Annali d'Italia, vol. 3 - 06
Süzlärneñ gomumi sanı 4395
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1690
40.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
56.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
64.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
nondimeno si ricordava, quando amendue erano giovanetti, che nel palazzo
di Pavia si trovavano dei castrati di straordinaria grandezza, i quali
Cuniberto prendendoli per la lana della schiena con una mano, gli alzava
in alto: cosa che non poteva far esso Alachi. Ciò udito, il toscano gli
disse, che s'egli non voleva battersi con Cuniberto, neppur egli
intendeva di combattere per lui; e detto fatto se ne scappò, e andò a
trovar Cuniberto, a cui narrò quanto era avvenuto. Andata la sfida della
general battaglia, si prepararono le due armate per affrontarsi. Ma,
prima di venire all'assalto, Zenone diacono della Chiesa di Pavia,
custode della basilica di san Giovanni Battista, fabbricata dalla regina
_Gundiberga_, siccome persona che amava teneramente il re Cuniberto, e
temeva che restasse morto in quella campal giornata, gli disse, che
essendo riposta la vita di tutti nella salute d'esso re, ed avendosi
giusto timore che s'egli per disgrazia perisse, il crudel tiranno dopo
mille strazii leverebbe a tutti la vita: perciò il consigliava di cedere
a lui le armi e la sopravvesta sua; perchè morendo un par suo, nulla si
perderebbe, e campando, ne verrebbe a lui più gloria per aver vinto col
mezzo d'un suo servo. Abborriva Cuniberto di accettar questo consiglio,
ma cotanto fu scongiurato dalle lagrime e preghiere de' suoi più fidi,
che si arrendè, e consegnò tutte le sue armi al diacono, il quale,
dimentico del suo grado, e affascinato da una imprudente carità,
comparve alla testa dell'esercito, e perchè era della stessa statura del
re, fu creduto Cuniberto da tutti. Si attaccò dunque la battaglia con
gran valore dall'una e dall'altra parte. Alachi, ben conoscendo la
certezza della vittoria se gli riusciva di abbattere Cuniberto,
scopertolo, con tanto sforzo dei suoi l'assalì, che lo stese morto a
terra; ma nel fargli levar l'elmo, per tagliargli il capo ed alzarlo
sopra una picca, trovò d'aver ucciso non Cuniberto, ma un cherico; e
indiavolato sclamò: _Ah che nulla abbiam fatto finora; ma se Dio mi dà
vittoria, fo voto d'empiere un pozzo di nasi ed orecchie di cherici_.
Questa cautela di far prendere l'armi regali ad una privata persona,
allorchè si andava ai combattimenti, fu poi praticata da alcuni re di
Sicilia. La voce sparsa della morte di Cuniberto fece che l'armata sua
cominciò a ritirarsi, ed era già in procinto di prendere la fuga, quando
Cuniberto, alzatasi la visiera, si fece conoscere al suo popolo, e gli
rimise in petto il coraggio. S'era arrestato anche l'esercito contrario,
perchè convinto di nulla aver guadagnato. Tornaronsi dunque ad ordinar
le schiere dall'una parte e dall'altra, e già erano in punto per menar
le mani, quando Cuniberto mandò di nuovo a dire ad Alachi, che non
permettesse la morte di tanta gente, e volesse piuttosto combattere con
lui a corpo a corpo. Esortavano i suoi il tiranno ad accettar la sfida;
ma egli rispose che mirava negli stendardi di Cuniberto l'immagine di
san Michele arcangelo, davanti alla quale gli avea prestato giuramento
di fedeltà. Allora arditamente gli rispose uno de' suoi: _Signore, voi
per paura mirate quello stendardo: ma tempo non è più di far queste
riflessioni_. Si ripigliò dunque la battaglia, e grande fu il macello da
ambedue le parti. Ma finalmente il crudel tiranno Alachi trafitto da più
colpi, stramazzò morto a terra; e l'esercito suo per questo si diede
alla fuga, con poco utile nondimeno, perchè quei che avanzarono alle
spade, trovarono la morte nel fiume Adda. A questa giornata dice Paolo
Diacono, per onor della sua patria, che non si trovarono le truppe di
Cividal di Friuli, perchè avendo per forza prestato il giuramento ad
Alachi, non vollero essere nè in aiuto di lui nè di Cuniberto; ed
allorchè si attaccò la mischia, se ne andarono a casa. Ora dopo la
felice vittoria il re Cuniberto se ne tornò tutto lieto e con trionfo a
Pavia, dove fece fabbricare un suntuoso sepolcro al corpo del diacono
Zenone, davanti alla porta della basilica di san Giovanni Battista.
NOTE:
[110] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 38 et seq.
[111] Leges Longobard. part. 1. tom. 1. Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCXCI. Indizione IV.
SERGIO papa 5.
GIUSTINIANO II imperadore 7.
CUNIBERTO re 14.
Cominciò in quest'anno l'imperador _Giustiniano_ col suo leggier
cervello a cercar pretesti per guastar la pace già stabilita con onore e
vantaggio del romano imperio coi Saraceni. _Abimelec_ loro califa, ossia
principe, per attestato di Teofane[112], avea già atterrati tutti i suoi
ribelli; ed abbiamo da Elmacino[113] che nell'ottobre dell'anno
precedente egli si era anche impadronito della Mecca, città dell'Arabia
Felice, dove, se crediamo al padre Pagi[114], si vede il sepolcro di
Maometto. Ma il Pagi qui si lasciò trasportar dalle opinioni del volgo,
essendo certo, per relazion dei migliori, che quel famoso impostore
nacque bensì nella Mecca: motivo, per cui quella città è in tanta
venerazione presso i Monsulmani; ma fu poi seppellito in Medina, altra
città dell'Arabia, e non già in cassa di ferro, sostenuta in aria dalla
calamita, come han le favole di certi viaggiatori. Ora Abimelec
inclinava a conservar la pace: ma il giovane imperadore volea pur
romperla. Avendogli Abimelec inviato il tributo pattuito in danari di
nuova zecca, e diversi nel conio dai precedenti, Giustiniano ricusò di
riceverli. Il furbo califa, mostrando paura, si raccomandava, perchè la
pace durasse e fosse accettato quell'oro; e l'imperadore sempre più
alzava la testa, credendo quelle preghiere figliuole di debolezza. Prese
anche un'altra risoluzione, non meno stolta delle altre. Perchè i popoli
dell'isola di Cipri erano troppo esposti alle incursioni de' Saraceni,
gli venne in pensiero di trasportarli tutti altrove. Una gran copia di
essi perì per naufragio, o per malattie; altri coi loro vescovi furono
posti nella provincia dell'Ellesponto, ed alcuni fuggendo se ne
tornarono alle lor case, restando con ciò quella felicissima isola alla
discrezion de' nemici del nome cristiano. Si tiene che in quest'anno
terminasse i giorni del suo vivere _Teodoro_ arcivescovo di Ravenna, che
ebbe successore _Damiano_, il quale fu consacrato in Roma. Agnello,
scrittore ravennate[115], novecento anni sono, cel descrive per uomo di
grande umiltà, mansuetudine, e sì dabbene, che essendo morto un
fanciullo infermo, a lui portato dalla madre, perchè il cresimasse,
pregò sì istantemente Dio, che il resuscitò per tanto tempo, che potè
dargli la cresima. E in questi giorni tornò a Ravenna quel
_Giovanniccio_, di cui parlammo di sopra all'anno 679, che era salito ai
primi posti nella segretaria imperiale, e fece ancora risplendere la sua
sapienza per tutta l'Italia. Cessò parimente di vivere in quest'anno
_Teoderico III_ re de' Franchi di nome, perchè la regale autorità era
occupata da _Pippino_ il Grosso, suo maggiordomo. Probabilmente in
questo anno fu dai Greci tenuto in Costantinopoli il concilio trullano,
perchè celebrato nella sala della cupola dell'imperial palazzo, dove
furono fatti molti canoni e decreti riguardanti la disciplina
ecclesiastica, in supplemento, diceano essi, dei concilii generali
quinto e sesto, ne' quali niun canone fu pubblicato intorno alla
disciplina. Non apparisce che il romano pontefice mandasse legati
apposta ben istruiti per intervenire a quel concilio; e quantunque
Anastasio[116] scriva che i legati della Sede apostolica v'intervennero,
e ingannati sottoscrissero; tuttavia fondatamente si crede che sotto
nome di legati intenda Anastasio gli ordinarii apocrisarii, responsali,
o nunzii vogliam dire, che ogni pontefice solea tenere alla corte
imperiale per gli affari della sua Chiesa, che non aveano l'autorità di
rappresentar ne' concilii la persona del capo visibile della Chiesa di
Dio, cioè del romano pontefice. Comunque sia, cosa indubitata è, che
inviati a Roma per ordine dell'imperadore que' canoni, con essere stato
lasciato nella carta il sito voto dopo la sottoscrizion dell'imperadore,
acciocchè il papa li sottoscrivesse in primo luogo e avanti alle
sottoscrizioni già fatte dai patriarchi d'Oriente, papa _Sergio_,
pontefice zelantissimo, ricusò di accettarli, e si protestò piuttosto
pronto a dar la vita, che ad approvarli. E ciò perchè alcuni di que'
canoni eran contrari alla pura disciplina della Chiesa romana, e
principalmente quelli di permettere di ritener le mogli e l'uso loro a
chi era ordinato prete, e il proibire il digiuno del sabbato, con altre
simili determinazioni, che i Greci dipoi sostennero, ma non ebbero luogo
nelle Chiese d'Occidente. Sopra di che è da vedere quanto lasciò scritto
il cardinal Baronio[117]. Certo può dirsi strana cosa, che non si sappia
ben l'anno di quel concilio, e che gli atti d'esso neppure anticamente
si trovassero negli archivii delle Chiese patriarcali, di maniera che a'
tempi di Anastasio bibliotecario[118] si dubitava infino, se veramente
tutti i patriarchi d'Oriente vi fossero intervenuti; e par certo
difficile di quello di Alessandria, ch'era allora sotto il giogo dei
Saraceni.
