Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 01
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CRONICA
DI
MATTEO
VILLANI
A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA
COLL’AIUTO
DE’ TESTI A PENNA
TOMO III.
FIRENZE
PER IL MAGHERI
1825.
LIBRO QUINTO
_Qui comincia il quinto libro della Cronica di Matteo Villani; e prima
il Prologo._
CAPITOLO PRIMO.
Chiunque considera con spedita e libera mente il pervenire a’ magnifici
e supremi titoli degli onori mondani, troverà che più paiono mirabili
innanzi al fatto e di lungi da quello, che nella presenza della
desiderata ambizione e gloria: e questo avviene, perchè il sommo stato
delle cose mobili e mortali, venuto al termine dell’ottato fine,
invilisce, perocchè non può empiere la mente dell’animo immortale;
ancora si fa più vile, se con somma virtù non si governa e regge; ma
quando s’aggiugne a’ vizi, l’ottata signoria diventa incomportabile
tirannia, e muta il glorioso titolo in ispaventevole tremore de’
sudditi popoli. Ma perocchè ogni signoria procede ed è data da Dio in
questo mondo, assai è manifesto, che per i peccati de’ popoli regna
l’iniquo. L’imperial nome sormonta gli altri per somma magnificenza,
al qual solea ubbidire tutte le nazioni dell’universo, ma a’ nostri
tempi gl’infedeli hanno quello in dispregio, e nella parte posseduta
per i cristiani tanti sono i potenti re, signori, e tiranni, comuni,
e popoli che non l’ubbidiscono, che piccolissima parte ne rimane alla
sua suggezione; la qual cosa estimano ch’avvenga principalmente dalla
divina disposizione, il cui provvedimento e consiglio non è nella
podestà dell’intelletto umano. Ancora n’è forse cagione non piccola
l’imperiale elezione trasportata ai sette principi d’Alamagna, i
quali hanno continovato lungamente a eleggere e promuovere all’imperio
signori di loro lingua, i quali colla forza teutonica, e col consiglio
indiscreto e movimento furioso di quella gente barbara hanno voluto
reggere e governare il romano imperio; la qual cosa è strana da quel
popolo italiano che a tutto l’universo diede le sue leggi, e’ buoni
costumi e la disciplina militare: e mancando a’ Tedeschi le principali
parti che si richieggono all’imperiale governamento, non è maraviglia
perchè mancata sia la somma signoria di quello. E stringendone l’usata
materia a fare principio al quinto libro, la coronazione di Carlo di
Luzimborgo, e quanto di quella seguitò in brevissimo tempo, sieno in
parte esempio di quello che narrato avemo nella presente rubrica.
CAP. II.
_Come messer Carlo di Luzimborgo fu coronato imperadore de’ Romani._
Domenica mattina a dì 5 del mese d’aprile, gli anni Domini 1355 dalla
sua salutevole incarnazione, il dì della Resurrezione di Cristo,
essendo il cardinale d’Ostia legato del papa a fare la consecrazione
dell’imperadore con molti prelati nella basilica di san Pietro,
l’eletto Carlo sopraddetto giugnendo a san Pietro co’ Romani, e colla
grande cavalleria e moltitudine di popolo che l’aveano accompagnato,
scavalcato colla sua donna, furono ricevuti nella chiesa con grande
tumulto di stromenti, e allegrezza e festa di catuna gente. E
incontanente ch’egli fu in san Pietro, com’egli avea ordinato, molti
cavalieri armati tramezzarono tra la sua persona e della donna con
alquanti più confidenti prelati ch’erano all’uficio dell’altare, e
l’altro popolo riempierono sì il mezzo della grande basilica che niuno
potea valicare verso l’altare, o vedere la sua consacrazione, salvo
i prelati e coloro ch’erano in compagnia con l’eletto. E celebrato
l’uficio della solenne messa, spogliato l’eletto de’ suoi primi
vestimenti, e stando a piè dell’altare, ricevuta la sagra unzione, e
confessata la sua cattolica fede, con quelle cerimonie che l’usanza
