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Vita di Andrea Doria, Volume II - 06

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  avere mandato il Verrina al ponte dei Cattanei per isferrarvi la galea,
  e accostarla bel bello alla bocca della Darsena, si conducesse un'ora
  prima della mezzanotte all'antica porta di Sant'Andrea assieme a tutta
  la comitiva. Quelli cui preme far credere, che Gianluigi traesse a forza
  i congiurati, danno ad intendere, ch'egli ordinasse con voce terribile
  si uccidesse senza rimissione chiunque si attentasse uscire di schiera;
  la quale cosa come potesse conoscersi di notte per cotesto laberinto di
  vicoli non si comprende, e meno ancora come per lui si sperasse riuscire
  in così arrisicata avventura con questa razza compagni. Da Santo Andrea
  Gianluigi spedì Cornelio con cinquanta fanti a pigliare la porta
  all'Arco, e ciò fu presto eseguito; due o tre guardie uccise, alcune più
  ferite. Presa la porta ed avutane notizia per Prione, e San Donato dopo
  traversata la piazza dei Salvaghi, il Conte arrivò al ponte dei
  Cattanei; quivi commise al minor fratello Ottobuono Fiesco, e al
  Calcagno una squadra maggiore di soldati, perchè con essa pel borgo a
  Prè si affrettassero a impadronirsi della porta di San Tommaso all'altro
  estremo della città: anco qui la faccenda riuscì a pennello, sebbene con
  alquanto più di resistenza, chè il capitano Lercaro non si arrese se
  prima gravemente ferito non lo atterrarono, restandoci morto il suo
  fratello, l'alfiere con una diecina di soldati. Aveva la città in quei
  tempi altre tre porte, ed erano la Carbonara, dell'Acquasola, e di
  Oricina; ma a queste, come di poca importanza, non provvidero.
  Intanto Gianluigi, notando con inquietudine che la galea non si moveva,
  chiesta la causa, seppe essersi incagliata: adoperandoci sforzi supremi,
  dopo mezz'ora la trassero d'impaccio, avviandola verso la bocca di
  Darsena.
  Gianluigi, disegnando assalire la Darsena dalla parte di terra e al
  medesimo momento dalla parte di mare, aveva pensato che la galea, giunta
  appena a mettersi dietro la Darsena, desse il segno con una cannonata:
  poi si rimase per non ispaventare la città; bensì, fatto il conto del
  tempo, quando gli parve ora, spedì innanzi a sè Tommaso Assereto, per
  soprannome Verze, con alquanti dei più maneschi, a torre su se potesse
  la porta di Darsena per via di astuzia; tosto giunto il Verze picchia;
  domandato qual fosse, dice il nome; lo riconoscono, e comecchè lo
  sapessero uomo di Giannettino, gli schiudono alquanto la imposta: troppo
  impetuoso costui si avventa per occupare la soglia dando adito ai
  custodi di sospettare la insidia e richiuderla a furia; allora lui e i
  suoi piglia lo sgomento; onde correndo portano male nuove a Gianluigi. I
  congiurati, tra pel primo intoppo della galea, e quel secondo della
  porta, temendo che si abbuiassero le cose, cominciano a balenare; ma
  alquanto ripresili il Conte, senza punto smarrirsi, ordina al capitano
  Borgognino salga con la sua squadra certi legni con somma previdenza da
  lui fatti ammannire, assalti e rompa dal lato del mare la porta della
  gabella del vino, e con rapidi accenti gliene mostra il modo per lo
  appunto; il Capitano come gli fu insegnato fece, sicchè, ferendo ed
  ammazzando alla sprovvista i custodi, molto lievemente compì il comando.
