Annali d'Italia, vol. 2 - 64

Süzlärneñ gomumi sanı 4390
Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1611
41.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
57.3 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
66.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
Härber sızık iñ yış oçrıy torgan 1000 süzlärneñ protsentnı kürsätä.
ogni sua requisizione come sudditi. Neppure fu data risposta alle lor
proposizioni. Nondimeno _Totila_, principe di animo grande, punto non si
sgomentava per tali contrarietà. Egli in quest'anno, raunata una
possente flotta, la spedì in Corsica e Sardegna, dipendenti allora dal
governo cesareo dell'Africa, e, senza trovarvi contrasto, sottopose
quelle illustri isole al suo dominio. Tardi v'accorse _Giovanni_,
generale dell'armi imperiali in Africa, colla sua flotta. Sbarcate le
sue schiere in Sardegna, si pose a bloccare la città di Cagliari. E non
l'avesse mai fatto; perchè dal presidio gotico, uscito fuori, fu con tal
empito assalito, ch'ebbe bisogno di buone gambe per salvarsi con quei
che poterono seguitarlo nelle navi, e seco se ne tornarono malcontenti a
Cartagine. La città di Crotone in questi giorni era strettamente
assediata dai Goti, e ogni dì più venendo meno i viveri, ebbe maniera di
spedire un messo ad Artabane in Sicilia, per chiedergli soccorso.
Sappiamo ancora da Procopio, che uditasi in Costantinopoli la morte poco
dinanzi seguita di _Teodeberto_, potentissimo re dei Franchi,
Giustiniano mandò per ambasciatore _Leonzio_ senatore a _Teodebaldo_ suo
figliuolo e successore, per domandargli la restituzion dei luoghi
occupati dai Franchi nella Liguria e Venezia, ed insieme per intavolare
una lega con esso lui contra de' Goti. Teodebaldo rispose, che nulla era
stato occupato da suo padre ai Greci in Italia, e che quanto vi
possedeano i Franchi, l'aveano amichevolmente ricevuto da Totila che
n'era padrone. Si scusò poi di non potere entrare in lega, perchè durava
un accordo stabilito dal padre coi Goti con queste condizioni, che
amendue le nazioni desistessero dal farsi guerra, e quietamente
possedessero quanto aveano in Italia. Che se riuscisse a Totila di
prevalere contra dell'imperadore, allora verrebbono ad una transazione
che fosse la più utile e decorosa. Inviò poi Teodebaldo anch'egli a
Costantinopoli i suoi ambasciatori, e, senza volere dare aiuto ai Greci,
tenne forte le conquiste fatte da suo padre in Italia. Quali queste
fossero, non bene apparisce. Se vogliam credere al padre Pagi, in
quest'anno ebbe fine il regno de' _Gepidi_, i quali da molto tempo
possedevano la Dacia, e signoreggiavano ancora nel Sirmio. Erano
confinanti ad essi i popoli _longobardi_, siccome possessori della
Pannonia, e non poche liti bollivano fra queste due potenti nazioni,
siccome fu accennato di sopra. Per attestato di Procopio[2738], il re
de' Gepidi, voglioso di vendicarsi coi Longobardi, mosse lor guerra in
questi tempi. Reggeva allora la nazion longobardica il re _Audoino_.
Questi subito ricorse a Giustiniano Augusto, con fare istanze di
soccorso in vigore de' patti della lega che passava fra loro. Mandò
veramente lo imperadore in suo aiuto non poche squadre d'armati,
comandate da _Giustino_ e _Giustiniano_, figliuoli di _Germano_, e da
altri capitani; ma queste si fermarono in Ulpia città dell'Illirico per
una sedizione (vera o finta che fosse) insorta fra i cittadini a cagione
delle controversie allora bollenti in materia di religione. Proseguì il
viaggio solamente _Amalafrido_, figliuolo di _Amalberga_, figlia di
_Amalafrida_, sorella del re _Teoderico_, e di _Ermenfrido_ già re della
Turingia. Io non so perchè Procopio il chiami _Goto_, dopo averci
indicato suo padre ch'era Turingio. La parentela spronò Amalafrida al
soccorso del re Audoino, perciocchè una sua sorella, verisimilmente
quella che presso Paolo Diacono porta il nome di _Rodelinda_, fu moglie
d'esso re _Audoino_. Giordano storico[2739] chiama la moglie d'Audoino
_figlia di una sorella di Teodato re dei Longobardi_; e veramente
_Teodato_ ebbe per moglie _Amalafrida_ sorella del re Teoderico. Ora,
per attestato dì Procopio, si venne ad un'atroce battaglia fra i Gepidi
e Longobardi, in cui con tanta bravura e fortuna menarono le mani i
Longobardi, che ne fu rotto e quasi tutto estinto sul campo l'esercito
dei Gepidi.