NOTE:
[112] Teoph., in Chronogr.
[113] Elmacinus, Histor. Saracen.
[114] Pagius, Crit. Baron. ad hunc annum.
[115] Agnell. Vita Episcopor. Ravennat., tom. 2 Rer. Ital.
[116] Anastas., in Vit. Sergii I.
[117] Baron., Annal. Eccl. ad ann. 691.
[118] Anastas., in Praefat. ad Synod. VIII.
Anno di CRISTO DCXCII. Indizione V.
SERGIO papa 6.
GIUSTINIANO II imperador 8.
CUNIBERTO re 15.
Giustiniano Augusto più che invasato dalla voglia e speranza di tor
dalle mani dei Saraceni tante provincie occupate al romano imperio, in
quest'anno finalmente la ruppe con loro[119]. Di quegli Schiavoni
ch'egli aveva trasportati in Asia, abili all'armi, ne raunò ben
trentamila, e con queste ed altre squadre marciò a Sebastopoli con dar
principio alla guerra. Mandarono i Saraceni a pregarlo di pace,
protestando che Dio vendicherebbe la rottura indebitamente da lui fatta
de' trattati; ma trovarono che avea turati gli orecchi. Si venne dunque
all'armi. I Saraceni condotti dal loro generale, appellato Maometto,
appesero ad una lunga asta la scrittura della pace, e la fecero servir
di pennone. Il combattimento fu aspro, e a tutta prima toccò la peggio
ai Saraceni (Niceforo[120] scrive il contrario); ma avendo lo scaltro
lor generale inviato sotto mano al capitan degli Schiavoni un turcasso
pieno di soldi d'oro, con promesse ancora di maggiori vantaggi, lo
indusse a disertare con ventimila de' suoi; con che restarono tagliate
le ali all'esercito cesareo. Portato intanto a Costantinopoli l'avviso
che il romano pontefice[121] avea negato di prestare il suo assenso ai
decreti del concilio trullano, e neppur s'era degnato di leggerli, non
mancarono i Greci d'attizzar l'imperadore contra del buon papa _Sergio_,
e durarono ben poca fatica, perchè egli era già incamminato sulle pedate
dell'avolo cattivo, e non già dall'ottimo padre suo. In dispregio dunque
del papa mandò egli a Roma uno de' suoi uffiziali per nome Sergio, che
preso _Giovanni_ vescovo di Porto e _Bonifazio_ consigliere della Sede
apostolica, quasichè coi lor consigli avessero distolto il papa
dall'ubbidire ai cenni imperiali, amendue li condusse a Costantinopoli.
Non finì qui la faccenda. Inviò dipoi Zacheria, uno delle sue guardie,
che portava ciera di capitano Spavento, con ordine di menar lo stesso
papa Sergio alla corte. Ma ossia ch'egli, perchè non si poteva eseguire
sì nero disegno senza un forte braccio d'armati, confidasse ad altri
l'ordine dell'iniquo autore, o che in altra maniera traspirasse il suo
mal talento, Dio volle che si movesse il cuor dei soldati stessi in
favore del vicario suo, e che a truppe accorressero fin da Ravenna e
dalla Pentapoli, per impedir ogn'insulto che si volesse fargli.
Zacheria, al vedere questa inaspettata scena, tutto sgomentato gridava,
che si serrassero le porte della città; ma non era ascoltato. Però
temendo della pelle, tremante si rifugiò nella camera dello stesso papa,
e con lagrime si mise a pregare il santo Padre che avesse pietà di lui,
nè permettesse che gli fosse fatto oltraggio. Entrato intanto l'esercito
ravennate per la porta di san Pietro, corse al palazzo lateranense,
ansante di vedere il papa, perchè era corsa voce che la notte era stato
preso e messo in nave per menarlo in Levante. Erano chiuse tutte le
porte del palazzo; minacciavano i soldati con alte grida di gettarle per
terra, se non si aprivano; e a queste voci lo sgherro Zacheria corse a
nascondersi sotto il letto del papa, tenendosi per perduto, se non che
il papa gli fece animo, assicurandolo che non gli sarebbe recata
molestia alcuna. Aperte le porte, uscì fuori il pontefice, e lasciossi
vedere alla milizia e al popolo, che esultarono in rimirarlo libero e
sano. E cessò bene la loro ansietà e foga per le buone parole del papa;
ma per l'amore e riverenza loro verso la santa Sede e verso l'innocente
pontefice non vollero desistere dal far le guardie al palazzo, finchè
non videro uscir di Roma quell'empio Zacheria che se n'andò scornato e
sonoramente applaudito da mille villanie della plebe. Potrebbe essere
che succedesse più tardi questa scena in Roma, cioè o nell'anno
seguente, o nell'altro appresso, perchè Anastasio aggiugne che nello
stesso tempo per gastigo di Dio l'iniquo imperadore fu privato del
regno; del che parleremo fra poco.
NOTE:
[119] Theoph., in Chronogr.
[120] Niceph., in Chron.
[121] Anast., in Sergio I.
Anno di CRISTO DCXCIII. Indizione VI.
SERGIO papa 7.
GIUSTINIANO II imperadore 9.
CUNIBERTO re 16.
Nella guerra succeduta fra il re _Cuniberto_ e il tiranno _Alachi_,
quantunque il ducato del Friuli vi avesse tanta parte, pure Paolo
Diacono non fa menzione alcuna che vi fosse intricato _Rodoaldo_ duca di
quella contrada. Abbiamo bensì da lui[122] che dopo quella guerra,
trovandosi esso Rodoaldo lontano da Cividal del Friuli sua residenza,
_Ansfrido del castello Reunia_ occupò quella città col suo ducato senza
licenza del re Cuniberto. Certificato di questa sua disavventura
Rodoaldo, se ne fuggì in Istria, e di là per mare passato a Ravenna,
andò a Pavia al re Cuniberto, per implorare il suo aiuto. Ansfrido,
ossia che si lasciasse consigliar dalla superbia ed ambizione a tentar
cose più grandi, o che non volesse arrendersi agli ordini del re, passò
ad un'aperta ribellione contra di lui. Ma per buona ventura fu preso in
Verona, e condotto a Pavia. Cuniberto gli fece cavar gli occhi, e
cacciollo in esilio. Dopo di che diede il governo del ducato del Friuli
ad un fratello di Rodoaldo, per nome _Adone_, ossia _Aldone_, ma col
solo titolo di _conservatore del luogo_, cioè di _luogotenente_, senza
sapersi perchè Rodoaldo ne restasse escluso. In quest'anno i Saraceni
ridussero in lor potere l'Armenia, e però divenuti più orgogliosi e
crudeli, seguitarono a far delle scorrerie per le provincie del romano
imperio con incredibil danno dei popoli. Circa questi tempi, per
attestato del sopra mentovato Paolo Diacono[123], fiorì in Pavia
_Felice_, uomo valente nell'arte grammatica, zio paterno di Flaviano,
che fu poi maestro del medesimo Paolo. Era egli tanto in grazia del re
Cuniberto, che ne riportò, oltre ad altri riguardevoli doni, anche
l'onorevol regalo di un bastone ornato d'oro e di argento. Tenne conto
lo storico Paolo di questo fatto, che parrà una minuzia ai nostri tempi;
ma in quei tempi della ignoranza anche un solo buon grammatico si teneva
per una rarità; e questi tali poi insegnavano non solamente la lingua
latina, che sempre più si andava corrompendo presso il popolo e prendeva
la forma della volgare italiana; ma eziandio spiegavano i migliori
autori latini, e davano lezioni di quelle che appelliamo lettere umane.