richiede, fu vestito dell’imperiali vestimenta, e consecrato dal
cardinale; per lo prefetto di Vico, in chi sta l’uficio d’incoronare,
gli fu messo la corona dell’oro imperiale, ed egli incoronò
l’imperatrice. E fatta la solennità della sua coronazione, l’imperadore
nella maestà imperiale montò in su uno grande e nobile destriere,
portando nella mano destra un bastone d’oro, e nella sinistra una palla
d’oro ivi suso una crocetta di sopra, e sotto nobilissimi palii d’oro
e di seta, addestrato da’ principi romani e da altri nobili signori
alla sella e al freno e d’intorno, e appresso a lui l’imperadrice,
con grande allegrezza e festa furono condotti per la città di Roma a
san Giovanni Laterano, ov’era fatto l’apparecchiamento per desinare;
e ivi smontati, con grande reverenza andarono a vicitare l’altare: e
già valicata l’ora di nona, si posono a mangiare: e fatta la desinea,
l’imperadore e l’imperadrice, con poca compagnia di loro gente, mutato
l’abito dell’imperiale maestà, montarono a cavallo, e andarono ad
albergare fuori della città di Roma a san Lorenzo tra le vigne: e
questo fece per ubbidire al comandamento a lui fatto dal santo padre,
che coronato che fosse, non dovesse albergare in Roma. A questa
coronazione si trovarono cinquemila tra baroni e cavalieri alamanni,
i più Boemi, e più di diecimila Italiani vi furono a cavallo, tutti al
servigio e a fare onore all’imperadore. E niuno contrario o sospetto a
lui si trovò in Italia, per l’umile venuta e savia pratica che tenne,
di non essere partefice e di non seguire il consiglio de’ ghibellini
come i suoi antecessori, cosa maravigliosa e non udita, addietro per
molti tempi. E partito l’imperadore da san Lorenzo con minore compagnia
se n’andò a Tivoli per osservare alcuna ceremonia debita a’ novelli
imperadori; incontanente tutta la cavalleria si cominciò a partire da
Roma, e venire verso Siena e Pisa, e chi a ritrarsi verso la Magna.
Lasceremo alquanto l’imperadore e la sua cavalleria al cammino, e
seguiremo d’altre novità strane, che in questi giorni s’apparecchiano
alla nostra materia.
CAP. III.
_Come messer Ruberto di Durazzo prese per furto il Balzo in Provenza._
Quello che seguita essendo molto strano dalla schiatta reale, ci
fa manifesto, che dove la necessità regna, rade volte s’aggiugne la
ragione. Messer Ruberto, figliuolo che fu di messer Gianni duca di
Durazzo, nipote del re Ruberto, tornato di prigione d’Ungheria, e male
provveduto dal re Luigi suo cugino, se n’andò in Francia; e servendo
il re alle sue spese, non essendo provveduto da lui tornò in Provenza;
e ivi, per mantenersi a onore, gravati gli amici e’ parenti, consumò
ciò ch’egli avea: e venuto a tanto che non potea mantenere quattro
scudieri, si pensò di fare male; e non avendo da se la forza, s’accostò
col sire della Guardia, a cui manifestò il suo pensiero, e richieselo
d’aiuto. Costui, ch’era uomo atto alla guerra più ch’al riposo, disse
di seguirlo volentieri, e accolsono ottanta cavalieri, e provvidonsi
di scale; e una notte, a dì 6 d’aprile del detto anno, essendo il forte
castello del Balzo in Provenza senza alcuno sospetto, e ’l signore del
Balzo nel Regno in cortese guardia del re, messer Ruberto vi s’entrò
dentro, e senza contasto prese il castello e la rocca inespugnabile.
Sentendosi la novella in corte, il papa e’ cardinali se ne turbarono
forte, salvo il cardinale di Pelagorga ch’era suo zio, il quale con
seguito di certi cardinali di sua setta lo scusavano in concestoro,
e segretamente l’atavano per modo, che in pochi dì ebbe nel Balzo
trecento cavalieri e cinquecento fanti armati, e cominciò a correre il
paese e fare preda fin presso Avignone, non senza sospetto del papa, e
de’ cardinali, e di tutta la Provenza.