  Irrompono i soldati del Conte ad un medesimo punto in Darsena dalla
  porta del vino e dalla galea: qui con mirabile prestezza ordinata la
  gente in manipoli, ci mette a capo l'altro fratello Girolamo perchè
  corra la città col grido di popolo, popolo, e libertà, menando rumore di
  pifferi, e di tamburi; dato assetto alle galee lo raggiungerebbe; la
  posta a San Siro. Cotesta faccenda delle galee s'intristiva,
  imperciocchè la maestranza della Darsena, e la plebe uscita dai borghi
  circostanti, massime da quella di _Prè_ (che non volle in cotesta
  occasione far torto al nome, significando appunto in dialetto genovese
  _Prede_), facevano le viste di volerle mettere a ruba: anco le ciurme,
  accortesi correre stagione di pescare nel torbido, bollivano; nello
  indugio pericolo, però Gianluigi si mise a cacciare dinanzi a sè quanti
  gli stavano attorno, perchè, saliti su le galee, subito le
  presidiassero, ed egli dietro, passando di galea in galea, qui dava
  secondo la congiuntura consigli, là comandi. In questo punto la fortuna
  gli troncava i disegni e la vita; le galee, a cagione delle onde per
  cotesto trambusto commosse, mareggiavano ora accostandosi ed ora
  scostandosi, così che, mentre Gianluigi mette il piede sopra un assito,
  gli manca sotto, ed egli tracolla giù in un fascio con gli altri che lo
  seguitavano. Splendeva limpidissima la luna, ma la gente agitata dai
  moti scomposti, dal frastuono, che intorno si levava infinito, e più che
  altro dalla ansietà, non avvertì la caduta; forse anco avvertendola non
  l'avrebbero potuto salvare; sicchè vuolsi credere, che cause della sua
  morte fossero meno il peso dell'armatura, e la melma dentro la quale lo
  trovarono impegolato, quanto la percossa dei tre soldati, che gli
  rovinarono addosso, e rinvennero morti accanto a lui.
  Difficile affermare se, lui vivo, si sarebbe potuto impedire il sacco
  delle galee, e la fuga delle ciurme, chè le umane belve sperimentiamo
  terribili se punte nel medesimo istante dai supremi aculei, amore di
  rapina, e di libertà: certo è che, lui morto, andò ogni cosa a fascio;
  la cupidità della plebe giunse a tale, che di venti galee, in poco di
  ora, dalla scafa in fuori non ci rimase altro: se presto non veniva
  giorno avrieno disfatto anco questa. Di due maniere galeotti, una
  peggiore dell'altra: i forzati per delitti commessi dannati al remo, e i
  Turchi presi schiavi; pareva dovesse essere pari in entrambi la brama di
  libertà e di rapina; ma non fu così; prevalse l'amore della libertà
  negli schiavi fatti in guerra, ond'essi attesero a rompere le catene, ed
  impadronitisi della galea la _Temperanza_, naviglio destinato a strane
  venture, con grande furia di remi volsero alle coste dell'Affrica; più
  tardi gl'inseguirono due galee spagnuole condotte da Bernardino Mendoza,
  ma invano; se la _Temperanza_ sboccasse dalla Darsena prima che si
  partisse il Verrina, non trovo; forse in tanto e sì fiero avvolgersi di
  casi, o non avvertì o non potè impedire; trovo eziandio ricordato che le
  due galee spagnuole del Mendoza surgessero in porto (luogo diverso della
  Darsena), ma mi capacita poco, dacchè se costui si fosse trovato
  presente al caso del Fiesco, spontaneo o richiesto avrebbe fatto opera
  efficace; mentre veruno storico rammenta ch'egli in cotesta congiuntura
  si mostrasse vivo, parmi pur ragionevole supporre, che in qualche non
  lontano porto della riviera stanziassero.
  Gli altri galeotti servi della pena, chi sì, chi no, rotti i ceppi,
  trassero nella città dove pure scorrazzava la plebe. Di questi si
  riagguantò la massima parte, scontando poche ore di male usata libertà,
  con molti anni di pena meritamente inasprita.