Arrivò parimente a questi tempi _Giovanni_ vescovo di Bergamo con odore
di gran santità. Egli era intervenuto al concilio romano dell'anno 679,
e le storie di Bergamo raccontano molte cose di lui, ma senza essere
assistite da antichi documenti. Sappiamo bensì dal suddetto Paolo
Diacono ch'essendo stato invitato dal re Cuniberto ad un suo convito,
gli scappò detta qualche parola, di cui se ne offese il re. Ora dovendo
egli tornare a casa, Cuniberto gli fece apprestar un cavallo indomito e
feroce, solito a scuotere di sella chiunque ardiva di cavalcarlo. Ma
questa bestia, allorchè il vescovo vi fu montato sopra, divenne sì
piacevole e mansueta, che, a guisa d'una chinea, placidamente il
condusse al suo alloggio. Ciò risaputo dal re, fu cagione che da lì
innanzi onorasse maggiormente il santo vescovo, con donargli ancora lo
stesso cavallo ammansato dal toccamento della sua sacra persona.
NOTE:
[122] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 3.
[123] Paulus Diacon., lib. 6, cap. 7 et 8.
Anno di CRISTO DCXCIV. Indizione VII.
SERGIO papa 8.
GIUSTINIANO II imperad. 10.
CUNIBERTO re 17.
Secondo Teofane[124] e Niceforo[125], in quest'anno fece quanto potè
l'imprudente e malvagio imperador _Giustiniano_ per tirarsi addosso
l'odio del popolo di Costantinopoli. S'era egli dato a fabbricar nel
palazzo, e lo faceva cingere di muraglia a guisa di fortezza. Il
soprintendente alla fabbrica era _Stefano_ persiano, presidente del
fisco e capo degli eunuchi, uomo sanguinario e sommamente crudele, che
adoperava a più non posso le ingiurie e il bastone contra de' poveri
operai, e fece lapidarne alcuni ancora de' capi. Questa selvaggia
bestia, in tempo che l'imperador era fuori della città, osò di
staffilare, come si fa ai ragazzi, la stessa _Anastasia_ Augusta, madre
d'esso imperadore. Oltre a ciò, Giustiniano dichiarò suo generale
Logoteta, cioè soprintendente all'erario, un certo Teodoto, dianzi
monaco, persona parimente impastata di crudeltà, che attese a cavar
danari per tutte le vie e sotto varii pretesti dal popolo,
martirizzandone molti con attaccarli alla corda, e con paglia accesa di
sotto che col fumo li tormentava. Molto tempo prima aveva egli creato un
prefetto della città, diligente in far carcerare le persone, con
lasciarle poi per più anni marcir nelle prigioni. E perchè _Callinico_
patriarca non consentì alla distruzion d'una chiesa, la prese eziandio
contra di lui. Nell'anno presente il generale de' Saraceni Maometto,
servendosi degli Schiavoni disertati, ch'erano ben pratici del paese,
condusse via una gran quantità di prigioni dalle provincie cristiane, e
nella Soria fece un immenso macello di porci, bestie, che i Maomettani
hanno in abbominazione, essendo, al pari dei Giudei, loro ancora vietato
il mangiarne la carne. Intorno a questi tempi narra Paolo Diacono[126]
un fatto accaduto al re Cuniberto. Stava egli trattando nel suo palazzo
di Pavia col suo cavallerizzo (_Marpais_ nella lingua germanica
longobarda) di tor la vita a _Grausone_ ed _Aldone_, potenti fratelli
bresciani, de' quali ho parlato di sopra, perchè dopo la ribellione
d'Alachi non si doveva fidar di loro, oppure perchè avea voglia di farne
una sorda vendetta. Quando eccoti venirsi a posar sulla finestra, presso
cui la discorrevano, un moscone. Cuniberto preso un coltello, volendolo
uccidere, gli tagliò solamente un piede. In questo mentre andavano a
corte i due fratelli suddetti, che nulla sapevano di questa trama, e
trovandosi vicini alla basilica di s. Romano martire presso al palazzo,
s'incontrarono in uno zoppo, a cui mancava un piede, il quale gli
avvisò, che se andavano a trovare il re, era sbrigata per la loro vita.
Essi perciò immediatamente scapparono pieni di spavento nella suddetta
basilica, e si rifugiarono dietro all'altare. Cuniberto, che secondo il
solito gli aspettava, non veggendoli comparire ne dimandò conto; e
saputo ch'erano corsi in sacrato, cominciò a fare un gran rumore contra
del suo cavallerizzo, quasichè egli avesse rivelato il segreto. Ma
questo gli rispose che dacchè si cominciò a parlar di quell'affare, non
s'era mai mosso di sotto agli occhi suoi, e però non poter sussistere
che ne avesse detta parola con alcuno. Allora Cuniberto mandò per sapere
da Aldone e Grausone il motivo per cui s'erano ritirati nel luogo sacro.
Risposero, perchè loro era stato detto che il re macchinava contro la
loro vita. Tornò a mandar per sapere chi avesse lor dato un sì fatto
avviso; altrimenti che non isperassero mai la grazia sua. Confessarono
d'averlo inteso da uno zoppo che aveva una gamba di legno. Allora il re
Cuniberto intese che la mosca, a cui avea tagliato il piede, era uno
spirito maligno, ito a spiare i suoi segreti per poi rivelarli. Perciò
immantinente inviò a chiamare Aldone e Grausone sotto la sua real
parola; palesò loro i sospetti o motivi avuti di far loro del male; e da
lì innanzi li tenne per suoi fedeli sudditi. Ho raccontato questo fatto,
come sta presso Paolo Diacono, affinchè si conosca la semplicità e
credulità, effetti dell'ignoranza di quei tempi. Allora ci volea poco
per dare ad intendere, cioè per far credere alla buona gente
soprannaturali gli avvenimenti naturali, e, quel che è peggio, cose vere
le favole stesse anche men degne di fede. In quest'anno, se vogliam
seguitare Camillo Pellegrino, a _Gisolfo I_ duca di Benevento defunto
succedette _Romoaldo II_ nel ducato. Il Sigonio, il Bianchi e il Sassi
rapportano all'anno 697 la morte di Gisolfo e la creazion di Romoaldo.
Io, seguendo Anastasio bibliotecario, ne parlerò più abbasso. Circa
questi medesimi tempi, essendo mancato di vita _Adone_ o _Aldone_
luogotenente del ducato del Friuli[127], fu creato duca di quella
contrada _Ferdolfo_, nativo dalle parti della Liguria, uomo altero e di
lingua troppo lubrica. Ma forse ciò avvenne nell'anno seguente, restando
in troppe tenebre involta la cronologia di quei duchi.
NOTE:
[124] Theoph., in Chronogr.
[125] Nicef., in Chron.
[126] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 6.
[127] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 24.
Anno di CRISTO DCXCV. Indizione VIII.
SERGIO papa 9.
LEONZIO imperadore 1.
CUNIBERTO re 18.
La mala condotta di _Giustiniano_ imperadore giunse finalmente in questo
anno a produrre de' gravi sconcerti, e quasi la total sua rovina. Se
crediamo a Teofane[128], aveva egli ordinato a _Stefano_ patrizio e suo
generale, di fare una notte un gran macello della plebe di
Costantinopoli, e che cominciasse dal patriarca _Callinico_.
