Viaggio a Costantinopoli (1609-1621) - 7

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Sangiacco, o di Capiggi Bassi che è capo de' portonieri, per esser
tenuti bassi e come parenti della Corona non atti a far rivoluzione; e
se vi sono fratelli, cioè figliuoli del marito, fatti con le schiave,
questi possono riuscire grandi e Bassà senza alcun rispetto, perchè
non sono del sangue Imperiale; e da qui nasce che sovente si veggono
li figliuoli d'un Bassà, che abbia avuto Sultana per moglie, in grado
minore, perchè il nato di schiava domina il nato di Sultana.
Possono ancora ripudiare l'une e l'altre per diverse cause disposte
nella loro legge, e massimamente quando non possono adottargli insieme;
e se l'uomo ripudia, è obbligato pagargli la dote promessagli, e se la
donna ripudia l'uomo, non la può conseguire, ma si parte con quanto ha
portato del suo in casa del marito.
Quanto poi alle schiave, se figliano, non possono esser vendute, ma si
intendono membri della famiglia, nella quale hanno da vivere sin alla
morte; se riescono sterili, possono esser vendute e passare di mano in
mano a quante case comporta la loro fortuna, avvertendo che i Turchi
possono comprare d'ogni sorta di schiavi di tutte le religioni, e
servirsi d'essi in tutte le cose che loro torna comodo, dall'ucciderli
in poi, quello che non possono far li Cristiani e gli Ebrei, che non
hanno libertà di comprare altro, o altre. Essendo per questo effetto
un _Bisisten_, cioè un luogo di mercato pubblico in Costantinopoli,
nel quale a pubblico incanto ogni mercoledì si vendono e si comprano
schiavi di tutte le sorte, ed ognuno vi concorre liberamente a comprare
secondo il suo bisogno, chi per balie, chi per serve, chi per uso
d'altri suoi capricci, poi di quelli che si servono di schiave nella
sensualità non possono essere dalla giustizia castigati, come farebbono
se li ritrovasse con altre donne libere e turche; e particolarmente
questi schiavi si comprano e si vendono come si fanno gli altri
animali, perchè sono esaminati della persona e della patria, e venduti
e rivenduti in diverse parti per non essere ingannati, come si fanno
tanti cavalli, comprando le madri con li figliuoli, e li figliuoli
senza le madri, e li fratelli uniti e separati, senza timore di amore,
d'onore, d'onestà alcuna, ma solo di quel modo che torna comodo al
compratore e venditore. E quando è vergine e bella, è tenuta in molto
prezzo, pagandola più delle altre: per sigurtà della qual condizione è
obbligato il venditore non solo alla restituzione del prezzo, quando
fosse trovata non vergine, ma resta anco per la fraude condannato: e
vi sono per questo mercato li sensali ordinarli come di cosa ordinaria
mercantile. Nel detto _Bisisten_ sta l'Emin, cioè il daziero, il quale
ha la cura di riscuotere il dazio dalli venditori e compratori; d'essi
la Porta sente più che onesto utile.
Li Bassà ed altri soggetti, zii o cognati delli Imperatori, non hanno
per tal parentela alcuna domestichezza con la Maestà Sua più di quello
che comporta il carico che hanno, ma si conservano schiavi come gli
altri e con maggior servitù, perchè nell'uso delle donne perdono si
può dire la libertà, essendo obbedienti alle Sultane, e liberandosi
da tutte le altre schiave e mogli se ne avessero, sopportando con
gran pazienza le loro imperfezioni: e per tal causa pochi Bassà di
riputazione e di concetto desiderano tali matrimonii, perchè gli
riescono di grandissimo dispendio, ed altrettanta servitù. Ma quando il
Re comanda, convengono come schiavi obbedire e sottoporsi.
