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Vita di Francesco Burlamacchi - 11
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e perchè. — Persecuzioni a Modena. — Del Castelvetro e della
infamia del Caro buon letterato ed uomo pessimo: nè chi vive
in corte di Roma può essere diverso. — Sonetto del Caro contro
il Castelvetro mandato a memoria per virtù dei reverendi padri
barnabiti. — Confronto delle lapidi sepolcrali di ambedue.
— Feroce e moltiplica persecuzione a Ferrara: Olimpia Morato
fuggendo scampa. — Commissione del re di Francia alla zia Renata
duchessa di Ferrara; sue angustie: messa in carcere, divisa dai
suoi; il figlio Alfonso la manda via. — Questi il _magnanimo_
Alfonso di cui canta il Tasso: in che pregio il _magnanimo_
tenesse il Tasso. — Grandezza d'animo di Renata; sue figliuole.
— Venezia tira partito dalla libertà di coscienza come da ogni
altra cosa; ma poi spaventata dalle minacce di Roma piega:
persecuzioni costà. — Terrore cattolico nell'Istria. — I Vergeri.
— Caso miserabile di esuli veneziani dannati a morte per eresia.
— Quali i supplizi veneziani. — Improntitudine dello inquisitore
contro il duca di Mantova. — Ferocie clericali a Faenza ed a
Parma; a Faenza il popolo dà di fuori e si sfoga. — Falsità
pretine a Locarno; miserie dei Locarnesi spatriati. — Disputa
tra il nunzio e le donne di Locarno. — Avventura di Barbara
Montalto. — Altre atrocità pretine da clericali moderni, massime
dal Cantù, non pure scusate, ma quasi lodate. — Roma avversa a
Napoli la Inquisizione di Spagna perchè intende esercitarla da
sè. — Lamentabili casi avvenuti in Calabria. — Sansisto e la
Guardia colonne infami per Roma. — Corrispondenza tra Roma ed
Austria, e poi tra Austria e Francia; digressione intorno alle
condizioni presenti d'Italia. Testimonianze cattoliche intorno
alle crudeltà sacerdotali da mettere non che ad altri pietà a
Nerone. — Bartolomeo Fonzio mazzerato nel Tevere. — Paolo IV
invaso da libidine di sangue: popolo romano rompe le statue di
lui morto, mentre avrebbe dovuto rompere la testa di lui vivo. —
I parziali di Pompeo Di Negri mercè settemila ducati ottengono
che prima di bruciarlo lo strangolino: questo il Cantù afferma
che i preti facessero senza quattrini: ma per essere creduti
dal Cantù bisogna essere preti e carnefici. — Pio V più feroce
di tutti: varie stragi a Como, a Torino, a Roma. — Paschali
strangolato ed arso alla presenza del papa. — Altre persecuzioni.
— Si torna a Lucca; diligenze per estirpare in cotesta repubblica
l'eresie. — Lucchesi sciamano a frotte, massime i Burlamacchi:
dove si rifuggissero; discendenza ed estinzione della linea di
Francesco Burlamacchi.
Grande fondamento poneva altresì il Burlamacchi negli umori religiosi,
i quali dove più dove meno andavano allargandosi in Italia, ma però
con tanta perseveranza da persuadere ogni uomo avvezzo a speculare
che la Riforma sarebbe senza fallo prevalsa: di fatti veruna contrada
della cristianità compariva come la Italia disposta alla Riforma,
però che qui cadesse quotidiano sotto gli occhi lo spettacolo della
contaminazione della gente chiesiastica; e sebbene di molta autorità
fossero i santi padri che così in Italia come fuori rampognavano la
chiesa romana delle sue abominazioni, pure, se non più credito, certo
maggiore pubblicità di loro ottenevano i poeti, i filosofi, i politici
e di ogni maniera letterati, imperciocchè i successi che imprimono
carattere ai popoli prima di diventare fatti sieno idee, e queste
partonsi dalla mente agitatrice del mondo. Gli è vero che lo scherno
e la rampogna cadevano sopra vizi personali, ma tanto si dilatava il
numero dei contaminati che gl'innocenti erano eccezione; e poi Roma,
studiosa del profitto presente, così aveva ravviluppato le persone
con le cose, la forma con la sostanza, che districare male si potevano
allora, adesso peggio, ond'io sinceramente credo che, percossa la curia
romana, abbia a toccarne la Chiesa.
Ancora, seminii di rivolta e di opposizione occorsero sempre in
Italia; antichi sono fra noi gli albigesi e i valdesi calati dalle
Alpi in Lombardia e quinci allargatisi per la universa Italia fino
alla remota Calabria, nonostante le trucissime persecuzioni dei papi e
degl'imperatori, da Gregorio IX e Federigo II in poi legati a piantare
anco a mo' di stile la dominazione loro nel cuore dei popoli e poi
nemici implacabili a strapparsela di mano, nel secolo decimoquarto
duravano in Italia sovvenuti dai Boemi e dai Polacchi; in Calabria
erano l'occhio diritto dei preti cattolici e più dei frati; non già che
questi sul principio non avessero mostrato loro il viso dell'arme, come
quelli che li temevano venuti a soppiantarli, ma provatili in seguito
obbedientissimi a pagare le decime, e queste rinvenute grasse a causa
della stupenda industria posta dai medesimi nella coltura dei campi,
si erano adattati a vivere con essi in pace su questa terra, salvo a
mandarli allo inferno nell'altro mondo. Oggimai corre notizia comune
che gran parte della religione di Giove entrasse in quella di Cristo, e
questo travasare di fede come si fa del vino dall'una all'altra botte,
mentre nuoce alla prima, non approda alla seconda; e peggio poi quando
nella corte di Roma si palesò piuttosto il furore che la passione per
la favella e le antichità romane. Già fino dalla fanciullezza di Lione
X, allora Giovanni, il Poliziano si stizzava con la madre sua perchè
con la lettura del Salterio lo imbarbarisse; promosso pontefice, la
Chiesa comparve ingombra di una moltitudine di scrittori e di artefici
pagani a tale che non la casa di un pontefice, ma l'aula di Augusto
per lo appunto sembrava. Il Sadoleto con ciceroniano stile fulminava
la scomunica contro Lutero, il Bembo dettava forbitamente elegante
la bolla delle indulgenze; per lui non erano morti gli dii vetusti,
anzi nei suoi versi rivivevano Lucina ausiliatrice dei parti, gli
dei mani ed anco gl'inferi; alle cortigiane senza tante cerimonie
ponevansi per le chiese statue e monumenti, dove si avvertiva,
mediante solenni epitafi ciò farsi appunto pei meriti acquistatisi nei
meretricii esercizi; e simile culto alla maniera dei pagani dispose
gli animi a credere poco, a deridere molto, dissolvere col dubbio
e apparecchiare la filosofia. Veramente quando noi consideriamo i
casi umani, soprattutto desidereremmo che nè la tirannide mai nè lo
errore fossero mandati a contristare la terra; pure, dacchè un fato
ce gl'invia, dobbiamo altresì confessare che ci vengono accompagnati
col germe della loro distruzione in corpo: così quando Cosimo I volle
spegnere ogni aspirazione di libertà, procurando rimbambire le menti
con le baruffe grammaticali, ritemprò invece la lingua, anello di unità
fra i popoli italiani e pegno di futuro risorgimento. Arrogi le immani
falsità impunemente fabbricate dai preti ingordi nei secoli d'ignoranza
ed ora col nuovo lume degli studi conosciute e derise; primo e
infestissimo fra questi critici molesti Lorenzo Valla, il quale mentre
rende argomento di sceda la donazione di Costantino corre rischio di
essere bruciato vivo; fine che non poterono fuggire Girolamo da Praga
e Giovanni Hus, peggio di Cristo traditi da masnadieri che ardivano
affermarsi vicari e sacerdoti di lui:
Venderecci fra noi gli altari e i templi
Ceri, incensi, preghiere e sacerdoti,
Venale il cielo, se lo paghi, e Dio.