Qui il padre Pagi pretende che a tutti i patti si sia ingannato
Procopio, con dire succeduto questo gran fatto d'armi sotto _Audoino_ re
de' Longobardi, perchè, per attestato di Paolo Diacono[2740] e
dell'abate Biclariense[2741], a' tempi del re _Alboino_, figliuolo di
esso Audoino, accadde la terribil rotta dei Gepidi; e si ha da
Sigeberto[2742] che Alboino cominciò a regnare nell'anno 543. Racconta
in fatti Paolo Diacono che si fece giornata campale fra que' Barbari, in
cui restarono interamente sconfitti i Gepidi, e tanta fu la rabbia de'
Longobardi vincitori, che non diedero quartiere ad alcuno, di modo che
la potente nazione dei Gepidi rimase disfatta, nè ebbe più re da lì
innanzi. E perciocchè Procopio, in raccontando i fatti dell'anno
susseguente 553, mette tuttavia vivo _Toresino_, ossia _Turisendo_, re
de' Gepidi, vuole esso Pagi che ancor qui lo stesso Procopio prendesse
abbaglio, attestando del pari Paolo Diacono e l'abate Biclariense che
nel tempo di quel memorabil conflitto regnava fra i Gepidi non
_Toresino_, ma _Cunimondo_ suo figliuolo, che restò anch'egli vittima
del furor de' Longobardi. Ma il Pagi non usò qui la sua solita diligenza
ed attenzione; cioè confuse in una due diverse battaglie, altra essendo
quella che accadde in quest'anno, regnando _Toresino_ fra i Gepidi, e
_Audoino_ fra i Longobardi, di cui appunto conservò memoria Paolo
Diacono al primo libro della storia longobardica al capitolo
ventesimoterzo, e in cui restò morto _Turismondo_ figliuolo del re
Toresino; e di questa prima battaglia fa menzione anche l'autore della
Miscella[2743]. L'altra si vede narrata dal medesimo Paolo Diacono al
capitolo vigesimosettimo di esso libro primo, e dall'abate Biclariense,
allorchè _Cunimondo_ era re de' Gepidi, ed _Alboino_ de' Longobardi.
Procopio narra cose avvenute a' suoi giorni, e ch'egli poteva ben
sapere; e nominando egli più volte il re _Audoino_, vivente in
quest'anno, indarno si vuol produrre contra la di lui autorità
Sigeberto, scrittore che fiorì dopo l'anno 1100, il quale fa morto
Audoino nel 543, con error manifesto, siccome vedremo. Mette anche
Sigeberto da lì a poco con altro errore la morte di Totila, e il fine
del regno de' Goti nell'anno 546. Procopio, dico, nell'anno seguente
553, ci assicura che _Toresino_, o _Turisendo_, re de' Gepidi, era
tuttavia vivente e regnante fra i Gepidi. Scrive inoltre che un certo
_Ildisgo_ si ricoverò presso i Gepidi, ed un certo _Ustrigoto_ presso i
Longobardi, ed essersi accordati i re di quelle due nazioni per uccidere
entrambi que' rifugiati. Adunque durava tuttavia il regno dei Gepidi. Ma
quel che decide la presente quistione, si è la chiara testimonianza di
_Menandro protettore_, storico di questo medesimo secolo, e continuatore
della storia di Agatia, non osservato dal padre Pagi. Alcuni pezzi della
sua opera si leggono negli Estratti delle legazioni[2744]. Egli dunque
narra, che mentre era imperadore _Giustino_, il successore di
Giustiniano, bolliva una fiera inimicizia fra _Alboino re dei
Longobardi_ e _Cunimondo re de' Gepidi_, ed avere il primo fatto ricorso
agli _Abari_, ossieno _Avari_, cioè agli Unni, che noi chiamiamo
Tartari, e stabilita lega con loro, come accenna anche Paolo Diacono;
dopo di che fece la guerra ai Gepidi. _Cunimondo_ ricorse all'imperadore
_Giustino_; ma questi non volle mischiarsi nelle loro liti. Però non
sotto Giustiniano Augusto, ma sotto il suo successore Giustino
succedette il secondo fatto di armi, che portò seco la distruzione del
regno de' Gepidi, narrato da Paolo Diacono, e diverso dal primo, di cui