La cerimonia dei matrimonii fra Turchi non è altro che fare alla
presenza del Cadì, che è il giudicante, un oggetto, cioè uno stromento
per mano di notaro pubblico, della volontà delli contraenti, con
specificazione della dote che fa il marito alla moglie; e ciò viene
fatto alla presenza di testimoni degni di fede e giuridici, perchè in
Turchia non si ammette ogni sorte di persone a testimoniare, ma solo
uomini che sono liberi, di età idonea, che sappiano far l'orazione
della legge, e conosciuti di buona e onesta condizione. Con tutto ciò
che in Turchia, particolarmente in Costantinopoli, è maggior quantità
di testimoni falsi che in qualsivoglia parte del mondo: anzi che
una certa sorte di Emini, cioè quelli che pretendono essere della
discendenza di Maometto, che portano la tocca verde, ed altri Cadì
dismessi, di bassa condizione, sono quelli, che per danaro usano far
simili tristezze: da che nasce l'ardire nel levare le avanie, e nel
sostentarle con molta facilità ad uno dei poveri Cristiani, o liberi,
ed anco di loro medesimi, secondo l'occasione, perchè essendo li
Turchi per natura avari, e senza timore di Dio, intenti per lo più
alla rapina, non la sparagnano quando possono a qualsivoglia persona,
sia di che condizione si voglia. Però il contrattare con loro riesce
pericoloso, per avere facile il modo del liberarsi con l'inganno di
ogni sorte d'obbligazione, consistendo tutta la giudicatura nella
forza della probazione, quale conviene esser fatta da soggetti
musulmani, dove interviene il Turco.
Poichè si è toccato e parlato delli ministri della religione, per non
tralasciare anco questa curiosità, brevemente si narrerà l'instruzione
d'essa, e le cerimonie, e la condizione dei suoi ministri.
Credono li Turchi in Dio onnipotente, creatore de l'universo, e
grazioso redentore di tutti li buoni nel giorno del giudizio, che stia
nel cielo supremo servito dagli angeli speciosi, avendo ab eterno
scacciati li mali ed inobbedienti, per li quali, come anco per le male
umane creature abbia formato l'inferno. E come affermano esservi la
vita eterna in questi due luoghi, paradiso ed inferno, così aspettano e
confessano la risurrezione dei corpi, ed unirsi alle anime al tempo del
suono di quella orribile tromba, che sarà fatta sonare da Maometto per
comandamento del grande Iddio il giorno del giudizio.
Credono che la vita eterna in paradiso, essendo luogo di gaudio e
consolazione, non avendo quel lume di spirito e di dottrina concesso
ai fedeli credenti, sia una tal felicità che in altro non consiste
che nelle delizie e nelli piaceri del senso, cioè un uso delle cose
naturali in tutta perfezione senza differenza, senza stenti, e senza
fatica; e che all'incontro nell'inferno l'uso delle predette cose
sia nel fuoco indeficiente, con amarissimo gusto, e nausea. E questo
è tutto il premio che attribuiscono al bene, e la pena che dicono
aspettare alli tristi, in retribuzione in quanto ad umani operano.
Dicono poi esser tal l'onnipotenza di Dio, che nella creazione
dell'anime avendoli prefisso e assegnato il fine, così è irreparabile
all'arbitrio e provvidenza umana il divertirlo; però nei pericoli delle
guerre ed in altri accidenti sono più degli altri arditi, curiosi e
intrepidi.
Affermano l'ampiezza grande dei cieli che sono di diamanti, rubini,
turchine e cristallo: e che i corpi risuscitati saranno trasparenti,
più agili, più atti in un momento a passar da un cielo all'altro, e
trasferirsi in lontanissime parti per visitare ed abbracciare le mogli,
le madri, li fratelli, ed altri parenti.
Del trono di Dio, presente a tutto quello, e dell'assistenza per
servizio degli angeli e profeti, rappresentano quello di che è incapace
il senso e l'intelligenza umana, affermando che non possa essere veduto
così facilmente da tutti per la lucidezza dei raggi che gli usciranno
dagli occhi, per lo gran splendore che manda fuori della sua faccia: e
che solo gli angeli e profeti hanno grazia di tal fruizione.
Questi sono li fondamenti principali della loro credenza, sopra i quali
fabbricano il corso della vita loro temporale e corruttibile, per
conseguire la eterna e felice ed affermata dal Profeta esser ripiena
di tutte le delizie di questo mondo, usate di tutta eccellenza e
perfezione con modo soprannaturale e incorruttibile.