CAP. IV.
_Come i Provenzali s’accolsono per porre l’assedio al Balzo._
Essendo questa cosa divolgata per la Provenza, i baroni del paese
ch’amavano la casa del Balzo, e temeano delle loro castella per lo
male esempio, senza essere richiesti da altro signore fece catuno suo
sforzo, e trassero con cavalieri e fanti che poterono fare al Balzo,
e in pochi giorni vi si trovarono ottocento cavalieri e gran popolo:
e dato ordine tra loro, tennono assediato il castello e la gente che
dentro v’era. La novella andò di subito a Napoli al conte d’Avellino
signore del Balzo, il quale di presente il disse al re; ond’egli
si turbò forte, e incontanente licenziò il conte, e rimandollo in
Provenza, profferendogli il suo aiuto: il conte si mise in fretta al
suo viaggio. Il papa e’ cardinali erano in turbazione colla setta
di quelli di Pelagorga, la qual cosa conturbava non poco la corte
e tutta la Provenza. Lasceremo al presente la materia del Balzo, e
trapasseremo alle novità che occorsono in Italia innanzi che il Balzo
si racquistasse.
CAP. V.
_Come si comincio l’izza da messer Galeazzo Visconti a messer Giovanni
da Oleggio._
Messer Giovanni da Oleggio vicario di Bologna per messer Maffiolo de’
Visconti di Milano, innanzi che l’arcivescovo avesse presa Bologna
era provveduto dal detto arcivescovo, del quale si credea che fosse
figliuolo, tra altre utili possessioni d’un castello grande e nobile
chiamato...., del quale messer Giovanni avea buona rendita: il castello
vicinava con certe terre di messer Galeazzo Visconti. Avvenne, che
messer Giovanni s’intendea in Milano d’amore con alcuna donna la quale
nel segreto era al servigio di messer Galeazzo, il quale accorgendosi
di messer Giovanni, l’ebbe a sdegno, e senza altro dimostramento
della cagione prese izza contro a lui, e messer Giovanni sforzandosi
di fargli onore nol potea contentare: infine gli tolse il castello,
più per fargli dispetto che per altra cagione. Della qual cosa messer
Giovanni non s’osò rammaricare nè dolere, ma di questo nacque poi
maggiore novità quando messer Giovanni si rubellò alla casa de’
Visconti, come leggendo appresso si potrà trovare.
CAP. VI.
_Come il capitano di Forlì sconfisse gente della Chiesa._
Del mese d’aprile del detto anno, il capitano di Forlì cavalcava
nella Marca, e avea in sua compagnia dugento cavalieri i più gentili
uomini giovani, i quali erano con lui per amore a sua provvisione. Il
capitano della gente d’arme della Chiesa seppe l’andata del capitano
di Forlì, e di notte gli si fece incontro, e misegli un aguato di
quattrocento cavalieri. Il capitano di Forlì, innanzi che fosse al
passo dell’aguato, per sue spie seppe come i nemici in quantità di
quattrocento cavalieri l’attendeano di presso; egli era in parte
ch’el si poteva tornare addietro salvamente, ma pensando che ciò gli
tornerebbe a vergogna, avendo l’animo grande, e giovani cavalieri con
seco pro’ e arditi, diliberò con loro d’andare ad assalire i nemici,
non ostante che gran vantaggio avessono del numero della gente e del
terreno; fece cento feditori ch’andassono innanzi a cominciare la
zuffa, i quali si mossono in un fiotto, e dirizzaronsi al cammino
verso l’aguato, a modo come se ’l capitano fosse tra loro. I nemici
pensandogli raccogliere a mansalva uscirono loro addosso, credendo
che vi fosse il capitano di Forlì. I cento cavalieri, vedendo venire
verso loro tutto l’aguato, strettamente con grande ardire, sì fedirono
tra loro sì virtuosamente, che gli feciono invilire; e vedendo come
francamente sosteneano contro a loro, temettono che il capitano con
maggior forza non venisse loro addosso; e vedendo dalla lunga apparire
gente al loro soccorso, e che questi cento cavalieri tanto francamente
si sosteneano, innanzi che il capitano giugnesse ruppono; e giugnendo
il capitano di Forlì al soccorso de’ suoi, trovò rotti i nemici, e
perseguitandoli, prese dugento cavalieri e più di quell’aguato, e
raccolta la preda, vittoriosamente fornì il suo viaggio.
