Annali d'Italia, vol. 3 - 20

Süzlärneñ gomumi sanı 4432
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1552
38.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
53.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
60.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
abbracciata la vita monastica, dappoichè intese la morte del duca
_Guaifario_ suo figliuolo, invogliatosi delle cose mondane, deposto il
cappuccio, se ne tornò al secolo, e trovò partigiani che il riconobbero
per duca d'essa Aquitania[447]. Gli fu ben tosto addosso colle sue armi
al re Carlo, e il costrinse a ritirarsi in Guascogna presso _Lupo_ duca
di quella contrada, da cui poscia, a forza di minacce, lo ebbe vivo
nelle mani. Poichè _Carlomanno_ suo fratello non volle in tal
congiuntura dargli aiuto, cominciarono i dissapori fra loro, che
andarono poi a finire in male. Nè è da tacere che in quest'anno
l'imperador Costantino diede per moglie a _Leone IV_ Augusto suo
figliuolo, _Irene_ fanciulla greca, di cui avremo da parlare andando più
innanzi.
Apparisce poi dalle lettere scritte in questi tempi da papa Stefano e
Carlo Magno, e da quanto ancora ha Anastasio, che erano fatte istanze al
re _Desiderio_ da esso papa per la restituzione delle giustizie di s.
Pietro, cioè di allodiali, rendite e diritti che appartenevano alla
Chiesa romana nel regno longobardico. Notizie tali hanno servito al
Cointe, al Mabillone e al Pagi, per credere che il re Desiderio non le
avesse interamente restituite finchè visse papa Paolo, con rapportare
per tal cagione alcune lettere di esso pontefice Paolo, dove si tratta
delle giustizie suddette agli anni 766 e 767, le quali sono sembrate a
me scritte alcuni anni prima. Seguito nondimeno io a credere che
Desiderio avesse, vivente papa Paolo, soddisfatto al suo dovere, perchè
da varie lettere del medesimo pontefice si raccoglie che era stabilita
buona amicizia fra lui e il re suddetto, e il pontefice Paolo ricercava
aiuto da Desiderio contra le minacce de' Greci. E perciocchè Pippino re
di Francia nella lettera trigesima aveva esortato il medesimo re a
mantenere una buona pace ed amicizia col re Desiderio, rispose papa
Paolo d'essere pronto a farlo, purchè ancora Desiderio _in vera
dilectione et fide, quem vestrae excellentiae, et sanctae Dei romanae
Ecclesiae spopondit, permanserit_; e più non disse di voler conservare
questa armonia, se il re farà restituzione dei beni spettanti a s.
Pietro. Anzi, siccome s'è veduto di sopra, lo stesso papa Paolo nella
lettera vigesima sesta confessa di avere ricevuto le giustizie _de
partibus beneventanis atque tuscanensibus. Nam et de ducatu spoletino,
nostris vel Longobardorum missis illic adhuc existentibus, ex parte
justitias fecimus, ac recepimus. Sed et reliquas, quae remanserunt,
modis omnibus plenissime inter partes facere student._ Il perchè se
sotto papa Stefano III s'odono risvegliate pretensioni di giustizie
usurpate alla Chiesa romana, pare ben più probabile che sì fatte
usurpazioni sieno non già le antiche, ma bensì nuove e diverse dalle
antecedenti, cioè succedute mentre la cattedra di s. Pietro si trovava
occupata dal falso pontefice Costantino, e Roma involta in molti
sconcerti. Fors'anche non v'ebbe parte Desiderio, ma solamente i duchi
di Benevento e Spoleti. Intanto neppure in quest'anno potè godere Roma
della sua quiete. Se vogliam credere ad Anastasio[448] bibliotecario, o
chiunque sia l'autore della vita di Stefano III papa, perchè Cristoforo
primicerio e Sergio secondicerio suo figliuolo andarono al re Desiderio
a fare istanza per le giustizie di s. Pietro, il re se la prese