come si lamentò Battista Mantovano nel suo poema _Della calamità
dei tempi_; e gli studiosi conoscono l'acerbo epigramma corso fra la
gente quando papa Lione morì senza sacramenti, di cui questo era il
concetto: ei non potè averli perchè gli aveva venduti. Successe a danno
della Chiesa la diffusione dei volgarizzamenti della Bibbia in diverse
lingue; donde poi chiose e commentari e confronti: nè le nocque meno
lo studio dei santi padri, i quali porgono testimonianza dei costumi
della prima chiesa di Cristo e della infamia della odierna chiesa dei
preti: la scienza adoperata a far lume allo errore si vendicò mostrando
la di lui turpezza alle genti. Ormai ognuno sentiva la uggiosità della
Chiesa, universale il malcontento e la voglia di ridurla a termine di
onestà; ma il modo non appariva, e più del modo restava ignoto l'uomo
che volesse e valesse iniziare la contesa. Il Savonarola forse era nato
per mandare sottosopra la chiesa romana; a taluno sembra di no, perchè,
considerata la maniera della sua contradizione, sembra intendesse
riformare il costume salvando il resto; ma anco Lutero cominciò da
piccoli inizi; ed una volta il frate posto sopra lo sdrucciolo, non si
sa dove sarebbe ito a finire, chè lieve scintilla gran fiamma seconda.
La Chiesa gli rubò la mano e lo fece ardere; Cesare Cantù, in certo suo
libro recentemente pubblicato col titolo _Gli eretici in Italia_, ci
fa sapere che egli giudica calunniatore espresso di santa madre Chiesa
chi afferma ch'ella facesse ardere vivi gli eretici: questo è falso;
la Chiesa prima di bruciarli gli faceva strozzare. Di tale indole le
difese del Cantù se non peggiori; su le fodere del libro un beghino
francese scrive che cotesto libro mancava alla Italia: certo prima che
il Cantù lo componesse non ci era; rimane a vedere quanto egli abbia
provveduto alla patria, alla verità e alla sua fama componendolo, e di
ciò basta ed è troppo.
A noi gente stracca di anima e di corpo male riesce comprendere quanto
allagamento traboccasse dallo studio della Bibbia; ei si cacciò come
il cuneo nel ceppo della tradizione e della dottrina chiesastiche;
dapprima Roma non ci avvertì, o se pure ci badava, mal poteva anco
da lontano presagire il guaio che le venne: dopo la stampa delle
Bibbie ebraiche onde furono famosi gli ebrei soncinati, venne il
furore delle traduzioni nelle lingue orientali: nella lingua volgare
nostra affermasi la traducesse ab antiquo Iacopo da Varagine vescovo
di Genova, ma non se ne trova traccia; dopo di lui la tradusse Nicolò
Malermi; più tardi Antonio Brucioli di Firenze; successero al Brucioli
traduttori biblici Santi Marmocchini, Zaccaria Rustici ed altri che
non si ricordano; chi lo può sapere ammaestra che nel decimoquinto
secolo se ne fecero nove edizioni, nel decimosesto venti: la smania
di possedere Bibbie e le chiose le quali andavano dettandoci su
alla giornata i teologhi non amici di Roma pigliava garbo e calore
di febbre. Il carmelitano Baldassare Fontana da Locarno in questo
modo raccomandavasi a certo pastore evangelico: «Con le lagrime
agli occhi e con sospiri noi che sediamo fra le tenebre supplichiamo
umilmente voi, cui sono famigliari gli autori dei libri della scienza
ch'ebbero in sorte penetrare i misteri di Dio, di spedirci i libri
dei grandi maestri, specialmente le opere del divino Zuinglio, dello
illustre Lutero, dello arguto Melantone, del puntuale Ecolampadio; sua
eccellenza Verdinyller fu da noi incombenzato di pagarvene il prezzo.»
Allora Roma, dal nuovo pericolo commossa, si diede a calafatare
le fenditure onde entrava l'acqua, ma tardi; fece dire per fino al
Passavanti, forbito scrittore dello _Specchio di vera penitenza_,
che il ridurre la Bibbia in questo nostro idioma volgare egli era
avvilirla; Sisto V non la pensava così, chè all'opposto ci mise mano
egli stesso e la voleva stampare, ma ebbe a sospendere a istanza della
Spagna, più papesca del papa. All'ultimo la Chiesa praticò una via di
mezzo: la si traducesse in italiano, ma però non si stampasse senza
commenti, che hanno che fare col testo quanto gennaio con le more, o
che mutano niente meno la negativa con l'affermativa, o viceversa.
Ma a cotesti tempi non correva stagione benigna pei compositori
di commenti; sicchè gli sbirri papalini tonsurati o senza tonsura
cacciavanli come belve in bosco: ma siccome la guerra si dichiarava ai
nomi, così fu agevole bucare la legge sopprimendoli ovvero alterandoli,
per la quale cosa i libri proibiti penetravano perfino nel Vaticano
e vi rimasero un pezzo, finchè, conosciutili, si gittarono via quasi
scorpioni fossero o rettili velenosi. Il cardinale Serafino certo
dì narrava a Scaligero maggiore una assai piacevole avventura. Erasi
stampata a Venezia l'opera dei _Luoghi comuni_ di Filippo Melantone col
titolo di messere Ippofilo di Terra Nera, cioè recando in volgare il
cognome greco Melantone, che suona appunto terra nera, e capovolgendo
il nome Filippo: piace il libro a Roma, dove per un anno intero vendesi
in pubblico anzi, spacciatasi la prima mandata, ne trassero degli altri
da Venezia; all'ultimo un frate francescano scoperse la ragia: da prima
se ne levò uno scalpore grande, e nientemeno si parlava di mettere
alla colla il libraio, il quale forse non avrà letto sillaba del libro;
ma poi non se ne fece altro e si abbuiò la cosa col bruciare tutte le
copie sopra le quali poterono mettere le mani. Così del pari accadde a
Lutero, di cui la prefazione sopra l'Epistola di san Paolo ai Romani e
il Trattato intorno alla giustificazione corsero un pezzo sotto il nome
del cardinale Fregoso e piacquero. Le opere di Zuinglio circolarono
un dì sotto il nome di Coricio Cogelio, e parecchie edizioni dei
Commentari di Martino Bucero sopra i Salmi vendevansi in Francia come
cosa di Aretio Felino.
Roma raddoppiava scomuniche da levare il pelo, e i librai audacia per
provvedere libri proibiti, chè dove vi hanno pericolo e guadagno due
maniere di gente corrono smaniose, i pirati e i librai, e non si sa
bene se spinti più dal primo o dal secondo movente.