Niceforo[129] nulla dice di questo, e potrebbe essere una voce sparsa
dipoi, per procurare di giustificar quanto avvenne. Per tre anni era
stato detenuto nelle carceri _Leonzio_, generale una volta dell'armata
d'Oriente, e persona di gran credito. All'improvviso l'imperadore il
liberò, e scioccamente nello stesso tempo gli restituì il comando delle
armi, con farlo partire nel medesimo giorno verso l'esercito. Si fermò
Leonzio la notte a Giulianisio porto di Sofia, dove prese congedo dai
suoi amici, che erano accorsi a congratularsi e ad augurargli il buon
viaggio. Fra questi erano Paolo di Callistrata e Floro di Cappadocia,
amendue monaci, dilettanti più di strologia che di teologia, i quali più
volte visitandolo alla prigione, gli aveano predetto che diventerebbe in
breve imperadore. A questi rivolto Leonzio dimandò loro, dove fossero
terminate le lor predizioni, quando il miravano andar lungi da
Costantinopoli a cercar non un trono, ma bensì la morte. Gli risposero
che quello era appunto il tempo, e che fattosi coraggio, tenesse lor
dietro. Come entrasse in Costantinopoli, se pur ne era fuori, nol dice
lo storico. Solamente scrive che Leonzio, presi seco i suoi domestici,
coll'armi andò quella notte al pretorio, e bussato alla porta, come se
l'imperador venisse per sentenziar alcuno de' carcerati, il prefetto
corse in fretta ed aprire: ma appena uscito, restò preso e ben legato
dagli uomini di Leonzio. Entrati poi dentro, spalancarono tutte le
carceri, dove erano moltissime persone nobili ed avvezze al mestier
della guerra, che ivi da sei ed anche otto anni stavano rinchiusi. Con
questo numeroso drappello, provveduto in breve d'armi, corse Leonzio
alla piazza, gridando al popolo che venisse a santa Sofia, e così fece
proclamare per le contrade della città. Corsero a migliaia i cittadini
colà, ed intanto Leonzio coi nobili scarcerati fu a trovare il patriarca
_Callinico_, a cui si fece credere il pericolo che gli sovrastava;
pregollo di venire al tempio, e che gridasse ad alta voce: _Questo è il
giorno fatto dal Signore_. Tutto fu eseguito. Fu preso _Giustiniano_, e
condotto la mattina nel circo, quivi gli fu reciso il naso, ma non già
la lingua, come ha per errore il testo di Teofane; e la pubblica
determinazione fu di mandarlo in esilio, confinandolo in Chersona città
della Crimea. Teodoro e Stefano, que' due crudeli ministri, de' quali
s'è parlato nell'anno precedente, restarono vittima del furor della
plebe, e bruciati vivi. Terminò la tragedia con venire acclamato
imperadore lo stesso _Leonzio_ promotor del tumulto. Per sentimento del
Pagi[130], morì in quest'anno _Clodoveo III_ re de' Franchi, e gli
succedette _Childeberto III_ suo fratello, governando intanto la
monarchia franzese _Pippino_ d'Eristallo suo maggiordomo.
NOTE:
[128] Theoph., in Chronogr.
[129] Niceph., in Chron.
[130] Pagius, Critic. Baron.
Anno di CRISTO DCXCVI. Indizione IX.
SERGIO papa 10.
LEONZIO imperadore 2.
CUNIBERTO re 19.
Verisimilmente in quest'anno succedette in Ravenna una funesta
avventura, narrata da Agnello storico[131] di quella città, che fioriva
circa l'anno 830. Era un costume pazzo di quel popolo ogni domenica e
festa di precetto di uscir dopo il pranzo fuori della città dalle varie
porte per andare a combattere fra loro. V'andavano giovani, vecchi e
fanciulli, ed anche de' nobili, e vi concorrevano ancor delle donne. La
battaglia consisteva in tirarsi de' sassi colle frombole. Accadde che un
dì si sfidarono quei della porta Tiguriense e quei della Posterla, ossia
picciola porta di Sommo Vico. Restarono superiori i primi, e messi in
fuga gli avversarii, gli inseguirono con tal furia di sassate, che ne
uccisero molti. Arrivati i fuggitivi alla Posterla, la chiusero; ma
giuntivi ancora i vincitori, la gittarono per terra, e trionfanti poi si
ridussero alle lor case. Nella seguente domenica uscirono parimente da
quelle porte i giovani a giocare alla ruzzola; ma tardarono poco a
lasciare il giuoco e a venire a battaglia. Adoperarono sassi, bastoni e
spade, ed assaissimi dei posterlesi rimasero freddi sul campo; e più ve
ne sarebbono restati, se non vi fosse stato l'uso fra loro di dar
quartiere a chiunque lo chiedeva. Agnello scrive che quest'uso di
lasciar la vita e non dar più percosse a chi supplichevole si
raccomandava, durava ancora a' suoi tempi: segno che non s'erano per
anche dismesse somiglianti pericolose e spropositate zuffe, delle quali
si trovavano pure esempli in altre città, e durarono poi per più secoli.
Per queste perdite saltò in cuore ai posterlesi di farne una spaventosa
vendetta. Finsero pace ed amicizia, e una domenica, trovandosi il popolo
alla chiesa orsiana, allorchè, finite le sacre funzioni, erano tutti per
andare a pranzo, cadauno dei posterlesi con belle parole invitò seco a
desinare alcuno de' tiguriensi per maggiormente assodar l'amistà fra
loro. Vi andarono alla buona i tiguriensi, chi in questa e chi in quella
casa, e tutti furono in diverse maniere privati di vita, e i lor
cadaveri gittati nelle cloache, o seppelliti sotterra, di modochè si
videro mancar tante persone, senza che se ne sapesse il come. Quindi la
città si riempiè tutta di gemiti, di grida, e specialmente di terrore,
perchè la disavventura di quelli teneva in paura ognuno. Allora il santo
arcivescovo _Damiano_ intimò per tre giorni il digiuno e una processione
di penitenza, divisa in varii cori. Andava egli coi cherici e monaci,
tutti vestiti di sacco, colle teste coperte di cenere e coi piedi nudi.
Seguitavano i laici sì vecchi che giovani e fanciulli, vestiti di
cilicio e coi capelli scarmigliati: poscia le donne maritate, le vergini
e le vedove, tutte senza verun ornamento e in abito positivo. Finalmente
i poveri formavano la ultima schiera; e tutti questi cori andavano
di Pavia si trovavano dei castrati di straordinaria grandezza, i quali
Cuniberto prendendoli per la lana della schiena con una mano, gli alzava
in alto: cosa che non poteva far esso Alachi. Ciò udito, il toscano gli
disse, che s'egli non voleva battersi con Cuniberto, neppur egli
intendeva di combattere per lui; e detto fatto se ne scappò, e andò a
trovar Cuniberto, a cui narrò quanto era avvenuto. Andata la sfida della
general battaglia, si prepararono le due armate per affrontarsi. Ma,
prima di venire all'assalto, Zenone diacono della Chiesa di Pavia,
custode della basilica di san Giovanni Battista, fabbricata dalla regina
_Gundiberga_, siccome persona che amava teneramente il re Cuniberto, e
temeva che restasse morto in quella campal giornata, gli disse, che
essendo riposta la vita di tutti nella salute d'esso re, ed avendosi
giusto timore che s'egli per disgrazia perisse, il crudel tiranno dopo
mille strazii leverebbe a tutti la vita: perciò il consigliava di cedere
a lui le armi e la sopravvesta sua; perchè morendo un par suo, nulla si
perderebbe, e campando, ne verrebbe a lui più gloria per aver vinto col
mezzo d'un suo servo. Abborriva Cuniberto di accettar questo consiglio,
ma cotanto fu scongiurato dalle lagrime e preghiere de' suoi più fidi,
che si arrendè, e consegnò tutte le sue armi al diacono, il quale,
dimentico del suo grado, e affascinato da una imprudente carità,
comparve alla testa dell'esercito, e perchè era della stessa statura del
re, fu creduto Cuniberto da tutti. Si attaccò dunque la battaglia con
gran valore dall'una e dall'altra parte. Alachi, ben conoscendo la
certezza della vittoria se gli riusciva di abbattere Cuniberto,
scopertolo, con tanto sforzo dei suoi l'assalì, che lo stese morto a
terra; ma nel fargli levar l'elmo, per tagliargli il capo ed alzarlo
sopra una picca, trovò d'aver ucciso non Cuniberto, ma un cherico; e
indiavolato sclamò: _Ah che nulla abbiam fatto finora; ma se Dio mi dà
vittoria, fo voto d'empiere un pozzo di nasi ed orecchie di cherici_.
