 novembre 1641 nel refettorio del convento di
Santa Croce, con funebre apparato, alla presenza de' principi medicei e
di gran quantità di teologi, signori, popolani, ai rei vestiti colle
cappe infami e inginocchiati fu letto il processo, colle scandolezzanti
particolarità. Il Ricasoli, il Fantoni e la Mainardi venner condannati a
prigione perpetua. Il Ricasoli, fatto abjura e ammenda degli errori e
de' peccati, fu chiuso in angusta cella di quel convento, ove durò
sedici anni macerandosi con austere penitenze. Il 17 luglio 1657 moriva,
e gli furono negati i funerali solenni[367].
Nella biblioteca nazionale di Napoli sta manuscritta _la storia di suor
Giulia di Marco e delle false dottrine insegnate da lei, dal padre
Aniello Arciero e da Giuseppe de Vicariis_. Nasceva costei a Sepino
provincia di Molise da un contadino di Sarno, e fatta orfana, venne a
Napoli a servizio d'una signora. Traviata da uno staffiere, confida il
suo fallo alla padrona, che pietosamente l'assiste a celarne il frutto.
Ridottasi a vita pia, si rende terziaria di san Francesco; ma il padre
Aniello Arciero crocifero, confessore suo, le insinua le sozze dottrine
del quietismo, e la induce perfino a raccoglier in casa sua donne, che
le oscenità ammantano di parvenze religiose, e tra le quali praticavansi
i riti, che trovammo imputati ai Patarini. Talmente era velata la cosa,
che nobilissime dame vi aderivano e fin due mogli di vicerè; sinchè
scoperto il vero, que' pervertiti furono portati a Roma, e là dovettero
fare l'abjura nella chiesa della Minerva il 12 luglio 1615.
L'isola di Sicilia, che si vantò sempre immune da eresie, e che nel 1631
eresse, sulla piazza Bologni a Palermo, una statua di bronzo di Carlo V
in atto di giurare la costituzione, coll'epigrafe PURGATORI EUROPÆ
LERNÆARUM HÆRESEON EVERSORI EXTINCTORI PANORMUS PIISSIMA D. D., dopo un
breve e non fausto dominio dei duchi di Savoja tornò ai prischi signori
austriaci, che, colle solite esagerazioni, furono festeggiati con
medaglie portanti _Ab Austro prosperitas et felicitas_. Governando il
marchese d'Almenara, il 6 aprile 1704 fu fatto a Palermo un solenne auto
da fè nella gran piazza al fianco meridionale del duomo, presenti forse
ventimila persone e le autorità, e la nobiltà e il corpo diplomatico.
Alcuni poteano ricordarsi d'averne veduto un altro nel 19 giugno 1690
contro suor Giovanna Rosselli francescana e Vincenza Morana. Pomposa
processione accompagnò questo nuovo atto di fede. Sull'altare eretto nel
mezzo ardeano molte candele di color giallo, e dalla mezzanotte in poi
vi s'erano celebrate continuamente messe per la conversione de'
condannati. Fra questi venivano primi i convertiti e penitenti, a testa
scoperta e con un cero in mano; di poi i riconciliati, coperti del
sanbenito, scapolare di rozza lana gialla, stretto al corpo e sparso di
croci rosse, e in capo la mitera: ultimi i recidivi ed ostinati col
sanbenito e la mitera a fiamme. Collocaronsi sui gradini dell'altare, e
il padre Antonio Majorana fece un discorso allusivo: rimpetto al pulpito
stava il segretario dell'Inquisizione, davanti al tavolino portante i
processi: accanto i membri del Sant'Uffizio, aventi in petto la croce
d'oro a brillanti e rubini, e più in alto il grande inquisitore don
Giovanni Ferrer. Davanti a loro passarono i processati, a cui fu letta
la sentenza, che rimandava molti con lievi penitenze, coll'abjura e
l'assoluzione; alcuni furono messi su giumenti e frustati: ma suor
Geltrude Maria di Gesù, terziaria di san Benedetto, che nel secolo era
stata Filippa Córdova, e frà Romualdo laico degli Agostiniani scalzi, al
secolo Ignazio Barberi, entrambi di Caltanisetta, furono condannati ad
esser arsi vivi, _donec in cinerem convertantur, cinis vero
dispergatur_.
Posti s'un carro tratto da bovi, furono condotti al rogo sulla piazza di
Sant'Erasmo, e fatte ad essi nuove esortazioni a pentirsi, ond'essere
strangolati prima che venissero gettati sul rogo ponendo in prima il
fuoco ai capelli e alla sopravesta della donna; ostinandosi essi, furono
avventati nelle fiamme. E il popolo stette a spettacolo[368].
NOTE
[343] Vedi la nota 2 del nostro Discorso IIL. Dalle devastazioni di
quella guerra i papi poterono salvare la biblioteca palatina di
Eidelberga, che fu trasportata a Roma, e fu poi restituita nel 1815. Lo
Scioppio, che conosciamo, accusò Leone Alazio, di cui pure abbiam fatto
cenno, d'avere distratto i migliori libri di quella raccolta, ma egli se
ne scolpò.