fieramente contra di loro, e macchinò la lor rovina. Pertanto guadagnò
Paolo Afiarta, ossia Asiarta, cameriere del papa, per mettere costoro in
diffidenza presso il santo padre. Penetratosi da Cristoforo che
Desiderio meditava di portarsi a Roma, fece gran massa di gente, presa
dalla Toscana e Campania e dal ducato di Perugia, e chiuse le porte di
Roma, con quegli armati si mise alla difesa della città. Arrivò in
questo punto il re Desiderio col suo esercito a s. Pietro in Vaticano,
che era allora fuori di Roma, ed invitò colà il papa, che v'andò, e che
dopo avere parlato con lui, se ne tornò nella città. Intanto Paolo
Afiarta col re trattò di sollevare il popolo romano contra di Cristoforo
e di Sergio; ma essi avutane contezza, armati entrarono nel Laterano,
dove era il pontefice, per cercare i loro insidiatori, e furono sgridati
forte per cotale insolenza. Nel dì seguente s'abboccò di nuovo il papa
col re Desiderio, che gli rappresentò le trame di Cristoforo e Sergio, e
poi fece serrar le porte della basilica vaticana. Allora il papa inviò
_Andrea_ vescovo di Palestrina, e _Giordano_ vescovo di Segna, per far
sapere a Cristoforo e a Sergio che eleggessero l'una delle due, cioè o
di farsi monaci, o di venire a san Pietro. Risaputa l'intenzion del
pontefice, cominciarono i lor partigiani ad abbandonarli, di maniera che
stimarono meglio amendue di portarsi al Vaticano, e di mettersi in mano
del papa, il quale ritiratosi poi in Roma, li lasciò in quelle de'
Longobardi, pensando di farli poscia venire la notte entro la città e di
salvarli. Ma Paolo Afiarta ito a trovare il re con una gran moltitudine
di popolo romano, trattò con lui direttamente. In fatti messe le mani
addosso a Cristoforo e Sergio, li condussero alla porta della città, e
quivi loro cavarono gli occhi. Cristoforo da lì a tre dì morì di
spasimo. Sergio, portato in una camera del Laterano, restò in vita sino
alla morte di papa Stefano, ed allora, per quanto vedremo, fu
strangolato. Tutti questi malanni, dice Anastasio, occorsero per segrete
trame di Desiderio re de' Longobardi.
Ma a poter ben giudicare degli avvenimenti suddetti, e se veramente se
ne debba rigettar la cagione e la colpa sulla malizia del Longobardo,
bisognerebbono altri lumi. L'odio de' Romani contra della nazion
longobarda era troppo gagliardo, e la loro passion trabocchevole ad
altro non pensava che a screditarli; e però il voler formare il processo
sull'unica relazion di essi, non è via sicura alla verità, quantunque
prudentemente si possa credere che Desiderio fosse uomo di raggiri e di
non molta lealtà. A buon conto abbiam veduto andar qui d'accordo il papa
e il re Desiderio. Abbiamo inoltre una lettera del medesimo papa Stefano
scritta a Carlo Magno e alla regina Berta sua madre, cioè l'epistola
quadragesima sesta del Codice Carolino, in cui assai differentemente
parla di questo fatto. In essa gli notifica che il nefandissimo
Cristoforo, e il più che malvagio suo figliuolo Sergio, unitisi con
Dodone messo del re Carlomanno, aveano congiurata la morte dello stesso
pontefice. A questo fine erano entrati violentemente coll'armi nella
basilica lateranense, ove egli sedeva, tentando di levarlo di vita; ma
che Dio l'avea salvato dalle loro mani, mercè l'aiuto ancora del re
Desiderio, capitato a Roma in questi tempi per trattare di diverse
_giustizie_ di s. Pietro. Che chiamati i due suddetti al Vaticano, non
solamente aveano ricusato d'andarvi, ma eziandio in compagnia di Dodone
e dei Franchi del loro seguito s'erano afforzati nella città, con
chiudere le porte, minacciare il papa, e impedirgli l'entrata in Roma.
