'dandolo' süzneñ İtalian teldä ädäbiyättä bulgan misalları

Per testimonianza del Dandolo[2432], una fiera tragedia accadde in quest'anno in Venezia.

Da san Pier Damiano[2433], che narra questo avvenimento, tali notizie prese lo stesso Dandolo.

Lo strumento rapportato dal Dandolo ha le seguenti note: _Imperante domino nostro domino Ottone serenissimo imperatore anno quarto_ (coll'epoca incominciata dopo la morte del padre) _XII mensis octobris, Indictione V_, cominciata nel settembre; e perciò nell'anno presente, e non già nell'_anno secondo_, come pensò il Dandolo, perchè sussiste che egli fosse creato doge nel presente.

Agli anni precedenti e a parte ancora di questo appartiene un racconto di Andrea Dandolo[2443].

Ma avendo noi qui l'asserzione dello storico sassone, e inoltre quella del Dandolo, che dovette prendere la notizia dell'accordo seguito fra Gualdrada e Pietro Orseolo doge dallo strumento fatto in Piacenza coll'interposizione dell'imperadrice, abbiamo assai fondamento di credere quell'Augusta venuta di Germania in Italia, da dove poi dovette passare a Vienna di Francia.

Dal Dandolo suddetto vien susseguentemente scritto, e più diffusamente esposto da san Pier Damiano[2447] e da altri che hanno scritta la vita di san _Pietro Orseolo_, cioè del soprallodato doge, attendendo egli alle opere di pietà, siccome uomo di santa vita, ma conoscendo d'aver dei nemici che macchinavano contro di lui, e provando anche i rimorsi per l'uccisione del suo antecessore: capitò a Venezia _Guarino abbate_ di san Michele di Cusano in Guascogna, che non difficilmente persuase al buon doge di dare un calcio al mondo, e di abbracciar la vita monastica.

Si legge nella Cronica del Dandolo[2601] il diploma di tal conferma, conceduta da esso re _interventu et petitione nostrae dilectissimae dominae aviae Adelheidae imperatricis Augustae_: il che fa conoscere che la santa imperadrice tuttavia dimorava in Germania nella corte del re suo nipote.

Dovette in tal congiuntura succedere ciò che narra Andrea Dandolo a questo medesimo anno[59]: cioè che soggiornando Ottone III in Ravenna, s'invogliò di fare una scappata a Venezia, per vedere quella maravigliosa città.

Scrive ancora il Dandolo[791] che riuscì a _Domenico Contareno_ doge di Venezia di riportare (probabilmente in quest'anno) dall'imperadore Arrigo la conferma de' patti antichi col regno d'Italia.

Abbiamo dal Dandolo[1225] che _Vitale Faledro_, con prevalersi della disgrazia succeduta alla flotta veneta spedita in favore de' Greci, suscitò l'odio del popolo veneto contra di _Domenico Silvio_ loro doge; ed aggiunti poi donativi e promesse, tanto fece che esso Domenico fu deposto.

Vien confermata la stessa verità dall'accuratissimo Andrea Dandolo, che così scrive[1549]: _Mense marcii MCXVI Henricus V imperator Venetias accedens, in ducali palatio hospitatus est, liminaque beati Marci, et alia sanctorum loca cum devotione maxima visitat, et urbis situm, aedificiorumque decorem, et regiminis aequitatem multipliciter commendavit.

Il Dandolo[1702] scrive, _quia schismaticis fuerant fautores_.

Ne era ammiraglio Giorgio, appellato da altri Gregorio, il quale non ardì di andare a cimentarsi colla troppo superiore armata de' Greci, assediante Corfù, ma veleggiò alla volta di Costantinopoli, dove attaccò il fuoco a que' borghi, gittò saette (non già _aureas_, come ha Roberto del Monte[1926], ma _igneas_, come scrive il Dandolo) contra del palazzo imperiale, ed, entrato per forza ne' giardini d'esso palazzo, per trofeo ne portò via le frutta.

Pare che non s'accordi colle notizie fin qui addotte la Cronologia di Andrea Dandolo, mentre egli scrive, che Pietro Polano doge di Venezia nell'anno diciottesimo, del suo ducato, cioè nel 1148 dopo aver messa insieme l'armata per andare a Corfù infermatosi, dopo aver dato il comando d'essa flotta a Giovanni suo fratello e a Rinieri suo figliuolo, se ne tornò a Venezia.

Circa questi tempi, per attestato del Dandolo[1938], _Domenico Morosino_ doge di Venezia inviò uno stuolo di cinquanta galee ben armate sotto il comando di Domenico suo figliuolo e di Marino Gradenigo contra la città di Pola ed altre dell'Istria, che erano divenute alloggio di corsari, nè più ubbidivano a Venezia.

Di altri danni vicendevolmente dati e ricevuti da questi due emuli popoli parla il Continuatore di Caffaro, siccome ancora il Dandolo[144], il quale non ebbe notizia del fatto di Trapani testè accennato.