  Intanto le grida diverse e terribili, che urlava il popolo; qui libertà,
  lì Francia; altrove _Gatto_, _Gatto_, e più che tutto Fiesco, lo
  strepito delle armi, il suono dei tamburi, e dei pifferi, lo strascinio
  delle catene, si può immaginare se empissero il cuore a molti di
  spavento: dei vecchi nobili, e dei mercanti grassi non si parla nè
  manco: chi si asserragliava in casa tutto avvilito, chi dalla
  disperazione cavava ardimento, taluno per gli oscuri vicoli fuggiva; le
  altre moltiplici immagini di terrore finga chi legge, che me preme
  debito di sobrietà: pure questo mi giovi notare, esempio non ignobile
  dello strazio della fortuna: mentre tutta la città echeggia col nome del
  Fiesco, e sembra ormai accertata la impresa, ecco il Conte dibattendosi
  nel pantano trae l'ultimo fiato.
  Madonna Peretta (moglie di Andrea), destatasi, porgeva mente allo
  strepito, e sembrandole troppo maggiore di quello che faccia una galea
  quando leva l'àncora, sveglia Giannettino, partecipandogli le sue
  apprensioni: questi, dopo porto ascolto, viene nel medesimo avviso,
  molto più che restava stabilito la partenza della galea si facesse
  quanto più si poteva di cheto per iscansare querele dallo Imperatore e
  dal Turco; pure non gli cadde in pensiero alcun sospetto, onde gittatasi
  addosso una veste marinaresca, senza più compagnia, che di un paggio
  solo, il quale lo precedeva con la torcia, s'incamminò alla porta di San
  Tommaso per pigliare lingua di quanto accadesse: qui giunto chiamò il
  Lercaro; conosciuto da quei di dentro alla voce, aprirongli la imposta;
  quivi entrato gli si fece incontro Agostino Bigellotti da Barga con lo
  archibugio in mano, dal quale non si badando Giannettino, come quello
  ch'era soldato della guardia di Genova, costui potè spararglielo a
  brucia pelo nel petto.
  E qui cade in acconcio discorrere se Gianluigi, come pur troppo lo
  accusano parecchi, fosse assetato del sangue altrui; in ispecie di
  quello dei Doria. Anzi taluno dei tristi piaggiatori della fortuna
  ardisce affermare come cosa vera, che a certo patrizio, il quale nel
  calare giù da Carignano in città gli domandava se avessero ad ammazzare
  tutti i nobili vecchi, cocendo a lui potere mettere in salvo qualche suo
  consorte, egli rispondesse: — tutti, cominciando dai miei parenti,
  imperciocchè, se si principia a fare eccezione, chi vorrà cavare fuori
  l'uno, chi l'altro, e a questo modo non ammazzeremo alcuno. —
  Certo che simili rivolgimenti possano condursi a fine senza sangue,
  arduo è che uomo creda, e forse meno degli altri lo credeva il Conte, ma
  tra levare di mezzo chi contrasta, e spegnere chi cede, corre divario
  grande; quella è necessità, questa talento di sangue; guerra la prima,
  la seconda beccheria. Però indizio della bontà dell'animo di lui tu lo
  hai nell'essersi egli astenuto di commettere ad Ottobuono, che
  ammazzasse il capitano Sebastiano Lercaro, custode della porta di San
  Tommaso, il quale sapeva essersi preso il carico di ammazzarlo, e posto
  eziandio che così egli non credesse, è sicuro, che egli desiderava di
  farlo credere altrui; adesso pei feroci ciò somministra anco troppo
  argomento di offendere, consapevoli come pel comune degli uomini la
  vendetta faccia prova della ingiuria nei privati, e nel pubblico la pena
  attesti il delitto: ad ogni modo riputavano il Lercaro, ed era, lancia
  del Doria; onde spegnere uomo devoto e prode poteva parere ben fatto. Nè
  anco i più ostili a Gianluigi possono negare, ch'egli non solo
  ordinasse, mai sì espressamente proibisse di assaltare il palazzo di
  Andrea: questo poi non gli attribuiscono a bontà, all'opposto a
  cupidigia; chè le robe dei Doria desiderando intere per sè, non voleva
  le rubassero i soldati, e a provvidenza astuta temendo che nel
  saccheggio la gente di Ottobuono si sbandasse, lasciata senza presidio
  la porta; riserbandolo a farlo con maggiore agio più tardi; od anco a
  peritanza; anzi havvi perfino chi attesta, che, morto Giannettino, tanto
  assalse gli uccisori lo spavento, che rimasero lì come impietriti, il
  quale indugio fu causa che il vecchio Andrea si salvasse. Così fatte
  asserzioni non meritano seria disamina, perchè o affermano cose
  inverosimili, o riposti concetti dell'animo a cui non corrispondono i
  successi: a chiunque abbia fiore di senno apparirà come dal Conte si
  desiderasse, che i Doria ponessersi in salvo: aperte a loro le vie della
  terra, e del mare; nè da presumersi che in tanta vicinanza della città o
  da per sè stessi, o da qualche loro fidato non fossero avvertiti: di
  vero indi a breve Luigi Giulia preposto alla fregata del Doria, che
  vigilava il porto, venne a dargli notizia del caso, e Giannettino andò
  proprio a mettersi in mano alla morte; nè sarà fuggito all'attenzione
  del lettore come lui uccidesse non già lancia e cagnotto del Fiesco,
  bensì un soldato della guardia di Genova, forse per isgararsi di qualche
  ruggine antica.