Che veggendosi eglino finalmente abbandonati dal popolo, per necessità
erano venuti a s. Pietro, dove il papa con fatica gli avea difesi dalla
moltitudine che voleva ucciderli. Ma che mentre pensava di farli
introdurre nella città per salvarli, erano loro stati cavati gli occhi,
ma senza saputa e consentimento dello stesso papa, che chiamava Dio in
testimonio della verità. Però assicurava il re Carlo, che se non era
l'assistenza del re Desiderio, esso pontefice correva pericolo di
perdere la vita, con dolersi acremente di Dodone, che invece di essere
in aiuto suo, come ne avea l'ordine dal suo re, gli avea tramata la
morte, e con persuadersi che Carlomanno disapproverebbe il di lui
operato. Soggiugne in fine essere seguito accordo fra esso papa e il re
Desiderio, e di avere interamente ricevuto le giustizie appartenenti a
s. Pietro: del che ancora gl'inviati del medesimo re Carlo gli darebbono
buona contezza. Così in quella lettera. Ma il p. Cointe negli Annali
sacri della Francia, seguitato in ciò dal padre Pagi, fu di parere che
questa fosse scritta per forza dal papa, mentre egli era quivi detenuto
dal re Desiderio, e che, per conseguente, non le si debba prestar fede,
ma bensì alla relazion di Anastasio. Intorno a che hanno da osservare i
lettori, non sussistere primieramente il supposto del Cointe circa il
tempo in cui fu scritta quella lettera. Certo è che il papa la scrisse
dopo terminata quella scena, e dappoichè si trovava in tutta sicurezza,
ed erano stati accecati Cristoforo e Sergio: il che, per attestato del
medesimo Anastasio, accadde, essendo già tornato il papa in Roma, e
senza più abboccarsi col re Desiderio. Però indebitamente si pretende
forzato il papa a scrivere quella lettera, allorchè Anastasio il
rappresenta detenuto dal re nel Vaticano. Secondariamente son degne di
osservazione le parole dello stesso Anastasio, o, per dir meglio,
dell'autore della vita di papa Adriano primo[449], successore di Stefano
III. Faceva istanza esso pontefice Stefano al re Desiderio per la
restituzion dei beni di s. Pietro, e Desiderio rispondeva: _Sufficit
apostolico Stephano, quia tuli Christophorum et Sergium de medio, qui
illi dominabantur, et non illi sit necesse justitias requirendi. Nam
certe si ego ipsum apostolicum non adjuvero, magna perditio super eum
eveniet. Quoniam Carlomannus rex Francorum amicus existens praedictorum
Christophori et Sergii, paratus est cum suis exercitibus ad vendicandum
eorum mortem, Romam properandum, ipsumque capiendum pontificem._ Dalla
bocca del medesimo papa Stefano avea Adriano intese queste parole, con
avergli anche esso Stefano confessato di aver fatto cavar gli occhi a
Cristoforo e Sergio per suggestione di Desiderio; laddove nella suddetta
lettera quadragesima sesta esso protesta con giuramento di non aver
avuta parte nell'accecamento d'essi. Sicchè veniamo in chiaro che papa
Stefano andò d'accordo con esso re in quella occasione per liberarsi da
Cristoforo e Sergio, che voleano fargli da padroni addosso; e siccome
coll'assistenza dei Longobardi fu cacciato dalla sedia di s. Pietro
l'iniquo Costantino, e sostituito il legittimo papa Stefano, così
dell'aiuto degli stessi si servì egli in quest'altra occasione.
All'incontro, Dodone e i Franchi si dichiararono in tal congiuntura
contra del papa, perchè il re Carlomanno sosteneva il partito di
Cristoforo e di Sergio; e conseguentemente si viene ad intendere che non
fu ben informato di quel fatto Anastasio, o vogliam dire l'autor della
vita di Stefano III, oppure che il mal animo verso de' Longobardi gli
fece scrivere in maniera differente dal vero quel deforme successo. Ed
io l'ho rapportato all'anno presente, ma senza certa cognizione del
tempo; perciocchè Sigeberto[450], che parla sotto quest'anno, non ne
sapeva più di noi per conto di quegli affari.
NOTE:
[446] Anastas., in Stephani III.
[447] Eginhardus, in Annalib.
[448] Anastas., in Stephano III Papa.
[449] Anastas., in Hadriani I Vita.
[450] Sigebertus, in Chronico.