Dicono che sono stati quattro li Profeti mandati da Dio nel mondo per
istruire, reggere, e salvare il genere umano, e tutti uomini santi,
giusti, ed immacolati, cioè Moisè, David, Cristo e Maometto; che a
tutti mandò Iddio per mano degli angeli un libro perchè sapessero
istruire i popoli, a Moisè l'_Heurat_, cioè la Legge vecchia, a David
_Zebor_, cioè li Salmi, a Cristo _Ingit_, cioè il Vangelio, ed a
Maometto il _Turcan_, cioè l'Alcorano; che li tre primi Profeti con
li popoli da loro retti non erano per esser vissuti nella legge data
a loro da Dio, ma che essendo venuto per l'ultimo Maometto per salvar
tutti con una legge candida, sincera, e veridica, per acquistare
l'amor di Dio, non hanno creduto, e tuttavia continuano nell'errore,
le nazioni che suggendo il latte materno non si sono accostate alla
verità; e che per tal mancamento essendo prive _ipso iure_ del cielo,
avranno bisogno nel giorno del giudizio, si doveranno per grazia, della
protezione di Maometto, unico intercessore e mediatore appresso il
grande Iddio; il quale, stando alla porta del paradiso in quel tremendo
giorno, sarà pregato dagli altri Profeti ognuno per la salute delle
loro nazioni; che sarà così potente e benigna la volontà di lui, che
intercederà con il Salvatore la loro salute, sì che li buoni Cristiani
e li buoni Ebrei conseguiranno gli uni e gli altri della vita eterna,
nelle delizie perpetue sensuali come si è detto, ma in luogo separato
ed inferiore ai Turchi, come privilegiati e cari sopra gli altri a Dio.
Le donne saranno anco elle ammesse in cielo, ma in luogo inferiore agli
uomini, con minor gloria.
Tutti li Profeti sono tenuti da loro in gran venerazione. Chiamano
Moisè _Chieli Massol_, cioè parlatore con Dio, Cristo, nominato anco
Messia, _Rullulah_, cioè spirito di Dio, e Maometto _Ressolah_, cioè
nuncio di Dio. Quando parlano di Cristo, dicono tutto quel bene che si
può dire d'un uomo eletto da Dio per la salute del popolo: confessano
che per invidia fu preso dalli Ebrei e che però loro per malignità
lo fecero condannare e lo condussero al patibolo della morte per
esser crocifisso: ma che essendo stati mandati da Dio gli angeli in
una chiusa nube, fosse stato rapito e portato in cielo, e che detti
Ebrei confusi presero uno di loro e lo crocifissero in luogo di lui,
divulgando che quel tale era il Messia, che però si ritrovava in
compagnia delli altri suoi fratelli in cielo, amandosi, e nel servizio
di Dio.
L'uso ed esercizio della loro religione, o per dir meglio setta, o
confusione, è questo. Hanno il Muftì, che vuol dire dichiaratore
delli casi di coscienza, il quale rappresenta fra di loro il capo
della religione come fra i Cristiani il Pontefice, qual sempre è uomo
versato nella legge e consumato nei carichi, ed eletto dall'Imperatore
ha carico di soprastare ed intendere tutte le cose pertinenti alla
legge ed al culto di Dio; e se bene assolutamente non comanda alli
altri Muftì delle altre Provincie, non di meno con la sua accortezza
opera con il Re le cose secondo la sua intenzione, massime quando non
ha contrario il primo Visir, che per grado di dignità ed autorità è
superiore a lui. Sotto detto Muftì sono due Cadì Leschieri, che vuol
dire giudici delli esercizii, cioè uno della Grecia ed uno della
Natolia, i quali essendo anco essi uomini dell'ordine di quella legge,
ed atti ad essere Muftì, hanno cura di tutti gli altri Cadì, cioè
giudicanti, che vanno per la città ed altri luoghi a giudicare ed
amministrare giustizia, e li mandano e mutano, finito o non finito il
triennio ordinario per uno della risedenza, con la parola del Gran