  Andrea, alla nuova del fiero accidente, precipitò dal letto: proprio non
  aveva più tempo per sentirsi infermo; conobbe bisognargli vita e
  gagliardia se pure non voleva sopravvivere, in certo modo, a sè stesso:
  la virtù dell'animo gli somministrò ambedue; chiese di Giannettino più
  volte, e supplicò a non tenergli nascosto nulla; sè essere parato a
  tutto; non lo poterono contentare, pure non gli parendo questo il caso
  per dire, niuna nuova buona nuova, lo fece spacciato; donde in lui più
  urgente la necessità di mantenersi in vita: sopra i nipoti adottivi non
  poteva contare per ora, perocchè il maggiore Giovannandrea toccasse
  appena il nono anno, egli decrepito, adesso, unico pollone a conservare
  in fiore la casa; il tempo non pativa indugi, nè seco poteva salvare
  tutti; salito pertanto a cavallo in compagnia di Filippino, e di
  Agostino Doria, scortato da soli quattro famigliari, fuggiva il Fiesco
  in quel punto già morto. La moglie Peretta con le sue donne riparò nel
  monastero dei Canonici regolari di San Teodoro accanto al Palazzo di
  Fassuolo; la moglie di Giannettino co' tre figliuoli e le figlie si
  nascose in quello di Gesù e Maria. Ammirando la costanza del vecchio
  indomito, mi mette ribrezzo cotesto immenso amor proprio, che lo
  persuade, seco, e solo con lui andare la fortuna dei Doria; forse non
  correvano periglio alcuno i fanciulli; poteva per avventura assicurarlo
  la conoscenza dell'indole generosa di Gianluigi, più che tutto il
  costume vecchio di Genova, dove si contendeva piuttosto per cupidità
  d'imperi, che per odio di persona: tuttavia sopra il Fiesco egli era
  caduto in grandissimo errore, nè il costume a cui accenno si mantenne
  sempre inalterato così, che qualche sanguinosa eccezione di tratto in
  tratto non incontrasse. Altri non avrebbe sofferto lasciarsi addietro
  tutti i nipoti, ed uno almanco, il maggiore, avrebbe condotto
  abbracciato al collo seco. A Sestri lo aspettavano lugubri novelle:
  quivi e non altrove seppe la morte di Giannettino; non pianse, ma
  scrisse a Cosimo duca di Firenze, e al Gonzaga vicerè di Milano,
  entrambi provati da lui fidatissimi allo Imperatore, e nemici mortali di
  ogni moto capace a sturbarne la tirannide, perchè in fretta e in furia
  avviassero armati su quel di Genova; poi salito sopra la fregata dei
  Costi giunse a Voltri, e da Voltri su per l'erta giogaia si arrampicò
  fino a Masone, castello degli Spinola.