Valsero (come ogni cosa vale che purghi la mente dagli errori e
allarghi lo intelletto) alla decadenza del tristo edifizio clericale
le scoperte americane, i viaggi, le scienze ed i commerci impresi
co' popoli comechè rimotissimi del mondo, e per altra parte valsero
le guerre, le discordie dei principi, l'odio delle nazioni e il
rovesciarsi delle une su le altre. Papa Clemente accusava Carlo, e non
era vero, di tepidezza, se pure non si doveva chiamare avversione,
alla chiesa cattolica, come anco di leggi pubblicate nei suoi stati
lesive della dignità non meno che degli interessi della santa sede;
Carlo di rimando rinfacciava al papa la guerra accesa da lui per bene
due volte a ruina di Europa e i perpetui sotterfugi per sottrarsi alla
riforma della Chiesa nel suo capo e nei suoi membri; avere voluto
e chiesto a sazietà si convocasse per questo un concilio generale,
e poichè vedeva che gli si dava erba trastullo, egli erasi risoluto
abolire nella Spagna la giurisdizione del papa, insegnando per quel
modo alle altre nazioni come gli abusi preteschi potessero correggersi
e l'antica disciplina restaurarsi senza bisogno di papa. — Troppo più
di questi bisticci nocquero al papato. Roma assalita e messa al sacco
e il mescolarsi insieme di tante e tanto varie nazioni. I Tedeschi non
si potevano capacitare come un popolo ingegnoso qual è e confessavano
che fosse l'italiano si rassegnasse a vivere soggetto ad un sacerdozio
sozzo ed odioso che lo faceva poltrire nella ignoranza trassinarlo e
scorticarlo a suo agio. Durante il sacco furono visti gli Spagnuoli,
cattolicissimi se altri mai ne vissero al mondo, esercitare violenze
immani e rapine senza requie, anzi dopo il pasto avevano più fame di
prima; non così i Tedeschi, i quali certo bevvero il vino altrui e
le altrui robe rubarono, ma sopratutto posero studio ad avvilire i
riti della Chiesa per modo che mentre cingevano d'assedio il castello
Sant'Angiolo questo fatto operarono: una torma di soldati vestiti da
monaci e da preti saltarono in groppa a muli, a cavalli; uno fra loro
appellato Grunvaldo, notabile per vaste membra, vestito da papa, con
un triregno di carta dorata in capo monta sopra una mula con arnese
alla grande; dietro a lui un altra comitiva di ufficiali immascherati
quali da cardinali, quali da vescovi, con cappello o mitra sul capo,
con vesti di vario colore a rosso o bianco o pagonazzo secondo la
dignità; accompagnava la processione una moltitudine di pifferi e
tamburi cui teneva dietro la folla del popolo rumorosa e festante; così
Grunvaldo benedicendo a destra ed a mancina arriva fin sotto Castel S.
Angiolo, dove scende dalla mula e subito su di una sedia gestatoria
viene tratto d'intorno a spalla di uomo; ora pigliato un ciottolone
di vino o rovesciandoselo in gola propina alla salute di Clemente, i
circostanti ne imitano lo esempio; poi impone ai cardinali il debito
di professarsi fedeli allo imperatore e li sottomette con giuramento
all'obbligo di non turbare da ora innanzi la pace dello impero con
le fraudolenti ribalderie loro; oggimai sudditi tranquilli senza
mescolarsi nel reggimento civile s'ingegneranno a vivere secondo i
precetti della Scrittura e lo esempio di Gesù Cristo. Ciò compito, si
mise con voce magna a predicare a parte a parte, narrando le infamie,
i parricidii, le scelleratezze, insomma tutti i delitti di rapina e
di sangue onde la chiesa di Roma venne in abominio degli uomini e di
Dio; e poi concluse obbligandosi di trasferire per via di testamento
ogni sua potestà a Martino Lutero, perchè trovasse maniera di assettare
questi sconci: egli solo capace a rattoppare la barca di san Pietro,
egli solo pilota idoneo a condurla in porto così sdrucita com'era per
colpa di coloro che, invece di custodirla, annegati nella gozzoviglia
e nella lascivia l'avevano lasciata andare per persa; e all'ultimo
disse: «Quelli che approvano le mie proposte alzino la mano in segno di
consenso.» Tutti levarono le mani così popolo come soldati gridando:
«Viva il papa Lutero! viva il papa Lutero!» E fortuna volle che il
papa e i cardinali non cascassero in mano a quella bestia di Giorgio
Furstemberg, uomo di ferro, che, partitosi dalla estrema Germania
a capo de' suoi lanzichenecchi, portava attaccato all'arcione della
sella un mazzo di capestri rossi ed uno d'oro, coi quali aveva giurato
impiccare i cardinali e il papa; e lo faceva, ma non gli capitarono fra
le ugne.
Ma via, gesti erano quelli e detti di gente iniquissima al papato,
nè parrebbe dovessimo farne caso, se scrittori contemporanei, anzi
magistrati, in occasioni solenni con termini del tutto pari non
avessero vituperato la corte di Roma.
Il vescovo di Bari Stafilo, arringando gli auditori della Sacra Rota
romana intorno alle cause dello eccidio di Roma, tra le altre cose
diceva a cotesti prelati: «Ma orsù rispondetemi: donde derivano tutti
questi casi? perchè tante sciagure ruinarono sopra di noi? Perchè tutta
la carne ci sta corrotta intorno alle ossa, perchè noi siamo non già
cittadini della città santa, bensì di Babilonia, la rea baldracca.
Mirate come tutte le profezie si avverino a danno suo. Isaia esclama:
— Oh come la città sacra, di giusta e fedele, diventò meretrice! un dì
in lei regnava la giustizia, ci regnano adesso sacrilegi ed omicidii;
prima l'abitava gente eletta e di virtù amica, adesso la ingombrano il
popolo di Gomorra, una razza di vipere, i figliuoli della corruzione,
sacerdoti infedeli e complici di ladri. — Nè mi si dica questa
profezia già compita, avendosi a referire alla ruina di Gerusalemme
avvenuta ai tempi di Vespasiano, imperciocchè (ve lo affermo io) il
futuro stesse tutto dipinto al cospetto del profeta; onde male si può
sostenere che la sua visione si riportasse ai successi prossimi alle
profezie piuttostochè ai più lontani. E di vero, se per noi si vorranno
ricercare argutamente le altre profezie, ci apparirà manifesto com'esse
si riferiscano a Roma, nè eccetto che a lei possano a verun'altra città
referirsi. L'apostolo san Giovanni nell'Apocalisse gli è chiaro come
l'acqua che accenna a Roma allorchè dice: — La grande città la quale ti
sta davanti è la città che regna sopra tutta la terra; ella giace sopra
sette colli. — Dunque qui si parla di Roma; il profeta aggiunge ch'ella
si posa seduta sopra fiumi di numero infinito, ed anco questo non si
può attribuire eccettochè a Roma, solo che voi vogliate porre mente
che fiume significa popolo; egli, il profeta, dice altresì: — Ella va
coperta con nomi di vergogna, ella è madre d'impurità, di fornicazione
e di vituperio. — Oh! qui poi si conosce espresso che dichiara Roma,
conciossiachè quantunque questi misfatti dapertutto compaiano, in verun
luogo come in Roma smaglino nella loro potenza satanica.»