Il marchese Francesco Nerli, ambasciadore del duca di Mantova a Roma,
scriveva al duca:
«Languivano le antiche glorie nella Corte di Roma, non senza discapito
della nostra santa religione negli ultimi periodi del vivere d'Innocenzo
X, avendo non solo la più infetta Germania e le rabbiose lingue di tutti
gli eretici, ma le bocche profane d'empj cristiani, vomitato ignominiosi
improperj contro la sacrosanta maestà papale: o che li ministri del
defunto pontefice, o che l'avara natura dei più cospicui nella Casa
Pamfilia, fosse bastevol materia ad eccitar da ogni parte contumaci
clamori. Con queste obbrobriose memorie caduto infermo per alcuni mesi,
l'odiato pontefice terminò con l'idropica sete di respirare l'aure
vitali».
[344] BAYLE alla voce _Chigi_. Il libro suo sopra accennato è _Judicium
theologicum super quæstionem an pax qualem desiderant Protestantes sit
secundum se illicita..... opera ac studio_ ERNESTI DE EUSEBIIS _civis
romani_.
[345] Della costui politica, di cui tanto ebbe a soffrir l'Italia, così
rideva Pasquino:
Guerra a Cesare muove e propon pace,
Pronto sempre egualmente a pace e guerra
Quel ch'è sì glorioso in guerra e in pace,
Arbitro della pace e della guerra.
Guerra, dic'egli, io porto, e porto pace,
Ciò che vuol scelga il mondo, o pace o guerra:
Giust'è la guerra a dir non vuol la pace,
Bell'è la pace a dir non vuol la guerra.
Fin di mia guerra è il non voler la guerra:
Voler la guerra è il fin dell'altrui pace,
O facciam pace in pace o guerra in guerra.
Che gran re! che gran guerra! e che gran pace!
Manda la pace a principiar la guerra,
Manda la guerra ad esibir la pace.
[346]
_Et tout le partit Protestant_
_Du Saint-Père en vain très-content._
_Le chevalier de Sillery_
_En parlant de ce pape-cy_
_Souhaitait pour la paix publique_
_Qu'il se fast rendu catholique._
LA FONTAINE, _Œuvres postumes_, p. 171.
[347] _Opere del Galilei_, vol. I, p. 231.
[348] «Il vero ideale, intuitivo e rivelato, è di sua natura
assiomatico, e si riduce a corpo di scienza, deducendo e non inducendo,
sintetizzando e non analizzando, e procedendo in somma per modo affatto
diverso dalle scienze naturali e dalla filosofia secondaria: l'analisi
può solo venire appresso, e se vuol precedere, non può giovare
altrimenti che a guisa di semplice apparecchio. La sintesi primitiva
fattosene duca, di là spingere le sue conquiste. Scoperto, molti suoi
settarj furono arrestati, sette dovettero in duomo far abjura solenne;
indi furono rimessi a Roma, e condannati a portar «per contrasegno dei
loro falli una mantelletta gialla sopra le spalle». Egli fuggì, e in
contumacia il Sant'Uffizio lo processò e condannò, ordinando omnia
illius scripta hæretica comburenda esse; _omnia bona mobilia et
immobilia confiscanda et applicanda, vetantes sub pœna latæ sententiæ ne
quis cum illo tentet, recipiat, juvet; et mandantes omnibus patriarchis
et primatibus ut ipsum Burrum arrestent, vel arrestandum curent,
teneant, certiores nos faciant ut statuamus quid ipsi faciendum;
relaxantes ut non solum magistratus secularis sed quilibet qui possit et
velit in favorem fidei nostræ ipsum capiat et teneat._
Ai 3 gennajo 1661 «l'effigie del detto Giuseppe Francesco Borro, depinto
al naturale in un quadro, fu portata per Roma sopra un carro
accompagnato dalli ministri della giustizia, nella piazza di Campo di
Fiore, dove dal carnefice fu appiccata sulle forche, e dopo abbruciata
con i suoi scritti».
Egli era rifuggito in Isvizzera, ben accolto come vittima
dell'Inquisizione, e a Strasburgo «è fama incitasse quegli eretici ad
abbruciare pubblicamente la statua del pontefice, forse in vendetta
d'esser egli stato abbruciato in effigie a Roma. In Olanda acquistò gran
credito come insigne chimico e medico, e cavalieri e principi di Francia
e di Germania veniano per le poste a consultarlo e conoscerlo»; onde
arricchito sfoggiò; faceasi dare dell'eccellenza, fu dichiarato
cittadino d'Amsterdam, e dicono avesse dodicimila doppie in denari e
gemme quando, caduto di credito colla facilità ond'era salito, fuggì di
colà lasciando pessima fama. Ad Amburgo incontrò Cristina regina di
Svezia, che gli diede soccorsi per raggiungere la grand'opera, cioè la
tramutazione de' metalli inferiori in oro. Fallitogli il tentativo, fu a
Copenaghen, ove re Federico III gli somministrò ancora denari e comodità
per fabbricar oro, anzi gli chiedeva consigli politici. Ma il succeduto
Cristiano V gli diede cinquecento talleri, patto che se n'andasse
subito. Difilossi allora verso la Turchia, ma in Moravia arrestato per
sospetto, fu dall'imperatore consegnato al nunzio pontifizio, che lo
spedì a Roma, con promessa gli sarebbe salva la vita. Al giudizio
comparve ben in arnese, «con un vestito di moàro fiorato nero, con
un'ongherina dell'istesso, ben fornita di guarnizione: la sua statura è
alta, ben proporzionato di membra: capelli neri e ricci, viso tondo,
carnagione bianca, sembiante maestoso». Fu tenuto per pazzo ed obbligato
solo a solenne abjura l'ottobre 1672, condotto a Loreto a far amenda
presso la Beata Vergine, poi condannato a recitar salmi e credo, e
chiuso in prigione perpetua. Quivi restava sempre oggetto di curiosità,
e il duca d'Estrée ambasciadore di Francia, gravissimamente malato, ne
chiese un consulto; e guarito, impetrò fosse detenuto semplicemente in
Castel Sant'Angelo; anzi potesse uscir qualche volta a visitare malati,
e tenere corrispondenze. Morì il 20 agosto 1695.