Signore, come più gli piace. E questo è quell'ordine dei soggetti
che fra i Turchi naturali stanno più uniti e che hanno gran forza
appresso il Re, ed il primo Visir. Fra detti Cadì sono anco li suoi
ordini, cioè quelli della prima classe nelle città principali, e son
nominati _mollà_, che vuol dire signori, e gli altri di mano in mano
secondo le loro virtù e condizioni, cavando il loro stipendio dalle
amministrazioni del carico, in modo che nei libri che stanno nelle
mani di detti Cadì Leschieri sono tutte le tanse delli Cadì, che si
sa di che utile che è d'ogni residenza, non passando la maggiore
di fermo cinquecento aspri il giorno. Questo ordine fra gli altri
ha questo privilegio, di non esser fatto morire, e se pur d'alcuno
stravagantemente occorresse accidente di farlo, poi che l'assoluta
volontà del Re non è mai quando vuole obbligata alla legge, ciò viene
eseguito molto cautamente e secretamente, il che riesce rarissime
volte. Ma il Muftì e i Cadì Leschieri vengono mutati quando piace al
Re, se bene l'ordinario par che sia di due in tre anni, dipendendo
la fortuna dal sapersi bene conservare in grazia del primo Visir.
Tutti questi portano il turbante in testa molto maggiore delli altri
e con altre piegature, in segno di dovere essere sopra gli altri
riveriti; e se bene vestono l'abito ordinario e comune, è in questo
molto differente, perchè usano il ciambellotto bianco ed il panno,
e poca seta. Il carico principale delli Muftì è di rispondere alle
proposizioni che gli vengono fatte, le quali sono delle materie in
generale sopra li casi concernenti l'obbligo di coscienza e del
rito giudiciale e legale, le cui risposte che sono di poche parole
e brevissime, le chiamano _fetfa_, che vuol dire caso; e con questa
decisione, quando il caso particolare è compreso in essa, si può
costringere non solo tutti li giudicanti e li Bassà, e la medesima
persona reale, all'esecuzione, perchè non facendo, caderebbono in pena
di lesa maestà di ciò. Hanno appresso parte in tutte le deliberazioni
di guerra e di pace, perchè tutto si fa con fine di ampliare la loro
setta in onor del Profeta; e la sua risposta è grandemente e molto
stimata, perchè viene sostentata da tutto l'ordine delli Cadì per lo
più ostinatamente. Hanno appresso li governatori delle moschee chiamati
_Mutaueli_ con gli _Iman_, che sono come piovani, e i _Messini_ come
chierici, li quali tutti assistono al governo ed all'amministrazione
delle loro moschee. Questi chiamano il popolo all'orazione, leggono
alle sepolture dei morti, seppelliscono, ed infine fanno tutto ciò che
occorre al culto ed al servizio di esse per comodo del popolo.
Le loro orazioni nelli giorni di festa sono cinque e nel venerdì giorno
dominicale, le quali sono fatte così nelle moschee come nelle strade
ed anco per le case, cioè la mattina innanzi giorno, a mezzogiorno, a
vespero, la sera, e alla quarta della notte e a tutte l'ore e a terza
il venerdì, che è chiamato tutto il popolo, per tutte le contrade,
da una o due voci altissime in luogo di campane, sopra un campanile
o torre posta vicina alla moschea, onestamente alta, dalla quale si
dà segno con dette voci di laude a Dio ed a Maometto dell'ora, a
fine ognuno che volesse possa prepararsi per far e per far andare
all'orazione: e perchè li Messini che gridano non hanno nè sentono
orologi, usano di adoperare l'ora di sabbione, con la quale si reggono
così in questo come nel resto delle altre loro operazioni.
Nelle moschee grandi stanno li _Mudetis_ che sono come lettori, li
quali insegnano a diversi scolari l'orazioni e l'amministrazioni delle
moschee e sono pagati dell'entrate d'esse.