Questa cautela di far prendere l'armi regali ad una privata persona,
allorchè si andava ai combattimenti, fu poi praticata da alcuni re di
Sicilia. La voce sparsa della morte di Cuniberto fece che l'armata sua
cominciò a ritirarsi, ed era già in procinto di prendere la fuga, quando
Cuniberto, alzatasi la visiera, si fece conoscere al suo popolo, e gli
rimise in petto il coraggio. S'era arrestato anche l'esercito contrario,
perchè convinto di nulla aver guadagnato. Tornaronsi dunque ad ordinar
le schiere dall'una parte e dall'altra, e già erano in punto per menar
le mani, quando Cuniberto mandò di nuovo a dire ad Alachi, che non
permettesse la morte di tanta gente, e volesse piuttosto combattere con
lui a corpo a corpo. Esortavano i suoi il tiranno ad accettar la sfida;
ma egli rispose che mirava negli stendardi di Cuniberto l'immagine di
san Michele arcangelo, davanti alla quale gli avea prestato giuramento
di fedeltà. Allora arditamente gli rispose uno de' suoi: _Signore, voi
per paura mirate quello stendardo: ma tempo non è più di far queste
riflessioni_. Si ripigliò dunque la battaglia, e grande fu il macello da
ambedue le parti. Ma finalmente il crudel tiranno Alachi trafitto da più
colpi, stramazzò morto a terra; e l'esercito suo per questo si diede
alla fuga, con poco utile nondimeno, perchè quei che avanzarono alle
spade, trovarono la morte nel fiume Adda. A questa giornata dice Paolo
Diacono, per onor della sua patria, che non si trovarono le truppe di
Cividal di Friuli, perchè avendo per forza prestato il giuramento ad
Alachi, non vollero essere nè in aiuto di lui nè di Cuniberto; ed
allorchè si attaccò la mischia, se ne andarono a casa. Ora dopo la
felice vittoria il re Cuniberto se ne tornò tutto lieto e con trionfo a
Pavia, dove fece fabbricare un suntuoso sepolcro al corpo del diacono
Zenone, davanti alla porta della basilica di san Giovanni Battista.
NOTE:
[110] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 38 et seq.
[111] Leges Longobard. part. 1. tom. 1. Rer. Italic.
Anno di CRISTO DCXCI. Indizione IV.
SERGIO papa 5.
GIUSTINIANO II imperadore 7.
CUNIBERTO re 14.
Cominciò in quest'anno l'imperador _Giustiniano_ col suo leggier
cervello a cercar pretesti per guastar la pace già stabilita con onore e
vantaggio del romano imperio coi Saraceni. _Abimelec_ loro califa, ossia
principe, per attestato di Teofane[112], avea già atterrati tutti i suoi
ribelli; ed abbiamo da Elmacino[113] che nell'ottobre dell'anno
precedente egli si era anche impadronito della Mecca, città dell'Arabia
Felice, dove, se crediamo al padre Pagi[114], si vede il sepolcro di
Maometto. Ma il Pagi qui si lasciò trasportar dalle opinioni del volgo,
essendo certo, per relazion dei migliori, che quel famoso impostore
nacque bensì nella Mecca: motivo, per cui quella città è in tanta
venerazione presso i Monsulmani; ma fu poi seppellito in Medina, altra
città dell'Arabia, e non già in cassa di ferro, sostenuta in aria dalla
calamita, come han le favole di certi viaggiatori. Ora Abimelec
inclinava a conservar la pace: ma il giovane imperadore volea pur
romperla. Avendogli Abimelec inviato il tributo pattuito in danari di
nuova zecca, e diversi nel conio dai precedenti, Giustiniano ricusò di
riceverli. Il furbo califa, mostrando paura, si raccomandava, perchè la
pace durasse e fosse accettato quell'oro; e l'imperadore sempre più
alzava la testa, credendo quelle preghiere figliuole di debolezza. Prese
anche un'altra risoluzione, non meno stolta delle altre. Perchè i popoli
dell'isola di Cipri erano troppo esposti alle incursioni de' Saraceni,
gli venne in pensiero di trasportarli tutti altrove. Una gran copia di
essi perì per naufragio, o per malattie; altri coi loro vescovi furono
posti nella provincia dell'Ellesponto, ed alcuni fuggendo se ne
tornarono alle lor case, restando con ciò quella felicissima isola alla
discrezion de' nemici del nome cristiano. Si tiene che in quest'anno
terminasse i giorni del suo vivere _Teodoro_ arcivescovo di Ravenna, che
ebbe successore _Damiano_, il quale fu consacrato in Roma. Agnello,
scrittore ravennate[115], novecento anni sono, cel descrive per uomo di
grande umiltà, mansuetudine, e sì dabbene, che essendo morto un
fanciullo infermo, a lui portato dalla madre, perchè il cresimasse,
pregò sì istantemente Dio, che il resuscitò per tanto tempo, che potè
dargli la cresima. E in questi giorni tornò a Ravenna quel
_Giovanniccio_, di cui parlammo di sopra all'anno 679, che era salito ai
primi posti nella segretaria imperiale, e fece ancora risplendere la sua
sapienza per tutta l'Italia. Cessò parimente di vivere in quest'anno
_Teoderico III_ re de' Franchi di nome, perchè la regale autorità era
occupata da _Pippino_ il Grosso, suo maggiordomo. Probabilmente in
questo anno fu dai Greci tenuto in Costantinopoli il concilio trullano,
perchè celebrato nella sala della cupola dell'imperial palazzo, dove
furono fatti molti canoni e decreti riguardanti la disciplina
ecclesiastica, in supplemento, diceano essi, dei concilii generali
quinto e sesto, ne' quali niun canone fu pubblicato intorno alla
disciplina. Non apparisce che il romano pontefice mandasse legati
apposta ben istruiti per intervenire a quel concilio; e quantunque
Anastasio[116] scriva che i legati della Sede apostolica v'intervennero,
e ingannati sottoscrissero; tuttavia fondatamente si crede che sotto
nome di legati intenda Anastasio gli ordinarii apocrisarii, responsali,
o nunzii vogliam dire, che ogni pontefice solea tenere alla corte
imperiale per gli affari della sua Chiesa, che non aveano l'autorità di
rappresentar ne' concilii la persona del capo visibile della Chiesa di
Dio, cioè del romano pontefice. Comunque sia, cosa indubitata è, che
inviati a Roma per ordine dell'imperadore que' canoni, con essere stato
lasciato nella carta il sito voto dopo la sottoscrizion dell'imperadore,
acciocchè il papa li sottoscrivesse in primo luogo e avanti alle
sottoscrizioni già fatte dai patriarchi d'Oriente, papa _Sergio_,
pontefice zelantissimo, ricusò di accettarli, e si protestò piuttosto
pronto a dar la vita, che ad approvarli. E ciò perchè alcuni di que'
canoni eran contrari alla pura disciplina della Chiesa romana, e
principalmente quelli di permettere di ritener le mogli e l'uso loro a
chi era ordinato prete, e il proibire il digiuno del sabbato, con altre
simili determinazioni, che i Greci dipoi sostennero, ma non ebbero luogo
nelle Chiese d'Occidente. Sopra di che è da vedere quanto lasciò scritto
il cardinal Baronio[117]. Certo può dirsi strana cosa, che non si sappia
ben l'anno di quel concilio, e che gli atti d'esso neppure anticamente
si trovassero negli archivii delle Chiese patriarcali, di maniera che a'
tempi di Anastasio bibliotecario[118] si dubitava infino, se veramente
tutti i patriarchi d'Oriente vi fossero intervenuti; e par certo
difficile di quello di Alessandria, ch'era allora sotto il giogo dei
Saraceni.