Anno di CRISTO DCCLXX. Indizione VIII.
STEFANO III papa 3.
COSTANTINO Copronimo imperadore 51 e 30.
LEONE IV imperadore 20.
DESIDERIO re 14.
ADELGISO re 12.

Erano già insorti nuvoli di discordia tra _Carlo Magno_ e _Carlomanno_
re suo fratello, dandosi ben a conoscere che con fondamento fu detto:
_Rara est concordia fratrum_. Per riconciliarli insieme si mosse la
comune lor madre _Berta_, appellata da altri _Bertrada_, che portatasi a
Carlomanno, maneggiò con lui la concordia. E perciocchè era imminente
anche la guerra contra di _Tassilone_ duca di Baviera, il quale
insuperbito non volea riconoscere per suo sovrano il re Carlomanno, e la
faceva piuttosto da re che da duca, si adoperò la saggia regina per
impedire ancora un sì fatto incendio. Prese motivo papa Stefano III
dalla buona armonia rimessa fra i due re fratelli di scrivere loro la
lettera quadragesima settima del Codice Carolino, in cui si rallegra con
essi per tale riconciliazione, augurando loro la continuazione e
l'accrescimento della pace e dell'amore fraterno. Passa dipoi a pregarli
di voler impiegare i loro uffizii perchè la chiesa di san Pietro abbia
interamente le sue giustizie, e di adoperare ancora la forza dei
Longobardi: altrimenti ne renderan conto nel tribunale di Dio. Non
nomina egli il re Desiderio; ma, per quanto si ricava dalla vita del suo
successore Adriano[451], Desiderio avea promesso e giurato sopra il
corpo di s. Pietro di fare restituire le giustizie della Chiesa di Dio,
e poi nulla avea ottenuto della sua parola. Abbiamo nondimeno dalla
lettera quadragesima quarta del suddetto Codice Carolino, scritta non so
se nel presente o nel susseguente anno da papa Stefano alla regina Berta
e al re Carlo Magno, per rendere loro grazie del buon servigio prestato
da Iterio lor messo, spedito nel ducato beneventano, perchè colla sua
premura avea la Chiesa romana ricuperati dei beni in quelle parti, senza
che il papa vi dica altra parola di Desiderio, o si lagni di lui.
Siccome s'ha dagli Annali de' Franchi, passò la regina Berta dalla
Baviera in Italia e a Roma, e di là venne ad abboccarsi con esso re
Desiderio, e a trattar dell'accasamento di _Gisila_, ossia _Gisla_, sua
figliuola, sorella di Carlo Magno, con _Adelgiso_ figliuolo d'esso re
Desiderio, e di dare per moglie ai re Carlo e Carlomanno suoi figliuoli
due figliuole del suddetto re longobardo. Nulla più che questo bramava
il re Desiderio per istabilir maggiormente l'amicizia con que' due
potentissimi re, che soli poteano fare a lui paura. Non sì tosto penetrò
questo avviso alla conoscenza di papa Stefano, che risentitamente
scrisse loro la lettera quadragesima quinta del Codice Carolino, per
dissuaderli da queste nozze, perchè nozze illecite ed invalide, perchè
amendue, vivente anche il padre, s'erano ammogliati, e le mogli erano
viventi tuttavia. Che se i pagani faceano di queste azioni, non le
doveano già fare principi cristiani. E fin qui cammina con tutti i piedi
lo zelante gridar del papa. Ma strano è ch'egli seguiti a dire: _Che
pazzia è mai questa, o eccellentissimi figliuoli, re grandi (appena oso
dirlo), che la vostra nobil gente dei Franchi, eminente sopra l'altre
genti, e la splendida e nobilissima prole della regal vostra possanza,
si voglia macchiare colla perfida e puzzolentissima gente dei
Longobardi, la qual neppure è computata fra le genti, e dalla cui
nazione sappiam di certo che son venuti i lebbrosi? Niuno c'è, che non
sia pazzo, al quale possa neppur nascere sospetto che dei re sì rinomati
si vogliano impacciare in un contagio sì detestabile ed abbominevole.