  Non tutti i patrizii però furono codardi: alcuni al contrario animosi, i
  quali o non avvertito o non curato il pericolo, accorsero al palazzo per
  sovvenire, essi dicevano, alla Patria, e forse il credevano, in fatto
  gl'interessi della propria fazione. Le storie tengono ricordo di Niccolò
  Franco decano del Senato, e nello interregno magistrato supremo, il
  cardinale Girolamo Doria, Bonifacio Lomellino, Giovambattista Grimaldo
  con Antonio Calvo, e Cristoforo Pallavicino; eranvi altresì Ettore
  Fiesco, e Benedetto Fiesco Canevari consorti di Gianluigi, ai quali
  rimase fedele l'alfiere Giocante co' suoi trabanti corsi: ci si trovò
  presente anco Jacopo Bonfadio, di questi fatti narratore molto maligno e
  verace poco: l'oratore Figuerroa in cotesta fortuna comparve troppo
  minore del suo grado, perchè volesse ad ogni patto fuggire, e lo faceva,
  ma lo rattenne Paolo Lasagna, il quale confortandolo a stare fermo,
  sotto buona scorta lo condusse al palazzo; dove con la presenza, ed
  autorità sua confermò gli animi esitanti, crebbe la baldanza ai
  risoluti: nè questo fu il solo benefizio, che il Lasagna rese ai
  patrizii: datosi intorno a tutt'uomo, messe insieme nel generale
  trambusto copia di amici ed aderenti suoi, venendo per questo modo a
  levare forza ai Congiurati, ed aumentarla al governo. Che poi il
  Lasagna, borghese essendo, operasse a quel modo, veruno maraviglierà
  pensando come la borghesia proceda per ordinario troppo più nemica al
  popolo minuto, che al patriziato, di questo astiando le ricchezze, di
  quello temendo la inopia; i patrizii, come quelli che sente da più di
  lei, maledice e sopporta, il popolo minuto reputando da meno di lei
  detesta e combatte; alla borghesia sembra che, dove co' patrizii non la
  possa sgarare, almeno la impatterà, perchè respinta dagli uffici supremi
  le rimarranno i minori, e si rifarà co' traffici; col popolo lo scapito
  è sicuro. Il borghese non si agita spesso, ma quando si agita nol fa mai
  per diventare cittadino pari ad ogni altro in libera terra, bensì per
  trasformarsi in patrizio entrando in verzicola co' dominatori; fra le
  tristi classi nell'umano consorzio pessima la borghesia bottegaia.
  La prima cosa, che i patrizii avvisassero fare, fu spedir gente verso la
  porta di San Tommaso, così per rinforzare la guardia, come per prendere
  lingua di Andrea: andarono il Lomellino, il Pallavicino, e il Calvo con
  l'alfiere Giocante e venticinque trabanti; il Mascardi dice cinquanta;
  ma in questo come negli altri particolari, dove il Bonfadio non aveva
  interesse a mentire, preferisco la sua storia ad ogni altra. Costoro,
  mentre usano diligenza per arrivare, s'imbattono in una banda di
  congiurati, i quali, scortili appena, gli urtano, e li sbarattano con
  minacce di morte; fuggendo essi, per ventura si salvano, eccetto uno,
  nelle case di Adamo Centurione quivi vicine. Anco là rinvennero raccolti
  Francesco Grimaldo, Domenico Doria con altri maggiorenti della terra;
  onde, rinnovata con loro la pratica, vennero d'accordo, che sul momento
  non ci era di meglio, che mandare a esecuzione il consiglio del palazzo:
  speculata da prima la via e uditala quieta, ripresero il cammino della
  porta di San Tommaso: colà arrivati domandarono passare per amore e non
  l'ottennero; tentarono per forza e furono respinti con busse e ferite;
  ci rimase preso Lomellino, il quale menava mani e piedi per riuscire
  dall'altra parte: gli altri tornarono addietro più che di passo, ma non
  istette guari, gli raggiunse il compagno svincolatosi a morsi e a calci
  dai nemici.