NOTE:
[112] Teoph., in Chronogr.
[113] Elmacinus, Histor. Saracen.
[114] Pagius, Crit. Baron. ad hunc annum.
[115] Agnell. Vita Episcopor. Ravennat., tom. 2 Rer. Ital.
[116] Anastas., in Vit. Sergii I.
[117] Baron., Annal. Eccl. ad ann. 691.
[118] Anastas., in Praefat. ad Synod. VIII.
Anno di CRISTO DCXCII. Indizione V.
SERGIO papa 6.
GIUSTINIANO II imperador 8.
CUNIBERTO re 15.
Giustiniano Augusto più che invasato dalla voglia e speranza di tor
dalle mani dei Saraceni tante provincie occupate al romano imperio, in
quest'anno finalmente la ruppe con loro[119]. Di quegli Schiavoni
ch'egli aveva trasportati in Asia, abili all'armi, ne raunò ben
trentamila, e con queste ed altre squadre marciò a Sebastopoli con dar
principio alla guerra. Mandarono i Saraceni a pregarlo di pace,
protestando che Dio vendicherebbe la rottura indebitamente da lui fatta
de' trattati; ma trovarono che avea turati gli orecchi. Si venne dunque
all'armi. I Saraceni condotti dal loro generale, appellato Maometto,
appesero ad una lunga asta la scrittura della pace, e la fecero servir
di pennone. Il combattimento fu aspro, e a tutta prima toccò la peggio
ai Saraceni (Niceforo[120] scrive il contrario); ma avendo lo scaltro
lor generale inviato sotto mano al capitan degli Schiavoni un turcasso
pieno di soldi d'oro, con promesse ancora di maggiori vantaggi, lo
indusse a disertare con ventimila de' suoi; con che restarono tagliate
le ali all'esercito cesareo. Portato intanto a Costantinopoli l'avviso
che il romano pontefice[121] avea negato di prestare il suo assenso ai
decreti del concilio trullano, e neppur s'era degnato di leggerli, non
mancarono i Greci d'attizzar l'imperadore contra del buon papa _Sergio_,
e durarono ben poca fatica, perchè egli era già incamminato sulle pedate
dell'avolo cattivo, e non già dall'ottimo padre suo. In dispregio dunque
del papa mandò egli a Roma uno de' suoi uffiziali per nome Sergio, che
preso _Giovanni_ vescovo di Porto e _Bonifazio_ consigliere della Sede
apostolica, quasichè coi lor consigli avessero distolto il papa
dall'ubbidire ai cenni imperiali, amendue li condusse a Costantinopoli.
Non finì qui la faccenda. Inviò dipoi Zacheria, uno delle sue guardie,
che portava ciera di capitano Spavento, con ordine di menar lo stesso
papa Sergio alla corte. Ma ossia ch'egli, perchè non si poteva eseguire
sì nero disegno senza un forte braccio d'armati, confidasse ad altri
l'ordine dell'iniquo autore, o che in altra maniera traspirasse il suo
mal talento, Dio volle che si movesse il cuor dei soldati stessi in
favore del vicario suo, e che a truppe accorressero fin da Ravenna e
dalla Pentapoli, per impedir ogn'insulto che si volesse fargli.
Zacheria, al vedere questa inaspettata scena, tutto sgomentato gridava,
che si serrassero le porte della città; ma non era ascoltato. Però
temendo della pelle, tremante si rifugiò nella camera dello stesso papa,
e con lagrime si mise a pregare il santo Padre che avesse pietà di lui,
nè permettesse che gli fosse fatto oltraggio. Entrato intanto l'esercito
ravennate per la porta di san Pietro, corse al palazzo lateranense,
ansante di vedere il papa, perchè era corsa voce che la notte era stato
preso e messo in nave per menarlo in Levante. Erano chiuse tutte le
porte del palazzo; minacciavano i soldati con alte grida di gettarle per
terra, se non si aprivano; e a queste voci lo sgherro Zacheria corse a
nascondersi sotto il letto del papa, tenendosi per perduto, se non che
il papa gli fece animo, assicurandolo che non gli sarebbe recata
molestia alcuna. Aperte le porte, uscì fuori il pontefice, e lasciossi
vedere alla milizia e al popolo, che esultarono in rimirarlo libero e
sano. E cessò bene la loro ansietà e foga per le buone parole del papa;
ma per l'amore e riverenza loro verso la santa Sede e verso l'innocente
pontefice non vollero desistere dal far le guardie al palazzo, finchè
non videro uscir di Roma quell'empio Zacheria che se n'andò scornato e
sonoramente applaudito da mille villanie della plebe. Potrebbe essere
che succedesse più tardi questa scena in Roma, cioè o nell'anno
seguente, o nell'altro appresso, perchè Anastasio aggiugne che nello
stesso tempo per gastigo di Dio l'iniquo imperadore fu privato del
regno; del che parleremo fra poco.
NOTE:
[119] Theoph., in Chronogr.
[120] Niceph., in Chron.
[121] Anast., in Sergio I.
Anno di CRISTO DCXCIII. Indizione VI.
SERGIO papa 7.
GIUSTINIANO II imperadore 9.
CUNIBERTO re 16.
Nella guerra succeduta fra il re _Cuniberto_ e il tiranno _Alachi_,
quantunque il ducato del Friuli vi avesse tanta parte, pure Paolo
Diacono non fa menzione alcuna che vi fosse intricato _Rodoaldo_ duca di
quella contrada. Abbiamo bensì da lui[122] che dopo quella guerra,
trovandosi esso Rodoaldo lontano da Cividal del Friuli sua residenza,
_Ansfrido del castello Reunia_ occupò quella città col suo ducato senza
licenza del re Cuniberto. Certificato di questa sua disavventura
Rodoaldo, se ne fuggì in Istria, e di là per mare passato a Ravenna,
andò a Pavia al re Cuniberto, per implorare il suo aiuto. Ansfrido,
ossia che si lasciasse consigliar dalla superbia ed ambizione a tentar
cose più grandi, o che non volesse arrendersi agli ordini del re, passò
ad un'aperta ribellione contra di lui. Ma per buona ventura fu preso in
Verona, e condotto a Pavia. Cuniberto gli fece cavar gli occhi, e
cacciollo in esilio. Dopo di che diede il governo del ducato del Friuli
ad un fratello di Rodoaldo, per nome _Adone_, ossia _Aldone_, ma col
solo titolo di _conservatore del luogo_, cioè di _luogotenente_, senza
sapersi perchè Rodoaldo ne restasse escluso. In quest'anno i Saraceni
ridussero in lor potere l'Armenia, e però divenuti più orgogliosi e
crudeli, seguitarono a far delle scorrerie per le provincie del romano
imperio con incredibil danno dei popoli. Circa questi tempi, per
attestato del sopra mentovato Paolo Diacono[123], fiorì in Pavia
_Felice_, uomo valente nell'arte grammatica, zio paterno di Flaviano,
che fu poi maestro del medesimo Paolo. Era egli tanto in grazia del re
Cuniberto, che ne riportò, oltre ad altri riguardevoli doni, anche
l'onorevol regalo di un bastone ornato d'oro e di argento. Tenne conto
lo storico Paolo di questo fatto, che parrà una minuzia ai nostri tempi;
ma in quei tempi della ignoranza anche un solo buon grammatico si teneva
per una rarità; e questi tali poi insegnavano non solamente la lingua
latina, che sempre più si andava corrompendo presso il popolo e prendeva
la forma della volgare italiana; ma eziandio spiegavano i migliori
autori latini, e davano lezioni di quelle che appelliamo lettere umane.
Arrivò parimente a questi tempi _Giovanni_ vescovo di Bergamo con odore
di gran santità. Egli era intervenuto al concilio romano dell'anno 679,
e le storie di Bergamo raccontano molte cose di lui, ma senza essere
assistite da antichi documenti. Sappiamo bensì dal suddetto Paolo
Diacono ch'essendo stato invitato dal re Cuniberto ad un suo convito,
gli scappò detta qualche parola, di cui se ne offese il re. Ora dovendo
egli tornare a casa, Cuniberto gli fece apprestar un cavallo indomito e
feroce, solito a scuotere di sella chiunque ardiva di cavalcarlo. Ma
questa bestia, allorchè il vescovo vi fu montato sopra, divenne sì
piacevole e mansueta, che, a guisa d'una chinea, placidamente il
condusse al suo alloggio. Ciò risaputo dal re, fu cagione che da lì
innanzi onorasse maggiormente il santo vescovo, con donargli ancora lo
stesso cavallo ammansato dal toccamento della sua sacra persona.