Le dottrine sue sono deposte nella _Chiave del gabinetto del cavaliere
G. F. Borro, col favor della quale si vedono varie lettere scientifiche,
chimiche e curiosissime, con varie istruzioni politiche, ed altre cose
degne di curiosità, e molti segreti bellissimi_ (Colonia 1681); e sono
dieci lettere che fingonsi scritte a persone qualificate intorno ai
segreti della grand'opera. Per la quale Olao Barch non esita a chiamarlo
_phœnicem naturæ et gloriam non tantum Hesperiæ suæ sed Europæ_[360]. Ma
essa fu stampata da altri durante la sua prigionia, ed è strano come,
mentre vi discorre degli spiriti elementari, della pietra filosofale, di
cosmetici e panacee, mostri beffarsi delle scienze occulte, e «aver
sempre sospettato fossero piene di vanità»: ma si giovò della credulità
universale; «e così (dice) mi trovai ben tosto un grand'uomo; aveva per
compagni principi e gran cavalieri, dame bellissime e delle brutte
ancora, dottori, prelati, frati, monache, infine persone d'ogni serie.
Alcuni inclinavano a' diavoli, altri agli angeli; alcuni al genio, altri
agli incubi; alcuni a guarire d'ogni male, altri alle stelle; alcuni ai
segreti della divinità, e quasi tutti alla pietra filosofale». Certo e'
profittava dei creduli, come fanno i ciarlatani de' nostri giorni.
Altra cura dell'Inquisizione fu il vigilare sopra devozioni o improvide
o eccessive, quali erano quelle degli schiavi della Madonna santissima;
del voto sanguinario, che importava di sostener anche colle armi
l'Immacolata Concezione di Maria; le indulgenze prodigate a chi portava
l'abitino, e simili. Di ciò doveva peccare Giacomo Lombardi, la cui
_Semplicità spirituale_, il _Trattato dell'esteriorità_, ecc., furono
proibiti il 28 marzo 1675 con tutti i costui opuscoli. Le pratiche o
arsenali del Sant'Uffizio contengono lunghi cataloghi di libri
superstiziosi, preghiere, storielle devote, scapulari, come la _Hebraica
Medaglia detta Maghen David et Abraham_, dichiarazione di Angelo
Gabriello Anguisciola, che la sant'Inquisizione ordinò consegnasse al
Sant'Uffizio chiunque ne possedesse alcun esemplare.
Neppur era dimenticato il concetto dell'Evangelio Eterno, cioè d'una
nuova rivelazione che si surrogasse, e compisse quella di Cristo,
conducendo ad una perfezione cenobitica più sublime[361]. Marc'Aurelio
Scaglia del Monferrato vestiva da prete, possedeva le visioni del Beato
Amedeo confessore di Sisto IV e quelle del Neri fiorentino; e diceva
che, in tempo di Paolo V, seguirebbe gran riforma della Chiesa con
grandissime tribolazioni; e che verrebbe un Francescano, uomo angelico
di nome Pietro, indi altri Pietri; e ogni felicità succederebbe a
Firenze[362].
Anche una suor Teresa in Sicilia da pretese illuminazioni si lasciò
indurre a credere d'esser la quarta persona della Trinità e
corredentrice, e trovò fede in molti. Nel 1693 si conobbe una setta di
cavalieri dell'Apocalisse, che proponeasi di difender la Chiesa
cattolica contro l'anticristo. L'aveva istituita Agostino Gabrino, nato
da un mercante bresciano, e avea reclutati da ottanta seguaci, la più
parte mercanti ed operaj, che anche durante il lavoro doveano tenersi a
lato uno stocco; sul petto portavano una stella con sette raggi e una
coda, circondata da un filo d'oro: questa dovea figurare il globo
terracqueo; la coda, la spada veduta dal rapito di Patmo. Il Gabrino
intitolavasi monarca della santa Trinità; e chi dicea mirasse a
sovvertimenti politici, chi che volesse introdur la poligamia. La
domenica delle palme del 1693, allorchè in San Pietro del Vaticano
intonavasi _Quis est iste rex gloriæ_, cacciossi colla spada alla mano
fra i celebranti, gridando: _Ego sum rex gloriæ_: altrettanto fece in
altra chiesa; onde fu posto ne' pazzi. Ma uno de' suoi adepti,
intagliatore di legno, lo denunziò all'Inquisizione, che processò gli
accusati.
Antonio Oliva di Reggio (1624-89), venuto in tal fama a Roma, che a soli
diciannove anni fu eletto teologo del cardinale Barberini, prese parte
alla sollevazione di Masaniello: sbandito, ritirossi a Firenze, ove fu
ascritto all'accademia del Cimento, e scrisse sui liquidi, sui sali,
sulla generazione dei bacherozzoli, molto lodato dai contemporanei.