Imperciocchè, come dice s. Paolo? Quae societas luci ad tenebras aut
quae pars fideli cum infideli?_ Torna più sotto a dire, che non è loro
permesso il prendere mogli di nazione straniera; e che avendo promesso a
s. Pietro d'essere amici degli amici, e nimici dei nimici,
commetterebbono peccato, imparentandosi co' Longobardi, gente spergiura
e nimica di Roma. Aggiunge in fine d'aver posta quella esortazione sopra
il sepolcro di san Pietro, e d'inviarla da quel santo luogo, con intimar
loro la scomunica, se opereranno in contrario.
Certo conveniva al vicario di Gesù Cristo l'alzar forte la voce contra
quei maritaggi, quando vero fosse che già quei due re avessero moglie,
essendo il divorzio contrario alla legge di Gesù Cristo. Ma sì poco
proprie della maestà e carità pontifizia compariscono quelle tante
esagerazioni, a dismisura piene di odio contro i Longobardi, ch'io ho
talvolta dubitato, e dubito tuttavia, che quella lettera potesse essere
stata finta da qualche bel cervello di que' tempi, ed attribuita al
papa. Sanno gli eruditi che prima ancora che i Longobardi calassero in
Italia, formavano una riguardevol nazione, ed erano già seguite
parentele fra i re di quella gente e i re franchi. In dugento anni poi
di dimora d'essi Longobardi in Italia, ognun dee credere che quei re e
il loro popolo s'erano ingentiliti, nè cedevano ad altre nazioni
nell'essere buoni cattolici, in fondar chiese, monisteri, spedali. Nè
certo la lebbra era nata ai tempi loro. E pure s'odono in questa lettera
vituperii sì lontani da ogni credenza. Altronde poi non apparisce che i
due re fossero già ammogliati; e però o quella lettera è finta, o, se
vera, troppo essa disdice ad un romano pontefice. Comunque sia, il fine
di questi maneggi fu che non condiscese Carlomanno a prendere per moglie
una figliuola del re Desiderio. La prese bensì il re Carlo, ma non
peranche divenuto Magno, senza curar la scomunica che si pretende
intimata dal romano pontefice, se pure è vero che Carlo Magno fosse
allora ammogliato. E questo avvenne per esortazione di Berta sua madre.
Si dee nondimeno aggiugnere che, secondo gli antichi Annali de'
Franchi[452], efficacemente si adoperò essa regina Berta, affinchè il re
Desiderio restituisse molte città alla Chiesa romana, e l'ottenne. _Et
redditae sunt Civitates plurimae ad partem sancti Petri_, il che si può
dubitare se sia vero, perchè non apparisce che si disputasse di città
tolte in questi tempi alla Chiesa. E quando pur sia vero, questo fa
vedere che noi non sappiam bene gli affari di que' tempi, nè i gruppi e
sviluppi succeduti fra i sommi pontefici e i re longobardi per
dissensioni di beni temporali. Verisimilmente ancora nell'anno presente
venne a morte _Sergio_ arcivescovo di Ravenna. Ricavasi poi da
Agnello[453], storico ravennate del secolo susseguente, che questo
arcivescovo la fece da padrone nell'esarcato e nella Pentapoli.
_Judicavit a finibus Perticae totam Pentapolim, et usque ad Tusciam, et
usque ad mensam Walani, veluti Exarchus; sic omnia disponebat, ut sunt
soliti modo Romani facere._ Se non fossimo per vedere che Leone suo
successore fece altrettanto, si potrebbe credere che questa fosse una
invenzione d'Agnello, scrittore d'animo corrotto verso i romani
pontefici, a' quali indubitato è che fu fatto il dono dell'esarcato, e
non già agli arcivescovi di Ravenna. Ma dalla lettera quinquagesima
quarta del Codice Carolino si raccoglie che _Leone_ arcivescovo,
allorchè cominciò ad usurpar la signoria dell'esarcato, allegava
l'esempio del suo predecessore _Sergio_, che avea quivi signoreggiato.