  Frattanto la Signoria non istava con le mani alla cintola: raccolti i
  soldati li dispose intorno al palagio: ai cittadini accorsi assegnò la
  difesa dei canti delle strade; trasse le artiglierie in piazza tenendoci
  allato i bombardieri con le miccie accese. Dal lato suo nè anco Girolamo
  tentennava, e comunque giovane assai e pingue della persona, pure in
  cotesta notte mostrò singolare prestanza, tenuti in buono ordine i suoi,
  comecchè ad ogni momento venissero a urtarsi con ischiamazzo infinito a
  cotesta banda ondate di popolo: giunse alla Chiesa di San Siro; pôsta
  assegnata. Qui la fortuna gl'inchiodò la sua ruota. L'Assereto, e a
  quanto sembra il Verrina, vennero ad annunziargli essersi smarrito
  Gianluigi; ma più basso aggiungevano farlo morto addirittura: però
  subito partito, deliberarono: Girolamo proseguirebbe la impresa in
  terra, il Verrina tornerebbe su la galea a vigilare il porto; e in ogni
  evento a tenere aperta alla salute una via; parve cotesto il più
  prudente consiglio, e per avventura era, ma spesso non isperimentiamo i
  consigli più prudenti migliori, però che a Girolamo, col partirsi dal
  Verrina, venne meno il più accorto, e risoluto aiutante, e ai congiurati
  la previdenza dello scampo rubò l'animo.
  La Signoria, udendo avvicinarsi il Fiesco, deliberava spedirgli contra
  due consorti suoi Ettore, e Francesco Fiesco per ispiare la mente di
  lui: profferirsi parata ad accordarsi con modi civili senza mettere la
  città al cimento di andare sottosopra: partirono, ma poi volendo dare
  maggiore autorità alla deputazione, richiamatili addietro, aggiunsero
  loro un Giambattista Lercaro, e un Bernardo Interiano Castagna in
  compagnia del cardinale Girolamo Doria; questi di conserva misersi in
  cammino, ma incontrati certi popoleschi che dissero loro villania, e
  temendo peggio, il Cardinale, a cui parve che la dignità sua ne
  scapitasse, ricusò farsi più oltre; mentre retrocedevano, un trabante
  della guardia, o pigliasse sospetto della turba che rispinta accalcavasi
  scomposta, e a tumulto, o per quale altra disgrazia, sparò l'archibugio,
  ed uccise di colta un Francesco Riccio proprio al lato del Cardinale,
  onde non ci fu più verso di svolgerlo, per quante supplicazioni gli
  facessero, a volere rendere servizio in tanto estremo alla Patria.
  Crescendo di minuto in minuto il pericolo, e considerato che si correva
  troppo grossa posta ad aspettare là dentro, chiusi, gli assalti, Ettore
  Fiesco, Ansaldo Giustiniano, Ambrogio Spinola, e Giovanni Imperiale
  Balbiano, come più animosi, si proffessero di andare a conferire col
  Fiesco, andarono di fatti e ben ebbero mestiere sentirsi saldo il cuore,
  imperciocchè, mentre raggiunto con conati infiniti Girolamo a San Siro
  stanno esponendogli l'ambasciata, l'Assereto, ed un altro popolesco
  chiamato il Marigliano si misero a gridare: a che prò parole? Tanto e'
  bisogna ammazzargli tutti: rifacciamoci da questi. E posta mano alle
  coltella presero a menare; gli altri fuggirono per miracolo; Agostino
  Lomellino stette a un pelo che non ci restasse ucciso; più tenace degli
  altri Ettore Fiesco, confidando forse nella parentela, cominciò a dire
  con voce sommessa; — che modi sono questi! Da quando in qua si accolgono
  a questa guisa amici e parenti, i quali s'intromettono pacieri del bene