CAP. VII.
_Come messer Filippo di Taranto prese per moglie la figliuola del duca
di Calavria._
Essendo dama Maria, sirocchia della reina Giovanna figliuola del duca
di Calavria, rimasa vedova di due mariti tagliati a ghiado, che l’uno
fu il duca di Durazzo, l’altro Ruberto figliuolo del conte d’Avellino,
de’ quali innanzi è fatta menzione, essendo così vedova, del mese
d’aprile, ella e messer Filippo di Taranto fratello carnale del re
Luigi senza moglie, non ostante ch’ella fosse figliuola di suo cugino
carnale e stata moglie del duca suo cugino, senza alcuna dispensazione,
con volontà e consiglio del detto re e della reina Giovanna sua
sirocchia, per nome di matrimonio si congiunsono insieme; e dopo la
loro congiunzione e maritaggio, il detto messer Filippo andò a corte
di Roma a Avignone al papa per avere la dispensagione. Il papa ebbe
questa cosa molto a grave, e il collegio de’ cardinali, e fu da loro
messer Filippo mal veduto, e dimorò in corte e in Provenza lungamente,
adoperando cose da piacere al papa per potere avere la dispensazione
a lui più volte negata. Infine dopo lungo dimoro, caricato il papa dal
re e dalla reina, che questa vergogna non rimanesse nella casa reale,
infine per lo meno male, e per ricoprire quello vituperio, concedette
la detta dispensagione.
CAP. VIII.
_Come Massa e Montepulciano non ricevettono i vicari del patriarca._
In questi dì, essendo l’imperadore a Roma, i Massetani, e’
Montepulcianesi, e que’ di Grosseto, che soleano ubbidire al comune
di Siena, avendo sentiti i romori della città, e l’abbattimento
dell’ordine de’ nove e di tutti gli ufici del comune mandandovi il
vicario dell’imperadore per riprendere la signoria di quelle terre,
catuna si ritenne senza volere ricevere la signoria del vicario,
volendo prima vedere come la città di Siena si dovea riposare. E di
questa novità il minuto popolo e gli artefici ch’aveano abbattuto
l’ordine de’ nove, che di ciò erano contenti, furono turbati assai,
e presono cagione d’intendersi insieme, onde poi seguirono gravi
revoluzioni, come al suo tempo appresso racconteremo.
CAP. IX.
_Come i Visconti tolsono a messer Giovanni da Oleggio il suo castello._
Essendo messer Giovanni de’ Peppoli che vendè Bologna molto confidente
a messer Galeazzo Visconti, per accattare benivolenza a’ suoi amici da
Bologna da messer Giovanni da Oleggio che n’era vicario operò tanto,
che messer Galeazzo gli rendè la grazia sua, e il castello, che per
sdegno gli avea tolto; la qual cosa fu a messer Giovanni da Oleggio a
grado, e di presente si provvide di ricchi doni, e mandolli a messer
Galeazzo, il quale gli ricevette graziosamente. Messer Maffiolo vedendo
che messer Giovanni era tornato nella grazia di messer Galeazzo,
incominciò a prendere sconfidanza di lui, e inanimossi di rimuoverlo
del vicariato di Bologna, e il suo proprio castello ch’avea riavuto
da messer Galeazzo recò cortesemente al suo governamento, e certa
provvisione ch’egli era usato di fare ogni anno a messer Giovanni per
i servigi che ricevea da lui cominciò a sostenere con dissimulazioni.