Di ciò parleremo meglio disotto all'anno 777. Nel Codice estense, che ci
ha conservata la parte che resta della storia del suddetto Agnello, si
legge nel margine una giunta da me stampata[454], da cui potrebbe taluno
essere indotto a sospettare, che il soprammentovato Sergio arcivescovo,
condotto a Roma, fosse quivi stato strangolato. Ma convien avvertire,
essere quella giunta uscita dalla penna d'un ignorante, che confuse
l'arcivescovo _Sergio_ di Ravenna con _Sergio_ figliuolo di Cristoforo,
da noi veduto di sopra, e che veramente fu con violenza levato dal
mondo. Sembra ancora avere costui confuso _Leone_ arcivescovo,
successore di _Sergio_, con qualche altro _Leone_ romano: e però di niun
valore è quella giunta. Per attestato dell'autore della vita di Stefano
III, dopo la morte dell'arcivescovo Sergio si fece scisma nella Chiesa
di Ravenna. Fu, è vero, eletto per quella cattedra _Leone_ arcidiacono;
ma _Michele_ archivista della Chiesa ravennate, benchè non alzato per
anche ad alcun ordine sacerdotale, se n'andò a trovare _Maurizio_ duca,
cioè governatore di Rimini, il quale, per consiglio del re Desiderio
(che in tutte le cose mal fatte si vuole che avesse mano), raunata una
banda d'armati, si portò a Ravenna, e quivi con braccio forte fatto
eleggere il suddetto Michele, l'introdusse nel palazzo archiepiscopale,
e mandò prigione a Rimini il poco fa riferito Leone. Scrisse poi
Maurizio, e scrissero i Ravennati a Stefano papa per ottener che Michele
fosse da esso papa consecrato; ma nulla poterono conseguire, stando
forte il papa nella negativa, perchè costui non era sacerdote. Ma
possiamo ben credere che molto più che questa ragione facesse il papa
valere la nullità dell'elezione, perchè estorta dalla violenza.
Nondimeno questo avvenimento ci può far sospettare che non avesse per
anche gran forza il romano pontefice nel governo temporale dell'esarcato
di Ravenna. Truovasi spettante al gennaio dell'anno presente
un'iscrizione, da me[455] data alla luce, da cui risulta che _Trasguno_
era duca della città di Fermo, correndo tuttavia l'anno XIII del re
Desiderio e l'XI di Adelgiso suo figlio.
NOTE:
[451] Anastas. Bibliothec., in Hadriani I Vita.
[452] Annales Veter. Francorum.
[453] Agnell., Vit. Episcopor. Ravennat., P. I, tom. 2 Rer. Ital.
[454] Rer. Ital., P. I, tom. 2.
[455] Collectio nova veter. Inscription., p. 1857.


Anno di CRISTO DCCLXXI. Indizione IX.
STEFANO III, papa 4.
COSTANTINO Copronimo imperadore 52 e 31.
LEONE IV imperadore 21.
DESIDERIO re 15.
ADELGISO re 13.

Cominciò in quest'anno a sconcertarsi non poco la buona corrispondenza
del re _Carlo Magno_ con _Desiderio_ re dei Longobardi, perchè Carlo,
dopo aver tenuta la di lui figliuola per moglie, in questo anno la
ripudiò, e rimandolla al padre. Eginardo[456], autore contemporaneo e
ben informato delle azioni d'esso Carlo, confessa di non averne saputo
il motivo; e però non si può molto fidare del monaco Sangallense, che
scrisse un secolo dappoi, e abbonda di favole, allorchè attribuisce la
cagione all'essere stata quella principessa di cattiva sanità ed inabile
a far figliuoli. Se ciò fosse stato, l'avrebbe anche saputo Eginardo,
notaio allora del medesimo re. Si potrebbe pensare che finalmente
accortosi questo principe dell'illecito suo matrimonio colla figliuola
del re Desiderio, perchè contratto vivente ancora la prima moglie, e
cotanto riprovato dal romano pontefice, perciò se ne separasse. Ma è da
avvertire che niuno de' tanti che scrissero delle azioni di Carlo Magno,
il riconobbe ammogliato, allorchè prese la figliuola di Desiderio. Ci
vien questa particolarità dalla sola lettera quadragesimaquinta del
Codice Carolino, che per altri capi patisce delle difficoltà. E
s'aggiunga poi, che gli stessi Francesi di quei tempi riguardarono come
incestuose le nozze di Carlo Magno con Ildegarda, da lui presa dopo il
ripudio fatto della longobarda: segno che giudicarono legittimo e non
dissolubile il matrimonio di questa, ed insieme indizio che esso Carlo
fosse non coniugato, ma libero, quando con essa s'accoppiò. Ne abbiamo
la prova nella vita di sant'Adalardo abbate di Corbeia, cugino di esso
Carlo Magno, scritta da Pascasio Radberto. _Factum est_ (così scrive