  comune! Allora quietaronsi; poi, riconosciuto dai soldati per la usanza
  che aveva in casa Gianluigi Fiesco, ottenne facoltà di favellare ad agio
  con Girolamo: nella conferenza, egli che astuto era, alternando ad arte
  parole, venne a scoprire il caso di Gianluigi, e circa ai finali
  intendimenti di Girolamo, si accorse come nè anco nell'animo di lui
  fossero chiari, dacchè quegli insisteva sempre nel volere consegnato
  subito il palagio dichiarando che in quanto al resto si sarebbe
  provveduto a bello agio. Ad Ettore parendo averne cavato più del
  bisogno, pensò a scansarsi; onde, conchiudendo ne avrebbe riferito ai
  padri, e saria tornato con la risposta, prese licenza. La notizia della
  sorte toccata a Gianluigi riebbe i padri da morte a vita, i quali,
  ripreso coraggio, si ammannirono a sostenere gli assalti delle bande del
  Fiesco. Dall'altra parte la impresa del Fiesco appariva come una
  macchina a cui si fosse rotta corda o catena; non andava più: quel
  sostare a mezzo nelle rivoluzioni è morte espressa: i meno intorati dei
  compagni suoi, col favore dell'ultima vigilia della notte, di mano in
  mano spulezzavano, sicchè quando Girolamo, tardi impaziente degl'indugi
  trasse innanzi, trovò di tali apparecchi munito il palagio, che ben si
  accorse non potrebbe spuntarla con baruffa manesca; al contrario dovesse
  consultare con prudenza il modo dello assalto.
  In questa si metteva un po' di lume, e Girolamo non senza terrore si
  accorse come assottigliata gli durasse la gente dintorno; però conobbe
  che invece di pensare ad assalti, beato lui, se gli fosse concesso
  ritirarsi in salvo. In palazzo se si stava fermi su le difese, tuttavia
  non si era senza apprensione dell'esito, ignorando le forze
  dell'avversario; secondochè spesso succede fra i combattenti, se non
  paura, esitanza dall'un lato e dall'altro; sicchè tennero per
  provvidenza quando ci videro capitare Paolo Panza, che, uomo imbelle
  essendo, andò a protestarsi immune da qualunque connivenza coi Fiesco;
  lo crederono veramente sincero, e avrebbero finto crederlo anco
  sapendolo bugiardo: senza mettere tempo fra mezzo, in ciò affaticandosi
  l'oratore Figuerroa, cui pareva mille anni cavare le gambe da cotesto
  ginepraio, gli commisero andasse alla volta di Girolamo, con promessa di
  perdono intero ed a tutti, per le cose in cotesta notte commesse, con
  patto però, ch'egli co' suoi dalla città senza indugio sgombrasse. Al
  punto in cui Girolamo si trovava ridotto era bazza; però volle in pegno
  la fede pubblica per la osservanza della capitolazione, la quale fu
  tosto, e volontieri, da Ambrogio Senarega segretario della repubblica, a
  nome del senato conceduta. Allora il conte Girolamo saliva in Carignano,
  dove dato sollecito ricapito ad alcune faccende domestiche, si ricolse a
  Montobbio, forte arnese di guerra dei conti Fieschi.
  Il Verrina, informato del successo, mandò a levare Ottobono Fiesco, il
  Calcagno con la banda dei soldati dalla porta di San Tommaso, e ricevuti
  su la galea l'Assereto, il Marigliano, e quanti di quel perdono
  verdemezzo crederono non potersi fidare, navigò per Marsiglia,
  conducendo seco Sebastiano Serra, Manfredo Centurione, e Vincenzo
  Promontorio Vaccari, piuttosto in pegno di non molestato viaggio, che
  per cavarne riscatto; di vero, giunti alla foce del Varo, gli restituì
  in libertà.