parla Procopio. Serviranno tali notizie pel proseguimento della storia
d'Italia. Intanto merita di esser fatta menzione, che _Giordano_
storico, appellato indebitamente fin qui _Giornande_, a cagione di
qualche testo scorretto, dopo aver accennata la prima sanguinosa
battaglia fra i Gepidi e i Longobardi, narrata anche da Procopio, diede
fine al suo Trattato istorico _de regnorum successione_, terminato
perciò nel corrente anno. Dalla prefazione di esso libro si scorge
ch'egli avea prima composto l'altro libro _de Rebus Geticis_, cioè
nell'anno 550, perchè ivi fa menzione nella nascita di _Germano_,
figliuolo postumo di _Germano_ patrizio, di cui poco fa parlammo, e di
_Matasunta_ figliuola di _Amalasunta_. Era questo Giordano di nazione
_Goto_. Sigeberto[2745] il fa anche _vescovo_, ed alcuni perciò l'han
creduto troppo buonamente vescovo di Ravenna. Quanto a me, siccome dissi
nella prefazione alle sue opere[2746], tengo ch'egli fosse _monaco_; e
non sarebbe gran cosa che avesse avuta la sua stanza in Ravenna, allora
sottoposta a Giustiniano Augusto, al vedere come egli parli d'esso
imperadore e dei Greci. In quest'anno seguì un gran dibattimento in
Costantinopoli per cagione di tre capitoli che _Vigilio_ papa, _Dazio_
arcivescovo di Milano, ed altri di Italia sosteneano contro la
pretensione e prepotenza di Giustiniano Augusto, che s'era ostinato a
volerli condannati, lasciandosi indurre da _Teodoro_ vescovo di Cesarea
in Cappadocia, capo degli eretici acefali. Pubblicò esso Augusto un
editto intorno a questa controversia, con abusarsi della sua autorità e
con discapito del suo nome. Perchè se gli oppose Vigilio, nè volle
consentire, fu maltrattato; e temendo di peggio, come potè il meglio,
scappò a Calcedone, con rifugiarsi nella chiesa di santa Eufemia di
quella città, che era il più riverito asilo sacro dell'Oriente in questi
tempi.
NOTE:
[2737] Procop., de Bell. Goth., lib. 4, cap. 24.
[2738] Procop., de Bell. Pers., lib. 4, cap. 25.
[2739] Jordan., de Regnor. Success.
[2740] Paulus Diaconus, de Gest. Langobard., lib. 1, cap. 27.
[2741] Abbas Biclariensis, in Chron.
[2742] Sigebertus, in Chron.
[2743] Hist. Miscella, lib. 16.
[2744] Hist. Byz., tom. 1, pag. 110.
[2745] Sigebertus, in Chronico.
[2746] Rer. Italicar. Scriptor., tom. 1.


Anno di CRISTO DLII. Indizione XV.
VIGILIO papa 15.
GIUSTINIANO imperadore 26.
TEIA re 1.
L'anno XI dopo il consolato di Basilio.

Avea finora l'imperador _Giustiniano_ atteso con gran negligenza agli
affari di Italia. Finalmente, come se si fosse svegliato da un grave
sonno, tutto si diede a preparare i mezzi per distruggere il regno dei
Goti. Eletto _Narsete_ capitan generale delle sue armi in Italia,
soprattutto si studiò di provvederlo del maggior nerbo di chi prende a
guerreggiare, cioè del denaro, acciocchè con questo assoldasse un
fioritissimo esercito, soddisfacesse alle milizie esistenti in Italia,
prive da gran tempo di paga, e potesse ancora sedurre i seguaci di
Totila. Era Narsete piccolo di statura e gracile, non sapeva di lettere;
mai non aveva studiato eloquenza; ma la felicità del suo ingegno, la sua
attività e prudenza supplivano a tutto, e compariva mirabile la
grandezza dell'animo in quest'uomo, che pur era eunuco[2747]. Adunque
così bene assistito Narsete, trasse seco a Salona un'armata, secondo
que' tempi, ben poderosa. Imperocchè molta gente aveva egli raccolto da
Costantinopoli, dalla Tracia e dall'Illirico, correndo a folla le
persone alla fama dei tesori imperiali ch'egli generosamente impiegava.