Sebbene io non creda e non sia che a Ferrara s'incominciasse a
predicare la Riforma, pure è certo che quivi meglio che altrove
cestisse e quinci meglio che altrove si propagasse; perocchè Renata
figlia di Luigi XII e moglie di Ercole II la proteggesse; prima
ch'ella si partisse di Francia lei aveva nella dottrina dei riformatori
allevata Margherita regina di Navarra; giunta in Italia in compagnia
di madama di Subisa sua governante, contro la romana curia inviperita,
a mano a mano si circondava di gente fidatissima tutta congiunta alla
Subisa, come il suo figliuolo Giovanni, che fu poi uno dei campioni
della Riforma di Francia, Anna sua sorella ed il fidanzato di lei
Antonio de Pons conte di Marennes; più tardi ci venne Clemente Marot
poeta francese, che, obliato un giorno, oggi dà vita e moto alla
poesia di Francia per quanto ella ne possa andare capace, e per un
tempo vi ebbe onorata stanza in qualità di segretario della duchessa;
gli tenne dietro Leone Jamet, e per ultimo, sotto il finto nome di
Carlo Happeville, ci si condusse Calvino. Tutto questo tramestío non
si potè operare senza che Roma ne pigliasse fumo, e se ne sentisse
rovello non importa dire, sicchè tanto e tanto ella si maneggiò con
Ercole, uomo cui pareva essere principe perchè mandava la gente alla
forca per conto altrui, che questi si obbligò in virtù di trattato
col papa e coll'imperatore di bandire quanti Francesi si trovassero
in corte. Così Renata ebbe a separarsi con ineffabile affanno dalla
Subisa e dai suoi; il Marot esulò a Venezia; al Jamet riuscì passarsela
tra goccia e goccia rimanendosi al fianco della duchessa: ma innanzi
che si venisse a questo passo il seme era stato sparso, mercè la
dottrina dei letterati illustri chiamati a Ferrara a professare umane
lettere nella università ovvero ad istruire i giovanetti principi; e
comechè tutti luterani non fossero, tutti però le idolatrie romane e
la insopportabile superbia dei preti aborrivano; ricordansi tra i più
celebri Celio Calcagnini, Lilio Giraldi, Bartolomeo Riccio, Marcello
Palingenio, Marcantonio Flaminio, Chiliano e Giovanni Sinapi e Fulvio
Morato padre a quella Olimpia che tanto buona fama di sè sparse
nel mondo. Difficile sarebbe dire quanti alle dottrine luterane si
convertissero in Ferrara; pochi certo non furono, ma apertamente ne
apparve mutato il numero a norma della mutabile mente del duca, che
feudatario della Chiesa ogni acqua bagnava; importa eziandio ricordare
che, a seconda dei tempi, nobili in copia seguaci delle dottrine
novelle dalle altre parti d'Italia sotto la protezione di Renata, come
in fidatissimo asilo, a Ferrara ricoverarono.
A Modena, se avessimo a prestare fede al cardinale Morone vescovo
di cotesta città, la faccenda sarebbe ita anco peggio, avvegnachè
egli giudicasse la città intera imbrattata di luteranismo; ma ognuno
sa quanto i chiesastici costumino in pro' loro a impiccolire o ad
allargare le cose; e poichè o tu li prenda per un dito o agguanti loro
la mano, gridano lo stesso, e tu, quando ti capita, tienli per la mano
e pel collo; e poi putendo egli stesso di eretico sicchè ebbe a durare
un lungo processo ed a patire prigionia fino alla morte di Paolo IV,
forse con le dimostrazioni di zelo eccessivo s'industriava allontanare
il sospetto da sè: però sendo Modena città letterata, non fa maraviglia
se quivi troppo più che altrove occorressero nemici a Roma. L'accademia
modenese fondata dal Grillenzoni, smesso ogni altro tema, s'inabissava
nelle controversie teologiche: temuto sopra tutti, epperò unicamente
perseguitato quel Ludovico Castelvetro il quale recò nella critica
e nelle dispute filologiche l'acre sottigliezza della teologia, e
forse non ebbe animo buono, ma di lui due cotanti più tristo Annibale
Caro suo nemico, il quale gli scriveva libri contro con la medesima
intenzione che il boscaiolo tagliava fascine per servizio della
Inquisizione: Narrasi che i predicatori cattolici erano costà presi a
dileggio, sicchè dovevano a marcio dispetto lasciare il pulpito agli
avversari, i quali con la copia degli argomenti e con lo eloquio degno,
o sia che così fosse, o sia che così paresse, empivano di entusiasmo
gli ascoltatori. Al Bucero parve ormai cotesta città guadagnata alla
fede e gliene mandò lettere gratulatorie anco qui molti i dotti che
ragionano, il popolo che sente scarso. — A Firenze, donde già si
erano tirati due papi di casa Medici, e regnava Cosimo dei Medici, la
riforma non poteva aspettarsi lieti giorni nè gli ebbe, bensì generò
parecchi uomini che furono strenui confessori e martiri della religione
riformata, come Pietro Martire Vermigli, monsignor Carnesecchi, il
Bruscoli ed altri. Il Cantù ci fa sapere come il Bruscoli fosse spia
di Cosimo, e pur troppo sarà stato; che monta questo? forse voi altri
cattolici volete soli il privilegio di raccogliere nel proprio seno
traditori? E se costui hassi a stimare infame perchè spia, vorreste
salutare santo Cosimo che lo pagava? Ma di questo infelice parleremo
più tardi.
Chiamati dalla fama della vetustissima università, dotti e ignoranti
traevano dalle più remote parti di Europa a Bologna; i primi per
insegnare, i secondi per istruirsi; veruna terra meglio disposta di
quella alla dialettica dacchè il giorno per la filosofia non era ancor
sorto; mancava la favilla per appiccare lo incendio, e questa, non già
favilla ma torcia, fu Giovanni Mollio di Montalcino minore osservante.
Costui, dopo avere professato con molta rinomanza nelle più celebri
università d'Italia, si ridusse a Bologna, dove subito gli mosse guerra
l'astiosa dappocaggine del Cornelio metafisico; di qui una sfida a
disputare in pubblico, dalla quale il Cornelio uscì spennacchiato;
l'ira lo fece spia, e sta bene, perchè mediocre in lettere, moderato
in politica e spia siano tre focacce levate dalla medesima pasta;
sottoposto il povero frate al sindacato di quattro cardinali, ebbe un
santo dalla sua, perchè buono non lo rinvennero, e tristo da buttarlo
sul fuoco neppure; solo gl'interdissero la predica sopra l'epistole
di san Paolo, ma parlarono a sordo; allora il cardinale Campeggio lo
cacciò via dalla università; trovo anco scritto che certo Baldassare
Altieri mandava avviso ad un suo amico tedesco come un gentiluomo di
Bologna, quando si fosse dichiarata guerra al papa, stava pronto a
concorrerci a sue spese con seimila fanti da lui arrolati e pagati:
quantunque a me paia cotesta più che altro iattanza, pure, fatta
la parte sua alla esagerazione, si ha da dire che molti e potenti
vivessero in Bologna gli zelatori della Riforma. E giusto favellando
della necessità di riformare i costumi chiesastici e della voglia
che la curia romana aveva di farlo, merita essere da noi riportato un
caso il quale da un lato dimostra il credito grande che si tiravano
dietro le deliberazioni di cotesta città, e chiarisce dall'altro la
fede pessima dei papi. Taluni Bolognesi avendo scritto a Giovanni
Planitz ambasciatore dell'elettore di Sassonia in Italia circa la
necessità di convocare il concilio, questa lettera mise tanto il campo
a rumore che Paolo III per ischermirsi deputò tosto una commissione
di quattro cardinali e di cinque prelati affinchè avvisassero sul da
farsi; fra i cardinali il Caraffa. La commissione eseguì il cómpito
con prestezza pari a lealtà; moltissime colpe accennò e molti rimedi
propose; principalissima delle colpe da emendarsi dichiarò il cumulo
degli uffici di cardinale e di vescovo; il rapporto della commissione
si legge in parecchie raccolte ed ha per titolo: _De concilio de
emendanda Ecclesia iussu Pauli Tertii_; fu stampato, pubblicato per
comando del papa, ma nè papa nè cardinali lo mandarono nè manco per
ombra ad esecuzione; dei cardinali che lo composero quelli che erano ad
un punto vescovi continuarono a tenere mitra e cappello; il cardinale
Polo avendo a scegliere tra cardinale e primate d'Inghilterra, conservò
i due offici; e quel Caraffa così ferocemente rigido, diventato Paolo
IV, condannò quanto aveva proposto cardinale teatino. Gran brava gente
i preti! —
Non che la terra lombarda, pareva che san Pietro non potesse salvare
dalla contaminazione nè manco quella terra che i preti chiamano
infamia del Caro buon letterato ed uomo pessimo: nè chi vive
in corte di Roma può essere diverso. — Sonetto del Caro contro
il Castelvetro mandato a memoria per virtù dei reverendi padri
barnabiti. — Confronto delle lapidi sepolcrali di ambedue.