E parendogli che messer Giovanni ubbidisse più gli altri suoi fratelli
che se, avendo intendimento di mutarlo e trarlo di Bologna, copria il
suo intendimento con povero consiglio, che non sapea più; ma colui con
cui egli avea a fare era uomo astuto e avvisato, e però il fine andò
tutto per altro modo che messer Maffiolo e’ fratelli non pensarono,
come leggendo innanzi si potrà vedere.
CAP. X.
_Andamenti della gran compagnia._
Essendo lungamente stata in Puglia la compagnia del conte di Lando,
favoreggiata dal duca di Durazzo e dal conte Paladino in vergogna della
corona, perchè dal re erano stati mal trattati, del mese di maggio
la condussono in Terra di Lavoro, e misonsi a Serni e a Matalona,
facendo per lo paese danni di ruberie e di prede quanto più poteano,
senza trovare fuori delle mura delle terre alcuno contasto: e appresso
feciono più parti di loro, e sparsonsi per lo paese facendo danni
assai, come per i tempi innanzi si racconteranno.
CAP. XI.
_Come il re di Tunisi fu morto._
Innanzi ch’e’ Genovesi prendessono Tripoli di Barberia, il re di Tunisi
avendo assai figliuoli di diverse donne, com’è usanza de’ saracini,
i quali figliuoli male ordinati, non volendo che la successione del
regno venisse a quel loro fratello a cui il re intendea di lasciare la
reale signoria, trattarono e misono ad esecuzione la violente morte del
re loro padre; e rimanendo il reame in vacazione, i baroni occuparono
chi in un paese e chi in un altro le possessioni e ragioni del reame;
e nondimeno alcuni de’ piccoli figliuoli del re che non era partefice
al patricidio feciono re, il quale possedea Tunisi e parte del reame,
ma non l’occupava. In quel tempo avvenne, ch’un figliuolo d’un fabbro
saracino, essendo sperto, e ben parlante, e di grand’animo, ebbe cuore,
trovandosi in Tunisi, d’occupare la città con tirannia; ed essendovi
grande per la sua eloquenza, per la sua industria se ne fece signore,
e reggea e governava quel popolo e quell’antica città a suo volere,
senza lasciarli ritornare alla debita signoria del re di Tunisi; e per
lo male stato di quello reame non era chi lo repugnasse. Per la qual
cosa avvenne, che certi Genovesi ch’aveano veduto il reggimento di
quel tiranno, e sentito com’egli era in odio al re di Tunisi e a’ suoi
baroni, da cui non avrebbe soccorso, e il gran tesoro ch’era in quel
popolo, si pensarono di prendere per ingegno e per forza quella città,
come poi venne loro fatto, secondo che appresso leggendo si potrà
trovare.
CAP. XII.