Trovò in Salona le soldatesche già raunate da _Germano_ patrizio e da
_Giovanni_ genero d'esso Germano. Seco ancora si unì un corpo di due
mila e dugento de' migliori e più scelti Longobardi, che il re
_Alboino_, ad istanza di Giustiniano Augusto, spedì all'impresa
d'Italia, colla giunta ancora di tre mila combattenti per servigio de'
primi; così che sembrano simili agli uomini d'arme usati nei secoli
posteriori in Italia. Inoltre ebbe Narsete tre mila cavalli Eruli, molti
Unni, molti Persiani e quattrocento Gepidi con altre non poche truppe
d'altri paesi. Restava di trovar la via di condurre in Italia tutto
questo esercito. Per mare non appariva, perchè sarebbe stato necessario
un immenso stuolo di navi. Per terra bisognava passare per luoghi, dove
i Franchi tenevano dei presidii. Narsete senz'altro mandò a dimandare il
passaggio ai Franchi, che lo negarono, col pretesto ch'egli menava seco
dei Longobardi lor capitali nemici. Segno è questo che i Franchi
dovevano aver occupato le città di Trivigi, Padova e Vicenza, o almeno
dei luoghi in quelle parti. Certo non erano padroni di Verona. Trovavasi
Narsete in grande agitazione per questo, e tanto più perchè si venne a
sapere, aver _Totila_ inviato _Teia_ suo capitano col fiore de' Goti
alla suddetta Verona per contrastare il passo all'armata nemica, la qual
pure, quand'anche i Franchi avessero conceduto il passaggio, non potea
tenere altra strada che quella di Verona, essendochè il Po in questi
tempi formava delle sterminate paludi dove ora è il Ferrarese con altri
paesi circonvicini. Avea inoltre Teia fatti incredibili lavorieri alle
rive del Po, acciocchè non restasse aperto adito alcuno per quelle parti
ai nemici. Prevalse dunque il parere di Giovanni nipote di Vitaliano,
assai pratico de' cammini, il quale consigliò d'istradare l'armata per i
lidi del mare Adriatico fino a Ravenna, col condurre seco un sufficiente
numero di barche atte a far ponti per valicare i molti fiumi che vanno a
sboccare nel mare. Così fu fatto, e felicemente con tutto il suo
numeroso oste Narsete pervenne a Ravenna; cosa che non si erano mai
aspettata i Goti. Fermatosi quivi nove giorni per rinfrescare e
rimettere in lena le truppe, con esse poi s'inviò alla volta di Rimini,
al cui fiume e ad uno stretto passo ebbe all'incontro _Usdrila_ capitano
di quel presidio, uomo valoroso[2748]. La morte di costui fece ritirare
i suoi nella città; laonde Narsete continuò il suo viaggio. Ma perchè
nella via Flaminia, andando innanzi, si trovava Pietra Pertusa, fortezza
quasi inespugnabile, che impediva il passo, voltò Narsete a man destra
per valicar l'Apennino. Totila dimorava in questi tempi in Roma,
aspettando che da Verona venissero a congiungersi seco le squadre
comandate da Teia. Venute queste, ancorchè fossero restati indietro due
mila cavalli, mosse l'armata sua, e per la Toscana s'inoltrò sino
all'Apennino in un luogo appellato Tagina, alquante miglia lungi dal
campo di Narsete postato ad un luogo chiamato i Sepolcri dei Galli.
Crede il Cluverio[2749] che que' siti fossero tra Matelica e Gubbio, e
verso l'antica, ora desolata, terra di Sentino.