— Feroce e moltiplica persecuzione a Ferrara: Olimpia Morato
fuggendo scampa. — Commissione del re di Francia alla zia Renata
duchessa di Ferrara; sue angustie: messa in carcere, divisa dai
suoi; il figlio Alfonso la manda via. — Questi il _magnanimo_
Alfonso di cui canta il Tasso: in che pregio il _magnanimo_
tenesse il Tasso. — Grandezza d'animo di Renata; sue figliuole.
— Venezia tira partito dalla libertà di coscienza come da ogni
altra cosa; ma poi spaventata dalle minacce di Roma piega:
persecuzioni costà. — Terrore cattolico nell'Istria. — I Vergeri.
— Caso miserabile di esuli veneziani dannati a morte per eresia.
— Quali i supplizi veneziani. — Improntitudine dello inquisitore
contro il duca di Mantova. — Ferocie clericali a Faenza ed a
Parma; a Faenza il popolo dà di fuori e si sfoga. — Falsità
pretine a Locarno; miserie dei Locarnesi spatriati. — Disputa
tra il nunzio e le donne di Locarno. — Avventura di Barbara
Montalto. — Altre atrocità pretine da clericali moderni, massime
dal Cantù, non pure scusate, ma quasi lodate. — Roma avversa a
Napoli la Inquisizione di Spagna perchè intende esercitarla da
sè. — Lamentabili casi avvenuti in Calabria. — Sansisto e la
Guardia colonne infami per Roma. — Corrispondenza tra Roma ed
Austria, e poi tra Austria e Francia; digressione intorno alle
condizioni presenti d'Italia. Testimonianze cattoliche intorno
alle crudeltà sacerdotali da mettere non che ad altri pietà a
Nerone. — Bartolomeo Fonzio mazzerato nel Tevere. — Paolo IV
invaso da libidine di sangue: popolo romano rompe le statue di
lui morto, mentre avrebbe dovuto rompere la testa di lui vivo. —
I parziali di Pompeo Di Negri mercè settemila ducati ottengono
che prima di bruciarlo lo strangolino: questo il Cantù afferma
che i preti facessero senza quattrini: ma per essere creduti
dal Cantù bisogna essere preti e carnefici. — Pio V più feroce
di tutti: varie stragi a Como, a Torino, a Roma. — Paschali
strangolato ed arso alla presenza del papa. — Altre persecuzioni.
— Si torna a Lucca; diligenze per estirpare in cotesta repubblica
l'eresie. — Lucchesi sciamano a frotte, massime i Burlamacchi:
dove si rifuggissero; discendenza ed estinzione della linea di
Francesco Burlamacchi.
Grande fondamento poneva altresì il Burlamacchi negli umori religiosi,
i quali dove più dove meno andavano allargandosi in Italia, ma però
con tanta perseveranza da persuadere ogni uomo avvezzo a speculare
che la Riforma sarebbe senza fallo prevalsa: di fatti veruna contrada
della cristianità compariva come la Italia disposta alla Riforma,
però che qui cadesse quotidiano sotto gli occhi lo spettacolo della
contaminazione della gente chiesiastica; e sebbene di molta autorità
fossero i santi padri che così in Italia come fuori rampognavano la
chiesa romana delle sue abominazioni, pure, se non più credito, certo
maggiore pubblicità di loro ottenevano i poeti, i filosofi, i politici
e di ogni maniera letterati, imperciocchè i successi che imprimono
carattere ai popoli prima di diventare fatti sieno idee, e queste
partonsi dalla mente agitatrice del mondo. Gli è vero che lo scherno
e la rampogna cadevano sopra vizi personali, ma tanto si dilatava il
numero dei contaminati che gl'innocenti erano eccezione; e poi Roma,
studiosa del profitto presente, così aveva ravviluppato le persone
con le cose, la forma con la sostanza, che districare male si potevano
allora, adesso peggio, ond'io sinceramente credo che, percossa la curia
romana, abbia a toccarne la Chiesa.
Ancora, seminii di rivolta e di opposizione occorsero sempre in
Italia; antichi sono fra noi gli albigesi e i valdesi calati dalle
Alpi in Lombardia e quinci allargatisi per la universa Italia fino
alla remota Calabria, nonostante le trucissime persecuzioni dei papi e
degl'imperatori, da Gregorio IX e Federigo II in poi legati a piantare
anco a mo' di stile la dominazione loro nel cuore dei popoli e poi
nemici implacabili a strapparsela di mano, nel secolo decimoquarto
duravano in Italia sovvenuti dai Boemi e dai Polacchi; in Calabria
erano l'occhio diritto dei preti cattolici e più dei frati; non già che
questi sul principio non avessero mostrato loro il viso dell'arme, come
quelli che li temevano venuti a soppiantarli, ma provatili in seguito
obbedientissimi a pagare le decime, e queste rinvenute grasse a causa
della stupenda industria posta dai medesimi nella coltura dei campi,
si erano adattati a vivere con essi in pace su questa terra, salvo a
mandarli allo inferno nell'altro mondo. Oggimai corre notizia comune
che gran parte della religione di Giove entrasse in quella di Cristo, e
questo travasare di fede come si fa del vino dall'una all'altra botte,
mentre nuoce alla prima, non approda alla seconda; e peggio poi quando
nella corte di Roma si palesò piuttosto il furore che la passione per
la favella e le antichità romane. Già fino dalla fanciullezza di Lione
X, allora Giovanni, il Poliziano si stizzava con la madre sua perchè
con la lettura del Salterio lo imbarbarisse; promosso pontefice, la
Chiesa comparve ingombra di una moltitudine di scrittori e di artefici
pagani a tale che non la casa di un pontefice, ma l'aula di Augusto
per lo appunto sembrava. Il Sadoleto con ciceroniano stile fulminava
la scomunica contro Lutero, il Bembo dettava forbitamente elegante
la bolla delle indulgenze; per lui non erano morti gli dii vetusti,
anzi nei suoi versi rivivevano Lucina ausiliatrice dei parti, gli
dei mani ed anco gl'inferi; alle cortigiane senza tante cerimonie
ponevansi per le chiese statue e monumenti, dove si avvertiva,
mediante solenni epitafi ciò farsi appunto pei meriti acquistatisi nei
meretricii esercizi; e simile culto alla maniera dei pagani dispose
gli animi a credere poco, a deridere molto, dissolvere col dubbio
e apparecchiare la filosofia. Veramente quando noi consideriamo i
casi umani, soprattutto desidereremmo che nè la tirannide mai nè lo
errore fossero mandati a contristare la terra; pure, dacchè un fato
ce gl'invia, dobbiamo altresì confessare che ci vengono accompagnati
col germe della loro distruzione in corpo: così quando Cosimo I volle
spegnere ogni aspirazione di libertà, procurando rimbambire le menti
con le baruffe grammaticali, ritemprò invece la lingua, anello di unità
fra i popoli italiani e pegno di futuro risorgimento. Arrogi le immani
falsità impunemente fabbricate dai preti ingordi nei secoli d'ignoranza
ed ora col nuovo lume degli studi conosciute e derise; primo e
infestissimo fra questi critici molesti Lorenzo Valla, il quale mentre
rende argomento di sceda la donazione di Costantino corre rischio di
essere bruciato vivo; fine che non poterono fuggire Girolamo da Praga
e Giovanni Hus, peggio di Cristo traditi da masnadieri che ardivano
affermarsi vicari e sacerdoti di lui:
Venderecci fra noi gli altari e i templi
Ceri, incensi, preghiere e sacerdoti,
Venale il cielo, se lo paghi, e Dio.