_Come messer Giovanni da Oleggio rubellò Bologna._
Noi abbiamo poco addietro narrato come messer Maffiolo de’ Visconti
di Milano, nella cui parte era venuta la città di Bologna, avea preso
sospetto di messer Giovanni da Oleggio suo vicario, e provvedeasi
segretamente a rimuoverlo; e parendogli tempo, mandò a Bologna messer
Galeazzo de’ Pigli da Modena con certa famiglia, acciocchè prendesse
da messer Giovanni la signoria, e rimanesse suo vicario in Bologna, e
a messer Giovanni scrisse, ch’assegnato ch’avesse al nuovo vicario la
tenuta e la signoria, che se ne tornasse a Milano, facendogli assai
larghe offerte. E giunto in Bologna messer Galeazzo, fu da messer
Giovanni ricevuto graziosamente nella prima apparenza, e per mostrarsi
fedele e ubbidiente al suo signore, di presente fece assegnare la rocca
e la guardia della porta di verso Modena a uno Milanese, di cui messer
Maffiolo n’avea fatto castellano. Questo si crede che facesse piuttosto
per poter meglio trattare l’altre cose che gli bollivano nell’animo,
che per semplice disposizione d’ubbidienza. E vedendosi egli allo
stremo partito, lavorava dentro con grande angoscia dell’animo, e non
avea con cui confidentemente potersi consigliare; e dall’una parte il
premea la fede promessa alla casa de’ Visconti di cui e’ si tenea per
nazione, ma più per i grandi onori e per lo stato ov’era pervenuto di
piccolo grande, per i beneficii ricevuti da’ suoi signori; e dall’altro
lato tempellava la mente l’ambizione della signoria che gli convenia
lasciare, e lo sdegno che già sentiva preso per messer Maffiolo gli
generava paura che lasciata la signoria e’ non fosse mal trattato, e
però, ma più l’appetito della signoria, il fece diliberare di mettersi
innanzi a ogni pericolo di sua fortuna, che di lasciare così grande
signoria com’egli avea tra le mani, e ogni fede promessa, e tutte
l’altre ragioni di sua natura, e d’onori e di beneficii ricevuti mise
addietro per niente. E avendo in se medesimo così diliberato, ebbe a
se messer Galeazzo nuovo vicario, e fecegli vedere con belle ragioni,
come la subita revoluzione della signoria di Bologna era di gran
pericolo, e maggiormente perchè sapea che ’l marchese di Ferrara avea
accolto gente d’arme, e manifesto era per l’aspre cose ch’egli avea
fatte a’ Bolognesi ch’elli erano mal contenti; e però consigliava,
ch’egli prima andasse a prendere le tenute delle castella di fuori, e
quelle rifornisse e provvedesse di buona guardia, e fatto questo, senza
pericolo potea sicuramente ricevere la signoria. Costui ignorante del
baratto seguitò il consiglio di messer Giovanni, e prese le masnade
ch’avea in Bologna a cavallo e a piè, e’ nuovi castellani e le lettere
del comandamento, ch’e’ castellani e l’altre masnade dovessono ubbidire
al nuovo vicario; e messolo fuori della città di Bologna, incontanente
messer Giovanni mandò pe’ rettori e per tutti gli uficiali ch’erano
in Bologna, catuno per se, e come veniano a lui, gli facea mettere
in certa camera del suo palagio in salva guardia: e com’ebbe raccolti
tutti i rettori, e uficiali in quella sera, mandò per tutti i maggiori
cittadini di Bologna grandi e popolani, e per coloro cui egli avea più
serviti e meno gravati, e raunatili insieme nel suo palagio, essendo
già assai infra la notte, disse, com’egli col loro aiuto intendea di
volere torre la signoria di Bologna a messer Maffiolo e agli altri suoi
fratelli signori di Milano, e voleala tenere per se, promettendo di
trattare benignamente grandi e popolani, e d’alleggiare i cittadini dal
disordinato giogo, che a petizione di que’ tiranni era stato costretto
di tenere loro addosso contro a sua volontà; scusando se, che come
sottoposto al duro comandamento avea fatte assai aspre e crudeli cose
a que’ cittadini, facendole contro alla sua natura e all’animo suo per
ubbidire a’ crudeli tiranni, a cui non avea potuto fare resistenza, ma
da quinci innanzi intendea trattarli come fratelli, e ne daria loro un
segnale, mettendo il governamento della cittadinanza nelle loro mani.
I cittadini paurosi per l’usata tirannia, temendo che ’l parlare di
messer Giovanni non fosse per tentarli della loro fedeltà, dimostrarono
e rispuosono di concordia, ch’elli erano apparecchiati a mantenere
a lui e a’ suoi signori la fede promessa. Messer Giovanni vedendo la
ferma risposta de’ cittadini, e temendo il pericolo della brevità del
tempo, con aspre parole cominciò a minacciare i cittadini, dicendo,
che parlava aperto e non per tentarli, e che poteano bene comprendere,
che in questo punto a lui convenia prendere o lasciare la signoria,
ed egli per suo vantaggio, e per trarre loro del servaggio, volea
fare con loro consentimento quello ch’avea loro proposto e ragionato:
ma poichè vedea tanta follia nelle cieche menti di que’ cittadini,
disse, che contro a loro e contro agli altri che non v’erano farebbe
aspre e dure cose infino alla morte di catuno, e la città arderebbe
e lascerebbe desolata. E questo dimostrava con tanto infocamento
d’animo, che manifesto fu a tutti ch’e’ parlava da dovero e non per
alcuna tentazione. Allora presono tra loro consiglio, e dissono:
Signor nostro, che aiuto vi possiamo noi fare, essendo senz’arme?