Quivi si accinsero amendue le nemiche armate a decidere con un generale
conflitto della sorte d'Italia. Procopio, secondo il costume di varii
storici greci e latini, ci fa intendere le belle parlate che i due
generali avrebbono dovuto fare ai lor soldati per animargli al
combattimento. Ma quando, già schierati gli eserciti, si credeva
inevitabile il fatto d'armi, Totila si ritirò indietro, per attender due
mila combattenti che a momenti doveano arrivare. Arrivati poi questi, si
venne alla giornata campale, che fu formidabile, sanguinosa e piena di
morti, ma specialmente dalla parte dei Goti. Tacciato fu d'inescusabile
imprudenza Totila, perchè ordinò ai suoi di non valersi nella zuffa nè
di saette, nè di spade, ma solamente di picche e lance, servendosi
all'incontro l'armata di Narsete di tutte le sue armi, fece tal guasto
in quelle de' Goti, che finalmente la rovesciò e mise in fuga. Rimasero
estinti sul campo circa sei mila Goti; altri si arrenderono, che furono
poco appresso tagliati a pezzi dai Greci. Gli altri, coll'aiuto delle
loro gambe o de' cavalli, si studiarono di salvare la vita. Sopraggiunse
la notte, e Totila fuggendo anche egli cercava di mettersi in salvo. Ma,
o sia che nel calore della battaglia fosse stato trafitto da una saetta,
mentre al pari dei soldati valorosamente combatteva; o sia che nella
fuga da un Gepida appellato Asbabo fosse ferito con una lancia nella
schiena (che questo non si sa bene), giunto ch'egli fu ad un luogo
chiamato Capra, fu bensì curata la sua ferita, ma da lì a poco di quella
morì, e al corpo suo tumultariamente data fu sepoltura. Principe, benchè
barbaro di nazione, pure degno d'essere registrato fra gli eroi
dell'antichità; tanto era stato il suo valore nelle azioni, la sua
prudenza nel governo, la sua vigilanza ed attività nella decadenza d'un
regno, che, trovato da lui sfasciato, s'era per sua cura rimesso in
assai buono stato. Era eziandio lodata da tutti la sua continenza, e da
molti la sua giustizia e clemenza, con altre virtù che meritavano bene
un fine diverso. Questa vittoria, quantunque non isterminasse affatto la
potenza dei Goti, pure le diede un gran crollo. Narsete, siccome persona
ammaestrata nella vera pietà, la riconobbe dal favore e voler di Dio, e
non già dalle mani degli uomini. Evagrio[2750] l'attribuisce alla
divozione professata dal medesimo Narsete alla beata Vergine madre di
Dio, e il cardinal Baronio[2751] all'avere in questi tempi Giustiniano,
dappoichè avea fatti varii strapazzi e violenze a papa Vigilio,
rallentato il suo rigore, con dimostrare di voler pur rimettere in lui
le controversie della religione. Ed in tanto il papa se ne stava come
esiliato in Calcedone, e ritirato nel tempio di santa Eufemia. Dopo
questo felice successo dell'armi cesaree in Italia, attese Narsete a
cacciar via i Longobardi seco condotti, perchè costoro barbaramente
incendiavano le case, e facevano violenza alle donne, anche rifugiate
nei sacri templi. Caricatili dunque di doni, gl'inviò al lor paese, cioè
nella Pannonia, ossia nell'Ungheria, facendoli accompagnare da
_Valeriano_ e da _Damiano_ suo nipote con un corpo di milizie, affinchè
que' Barbari non commettessero disordini nel viaggio. Sbrigato Valeriano
da costoro, condusse le sue brigate sotto Verona con pensiero di
formarne l'assedio, se il presidio gotico non s'induceva a rendersi.
Trovò in essi buona disposizione; ma ciò risaputo dai Franchi
acquartierati in quel territorio, tanto si adoperarono, che il trattato
andò a monte, e Valeriano si ritirò altrove.