Repente abbandonata la cattedra di Pisa, forse per nimicizie col Redi,
portossi a Roma, careggiato dai prelati e dai pontefici. Ma sotto
Alessandro VIII il Sant'Uffizio scoprì che, in casa di monsignor
Gabrielli, tenevasi una conventicola, nominata Accademia de' Bianchi,
perchè proponeasi dar _di bianco_ non solo ad abusi del governo
pontifizio, ma della religione, col fine di ricondurla alla primeva
semplicità. V'apparteneva il nostro Oliva, con un Picchetelli detto
Cecco Falegname, un Alfonsi, un Capra, i dottori Mazzutti, e un Pignatta
segretario. Furono arrestati, e messi tutti alla tortura, eccetto il
Gabrielli il quale passò per imbecille, e riversò ogni colpa sull'Oliva.
Questi vedendo disperato il caso suo, si precipitò da una finestra del
palazzo dell'Inquisizione, e si fracassò la testa.
Altrove indicammo come il misticismo invadesse anime pie e sante; nel
qual senso anche il Bellarmino scrisse _La scala per ascender a Dio
dalle creature_, tradotta dal latino in tutte le lingue, e il _Gemito
della Colomba ossia il ben delle lacrime_. Più illustre fu santa Teresa,
destinata dal papa e da Filippo II a riformare monasteri: la quale
definiva il diavolo «quell'infelice che mai non amò»; e diceva «che
l'intelletto umano dovrebbe giudicar delle cose come se al mondo non
esistessero che Dio e lui»[363].
Ma altre volte i mistici pareano trasportar ancora al medioevo, quando
l'ardimento e fin la temerità delle idee associavasi alla più fervente
pietà, alla fede più ferma: e questa tendenza a ingolfarsi nella
divinità di Cristo fin a dimenticarne l'umanità, portava a pensieri che
davano alimento pericoloso alle passioni e a teorie superbe, le quali
non valgono il minimo atto di bene pratico.
A un frate Egidio fu rivelato che una buona donna può amar Dio meglio
d'un dottore di teologia: ed egli corse per le vie gridando: «Venite,
buone donne; amate Dio Signor nostro, e potrete esser più grandi di san
Bonaventura».
Michele Molinos prete di Saragozza (1627-96), stabilitosi a Roma nel
1662, e salito in fama di gran pietà, nel 1675 vi stampò una _Guida
spirituale che conduce l'anima per cammino interiore a conseguire la
perfetta contemplazione e il ricco tesoro della pace interiore_. Suo
dogma fondamentale era che, chi coll'orazione della quiete congiunge
l'anima a Dio, più non può peccare di volontà; e così induceva ad una
specie di estasi; insomma ad annichilarsi pensando a Dio, e in tale
stato non prendersi briga di checchè succedesse nel corpo; le fantasie
più lubriche possono sorgere nell'anima sensitiva senza contaminarla, e
senza giungere alla superiore dove risiedono l'intelligenza e la
volontà. Iddio sottomette il credente al martirio spirituale di vive
tentazioni per dargli a conoscere la propria abjettezza, ma non che
sgomentarsene, convien mostrarne disprezzo, lasciando operar il demonio,
e tenendosi tranquilli, nella certezza che Dio guida alla salute non
solo colle virtù ma coi vizj. Parrebbe udir Lutero quando scriveva a
Melantone: «Sii peccatore e pecca poderosamente, ma la tua fede sia più
grande che il tuo peccato... Ci basta aver conosciuto l'agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo. Il peccato non può cancellare in noi il
regno dell'agnello, quand'anche fornicassimo e uccidessimo mille volte
al giorno»[364].
Per ventidue anni egli fu tenuto in concetto di santo direttore di
spirito; e Paolo Segneri, che lo confutò nell'_Accordo dell'azione e del
riposo nell'orazione_, passò per invido calunniatore, e per poco non
ebbe a perdervi la vita; ma il vescovo Inigo Caracciolo di Napoli
s'accorse de' guasti che ne venivano nella sua diocesi: e smascherati
gli errori, papa Innocenzo XI ne ammonì la cristianità. Il Molinos avea
così estesa corrispondenza, che, quando fu arrestato nel 1685, gli
furono trovate dodicimila lettere e molto denaro affidatogli da' suoi
devoti. Malgrado le potenti protezioni, sottoposto a processo dal
Sant'Uffizio, furono condannati i suoi libri; ed egli, convinto di
brutali eccessi, dovette ritrattarsi pubblicamente sulla piazza di Santa
Maria sopra Minerva il 3 settembre 1687, vestito di giallo con croce
rossa davanti e dietro. Erasi pubblicata indulgenza di quindici anni e
quindici quarantene a chi assistesse a quell'atto, sicchè, oltre il
sacro collegio v'accorsero gran popolo e nobili e dotti, pe' quali
eransi eretti palchi. All'udir leggere quelle massime, non men mostruose
che le colpe, la folla fischiava, e gridava _Al fuoco, al fuoco_.
Terminato, abjurò gli errori, ricevette l'assoluzione e i colpi di verga
sulle spalle e l'abito di penitenza, poi chiuso in una camera
coll'obbligo di confessarsi quattro volte l'anno, e recitare ogni giorno
il _Credo_ e la terza parte del rosario, sopravvisse in pentimento fino
al 28 dicembre 1696.