come si lamentò Battista Mantovano nel suo poema _Della calamità
dei tempi_; e gli studiosi conoscono l'acerbo epigramma corso fra la
gente quando papa Lione morì senza sacramenti, di cui questo era il
concetto: ei non potè averli perchè gli aveva venduti. Successe a danno
della Chiesa la diffusione dei volgarizzamenti della Bibbia in diverse
lingue; donde poi chiose e commentari e confronti: nè le nocque meno
lo studio dei santi padri, i quali porgono testimonianza dei costumi
della prima chiesa di Cristo e della infamia della odierna chiesa dei
preti: la scienza adoperata a far lume allo errore si vendicò mostrando
la di lui turpezza alle genti. Ormai ognuno sentiva la uggiosità della
Chiesa, universale il malcontento e la voglia di ridurla a termine di
onestà; ma il modo non appariva, e più del modo restava ignoto l'uomo
che volesse e valesse iniziare la contesa. Il Savonarola forse era nato
per mandare sottosopra la chiesa romana; a taluno sembra di no, perchè,
considerata la maniera della sua contradizione, sembra intendesse
riformare il costume salvando il resto; ma anco Lutero cominciò da
piccoli inizi; ed una volta il frate posto sopra lo sdrucciolo, non si
sa dove sarebbe ito a finire, chè lieve scintilla gran fiamma seconda.
La Chiesa gli rubò la mano e lo fece ardere; Cesare Cantù, in certo suo
libro recentemente pubblicato col titolo _Gli eretici in Italia_, ci
fa sapere che egli giudica calunniatore espresso di santa madre Chiesa
chi afferma ch'ella facesse ardere vivi gli eretici: questo è falso;
la Chiesa prima di bruciarli gli faceva strozzare. Di tale indole le
difese del Cantù se non peggiori; su le fodere del libro un beghino
francese scrive che cotesto libro mancava alla Italia: certo prima che
il Cantù lo componesse non ci era; rimane a vedere quanto egli abbia
provveduto alla patria, alla verità e alla sua fama componendolo, e di
ciò basta ed è troppo.
A noi gente stracca di anima e di corpo male riesce comprendere quanto
allagamento traboccasse dallo studio della Bibbia; ei si cacciò come
il cuneo nel ceppo della tradizione e della dottrina chiesastiche;
dapprima Roma non ci avvertì, o se pure ci badava, mal poteva anco
da lontano presagire il guaio che le venne: dopo la stampa delle
Bibbie ebraiche onde furono famosi gli ebrei soncinati, venne il
furore delle traduzioni nelle lingue orientali: nella lingua volgare
nostra affermasi la traducesse ab antiquo Iacopo da Varagine vescovo
di Genova, ma non se ne trova traccia; dopo di lui la tradusse Nicolò
Malermi; più tardi Antonio Brucioli di Firenze; successero al Brucioli
traduttori biblici Santi Marmocchini, Zaccaria Rustici ed altri che
non si ricordano; chi lo può sapere ammaestra che nel decimoquinto
secolo se ne fecero nove edizioni, nel decimosesto venti: la smania
di possedere Bibbie e le chiose le quali andavano dettandoci su
alla giornata i teologhi non amici di Roma pigliava garbo e calore
di febbre. Il carmelitano Baldassare Fontana da Locarno in questo
modo raccomandavasi a certo pastore evangelico: «Con le lagrime
agli occhi e con sospiri noi che sediamo fra le tenebre supplichiamo
umilmente voi, cui sono famigliari gli autori dei libri della scienza
ch'ebbero in sorte penetrare i misteri di Dio, di spedirci i libri
dei grandi maestri, specialmente le opere del divino Zuinglio, dello
illustre Lutero, dello arguto Melantone, del puntuale Ecolampadio; sua
eccellenza Verdinyller fu da noi incombenzato di pagarvene il prezzo.»
Allora Roma, dal nuovo pericolo commossa, si diede a calafatare
le fenditure onde entrava l'acqua, ma tardi; fece dire per fino al
Passavanti, forbito scrittore dello _Specchio di vera penitenza_,
che il ridurre la Bibbia in questo nostro idioma volgare egli era
avvilirla; Sisto V non la pensava così, chè all'opposto ci mise mano
egli stesso e la voleva stampare, ma ebbe a sospendere a istanza della
Spagna, più papesca del papa. All'ultimo la Chiesa praticò una via di
mezzo: la si traducesse in italiano, ma però non si stampasse senza
commenti, che hanno che fare col testo quanto gennaio con le more, o
che mutano niente meno la negativa con l'affermativa, o viceversa.
Ma a cotesti tempi non correva stagione benigna pei compositori
di commenti; sicchè gli sbirri papalini tonsurati o senza tonsura
cacciavanli come belve in bosco: ma siccome la guerra si dichiarava ai
nomi, così fu agevole bucare la legge sopprimendoli ovvero alterandoli,
per la quale cosa i libri proibiti penetravano perfino nel Vaticano
e vi rimasero un pezzo, finchè, conosciutili, si gittarono via quasi
scorpioni fossero o rettili velenosi. Il cardinale Serafino certo
dì narrava a Scaligero maggiore una assai piacevole avventura. Erasi
stampata a Venezia l'opera dei _Luoghi comuni_ di Filippo Melantone col
titolo di messere Ippofilo di Terra Nera, cioè recando in volgare il
cognome greco Melantone, che suona appunto terra nera, e capovolgendo
il nome Filippo: piace il libro a Roma, dove per un anno intero vendesi
in pubblico anzi, spacciatasi la prima mandata, ne trassero degli altri
da Venezia; all'ultimo un frate francescano scoperse la ragia: da prima
se ne levò uno scalpore grande, e nientemeno si parlava di mettere
alla colla il libraio, il quale forse non avrà letto sillaba del libro;
ma poi non se ne fece altro e si abbuiò la cosa col bruciare tutte le
copie sopra le quali poterono mettere le mani. Così del pari accadde a
Lutero, di cui la prefazione sopra l'Epistola di san Paolo ai Romani e
il Trattato intorno alla giustificazione corsero un pezzo sotto il nome
del cardinale Fregoso e piacquero. Le opere di Zuinglio circolarono
un dì sotto il nome di Coricio Cogelio, e parecchie edizioni dei
Commentari di Martino Bucero sopra i Salmi vendevansi in Francia come
cosa di Aretio Felino.
Roma raddoppiava scomuniche da levare il pelo, e i librai audacia per
provvedere libri proibiti, chè dove vi hanno pericolo e guadagno due
maniere di gente corrono smaniose, i pirati e i librai, e non si sa
bene se spinti più dal primo o dal secondo movente.