  A questo modo ebbe fine questa stupenda congiura, e i Senatori, osserva
  uno storico, poterono al mezzo del terzo giorno di gennaio tornarsene a
  casa a mangiare. Prima però di separarsi spedirono in diligenza
  Benedetto Centurione, e Domenico Doria a Masone per ragguagliare il
  Principe punto per punto del successo, supplicandolo a venire quanto
  prima potesse a felicitare della sua presenza Genova; Andrea partì
  subito. Messo il piede in casa, come colui, che non aveva ancora tentato
  il terreno, cominciò a mostrare il sembiante doloroso di mite mestizia;
  non uscivano dalla sua bocca parole, che tutte umili e tutte benigne non
  fossero; si professava contento se col danno delle sue robe, e con parte
  del proprio sangue aveva potuto rendere salva la Patria: rispetto a
  punire raccomandava si camminasse adagio, però che in quei primi fervori
  si corresse rischio di scambiare la vendetta per giusto castigo: sopra
  tutto si astenessero mettere la mano nel sangue, chiudendo questo ogni
  adito all'ammenda: quanto a lui essere di avviso, che i più incolpati si
  bandissero in perpetuo; gli altri con esilii temporanei. Sensi di uomo
  in ogni secolo giusti, in quello poi santissimi, e pure erano lustre di
  vecchio astuto. In breve però, fatto capace come con cotesti nobili e
  borghesi potesse in Genova due cotanti più di prima, manda baleno del
  riposto rancore; ciò nella occasione della scoperta fatta del cadavere
  di Gianluigi Fiesco, quattro giorni dopo ch'ei si fu annegato, dal
  pescatore Palliano: ordinava di botto si strascinasse alle forche, ci si
  appendesse, ci si lasciasse spettacolo di ludibrio, e di terrore; ma i
  consorti partigiani suoi lo svolsero, comecchè a stento, ammonendolo che
  il popolo minuto non aveva cessato di bollire; potrebbe nascerne tumulto
  da evitarsi a cose non anco assodate; le vendette più tardi. Tuttavia
  piegando Andrea volle che al cadavere si negasse cristiana sepoltura;
  colà dove si era trovato stesse; ci pose guardie; due mesi dopo sparve,
  dissero per comandamento del medesimo Andrea che, fattolo trasportare in
  alto mare, quivi ordinò lo sommergessero: altri opina che questo
  avvenisse contro la sua volontà, e così credo ancora io.
  Quando quei di fuori seppero tornato Andrea in fiore più di prima,
  cominciarono le condoglianze, e le seguenziali congratulazioni di
  Principi così nostrani come forestieri. Il Papa, come prima udì fallita
  la congiura, è fama che avvilito esclamasse: — non si può mica
  contrastare contro ai voleri di Dio, il quale sembra avere ordinato, che
  questo Imperatore prevalga per la ruina della Chiesa. Poi steso un breve
  pieno di benedizione, di lamentazione, e di bugie, glielo mandava da
  Andrea. Andrea, ricevuto il breve, lo lesse due o tre volte; dopo se lo
  ripose in seno dicendo, a tempo debito ci avrebbe dato riposta.
  In vero a fargli la debita risposta egli non perse tempo, imperciocchè
  il duca Pier Luigi Farnese non volendo scomparire di petto al suo
  beatissimo padre, agguantati certi forzati fuggiti dalle galere del
  Doria, glieli fece ricapitare con un diluvio di proteste; nè contento di
  tanto gli mandò tre ambasciatori a Genova per condolersi del caso, tra i
  quali fu il conte Agostino Landi: questi ambasciatori esposero come
  della congiura il Papa e il Duca non avessero non pure colpa ma odore
  alcuno, scrupolosi come erano stati sempre ed erano di fuggire da cosa
  capace di recare dispiacere a principe tanto benemerito della
  cristianità; e se avevano sparso novelle in contrario, doversi
  attribuire tutto a gente perversa, che malignando godono seminare
  zizzania tra persone nate per amarsi, e stimarsi. Andrea rispose in
  pubblico non essere mestieri proteste; da per sè stessa dimostrarsi la
  cosa, non potere il padre dei fedeli desiderare se non opere buone, e il
  Duca alunno di tanto degna scuola, altresì; intanto profferire ad
  ambedue umilissime grazie, e proprio col cuore. In segreto prese a
  negoziare con gli ambasciatori, massime col conte Agostino Landi, come
  potesse ammazzare il Duca, e rendere a quel modo al vecchio Papa pane
  per focaccia; e per modo egli seppe industriarsi col Landi, che prima
  
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