Le condizioni di quelli che hanno da far l'orazione sono di mondizia
corporale; solamente, non essendo lecito ad alcuno d'entrare nelle
moschee nè di orare quando si trova con qualche sorta di polluzione
carnale e naturale, sia di che condizione esser si voglia, per minima
e necessaria che sia, però di mondificarsi, ogni uno è obbligato a
lavarsi nella stufa, se di commercio carnale, o con acqua, se d'altra
sorte, abbondando per ciò tutta la città ed altri luoghi di stufe
pubbliche e private, e le moschee in particolare, per servizio dei
poveri, di fontane bellissime ed amplissime. Mondificati ed entrati
nelle moschee, il principale Iman che è il piovano va a far l'orazione
e tutti li circostanti l'imitano, perchè da se la maggior parte
non sapria fare. Le dette orazioni consistono nell'elevazione di
genuflessione, e nel toccarsi sovente ora gli occhi, ora le braccia, ed
alle volte il capo, dicendo alcune parole di laude a Dio e al Profeta:
e sono fatte stando in terra sentati secondo il loro costume e le
gambe incrociate; e perciò nelle moschee sono le stuoie dappertutto,
ed in alcuni luoghi qualche tappeto di lana per qualche soggetto di
condizione. Le dette orazioni, secondo le ore, sono diverse fra loro,
e più lunghe e più brevi, nè alcuna arriva al tempo d'una ora; solo
quelle della sera in tempo di Ramazano, che è di quadragesima, sono più
lunghe delle altre, e si farà in canto di quella voce che è la guida,
cioè di qualche Iman o Messetto che sia stimato valoroso, come si stima
fra noi li musici: si userà anco la predicazione del venerdì. In tempo
di Ramazan, e quando vogliono pregare per qualche felice successo o
maledire alcuno ribello, hanno in costume di far le processioni per
le contrade, a due a due, senza torcie o altro in mano, laudando il
nome di Dio; e di leggere alcune loro orazioni lunghissime tutte in una
giornata, per diverse mani applicate a quel tal soggetto, stimandolo
allora maledetto.
In occasione dei travagli gravi sogliono con la pubblicazione nelli
luoghi pubblici convocare tutti li grandi e il popolo ad orare in
compagnie a questo destinate, imitando il popolo Ebreo; e raunatisi,
dei loro santoni di estimazione di santità fanno sermoni efficacissimi
ed esortationi alla fortezza, alla pazienza ed all'amor e timor di Dio;
e se li travagli continuano, aggiungono le orazioni delle quaranta ore
e quaranta giorni nelle moschee principali degli Imperatori, le quali
vengono fatte da una mano di uomini applicati al servizio d'esse, come
appresso di noi sono li chierici; e questi nè in abito nè in costume
sono differenti dagli altri, conciossiacosachè principiando dalli Muftì
fin a questi inferiori tutti vestono l'abito ordinario e possono
maritarsi e tenere quante schiave vogliono per suo gusto e piacere.
Il Muftì ha la sua entrata separata in tanti terreni che possono
rendere da 15 m. sultanini all'anno: che restando privo del carico,
quando sia in disgrazia del Re, lasciando al successore l'entrata, ha
mille aspri di paga al giorno, che fanno ducatoni X al giorno, come
hanno li Cadì Leschieri quando sono attuali.
Nel tempo del loro Ramazan, che è quaresima, non fanno altra cerimonia
che di astenersi di mangiare il giorno, potendo di notte mangiare
sempre ciò che vogliono, senza distinzione di cibi; e da prima
sera nelli loro campanili si accendono delli cesendelli che durano
fino all'alba, osservando gli Iman delle contrade tutti quelli che
spesso mancano, massime la sera nelle moschee, che bevessero vino e
mangiassero di giorno, perchè oltre che sariano tenuti per sprezzatori
della legge, sariano severamente castigati, se fossero trovati in tal
mancamento.
Usano appresso li Re ed altri grandi, così in tempo di Ramazan come
in occasione dei loro travagli, sacrificare diverse sorte di animali,
cioè bovi, castrati, agnelli, così ai luoghi di loro divozione, cioè
sepolture di soggetti stimati esser stati santi, come nelle moschee, il
che è osservato farsi di privato; ma li Re sogliono comandare che si
facciano detti sacrificii anco per le strade pubbliche e quando entrano
nelle città, facendo compartire le carni degli animali squartati vivi
al popolo e alli medesimi Bassà e uomini grandi della Porta; e detti
sacrificii sono fatti assai frequentemente, perchè per questa via
stimano di placare l'ira e conciliarsi l'amor di Dio.