Intanto i Goti scampati dalla battaglia suddetta si ridussero a Pavia, e
quivi crearono per loro re _Teia_ figliuolo di _Fridigerne_, il più
valoroso de' loro uffiziali. Trovò egli in quella città parte di quel
tesoro che per sicurezza v'avea mandato Totila, e con esso tentò di
tirare in lega i Franchi; e nello stesso tempo rimise in piedi un
competente esercito. Narsete in questo mentre, dopo aver ordinato a
Valeriano che si portasse al Po, per impedire i progressi dei Goti, col
suo esercito prese Spoleti, Narni e Perugia, e quindi voglioso di
mettere il piè in Roma, colà si portò. Per non tenere occupata tanta
gente nella difesa di quell'ampia città, avea il re Totila fatta cingere
di mura una picciola parte intorno alla mole d'Adriano, oggidì castello
Sant'Angelo, formandovi una specie di fortezza. In essa riposero i Goti
il meglio de' loro averi, con farvi buona guardia; del resto della città
si prendevano poca cura. Non fu però difficile a Narsete il dare la
scalata ad un sito delle mura, dove niuno si trovava alla difesa: con
che s'impadronì di Roma. E strettosi dipoi intorno al castello, tal
terrore diede a quella guarnigione, che in poco tempo essa capitolò la
resa, salve le persone. Racconta qui Procopio, senza saper intendere i
giudizii di Dio, come la presa di Roma fatta dai Greci riempiè di
giubilo i Romani banditi, subito che l'intesero, e pur questa fu la loro
rovina. Perciocchè i senatori, ed altri che erano nella Campania, si
mossero tosto per rimpatriare; ma colti dai Goti che tenevano varie
fortezze in quelle parti, furono messi a fil di spada. Altri,
incontrandosi ne' Barbari che militavano nell'esercito di Narsete,
ebbero la medesima sorte. Dianzi ancora aveva il re Totila, allorchè
marciava contro a Narsete, scelti da varie città trecento figliuoli dei
nobili Romani, sotto pretesto di tenerli come suoi familiari, ma
veramente perchè gli servissero d'ostaggio, e gli avea mandati di là dal
Po. Trovatili il nuovo re Teia, tutti barbaramente li fece uccidere.
Studiossi dipoi questo re, quanto potè, per muovere contra i Greci anche
_Teodebaldo_ re dei Franchi, offerendogli una gran somma di danaro; ma
non gli venne fatto, perchè non volevano i Franchi spendere il loro
sangue in servigio de' Goti, nè de' Greci, e solamente pensavano a far
eglino soli la guerra per conquistare ed unire, se avessero potuto, ai
lor dominii anche l'Italia. Vennero intanto in poter di Narsete il
castello di Porto, Nepi e Pietra Pertusa. Mandò egli dipoi _Pacurio_,
all'assedio di Taranto, altri a quello di Civitavecchia ed a quello di
Cuma, nel cui castello Totila avea riposta parte del suo tesoro, e
messovi per governatore _Aligerno_ suo minor fratello.
NOTE:
[2747] Agath., lib. 1 de Bell. Gothic.
[2748] Procop., de Bell. Goth., lib. 4, cap. 29.
[2749] Cluverius, Ital., lib. 2, cap. 6.
[2750] Evagr., lib. 4, cap. 23.
[2751] Baron., Annal. Eccl.


Anno di CRISTO DLIII. Indizione I.
VIGILIO papa 16.
GIUSTINIANO imperadore 27.
L'anno XII dopo il consolato di Basilio.

Ho io rapportato all'anno precedente 552 la morte del re _Totila_ e
l'elezione di _Teia_, uniformandomi col Sigonio e col padre Pagi,
ancorchè Mario Aventicense, seguitato dai cardinali Baronio e Noris, la
riferisca all'anno presente. Certamente Procopio assiste alla prima
sentenza, e si veggono altri fatti posticipati d'un anno nella Cronica
d'esso Mario. Peggio fa Vittor Tunonense[2752], che mette nell'anno
susseguente 554 la battaglia in cui Totila fu ucciso. Ma certo coi conti
del Pagi[2753] e i miei si accorda Teofane[2754], il quale scrive che
nell'anno medesimo in cui morì _Menna_ patriarca di Costantinopoli,
correndo l'_Indizione XV_ (la qual morte tutti gli eruditi concedono
seguita nell'anno 552 senza dissentirne i cardinali suddetti): in esso
anno, dico, nel mese d'agosto arrivarono a Costantinopoli i corrieri
trionfali, portando la nuova della gran vittoria ottenuta da _Narsete_
colla morte di Totila, le cui vesti insanguinate e la sua berretta
carica di gemme fu presentata a _Giustiniano_ Augusto. Sia nondimeno
lecito a me di seguitar Mario Aventicense in un fatto, cioè in
rapportare all'anno presente la morte del re _Teia_, giacchè egli in un
anno rapporta la di lui elezione, e nel susseguente la di lui caduta.