Con lui furono condannati all'abjura e alla prigionia i suoi proseliti
Simone Leoni sacerdote e Antonmaria suo fratello laico, di Campione sul
lago di Lugano. L'ultimo si ostinò per due mesi anche in false
interpretazioni di certi passi della Scrittura, finchè pur esso abjurò.
Sessantotto proposizioni di Molinos vennero formalmente condannate da
Innocenzo XI colla bolla _Cœlestis Pastor_, 20 novembre 1688. Insieme
condannossi come infetta di quietismo la _Contemplazione mistica_ del
cardinale Pietro Matteo Petrucci, natìo e vescovo di Jesi che avea
difeso il Molinos, e che, pentito, rinunziò a tutte le dignità.
Così l'immoralità veniva eretta in teorica con un osceno quietismo.
I nostri paesi subalpini, e nominatamente Vercelli, udirono dal
barnabita savojardo Francesco La Combe, e dalla famosa Guyon predicare
le vie dell'interiore, l'orazione del silenzio, la fede nuda, l'amor di
Dio puro e per se stesso, senza timori nè speranze: in modo che l'anima,
perduta l'individualità, confonde la volontà propria con quella di Dio,
al punto che non sa più qual cosa condannare in sè, di qual colpa
confessarsi. È noto che lo stesso Fénélon andò preso alle esaltazioni
mistiche della Guyon, e n'ebbe diverbi con Bossuet, poi condanna da Roma
come d'opinioni erronee, alla quale egli si sottomise.
Nella Valcamonica, terra alpina bagnata dall'Oglio fra il Trentino e il
Bresciano, il vescovo di Brescia Marco Morosini, per istruzione di quei
montanari, aveva istituiti molti oratorj o congregazioni. Ricevettero
queste eccitamento da Giacomo Filippo, laico milanese, il quale indusse
il vescovo a sistemarli a somiglianza degli oratorj di Santa Pelagia in
Milano, ma subito ne apparver tali disordini, che il vescovo sospese e
proibì l'opera (1653). Pure il mal seme fruttò, diffondendosi una specie
di quietismo, secondo il quale laici e sacerdoti predicavano
pubblicamente; uomini e donne indistinti s'adunavano nottetempo a orare
e flagellarsi, negando obbedienza ai parroci e ai vescovi, prolungando
fin sette e otto ore la preghiera, credendo sè soli santi, e
confessavansi pubblicamente. Pietro Ottoboni cardinale, divenuto vescovo
di Brescia, accorse rigorosissimamente a reprimer questi _Pelagiani_;
mentre stava alla finestra (raccontano) vide passar un fabbro, con
chiavi e catenacci, che gridava la sua mercanzia; poi un altro, e un
terzo e un quarto. Insospettito fe chiamar il seguente, e legò discorso
con esso, poi frugando nella cassetta di que' chiavacci, ecco vi trova
catechismi calvinici e libretti concernenti le credenze e le pratiche
pelagiane: onde emanata una pastorale il 13 marzo 1656, mandò
inquisitori nella valle, che molti ne scopersero: furono aboliti gli
oratorj, relegati o carcerati i sacerdoti Marc'Antonio Ricaldini,
Giambattista Maurizio, Benedetto Passanesio, e alquanti. Pretendeano
anche far miracoli; e specialmente un Francesco Negri, detto il
Fabianini, vantavasi di parlar faccia a faccia con Dio, e avea scritto
un discreto volume di rivelazioni e profezie, con tanti errori, che
l'inquisitore di Treviso il decretò al fuoco.
Giovanni Agostino Ricaldini, fratello del Marc'Antonio, fe la sua
ritrattazione nella chiesa di Treviso, abjurando d'aver creduto che
l'orazion mentale sia l'unica porta della salute; che il dono
dell'orazion mentale è maggior che quello della redenzione e
dell'istituzione del ss. Sacramento: che le asprezze e penitenze non son
care a Dio in quanto domano la carne, poichè non è bene macerar questa,
essendo noi creati per amare non per patire; che Dio vuol levare il
ministero di spiegar le sacre scritture di mano dei ministri della
Chiesa e darlo ai secolari; che i principi avranno giurisdizione sopra
gli ecclesiastici, e ne faranno morire molti, altri spoglieranno delle
dignità.
Come quietista fu dai savj sopra l'eresia di Venezia condannato un
Giuseppe Beccarelli di Brescia.
Tale eresia aveva fatto guasto principalmente fra le donne e nei
monasteri, e nominatamente quelli di Faenza, di Ravenna, di
Ferrara[365]. Quell'Ottoboni che sopra nominammo, fatto inquisitore
generale, operò assai a sradicar il quietismo, e più dopo che salì papa
col nome d'Alessandro VIII. E il Bernino, ripetendo il grand'orrore che
aveva per ogni eresia, aggiunge che fece arrestare anche un chierico
della propria camera, protonotaro apostolico e sospetto di spinosismo, e
processare dalla Congregazione del Sant'Uffizio, benchè in questo si
trovassero quattro cardinali parenti del reo.