Valsero (come ogni cosa vale che purghi la mente dagli errori e
allarghi lo intelletto) alla decadenza del tristo edifizio clericale
le scoperte americane, i viaggi, le scienze ed i commerci impresi
co' popoli comechè rimotissimi del mondo, e per altra parte valsero
le guerre, le discordie dei principi, l'odio delle nazioni e il
rovesciarsi delle une su le altre. Papa Clemente accusava Carlo, e non
era vero, di tepidezza, se pure non si doveva chiamare avversione,
alla chiesa cattolica, come anco di leggi pubblicate nei suoi stati
lesive della dignità non meno che degli interessi della santa sede;
Carlo di rimando rinfacciava al papa la guerra accesa da lui per bene
due volte a ruina di Europa e i perpetui sotterfugi per sottrarsi alla
riforma della Chiesa nel suo capo e nei suoi membri; avere voluto
e chiesto a sazietà si convocasse per questo un concilio generale,
e poichè vedeva che gli si dava erba trastullo, egli erasi risoluto
abolire nella Spagna la giurisdizione del papa, insegnando per quel
modo alle altre nazioni come gli abusi preteschi potessero correggersi
e l'antica disciplina restaurarsi senza bisogno di papa. — Troppo più
di questi bisticci nocquero al papato. Roma assalita e messa al sacco
e il mescolarsi insieme di tante e tanto varie nazioni. I Tedeschi non
si potevano capacitare come un popolo ingegnoso qual è e confessavano
che fosse l'italiano si rassegnasse a vivere soggetto ad un sacerdozio
sozzo ed odioso che lo faceva poltrire nella ignoranza trassinarlo e
scorticarlo a suo agio. Durante il sacco furono visti gli Spagnuoli,
cattolicissimi se altri mai ne vissero al mondo, esercitare violenze
immani e rapine senza requie, anzi dopo il pasto avevano più fame di
prima; non così i Tedeschi, i quali certo bevvero il vino altrui e
le altrui robe rubarono, ma sopratutto posero studio ad avvilire i
riti della Chiesa per modo che mentre cingevano d'assedio il castello
Sant'Angiolo questo fatto operarono: una torma di soldati vestiti da
monaci e da preti saltarono in groppa a muli, a cavalli; uno fra loro
appellato Grunvaldo, notabile per vaste membra, vestito da papa, con
un triregno di carta dorata in capo monta sopra una mula con arnese
alla grande; dietro a lui un altra comitiva di ufficiali immascherati
quali da cardinali, quali da vescovi, con cappello o mitra sul capo,
con vesti di vario colore a rosso o bianco o pagonazzo secondo la
dignità; accompagnava la processione una moltitudine di pifferi e
tamburi cui teneva dietro la folla del popolo rumorosa e festante; così
Grunvaldo benedicendo a destra ed a mancina arriva fin sotto Castel S.
Angiolo, dove scende dalla mula e subito su di una sedia gestatoria
viene tratto d'intorno a spalla di uomo; ora pigliato un ciottolone
di vino o rovesciandoselo in gola propina alla salute di Clemente, i
circostanti ne imitano lo esempio; poi impone ai cardinali il debito
di professarsi fedeli allo imperatore e li sottomette con giuramento
all'obbligo di non turbare da ora innanzi la pace dello impero con
le fraudolenti ribalderie loro; oggimai sudditi tranquilli senza
mescolarsi nel reggimento civile s'ingegneranno a vivere secondo i
precetti della Scrittura e lo esempio di Gesù Cristo. Ciò compito, si
mise con voce magna a predicare a parte a parte, narrando le infamie,
i parricidii, le scelleratezze, insomma tutti i delitti di rapina e
di sangue onde la chiesa di Roma venne in abominio degli uomini e di
Dio; e poi concluse obbligandosi di trasferire per via di testamento
ogni sua potestà a Martino Lutero, perchè trovasse maniera di assettare
questi sconci: egli solo capace a rattoppare la barca di san Pietro,
egli solo pilota idoneo a condurla in porto così sdrucita com'era per
colpa di coloro che, invece di custodirla, annegati nella gozzoviglia
e nella lascivia l'avevano lasciata andare per persa; e all'ultimo
disse: «Quelli che approvano le mie proposte alzino la mano in segno di
consenso.» Tutti levarono le mani così popolo come soldati gridando:
«Viva il papa Lutero! viva il papa Lutero!» E fortuna volle che il
papa e i cardinali non cascassero in mano a quella bestia di Giorgio
Furstemberg, uomo di ferro, che, partitosi dalla estrema Germania
a capo de' suoi lanzichenecchi, portava attaccato all'arcione della
sella un mazzo di capestri rossi ed uno d'oro, coi quali aveva giurato
impiccare i cardinali e il papa; e lo faceva, ma non gli capitarono fra
le ugne.
Ma via, gesti erano quelli e detti di gente iniquissima al papato,
nè parrebbe dovessimo farne caso, se scrittori contemporanei, anzi
magistrati, in occasioni solenni con termini del tutto pari non
avessero vituperato la corte di Roma.
Il vescovo di Bari Stafilo, arringando gli auditori della Sacra Rota
romana intorno alle cause dello eccidio di Roma, tra le altre cose
diceva a cotesti prelati: «Ma orsù rispondetemi: donde derivano tutti
questi casi? perchè tante sciagure ruinarono sopra di noi? Perchè tutta
la carne ci sta corrotta intorno alle ossa, perchè noi siamo non già
cittadini della città santa, bensì di Babilonia, la rea baldracca.
Mirate come tutte le profezie si avverino a danno suo. Isaia esclama:
— Oh come la città sacra, di giusta e fedele, diventò meretrice! un dì
in lei regnava la giustizia, ci regnano adesso sacrilegi ed omicidii;
prima l'abitava gente eletta e di virtù amica, adesso la ingombrano il
popolo di Gomorra, una razza di vipere, i figliuoli della corruzione,
sacerdoti infedeli e complici di ladri. — Nè mi si dica questa
profezia già compita, avendosi a referire alla ruina di Gerusalemme
avvenuta ai tempi di Vespasiano, imperciocchè (ve lo affermo io) il
futuro stesse tutto dipinto al cospetto del profeta; onde male si può
sostenere che la sua visione si riportasse ai successi prossimi alle
profezie piuttostochè ai più lontani. E di vero, se per noi si vorranno
ricercare argutamente le altre profezie, ci apparirà manifesto com'esse
si riferiscano a Roma, nè eccetto che a lei possano a verun'altra città
referirsi. L'apostolo san Giovanni nell'Apocalisse gli è chiaro come
l'acqua che accenna a Roma allorchè dice: — La grande città la quale ti
sta davanti è la città che regna sopra tutta la terra; ella giace sopra
sette colli. — Dunque qui si parla di Roma; il profeta aggiunge ch'ella
si posa seduta sopra fiumi di numero infinito, ed anco questo non si
può attribuire eccettochè a Roma, solo che voi vogliate porre mente
che fiume significa popolo; egli, il profeta, dice altresì: — Ella va
coperta con nomi di vergogna, ella è madre d'impurità, di fornicazione
e di vituperio. — Oh! qui poi si conosce espresso che dichiara Roma,
conciossiachè quantunque questi misfatti dapertutto compaiano, in verun
luogo come in Roma smaglino nella loro potenza satanica.»