Teia dunque, a cui premeva forte di conservar Cuma, per non perdere il
tesoro quivi rinchiuso, uscito di Pavia, arditamente passando per molti
luoghi stretti e per le rive dell'Adriatico, all'improvviso comparve
nella Campania. Colà del pari col suo esercito si trasferì Narsete, e
giunto verso Nocera alle falde del monte Vesuvio, si trovò a fronte de'
Goti, i quali s'erano fortificati alle rive del fiume Dragone. Due mesi
stettero quivi le armate, senza che l'una potesse o volesse assalir
l'altra. Ma dacchè un Goto, per tradimento, vendè a Narsete tutta la
flotta delle navi, onde Teia riceveva, secondo il bisogno, i viveri,
allora i Goti attaccarono la battaglia, e combatterono da disperati. Vi
rimase morto _Teia_, dopo aver fatto delle incredibili prodezze; e ciò
non ostante seguitarono furiosamente i suoi a combattere. La notte servì
a far cessare il conflitto. Ma, fatto giorno, ricominciarono la zuffa, e
con tanto vigore menarono le mani, che non si potè mai romperli.
Ritiratisi finalmente, e ragunato il consiglio, mandarono a dire a
Narsete, che ormai conoscevano essersi Iddio dichiarato contra di loro,
e che deporrebbono l'armi, chiedendo solamente di potersene andare per
vivere secondo le loro leggi, giacchè intendeano di non servire
all'imperadore; siccome ancora di poter portar seco il danaro che cadaun
avea riposto in varii presidii d'Italia. Penava Narsete ad accordare
queste condizioni, ma _Giovanni_ nipote di Vitaliano, con
rappresentargli che non era bene il cimentarsi di nuovo con gente
disperata, e che bastava ai prudenti e moderati il vincere, senza
esporsi a nuovi pericoli, tanto disse, ch'egli acconsentì. Fu dunque
convenuto che quei soldati goti coi loro bagagli speditamente uscissero
d'Italia, nè più prendessero l'armi contra dell'imperadore. Mille di
essi andarono a Pavia ed oltre Po, e gli altri Goti confermarono quei
patti, in guisa che Narsete s'impadronì di Cuma e degli altri presidii.
Con che Procopio dà fine all'anno XVIII della guerra de' Goti, terminato
nella primavera presente, ed insieme alla sua storia, continuata poi da
Agatia, scrittore anch'esso di questi tempi. Ma io dubito forte che
sieno state aggiunte al testo di Procopio queste ultime parole,
confrontandole con ciò che il suddetto Agatia ci verrà dicendo[2755].
Scrive egli adunque, che dopo la convenzione stabilita con Narsete, i
Goti parte andarono nella Toscana e Liguria, parte nella Venezia e in
altri luoghi, dov'erano soliti di abitare. Si aspettava che adempiessero
le promesse fatte, e contenti dei lor beni schivassero da lì innanzi i
pericoli, con respirare da tante calamità. Ma poco appresso si diedero a
macchinar altre novità e ad intraprendere un'altra guerra. Conoscendo di
non poterla far soli, spedirono ai Franchi, per indurli a muoversi
contra de' Greci. Qui Agatia fa un bell'elogio de' Franchi,
rappresentandoceli, benchè Barbari, pure diversi troppo dagli altri
Barbari nella pulizia e nella maniere di vivere, per cui somigliavano
piuttosto ai Romani, e massimamente per la religione cattolica da essi
ancora professata, e per la giustizia e per la singolare bravura, con
cui aveano largamente dilatato il loro dominio, e per la concordia che
regnava fra loro. Patisce eccezione quest'ultima lode; e se Agatia fosse
vivuto un poco più, forse avrebbe tenuto un differente linguaggio.
Regnava allora _Teodebaldo_, il più potente di quei re, giovinetto
dappoco, perchè di sanità meschina. A lui ricorsero i Goti transpadani,
ma nol trovarono disposto a voler brighe di guerra.
Gli Alamanni, una delle nazioni germaniche, già tributarii del re
_Teoderico_, e tuttavia idolatri, s'erano dopo la di lui morte
soggettati per forza al re _Teodeberto_, padre d'esso Teodebaldo, e fra
essi erano due fratelli, duci di quella nazione, _Leutari_ e _Butilino_.