Dalla Inquisizione fu nel 1689 condannata suor Francesca pistojese,
monaca in San Benedetto di Pisa, che si fingea santa. Morta senza
ricredersi, fu condannata ad esser sepolta come i convinti d'eresia;
cioè sul carro dei malfattori furono portate le ossa e il ritratto di
essa, e per man del carnefice bruciati al luogo del supplizio, e le
ceneri disperse.
La Ricasoli è una famiglia delle più illustri di Toscana, d'antica
origine longobarda, avente il titolo di barone; e nel sepolcro d'uno di
essa in Santa Maria Novella leggesi come sia per retaggio devota alla
famiglia regnante.
Dal ramo di tal casa detto dei Baroni della Trappola, e precisamente da
Francesco Maria e da Diamante Antinori, era nato ai 2 aprile 1581,
Pandolfo, che dotto nelle lingue greca ed ebraica, valente teologo ed
oratore, entrò gesuita, poi uscitone prima della professione, divenne
canonico della metropolitana fiorentina. Scrisse senza pubblicarle molte
opere di controversia e d'ascetica, fra cui le _Istruzioni pei
sacerdoti, dove si formano le spirituali medicine, mediante le quali
devesi da quelli far la spirituale cura alle inferme anime dei fedeli, e
darne lo spirituale soccorso a quelle che nell'agonia e fine di loro
vita sono venute_. Recitò pure le orazioni funebri pel principe
Francesco de' Medici e per Cosimo II: stampò a Bologna nel 1613
l'_Accademia Giaponica_, dialogo in difesa delle verità cattoliche; e
v'aggiunse un'_Orazione in lode di Gesù Crocifisso_, ch'egli avea
recitata davanti ai magistrati di Ragusi; e nel 1621 a Napoli pubblicò
_Osservazioni di una molto eminente virtù cristiana ed una sacra istoria
sopra la celeste vita e divini sacrifizj della beata Margherita da
Cortona_; poi nel 1623 a Venezia, _Osservazioni sul modo facile
dell'acquisto della perfezione cristiana contenute nella vita del padre
Angiolo Maria Montorsi, con un'aggiunta che mostra la via d'adempiere
gli obblighi del proprio stato_. Restano molte sue cose inedite, di cui
principale quella _De unitate et trinitate Dei, et de primo et secundo
adventu filii Dei, hebraice et latine, adversus nostræ ætatis atheistas,
hæreticos et judæos_.
Sono opere destituite d'ogni merito e dottrinale e letterario, pure
vantatissime de' contemporanei, che lo lodano di grande assiduità al
pulpito e al confessionale, e di zelo e costumatezza.
Faustina Mainardi vedova Petrucci, avea fondato un istituto di fanciulle
sotto il titolo di Santa Dorotea, e non credette poter collocarlo meglio
che sotto la direzione del canonico Ricasoli. Mal per lui; che già di
cinquant'anni fu preso d'amore per la direttrice; e per giungere a' suoi
fini si giovò della propensione di lei all'ascetismo; o forse egli
stesso, per desiderio di tranquillar la coscienza, credette poter
volgere i libri santi e le dottrine teologiche a significare che tutto
potesse esser permesso al senso, purchè l'anima restasse indifferente:
merito d'un cristiano l'accettare quel che Dio manda; i tocchi carnali,
non che peccaminosi, esser meritorj purchè fatti nell'intenzione di
rendersi sempre più perfetti nella vita spirituale, e di dar gloria a
Dio. Appoggiava tali errori a rivelazioni che asseriva fattegli
dall'angelo custode, il quale gli appariva spesso, e gli faceva
prelibare le gioje del paradiso; anche con miracoli manifestandogli il
volere e l'approvazione di Dio.
Non solo la maestra, ma le educande rimasero illuse da dottrine così
conformi al senso; e che erano propagate e applicate da un padre
Serafino Lupi servita, autore di opere di teologia mistica, da un
giovane prete di casa Fantoni, da un cavaliere Andrea Biliotti, da un
Girolamo Mainardi, e da un innominato.
Neppure di mezzo a questa corruttela il Ricasoli cessava gli studj e lo
zelo; all'occasione della peste del 1630 tradusse e pubblicò la bella
orazione di san Cipriano sulla morìa: finì il _Typus optimi regiminis
ecclesiastici, politici et œconomici_, ove offre David come esempio ai
regnanti; interpretò varj salmi per esercizio di ebraico[366], e la
_Perfectio pulchritudinis, seu Biblia ebraica_.
Da otto anni durava l'oscena tresca quando l'Inquisizione n'ebbe
sentore. Il Ricasoli non esitò ad andare accusarsene egli stesso, onde
fu messo in carcere coi compagni. Giovanni Mazzarelli da Fanano
inquisitore non potè procedere alla sicura, trattandosi di personaggi
d'alta nobiltà e dottrina, e imparentato con primarie famiglie.
Aggiungansi i segni di sincero pentimento ch'egli diede in prigione,
sicchè la pena fu men severa che non meritasse il delitto.
Mentre la prudenza avrebbe imposto di tirare un velo sulle colpe e sulla
pena, al contrario, il 23 novembre 1641 nel refettorio del convento di
Santa Croce, con funebre apparato, alla presenza de' principi medicei e
di gran quantità di teologi, signori, popolani, ai rei vestiti colle
cappe infami e inginocchiati fu letto il processo, colle scandolezzanti
particolarità. Il Ricasoli, il Fantoni e la Mainardi venner condannati a
prigione perpetua. Il Ricasoli, fatto abjura e ammenda degli errori e
de' peccati, fu chiuso in angusta cella di quel convento, ove durò
sedici anni macerandosi con austere penitenze. Il 17 luglio 1657 moriva,
e gli furono negati i funerali solenni[367].