quell'autore) _quum idem imperator Carolus Desideratam_ (hanno creduto
alcuni tale essere stato il nome di quella principessa, e non già
_Berta_ o _Ermengarda_, come altri hanno immaginato) _Desiderii regis
Italorum filiam repudiaret quam sibi dudum etiam quorumdam Francorum
juramentis petierat in conjugium; ut nullo negotio beatus senex_ (cioè
Adalardo) _persuaderi posset, dum esset adhuc tiro palatii, ut ei, quam
vivente illa rex acceperat, aliquo communicaret servitutis obsequio. Sed
culpabat modis omnibus tale connubium, et gemebat puer beatae indolis,
quod et nonnulli Francorum eo essent perjuri, atque rex inclito uteretur
thoro, propria sine aliquo crimine repulsa uxore. Quo nimio zelo
succensus elegit plus saeculum relinquere adhuc puer, quam talibus
admisceri negotiis_. S'inganna forte chi è stato d'avviso che il
culpabat tale connubium voglia dire che Adalardo riprovava il matrimonio
di Carlo colla figliuola di Desiderio. Chiara cosa è che quel santo
giovane non sapeva sofferire il matrimonio di lui con _Ildegarda_,
sposata dopo il ripudio della longobarda, considerato da lui per
illecito, perchè contratto vivente la legittima moglie longobarda da lui
ripudiata _sine aliquo crimine_. Potea ben sapere queste particolarità
Pascasio Radberto, siccome quegli che fu discepolo di santo Adalardo, e
conversò molto con lui. Perciò si scuopre per immaginazione de' secoli
moderni il dire che il romano Pontefice sciolse il matrimonio della
longobarda, perchè non era consumato: e sempre più ci vien somministrato
motivo di dubitare della lettera quadragesimaquinta del Codice Carolino,
in cui papa Stefano ci rappresenta Carlo Magno ammogliato, allorchè era
per prendere la figliuola del re longobardo. Se ciò fosse stato, non
avrebbe creduto Adalardo legittima moglie d'esso re Carlo _Desiderata_,
nè avrebbe tenuto per illecito il susseguito matrimonio con _Ildegarda_.
Ma chi sa che fin d'allora il suddetto re Carlo non cominciasse i
negoziati per far suo il regno dei Longobardi, siccome seguì da lì a non
molto?
Per altro verso cangiarono molto di faccia in quest'anno gli affari
della Francia, imperocchè nel dì 5 di dicembre mancò improvvisamente di
vita il re _Carlomanno_, con lasciare dopo di sè due piccoli figliuoli
maschi, il maggiore dei quali portò il nome di _Pippino_, senza sapersi
il nome dell'altro. Si fece tosto innanzi il re Carlo alla selva
Ardenna, e tirati nel suo partito molti de' vescovi, conti e primati del
regno d'esso suo fratello, se ne mise in possesso, e si fece ugnere re
di quegli stati: con che tutta la Gallia e la maggior parte della
Germania venne ad unirsi sotto di lui solo, e a formare una formidabil
potenza, maggiore che a' tempi di Pippino, perchè s'era aggiunta a
questo amplissimo dominio anche l'Aquitania e la Guascogna. La regina
_Gilberga_, vedova di Carlomanno, veduto questo bel tiro del re Carlo
suo cognato, per timore ch'egli non mettesse le mani addosso ai suoi
figliuolini, e con farli cherici non li privasse della speranza
dell'eredità paterna, se ne fuggì in Italia, e ricoverossi sotto la
protezione del re Desiderio, con influir poi, senza pensarvi, alla di
lui rovina. Passano gli scrittori franzesi con disinvoltura quest'azione
di Carlo Magno, come se fosse cosa da nulla l'avere usurpato a' suoi
nipoti un regno, che per tutte le leggi divine ed umane era loro dovuto,
con avergli anche dipoi perseguitati. Ma la venerazione che si dee alla
verità, più che a Carlo Magno, vuol bene che noi riguardiamo come un
effetto della smoderata sua ambizione l'aver trattato così i principi
suoi nipoti. Certo per azioni tali egli non si acquistò nè meritò il
titolo di Grande, giacchè niuna buona ragione ci si presenta per iscusar
lo spoglio fatto a que' principi pupilli e sì stretti a lui per vincoli
di sangue. Seguitò fino al presente anno _Michele_ usurpatore della
Chiesa di Ravenna a tenerla con braccio forte. Anastasio[457], o
chiunque scrisse la vita di Stefano III, scrive che costui si sosteneva
coll'appoggio di Desiderio re de' Longobardi, e che, per guadagnarsi la
di lui protezione, spogliò di tutti gli ornamenti preziosi quella
Chiesa, e ne fece a lui un regalo. Gli mandò il pontefice più lettere e
messaggeri per indurlo a desistere da questi sacrilegii; ma egli più che