messer Giovanni disse, che volea ch’eglino il chiamassono signore, e
in quella notte farebbe a catuno rendere l’armi: ed eglino il feciono,
e l’armi furono rendute in quella notte a chi le volle. La mattina
messer Giovanni mandò per i conestabili de’ soldati da cavallo e da
piè, e disse, che volea il saramento da loro a se come signore di
Bologna, e chi fare nol volesse di presente si partisse di Bologna, e
del contado e del suo distretto, a pena della testa; giurarono a lui
le due parti, e gli altri si partirono, e di presente uscirono del
paese: e tutti gli uficiali ch’egli avea rinchiusi rimutò de’ loro
ufici, e misevi de’ nuovi che giurarono a lui, e quelli fece partire
della città. Il nuovo castellano, ch’avea messo nella rocca della porta
verso Modena, avendo messer Giovanni mandato per lui, non v’era voluto
andare, ma per mattia n’avea mandato il figliuolo, il quale messer
Giovanni ritenne: e in quella mattina con gran fretta mandò a tutti
i castellani di fuori, che non si dovessono rimuovere, nè ricevere in
loro castella messer Galeazzo de’ Pigli per lettere o per comandamento
ch’e’ portasse da sua parte, e di ciò fu bene ubbidito. Il castellano
della città sopraddetto, sentendo la ribellione di messer Giovanni,
non volea rendergli la rocca. Messer Giovanni, dal venerdì mattina
fino alla domenica sera, con molta sollecitudine intese a ordinare
e a rifermare il reggimento della città e della guardia dentro:
e in questo tempo il marchese di Ferrara, cui egli avea richiesto
d’aiuto, gli mandò dugentocinquanta cavalieri. Il lunedì mattina, non
volendo il castellano milanese rendere la rocca della porta, messer
Giovanni vi mandò gente d’arme per mostrare di volerla combattere, e
per fare impiccare il figliuolo nel cospetto del padre; la battaglia
fu ordinata, e le forche ritte, e ’l figliuolo menatovi a piè per
impiccare. Il padre doloroso, vedendosi senza soccorso da non potere
resistere, e ’l figliuolo per essere impiccato, rendè la tenuta, e fu
libero egli e ’l figliuolo: e messer Giovanni rimase libero signore
della città di Bologna, levatala dalla signoria de’ signori di Milano,
per cui l’avea governata e retta in cruda tirannia infino a dì 20 del
mese d’aprile 1355 che se ne fece signore ed ebbe la detta rocca, e
in Bologna prese tutti i Milanesi che v’erano e le loro mercatanzie,
de’ quali trasse molti danari per riscatto delle persone e della
mercatanzia. E nelle castella di fuori non ebbe podere d’entrare messer
Galeazzo, salvo che in Luco, e ivi si ritenne, sentendo la ribellione
di messer Giovanni, aspettando la volontà de’ suoi signori. Messer
Giovanni mettendosi alla fortuna rimase signore; quegli che segue
rifrenandola per senno, ovvero per mattia, ne perdè la vita, come
appresso diviseremo.
CAP. XIII.