Nella biblioteca nazionale di Napoli sta manuscritta _la storia di suor
Giulia di Marco e delle false dottrine insegnate da lei, dal padre
Aniello Arciero e da Giuseppe de Vicariis_. Nasceva costei a Sepino
provincia di Molise da un contadino di Sarno, e fatta orfana, venne a
Napoli a servizio d'una signora. Traviata da uno staffiere, confida il
suo fallo alla padrona, che pietosamente l'assiste a celarne il frutto.
Ridottasi a vita pia, si rende terziaria di san Francesco; ma il padre
Aniello Arciero crocifero, confessore suo, le insinua le sozze dottrine
del quietismo, e la induce perfino a raccoglier in casa sua donne, che
le oscenità ammantano di parvenze religiose, e tra le quali praticavansi
i riti, che trovammo imputati ai Patarini. Talmente era velata la cosa,
che nobilissime dame vi aderivano e fin due mogli di vicerè; sinchè
scoperto il vero, que' pervertiti furono portati a Roma, e là dovettero
fare l'abjura nella chiesa della Minerva il 12 luglio 1615.
L'isola di Sicilia, che si vantò sempre immune da eresie, e che nel 1631
eresse, sulla piazza Bologni a Palermo, una statua di bronzo di Carlo V
in atto di giurare la costituzione, coll'epigrafe PURGATORI EUROPÆ
LERNÆARUM HÆRESEON EVERSORI EXTINCTORI PANORMUS PIISSIMA D. D., dopo un
breve e non fausto dominio dei duchi di Savoja tornò ai prischi signori
austriaci, che, colle solite esagerazioni, furono festeggiati con
medaglie portanti _Ab Austro prosperitas et felicitas_. Governando il
marchese d'Almenara, il 6 aprile 1704 fu fatto a Palermo un solenne auto
da fè nella gran piazza al fianco meridionale del duomo, presenti forse
ventimila persone e le autorità, e la nobiltà e il corpo diplomatico.
Alcuni poteano ricordarsi d'averne veduto un altro nel 19 giugno 1690
contro suor Giovanna Rosselli francescana e Vincenza Morana. Pomposa
processione accompagnò questo nuovo atto di fede. Sull'altare eretto nel
mezzo ardeano molte candele di color giallo, e dalla mezzanotte in poi
vi s'erano celebrate continuamente messe per la conversione de'
condannati. Fra questi venivano primi i convertiti e penitenti, a testa
scoperta e con un cero in mano; di poi i riconciliati, coperti del
sanbenito, scapolare di rozza lana gialla, stretto al corpo e sparso di
croci rosse, e in capo la mitera: ultimi i recidivi ed ostinati col
sanbenito e la mitera a fiamme. Collocaronsi sui gradini dell'altare, e
il padre Antonio Majorana fece un discorso allusivo: rimpetto al pulpito
stava il segretario dell'Inquisizione, davanti al tavolino portante i
processi: accanto i membri del Sant'Uffizio, aventi in petto la croce
d'oro a brillanti e rubini, e più in alto il grande inquisitore don
Giovanni Ferrer. Davanti a loro passarono i processati, a cui fu letta
la sentenza, che rimandava molti con lievi penitenze, coll'abjura e
l'assoluzione; alcuni furono messi su giumenti e frustati: ma suor
Geltrude Maria di Gesù, terziaria di san Benedetto, che nel secolo era
stata Filippa Córdova, e frà Romualdo laico degli Agostiniani scalzi, al
secolo Ignazio Barberi, entrambi di Caltanisetta, furono condannati ad
esser arsi vivi, _donec in cinerem convertantur, cinis vero
dispergatur_.
Posti s'un carro tratto da bovi, furono condotti al rogo sulla piazza di
Sant'Erasmo, e fatte ad essi nuove esortazioni a pentirsi, ond'essere
strangolati prima che venissero gettati sul rogo ponendo in prima il
fuoco ai capelli e alla sopravesta della donna; ostinandosi essi, furono
avventati nelle fiamme. E il popolo stette a spettacolo[368].
NOTE
[343] Vedi la nota 2 del nostro Discorso IIL. Dalle devastazioni di
quella guerra i papi poterono salvare la biblioteca palatina di
Eidelberga, che fu trasportata a Roma, e fu poi restituita nel 1815. Lo
Scioppio, che conosciamo, accusò Leone Alazio, di cui pure abbiam fatto
cenno, d'avere distratto i migliori libri di quella raccolta, ma egli se
ne scolpò.
Il marchese Francesco Nerli, ambasciadore del duca di Mantova a Roma,
scriveva al duca:
«Languivano le antiche glorie nella Corte di Roma, non senza discapito
della nostra santa religione negli ultimi periodi del vivere d'Innocenzo
X, avendo non solo la più infetta Germania e le rabbiose lingue di tutti
gli eretici, ma le bocche profane d'empj cristiani, vomitato ignominiosi
improperj contro la sacrosanta maestà papale: o che li ministri del
defunto pontefice, o che l'avara natura dei più cospicui nella Casa
Pamfilia, fosse bastevol materia ad eccitar da ogni parte contumaci
clamori. Con queste obbrobriose memorie caduto infermo per alcuni mesi,
l'odiato pontefice terminò con l'idropica sete di respirare l'aure
vitali».