Sebbene io non creda e non sia che a Ferrara s'incominciasse a
predicare la Riforma, pure è certo che quivi meglio che altrove
cestisse e quinci meglio che altrove si propagasse; perocchè Renata
figlia di Luigi XII e moglie di Ercole II la proteggesse; prima
ch'ella si partisse di Francia lei aveva nella dottrina dei riformatori
allevata Margherita regina di Navarra; giunta in Italia in compagnia
di madama di Subisa sua governante, contro la romana curia inviperita,
a mano a mano si circondava di gente fidatissima tutta congiunta alla
Subisa, come il suo figliuolo Giovanni, che fu poi uno dei campioni
della Riforma di Francia, Anna sua sorella ed il fidanzato di lei
Antonio de Pons conte di Marennes; più tardi ci venne Clemente Marot
poeta francese, che, obliato un giorno, oggi dà vita e moto alla
poesia di Francia per quanto ella ne possa andare capace, e per un
tempo vi ebbe onorata stanza in qualità di segretario della duchessa;
gli tenne dietro Leone Jamet, e per ultimo, sotto il finto nome di
Carlo Happeville, ci si condusse Calvino. Tutto questo tramestío non
si potè operare senza che Roma ne pigliasse fumo, e se ne sentisse
rovello non importa dire, sicchè tanto e tanto ella si maneggiò con
Ercole, uomo cui pareva essere principe perchè mandava la gente alla
forca per conto altrui, che questi si obbligò in virtù di trattato
col papa e coll'imperatore di bandire quanti Francesi si trovassero
in corte. Così Renata ebbe a separarsi con ineffabile affanno dalla
Subisa e dai suoi; il Marot esulò a Venezia; al Jamet riuscì passarsela
tra goccia e goccia rimanendosi al fianco della duchessa: ma innanzi
che si venisse a questo passo il seme era stato sparso, mercè la
dottrina dei letterati illustri chiamati a Ferrara a professare umane
lettere nella università ovvero ad istruire i giovanetti principi; e
comechè tutti luterani non fossero, tutti però le idolatrie romane e
la insopportabile superbia dei preti aborrivano; ricordansi tra i più
celebri Celio Calcagnini, Lilio Giraldi, Bartolomeo Riccio, Marcello
Palingenio, Marcantonio Flaminio, Chiliano e Giovanni Sinapi e Fulvio
Morato padre a quella Olimpia che tanto buona fama di sè sparse
nel mondo. Difficile sarebbe dire quanti alle dottrine luterane si
convertissero in Ferrara; pochi certo non furono, ma apertamente ne
apparve mutato il numero a norma della mutabile mente del duca, che
feudatario della Chiesa ogni acqua bagnava; importa eziandio ricordare
che, a seconda dei tempi, nobili in copia seguaci delle dottrine
novelle dalle altre parti d'Italia sotto la protezione di Renata, come
in fidatissimo asilo, a Ferrara ricoverarono.
A Modena, se avessimo a prestare fede al cardinale Morone vescovo
di cotesta città, la faccenda sarebbe ita anco peggio, avvegnachè
egli giudicasse la città intera imbrattata di luteranismo; ma ognuno
sa quanto i chiesastici costumino in pro' loro a impiccolire o ad
allargare le cose; e poichè o tu li prenda per un dito o agguanti loro
la mano, gridano lo stesso, e tu, quando ti capita, tienli per la mano
e pel collo; e poi putendo egli stesso di eretico sicchè ebbe a durare
un lungo processo ed a patire prigionia fino alla morte di Paolo IV,
forse con le dimostrazioni di zelo eccessivo s'industriava allontanare
il sospetto da sè: però sendo Modena città letterata, non fa maraviglia
se quivi troppo più che altrove occorressero nemici a Roma. L'accademia
modenese fondata dal Grillenzoni, smesso ogni altro tema, s'inabissava
nelle controversie teologiche: temuto sopra tutti, epperò unicamente
perseguitato quel Ludovico Castelvetro il quale recò nella critica
e nelle dispute filologiche l'acre sottigliezza della teologia, e
forse non ebbe animo buono, ma di lui due cotanti più tristo Annibale
Caro suo nemico, il quale gli scriveva libri contro con la medesima
intenzione che il boscaiolo tagliava fascine per servizio della
Inquisizione: Narrasi che i predicatori cattolici erano costà presi a
dileggio, sicchè dovevano a marcio dispetto lasciare il pulpito agli
avversari, i quali con la copia degli argomenti e con lo eloquio degno,
o sia che così fosse, o sia che così paresse, empivano di entusiasmo
gli ascoltatori. Al Bucero parve ormai cotesta città guadagnata alla
fede e gliene mandò lettere gratulatorie anco qui molti i dotti che
ragionano, il popolo che sente scarso. — A Firenze, donde già si
erano tirati due papi di casa Medici, e regnava Cosimo dei Medici, la
riforma non poteva aspettarsi lieti giorni nè gli ebbe, bensì generò
parecchi uomini che furono strenui confessori e martiri della religione
riformata, come Pietro Martire Vermigli, monsignor Carnesecchi, il
Bruscoli ed altri. Il Cantù ci fa sapere come il Bruscoli fosse spia
di Cosimo, e pur troppo sarà stato; che monta questo? forse voi altri
cattolici volete soli il privilegio di raccogliere nel proprio seno
traditori? E se costui hassi a stimare infame perchè spia, vorreste
salutare santo Cosimo che lo pagava? Ma di questo infelice parleremo
più tardi.
Chiamati dalla fama della vetustissima università, dotti e ignoranti
traevano dalle più remote parti di Europa a Bologna; i primi per
insegnare, i secondi per istruirsi; veruna terra meglio disposta di
quella alla dialettica dacchè il giorno per la filosofia non era ancor
sorto; mancava la favilla per appiccare lo incendio, e questa, non già
favilla ma torcia, fu Giovanni Mollio di Montalcino minore osservante.
Costui, dopo avere professato con molta rinomanza nelle più celebri
università d'Italia, si ridusse a Bologna, dove subito gli mosse guerra
l'astiosa dappocaggine del Cornelio metafisico; di qui una sfida a
disputare in pubblico, dalla quale il Cornelio uscì spennacchiato;
l'ira lo fece spia, e sta bene, perchè mediocre in lettere, moderato
in politica e spia siano tre focacce levate dalla medesima pasta;
sottoposto il povero frate al sindacato di quattro cardinali, ebbe un
santo dalla sua, perchè buono non lo rinvennero, e tristo da buttarlo
sul fuoco neppure; solo gl'interdissero la predica sopra l'epistole
di san Paolo, ma parlarono a sordo; allora il cardinale Campeggio lo
cacciò via dalla università; trovo anco scritto che certo Baldassare
Altieri mandava avviso ad un suo amico tedesco come un gentiluomo di
Bologna, quando si fosse dichiarata guerra al papa, stava pronto a
concorrerci a sue spese con seimila fanti da lui arrolati e pagati:
quantunque a me paia cotesta più che altro iattanza, pure, fatta
la parte sua alla esagerazione, si ha da dire che molti e potenti
vivessero in Bologna gli zelatori della Riforma. E giusto favellando
della necessità di riformare i costumi chiesastici e della voglia
che la curia romana aveva di farlo, merita essere da noi riportato un
caso il quale da un lato dimostra il credito grande che si tiravano
dietro le deliberazioni di cotesta città, e chiarisce dall'altro la
fede pessima dei papi. Taluni Bolognesi avendo scritto a Giovanni
Planitz ambasciatore dell'elettore di Sassonia in Italia circa la
necessità di convocare il concilio, questa lettera mise tanto il campo
a rumore che Paolo III per ischermirsi deputò tosto una commissione
di quattro cardinali e di cinque prelati affinchè avvisassero sul da
farsi; fra i cardinali il Caraffa. La commissione eseguì il cómpito
con prestezza pari a lealtà; moltissime colpe accennò e molti rimedi
propose; principalissima delle colpe da emendarsi dichiarò il cumulo
degli uffici di cardinale e di vescovo; il rapporto della commissione
si legge in parecchie raccolte ed ha per titolo: _De concilio de
emendanda Ecclesia iussu Pauli Tertii_; fu stampato, pubblicato per
comando del papa, ma nè papa nè cardinali lo mandarono nè manco per
ombra ad esecuzione; dei cardinali che lo composero quelli che erano ad
un punto vescovi continuarono a tenere mitra e cappello; il cardinale
Polo avendo a scegliere tra cardinale e primate d'Inghilterra, conservò
i due offici; e quel Caraffa così ferocemente rigido, diventato Paolo
IV, condannò quanto aveva proposto cardinale teatino. Gran brava gente
i preti! —
Non che la terra lombarda, pareva che san Pietro non potesse salvare
dalla contaminazione nè manco quella terra che i preti chiamano
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