mai costante teneva occupata quella cattedra. Finalmente venuti
gl'inviati di Carlo re di Francia, ed insieme con quei del papa arrivati
a Ravenna, tanto dissero e fecero, che que' cittadini, preso il suddetto
Michele, l'inviarono ben legato a Roma. Dopo di che tornarono ad
eleggere per arcivescovo _Leone_, il quale dovea essere stato rimesso in
libertà, ed incontanente col suo clero si portò a Roma, dove ricevette
dal papa la consecrazione, ed ebbe il pacifico possesso della sua
Chiesa. Ma fa ancora questo fatto intendere che poca forza dovea avere
in questi tempi il romano pontefice nella città di Ravenna e in Roma,
dacchè abbiam veduto esercitati senza riguardo alcuno a lui gli atti
suddetti. Abbiamo poi da Teofane[458] che _Irene_, moglie di _Leone IV_
Augusto, diede alla luce _Costantino_, che fu poscia imperadore, e del
quale avremo occasion di parlare andando innanzi.
NOTE:
[456] Eginhardus, in Vita Caroli Magni.
[457] Anastas. in Stephani III Vita.
[458] Theoph., in Chronogr.


Anno di CRISTO DCCLXXII. Indizione X.
ADRIANO I papa 1.
COSTANTINO Copronimo imperadore 53 e 32.
LEONE IV imperadore 22.
DESIDERIO re 16.
ADELGISO re 14.

Diede fine a' suoi giorni in questo anno nel principio di febbraio papa
_Stefano III_, in cui luogo fu eletto _Adriano I_, figliuolo di Teodolo
console e duca, distinto allora per le sue virtù, e che poi riuscì un
insigne pontefice; ed appena eletto richiamò alcuni che alla morte di
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Çirattagı - Annali d'Italia, vol. 3 - 21
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4270
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4094
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1714
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4328
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1726
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4224
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1710
    37.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4257
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1644
    38.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4140
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1680
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    Süzlärneñ gomumi sanı 4348
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1613
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 77
    Süzlärneñ gomumi sanı 4207
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1665
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 78
    Süzlärneñ gomumi sanı 4207
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1696
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 79
    Süzlärneñ gomumi sanı 4187
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1681
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 80
    Süzlärneñ gomumi sanı 4123
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1744
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 81
    Süzlärneñ gomumi sanı 4107
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1560
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 82
    Süzlärneñ gomumi sanı 4079
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1656
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 83
    Süzlärneñ gomumi sanı 4104
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1669
    33.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 84
    Süzlärneñ gomumi sanı 4104
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1664
    35.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 85
    Süzlärneñ gomumi sanı 4153
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1723
    34.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 86
    Süzlärneñ gomumi sanı 4199
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1636
    36.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    48.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 3 - 87
    Süzlärneñ gomumi sanı 3510
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1508
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    47.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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