[344] BAYLE alla voce _Chigi_. Il libro suo sopra accennato è _Judicium
theologicum super quæstionem an pax qualem desiderant Protestantes sit
secundum se illicita..... opera ac studio_ ERNESTI DE EUSEBIIS _civis
romani_.
[345] Della costui politica, di cui tanto ebbe a soffrir l'Italia, così
rideva Pasquino:
Guerra a Cesare muove e propon pace,
Pronto sempre egualmente a pace e guerra
Quel ch'è sì glorioso in guerra e in pace,
Arbitro della pace e della guerra.
Guerra, dic'egli, io porto, e porto pace,
Ciò che vuol scelga il mondo, o pace o guerra:
Giust'è la guerra a dir non vuol la pace,
Bell'è la pace a dir non vuol la guerra.
Fin di mia guerra è il non voler la guerra:
Voler la guerra è il fin dell'altrui pace,
O facciam pace in pace o guerra in guerra.
Che gran re! che gran guerra! e che gran pace!
Manda la pace a principiar la guerra,
Manda la guerra ad esibir la pace.
[346]
_Et tout le partit Protestant_
_Du Saint-Père en vain très-content._
_Le chevalier de Sillery_
_En parlant de ce pape-cy_
_Souhaitait pour la paix publique_
_Qu'il se fast rendu catholique._
LA FONTAINE, _Œuvres postumes_, p. 171.
[347] _Opere del Galilei_, vol. I, p. 231.
[348] «Il vero ideale, intuitivo e rivelato, è di sua natura
assiomatico, e si riduce a corpo di scienza, deducendo e non inducendo,
sintetizzando e non analizzando, e procedendo in somma per modo affatto
diverso dalle scienze naturali e dalla filosofia secondaria: l'analisi
può solo venire appresso, e se vuol precedere, non può giovare
altrimenti che a guisa di semplice apparecchio. La sintesi primitiva
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Çirattagı - Gli eretici d'Italia, vol. III - 40
- Büleklär
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- Gli eretici d'Italia, vol. III - 28Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4385Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190834.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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- Gli eretici d'Italia, vol. III - 41Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4314Unikal süzlärneñ gomumi sanı 192132.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 42Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4323Unikal süzlärneñ gomumi sanı 191333.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 43Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4218Unikal süzlärneñ gomumi sanı 199630.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 44Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4261Unikal süzlärneñ gomumi sanı 173631.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 45Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4301Unikal süzlärneñ gomumi sanı 196133.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 46Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4235Unikal süzlärneñ gomumi sanı 199830.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 47Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4299Unikal süzlärneñ gomumi sanı 205430.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 48Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4191Unikal süzlärneñ gomumi sanı 198830.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 49Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4289Unikal süzlärneñ gomumi sanı 193933.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 50Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4291Unikal süzlärneñ gomumi sanı 196733.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 51Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4291Unikal süzlärneñ gomumi sanı 193132.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 52Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4168Unikal süzlärneñ gomumi sanı 176838.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 53Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4371Unikal süzlärneñ gomumi sanı 197035.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 54Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4105Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186030.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 55Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4367Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182733.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 56Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4112Unikal süzlärneñ gomumi sanı 195033.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 57Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4108Unikal süzlärneñ gomumi sanı 169135.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 58Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4152Unikal süzlärneñ gomumi sanı 146633.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 59Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4180Unikal süzlärneñ gomumi sanı 156533.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 60Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4233Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184933.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 61Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4254Unikal süzlärneñ gomumi sanı 196031.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 62Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4256Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185830.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 63Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4363Unikal süzlärneñ gomumi sanı 176634.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 64Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4318Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185035.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 65Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4310Unikal süzlärneñ gomumi sanı 188935.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 66Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4244Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186734.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 67Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4310Unikal süzlärneñ gomumi sanı 191333.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 68Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4224Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190332.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 69Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4289Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186932.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 70Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4295Unikal süzlärneñ gomumi sanı 196031.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 71Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4304Unikal süzlärneñ gomumi sanı 185531.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 72Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4317Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194930.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 73Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4247Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190733.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 74Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4229Unikal süzlärneñ gomumi sanı 192330.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 75Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4299Unikal süzlärneñ gomumi sanı 184930.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 76Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4382Unikal süzlärneñ gomumi sanı 181231.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 77Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4213Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180223.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.32.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.37.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 78Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4163Unikal süzlärneñ gomumi sanı 198629.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 79Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4309Unikal süzlärneñ gomumi sanı 186831.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.45.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 80Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4149Unikal süzlärneñ gomumi sanı 183934.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 81Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4109Unikal süzlärneñ gomumi sanı 200230.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 82Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4441Unikal süzlärneñ gomumi sanı 159639.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 83Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4098Unikal süzlärneñ gomumi sanı 194433.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 84Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4118Unikal süzlärneñ gomumi sanı 202130.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.41.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 85Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4192Unikal süzlärneñ gomumi sanı 190134.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 86Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3172Unikal süzlärneñ gomumi sanı 141933.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 87Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 2726Unikal süzlärneñ gomumi sanı 104427.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.38.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.43.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Gli eretici d'Italia, vol. III - 88Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 66Unikal süzlärneñ gomumi sanı 6033.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.