_Come il doge di Vinegia fu decapitato._
Messer Marino Faliere doge di Vinegia, uomo di gran virtù e senno,
reggendo l’uficio di cotanta dignità, e senza sospetto e in grazia
de’ suoi cittadini, avendo l’animo grande si contentava male, non
parendogli potere fare a sua volontà com’avrebbe voluto, strignendolo
la loro antica legge di non potere passare la deliberazione del
consiglio a lui diputato per lo comune; e però avea preso sdegno contro
a’ gentili uomini che più lo repugnavano presontuosamente. E intanto
avvenne, che certi popolani furono da alquanti de’ grandi di parole e
di fatti oltraggiati villanamente; e crescendo lo sdegno del doge per
la disordinata baldanza de’ gentili uomini, prese sicurtà di scoprire
agli oltraggiati popolani l’animo suo ch’avea contro la riverenza de’
gentili uomini, che tutti erano del consiglio; e di questo seguitò,
che il doge concedette segretamente licenza a’ popolari ingiuriati che
si procacciassono di confidenti amici, e d’arme e di gente acconcia
al servigio, e una notte ordinata fossono su la piazza di san Marco,
e sonassono le campane a stormo, e dessono voce che le galee de’
Genovesi fossono nel golfo; e per usanza in cotali novità i gentili
uomini di consiglio soleano venire al palazzo al doge per provvedere
e consigliare quello che fosse da fare, e in quella venuta i popolani
armati li doveano uccidere, ovvero radunati in palagio metterli alle
spade; e questo fatto, doveano correre la città gridando, viva il
popolo, e fare il doge signore, e annullare l’ordine del consiglio
e de’ gentili uomini, e fare tutti gli uficiali popolari. Ed essendo
con molta credenza la cosa condotta sino alla sera che la notte dovea
seguire, il fatto come a Dio piacque per lo minore male, il doge
in questa sera mandò per un suo confidente popolare amico, uomo di
grande ricchezza, a cui rivelò il trattato, e come in quella notte si
dovea fare il fatto: costui turbato nella mente, con savie parole gli
biasimò l’impresa e impaurì il doge, e non ostante che la cosa fosse
recata molto agli stremi del tempo, disse, che là dove piacesse al
doge, che metterebbe subito consiglio che la cosa non procederebbe.
Il doge invilito nell’animo al consiglio di questo suo amico, gli
diè mattamente parola ch’egli ordinasse segretamente che il fatto si
rimanesse; e acciocchè dato gli fosse fede, gli diè un suo segreto
suggello. Questi andò di presente ai caporali a cui il doge il mandò
ch’aveano accolta la loro compagnia, e disse loro da parte del doge,
che si dovessono ritrarre dall’impresa, e mostrò loro il segno del suo
suggello. A’ popolari ch’erano apparecchiati parve essere traditi,
e non ardirono di procedere più innanzi, sentendo la mutazione del
doge. Uno pellicciere ch’era degl’invitati, sentendo che la cosa non
procedea, per paura d’essere incolpato se n’andò a uno gentile uomo
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Çirattagı - Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 02
- Büleklär
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 01Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4506Unikal süzlärneñ gomumi sanı 139041.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 02Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4523Unikal süzlärneñ gomumi sanı 139739.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.63.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 03Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4506Unikal süzlärneñ gomumi sanı 134237.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 04Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4573Unikal süzlärneñ gomumi sanı 136738.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 05Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4604Unikal süzlärneñ gomumi sanı 139437.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 06Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4591Unikal süzlärneñ gomumi sanı 135640.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 07Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4674Unikal süzlärneñ gomumi sanı 145839.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 08Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4623Unikal süzlärneñ gomumi sanı 137138.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 09Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4729Unikal süzlärneñ gomumi sanı 141338.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 10Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4570Unikal süzlärneñ gomumi sanı 136137.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 11Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4730Unikal süzlärneñ gomumi sanı 139739.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 12Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4615Unikal süzlärneñ gomumi sanı 142140.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 13Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4649Unikal süzlärneñ gomumi sanı 134040.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 14Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4706Unikal süzlärneñ gomumi sanı 138638.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.61.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 15Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4664Unikal süzlärneñ gomumi sanı 143339.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 16Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4705Unikal süzlärneñ gomumi sanı 140638.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Cronica di Matteo Villani, vol. 3 - 17Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 1822Unikal süzlärneñ gomumi sanı 72347.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.65.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.