Da Paolo Diacono[2756] questi è chiamato _Buccellino_, ed ha questo nome
presso Gregorio Turonense[2757], e nelle Croniche di Mario
Aventicense[2758] e del Continuatore di Marcellino conte[2759]. Costoro,
veggendo che il re Teodebaldo preferiva il gusto della pace ad ogni
guadagno, presero essi l'assunto di far la guerra in Italia ai Greci,
invaniti della speranza di grandi conquiste e d'immenso bottino,
sprezzando soprattutto Narsete, per essere eunuco ed allevato solamente
fra le delizie della corte. Certo nol doveano ben conoscere. Però
adunato un esercito di ben sessantacinque mila tra Alamanni e Franchi,
calarono in Italia. Narsete, benchè non abbastanza informato di questi
movimenti, ai quali probabilmente fu dato impulso dai Goti, vivente
ancora il re Teia, piuttosto che dopo la sua morte, come credette
Agatia, pure, per prevenir gli sforzi altrui, attese a conquistar le
fortezze che nella Toscana erano tuttavia in mano dei Goti: segno che la
convenzione fatta tra essi dopo la vittoria riportata contro Teia, o non
era stata seguita, o riguardò solamente i soldati goti che intervennero
al fatto d'armi con Teia. Ma premendogli maggiormente l'acquisto di
Cuma, perchè in quel forte castello aveano i Goti ricoverate le loro più
preziose cose, colà passò con tutto l'esercito, e l'assediò. V'era alla
difesa _Aligerno_, fratello del defunto Teia, uomo di mirabil forza, che
in tirar d'arco non avea pari. Furono fatte più mine per far cadere le
mura; furono dati varii assalti: tutto riuscì inutile. Pertanto Narsete,
avendo ormai intesa da sicuri avvisi la calata di Leutari e di Butilino
con sì grossa armata, e l'arrivo d'essi di qua dal Po, non volle più
perdere tempo intorno a Cuma; lasciato quivi un corpo di truppe
bastevole per tener bloccata quella fortezza, passò in Toscana col resto
dell'armata. Di colà spedì la maggior parte de' suoi sotto il comando di
_Fulcari_, capitano degli Eruli, di _Giovanni_ nipote di Vitaliano, di
_Artabano_ e d'altri condottieri verso il Po, con ordine d'impedire, per
quanto permettevano le loro forze, i progressi dei Franchi ed Alamanni.
Attese egli intanto ad altri vantaggi in Toscana. A lui si sottoposero
Civitavecchia, Firenze, Volterra, Pisa e gli Alsiensi, creduti oggidì
quei di Palo. I soli Lucchesi vollero far fronte, e quantunque avessero
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Çirattagı - Annali d'Italia, vol. 2 - 65
  • Büleklär
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 75
    Süzlärneñ gomumi sanı 4252
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1525
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.7 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 76
    Süzlärneñ gomumi sanı 4274
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1654
    38.7 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 77
    Süzlärneñ gomumi sanı 4306
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1535
    42.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    58.8 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    66.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 78
    Süzlärneñ gomumi sanı 4299
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1642
    42.0 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    64.3 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 79
    Süzlärneñ gomumi sanı 4207
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1547
    41.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 80
    Süzlärneñ gomumi sanı 4426
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1710
    39.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    54.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    62.6 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 81
    Süzlärneñ gomumi sanı 4380
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1575
    39.9 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.9 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.7 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 82
    Süzlärneñ gomumi sanı 4310
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1539
    41.8 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    57.4 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    64.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 83
    Süzlärneñ gomumi sanı 4290
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1561
    40.1 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.5 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    64.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 84
    Süzlärneñ gomumi sanı 4254
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1577
    40.4 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.6 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    63.9 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 85
    Süzlärneñ gomumi sanı 4332
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1597
    42.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    59.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.2 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 86
    Süzlärneñ gomumi sanı 4273
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 1550
    41.2 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    56.0 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    64.4 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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  • Annali d'Italia, vol. 2 - 87
    Süzlärneñ gomumi sanı 546
    Unikal süzlärneñ gomumi sanı 336
    58.3 süzlär 2000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    65.2 süzlär 5000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
    71.8 süzlär 8000 iñ yış oçrıy torgan süzlärgä kerä.
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