NOTE:
[122] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 3.
[123] Paulus Diacon., lib. 6, cap. 7 et 8.
Anno di CRISTO DCXCIV. Indizione VII.
SERGIO papa 8.
GIUSTINIANO II imperad. 10.
CUNIBERTO re 17.
Secondo Teofane[124] e Niceforo[125], in quest'anno fece quanto potè
l'imprudente e malvagio imperador _Giustiniano_ per tirarsi addosso
l'odio del popolo di Costantinopoli. S'era egli dato a fabbricar nel
palazzo, e lo faceva cingere di muraglia a guisa di fortezza. Il
soprintendente alla fabbrica era _Stefano_ persiano, presidente del
fisco e capo degli eunuchi, uomo sanguinario e sommamente crudele, che
adoperava a più non posso le ingiurie e il bastone contra de' poveri
operai, e fece lapidarne alcuni ancora de' capi. Questa selvaggia
bestia, in tempo che l'imperador era fuori della città, osò di
staffilare, come si fa ai ragazzi, la stessa _Anastasia_ Augusta, madre
d'esso imperadore. Oltre a ciò, Giustiniano dichiarò suo generale
Logoteta, cioè soprintendente all'erario, un certo Teodoto, dianzi
monaco, persona parimente impastata di crudeltà, che attese a cavar
danari per tutte le vie e sotto varii pretesti dal popolo,
martirizzandone molti con attaccarli alla corda, e con paglia accesa di
sotto che col fumo li tormentava. Molto tempo prima aveva egli creato un
prefetto della città, diligente in far carcerare le persone, con
lasciarle poi per più anni marcir nelle prigioni. E perchè _Callinico_
patriarca non consentì alla distruzion d'una chiesa, la prese eziandio
contra di lui. Nell'anno presente il generale de' Saraceni Maometto,
servendosi degli Schiavoni disertati, ch'erano ben pratici del paese,
condusse via una gran quantità di prigioni dalle provincie cristiane, e
nella Soria fece un immenso macello di porci, bestie, che i Maomettani
hanno in abbominazione, essendo, al pari dei Giudei, loro ancora vietato
il mangiarne la carne. Intorno a questi tempi narra Paolo Diacono[126]
un fatto accaduto al re Cuniberto. Stava egli trattando nel suo palazzo
di Pavia col suo cavallerizzo (_Marpais_ nella lingua germanica
longobarda) di tor la vita a _Grausone_ ed _Aldone_, potenti fratelli
bresciani, de' quali ho parlato di sopra, perchè dopo la ribellione
d'Alachi non si doveva fidar di loro, oppure perchè avea voglia di farne
una sorda vendetta. Quando eccoti venirsi a posar sulla finestra, presso
cui la discorrevano, un moscone. Cuniberto preso un coltello, volendolo
uccidere, gli tagliò solamente un piede. In questo mentre andavano a
corte i due fratelli suddetti, che nulla sapevano di questa trama, e
trovandosi vicini alla basilica di s. Romano martire presso al palazzo,
s'incontrarono in uno zoppo, a cui mancava un piede, il quale gli
avvisò, che se andavano a trovare il re, era sbrigata per la loro vita.
Essi perciò immediatamente scapparono pieni di spavento nella suddetta
basilica, e si rifugiarono dietro all'altare. Cuniberto, che secondo il
solito gli aspettava, non veggendoli comparire ne dimandò conto; e
saputo ch'erano corsi in sacrato, cominciò a fare un gran rumore contra
del suo cavallerizzo, quasichè egli avesse rivelato il segreto. Ma
questo gli rispose che dacchè si cominciò a parlar di quell'affare, non
s'era mai mosso di sotto agli occhi suoi, e però non poter sussistere
che ne avesse detta parola con alcuno. Allora Cuniberto mandò per sapere
da Aldone e Grausone il motivo per cui s'erano ritirati nel luogo sacro.
Risposero, perchè loro era stato detto che il re macchinava contro la
loro vita. Tornò a mandar per sapere chi avesse lor dato un sì fatto
avviso; altrimenti che non isperassero mai la grazia sua. Confessarono
d'averlo inteso da uno zoppo che aveva una gamba di legno. Allora il re
Cuniberto intese che la mosca, a cui avea tagliato il piede, era uno
spirito maligno, ito a spiare i suoi segreti per poi rivelarli. Perciò
immantinente inviò a chiamare Aldone e Grausone sotto la sua real
parola; palesò loro i sospetti o motivi avuti di far loro del male; e da
lì innanzi li tenne per suoi fedeli sudditi. Ho raccontato questo fatto,
come sta presso Paolo Diacono, affinchè si conosca la semplicità e
credulità, effetti dell'ignoranza di quei tempi. Allora ci volea poco
per dare ad intendere, cioè per far credere alla buona gente
soprannaturali gli avvenimenti naturali, e, quel che è peggio, cose vere
le favole stesse anche men degne di fede. In quest'anno, se vogliam
seguitare Camillo Pellegrino, a _Gisolfo I_ duca di Benevento defunto
succedette _Romoaldo II_ nel ducato. Il Sigonio, il Bianchi e il Sassi
rapportano all'anno 697 la morte di Gisolfo e la creazion di Romoaldo.
Io, seguendo Anastasio bibliotecario, ne parlerò più abbasso. Circa
questi medesimi tempi, essendo mancato di vita _Adone_ o _Aldone_
luogotenente del ducato del Friuli[127], fu creato duca di quella
contrada _Ferdolfo_, nativo dalle parti della Liguria, uomo altero e di
lingua troppo lubrica. Ma forse ciò avvenne nell'anno seguente, restando
in troppe tenebre involta la cronologia di quei duchi.
NOTE:
[124] Theoph., in Chronogr.
[125] Nicef., in Chron.
[126] Paulus Diaconus, lib. 5, cap. 6.
[127] Paulus Diaconus, lib. 6, cap. 24.
Anno di CRISTO DCXCV. Indizione VIII.
SERGIO papa 9.
LEONZIO imperadore 1.
CUNIBERTO re 18.
La mala condotta di _Giustiniano_ imperadore giunse finalmente in questo
anno a produrre de' gravi sconcerti, e quasi la total sua rovina. Se
crediamo a Teofane[128], aveva egli ordinato a _Stefano_ patrizio e suo
generale, di fare una notte un gran macello della plebe di
Costantinopoli, e che cominciasse dal patriarca _Callinico_.
Niceforo[129] nulla dice di questo, e potrebbe essere una voce sparsa
dipoi, per procurare di giustificar quanto avvenne. Per tre anni era
stato detenuto nelle carceri _Leonzio_, generale una volta dell'armata
d'Oriente, e persona di gran credito. All'improvviso l'imperadore il
liberò, e scioccamente nello stesso tempo gli restituì il comando delle
armi, con farlo partire nel medesimo giorno verso l'esercito. Si fermò
Leonzio la notte a Giulianisio porto di Sofia, dove prese congedo dai
suoi amici, che erano accorsi a congratularsi e ad augurargli il buon
viaggio. Fra questi erano Paolo di Callistrata e Floro di Cappadocia,
amendue monaci, dilettanti più di strologia che di teologia, i quali più
volte visitandolo alla prigione, gli aveano predetto che diventerebbe in
breve imperadore. A questi rivolto Leonzio dimandò loro, dove fossero
terminate le lor predizioni, quando il miravano andar lungi da
Costantinopoli a cercar non un trono, ma bensì la morte. Gli risposero
che quello era appunto il tempo, e che fattosi coraggio, tenesse lor
dietro. Come entrasse in Costantinopoli, se pur ne era fuori, nol dice
lo storico. Solamente scrive che Leonzio, presi seco i suoi domestici,
coll'armi andò quella notte al pretorio, e bussato alla porta, come se
l'imperador venisse per sentenziar alcuno de' carcerati, il prefetto
corse in fretta ed aprire: ma appena uscito, restò preso e ben legato
dagli uomini di Leonzio. Entrati poi dentro, spalancarono tutte le
carceri, dove erano moltissime persone nobili ed avvezze al mestier
della guerra, che ivi da sei ed anche otto anni stavano rinchiusi. Con
questo numeroso drappello, provveduto in breve d'armi, corse Leonzio
alla piazza, gridando al popolo che venisse a santa Sofia, e così fece
proclamare per le contrade della città. Corsero a migliaia i cittadini
colà, ed intanto Leonzio coi nobili scarcerati fu a trovare il patriarca
_Callinico_, a cui si fece credere il pericolo che gli sovrastava;
pregollo di venire al tempio, e che gridasse ad alta voce: _Questo è il
giorno fatto dal Signore_. Tutto fu eseguito. Fu preso _Giustiniano_, e
condotto la mattina nel circo, quivi gli fu reciso il naso, ma non già
la lingua, come ha per errore il testo di Teofane; e la pubblica
determinazione fu di mandarlo in esilio, confinandolo in Chersona città
della Crimea. Teodoro e Stefano, que' due crudeli ministri, de' quali
s'è parlato nell'anno precedente, restarono vittima del furor della
plebe, e bruciati vivi. Terminò la tragedia con venire acclamato
imperadore lo stesso _Leonzio_ promotor del tumulto. Per sentimento del
Pagi[130], morì in quest'anno _Clodoveo III_ re de' Franchi, e gli
succedette _Childeberto III_ suo fratello, governando intanto la
monarchia franzese _Pippino_ d'Eristallo suo maggiordomo.
NOTE:
[128] Theoph., in Chronogr.
[129] Niceph., in Chron.
[130] Pagius, Critic. Baron.
Anno di CRISTO DCXCVI. Indizione IX.
SERGIO papa 10.
LEONZIO imperadore 2.
CUNIBERTO re 19.
Verisimilmente in quest'anno succedette in Ravenna una funesta
avventura, narrata da Agnello storico[131] di quella città, che fioriva
circa l'anno 830. Era un costume pazzo di quel popolo ogni domenica e
festa di precetto di uscir dopo il pranzo fuori della città dalle varie
porte per andare a combattere fra loro. V'andavano giovani, vecchi e
fanciulli, ed anche de' nobili, e vi concorrevano ancor delle donne. La
battaglia consisteva in tirarsi de' sassi colle frombole. Accadde che un
dì si sfidarono quei della porta Tiguriense e quei della Posterla, ossia
picciola porta di Sommo Vico. Restarono superiori i primi, e messi in
fuga gli avversarii, gli inseguirono con tal furia di sassate, che ne
uccisero molti. Arrivati i fuggitivi alla Posterla, la chiusero; ma
giuntivi ancora i vincitori, la gittarono per terra, e trionfanti poi si
ridussero alle lor case. Nella seguente domenica uscirono parimente da
quelle porte i giovani a giocare alla ruzzola; ma tardarono poco a
lasciare il giuoco e a venire a battaglia. Adoperarono sassi, bastoni e
spade, ed assaissimi dei posterlesi rimasero freddi sul campo; e più ve
ne sarebbono restati, se non vi fosse stato l'uso fra loro di dar
quartiere a chiunque lo chiedeva. Agnello scrive che quest'uso di
lasciar la vita e non dar più percosse a chi supplichevole si
raccomandava, durava ancora a' suoi tempi: segno che non s'erano per
anche dismesse somiglianti pericolose e spropositate zuffe, delle quali
si trovavano pure esempli in altre città, e durarono poi per più secoli.
Per queste perdite saltò in cuore ai posterlesi di farne una spaventosa
vendetta. Finsero pace ed amicizia, e una domenica, trovandosi il popolo
alla chiesa orsiana, allorchè, finite le sacre funzioni, erano tutti per
andare a pranzo, cadauno dei posterlesi con belle parole invitò seco a
desinare alcuno de' tiguriensi per maggiormente assodar l'amistà fra
loro. Vi andarono alla buona i tiguriensi, chi in questa e chi in quella
casa, e tutti furono in diverse maniere privati di vita, e i lor
cadaveri gittati nelle cloache, o seppelliti sotterra, di modochè si
videro mancar tante persone, senza che se ne sapesse il come. Quindi la
città si riempiè tutta di gemiti, di grida, e specialmente di terrore,
perchè la disavventura di quelli teneva in paura ognuno. Allora il santo
arcivescovo _Damiano_ intimò per tre giorni il digiuno e una processione
di penitenza, divisa in varii cori. Andava egli coi cherici e monaci,
tutti vestiti di sacco, colle teste coperte di cenere e coi piedi nudi.
Seguitavano i laici sì vecchi che giovani e fanciulli, vestiti di
cilicio e coi capelli scarmigliati: poscia le donne maritate, le vergini
e le vedove, tutte senza verun ornamento e in abito positivo. Finalmente
i poveri formavano la ultima schiera; e tutti questi cori andavano
Sez İtalian ädäbiyättän 1 tekst ukıdıgız.
Çirattagı - Annali d'Italia, vol. 3 - 07
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- Annali d'Italia, vol. 3 - 42Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4335Unikal süzlärneñ gomumi sanı 161141.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.64.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 43Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4342Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172538.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 44Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4126Unikal süzlärneñ gomumi sanı 167237.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 45Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4258Unikal süzlärneñ gomumi sanı 158542.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.65.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 46Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4326Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172137.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 47Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4308Unikal süzlärneñ gomumi sanı 168037.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 48Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4281Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172437.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 49Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4326Unikal süzlärneñ gomumi sanı 165739.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 50Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4093Unikal süzlärneñ gomumi sanı 182334.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 51Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4253Unikal süzlärneñ gomumi sanı 176636.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 52Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4115Unikal süzlärneñ gomumi sanı 170434.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 53Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4133Unikal süzlärneñ gomumi sanı 175335.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 54Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4241Unikal süzlärneñ gomumi sanı 169736.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 55Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4323Unikal süzlärneñ gomumi sanı 164036.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 56Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4157Unikal süzlärneñ gomumi sanı 161437.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 57Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4094Unikal süzlärneñ gomumi sanı 171434.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 58Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4328Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172638.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.62.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 59Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4224Unikal süzlärneñ gomumi sanı 171037.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 60Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4257Unikal süzlärneñ gomumi sanı 164438.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 61Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4140Unikal süzlärneñ gomumi sanı 168036.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 62Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4348Unikal süzlärneñ gomumi sanı 161338.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 63Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4069Unikal süzlärneñ gomumi sanı 180431.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 64Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4150Unikal süzlärneñ gomumi sanı 167536.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 65Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4135Unikal süzlärneñ gomumi sanı 159336.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 66Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4139Unikal süzlärneñ gomumi sanı 173335.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.49.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 67Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4098Unikal süzlärneñ gomumi sanı 171634.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 68Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4111Unikal süzlärneñ gomumi sanı 159636.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 69Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4197Unikal süzlärneñ gomumi sanı 167338.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.60.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 70Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4294Unikal süzlärneñ gomumi sanı 160038.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 71Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4293Unikal süzlärneñ gomumi sanı 177134.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 72Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4299Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172636.6 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 73Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4225Unikal süzlärneñ gomumi sanı 174533.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.44.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 74Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4301Unikal süzlärneñ gomumi sanı 164236.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.0 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 75Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4222Unikal süzlärneñ gomumi sanı 162937.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.52.1 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.1 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 76Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4095Unikal süzlärneñ gomumi sanı 164736.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 77Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4207Unikal süzlärneñ gomumi sanı 166537.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.50.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.58.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 78Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4207Unikal süzlärneñ gomumi sanı 169635.5 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 79Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4187Unikal süzlärneñ gomumi sanı 168134.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 80Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4123Unikal süzlärneñ gomumi sanı 174434.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 81Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4107Unikal süzlärneñ gomumi sanı 156037.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.51.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.59.5 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 82Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4079Unikal süzlärneñ gomumi sanı 165636.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.56.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 83Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4104Unikal süzlärneñ gomumi sanı 166933.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 84Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4104Unikal süzlärneñ gomumi sanı 166435.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.46.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.53.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 85Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4153Unikal süzlärneñ gomumi sanı 172334.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.57.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 86Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 4199Unikal süzlärneñ gomumi sanı 163636.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.48.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.55.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
- Annali d'Italia, vol. 3 - 87Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.Süzlärneñ gomumi sanı 3510Unikal süzlärneñ gomumi sanı 150835.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.47.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.54.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.