Portano li Turchi professori d'umiltà e divozione le corone in
mano molto lunghe, nelle moschee e per le strade, passandole molto
velocemente, poichè come noi diciamo l'Ave Maria, così loro per ogni
grano dicono _Allà bir_, cioè Dio puro e vero, Allà è Dio grande. E
si trasferiscono in pellegrinaggio alla Mecca ed in Gerusalemme:
alla Mecca per visitare il tempio che dicono fu fabbricato da Abram,
nel quale è Maometto, quando era idolatra; asseriscono poi che verso
la sua età di quaranta anni ricevesse l'Alcorano da Dio e che allora
principiasse il _Munsulmanlich_, e che morto, sepolto fosse in Medina,
otto giornate discosto dalla Mecca, dove si trova il suo sepolcro
visitato da tutti che vanno in detto pellegrinaggio: e quando vanno in
Gerusalemme vi vanno per visitare non il sepolcro di Cristo, perchè
dicono non esser morto, ma per vedere i luoghi praticati da lui, come
profeta miracoloso che risuscitava morti, sanava infermi e faceva
simili miracoli. Si trasferiscono anco alla valle di Josafat, perchè
dicono che in quel luogo ha da essere la resurrezione per il giorno
del giudizio; e vi sono molti Turchi che sprezzando tutto il mondo,
abbandonano ciò che hanno e si ritirano a vivere vicino a quella valle,
per divozione e per esser anco più vicini alla risurrezione; e quelli
che fanno tal pellegrinaggio ritornando alla città, alle loro case,
sono chiamati _Agì_, cioè pellegrini, e vengono tenuti per uomini di
gran venerazione e bontà.
La maggior cerimonia che si faccia fra i Turchi, di carattere impresso
con maggior pompa e solennità di feste, è quella di ritagliare li
figli, cerimonia ebraica, in questo differente, che tutti ritagliano
dopo passati gli undici anni, anzi seguendo Ismael, di cui si fanno
seguaci e ministratori, affermando che Abram è da loro stimato e non
Isach. Questo ritaglio viene fatto fuori delle moschee per l'effusione
del sangue, e con l'invito dei parenti ed amici per segno di allegrezza
e consolazione, usando anco con quelli d'altra religione che passano
al _Munsulmanlich_, li quali, in fede di rinnegare la loro fede ed
abbracciar quella di Maometto, levano il dito indice, proferendo queste
parole: _hali lahi ile la li memet resus allali_, che vuol dire: non vi
è altro che un solo Dio e Maometto è il suo nunzio.
Non mancano per le città e campagne, a comodo di abitanti e viandanti,
diversi ospizii con fontane per comodo dei poveri, ed ospedali e
collegi per educazione dei giovani e per imparare a leggere e scrivere:
e tutte le moschee degli Imperatori ed altri grandi sono dotate
di ricchissime entrate per sostentare detti collegi ed ospedali,
avvertendo che gli Imperatori per Canon non possono far moschee se
non in memoria di qualche notabile acquisto, o fazione memorabile; e
le Sultane, se non sono state madri di Imperatori regnanti; nei quali
fabbricano con incredibile spesa e dedicano a quell'impresa con gran
solennità.
In dette moschee sono certe opere di gran costo e macchine di gran
bellezza e venerazione altrettanta, per la grandezza e politezza
del vaso dove si fa l'orazione, e non meno per li accessorii dei
collegi ed ospedali dotati di opulentissime entrate, sì che possono
compararsi a qualsivoglia bellissima del mondo. Sono tutte fabbriche
di pietra, a volta, concave, coperte tutte di piombo, e le colonne
sono di porfido ed altre pietre preziosissime; e sono li vasi di
esse tutti biancheggiati, ed illuminati, quando si fa l'orazione, da
alcune ciocche di cesendelli pendenti dal cielo, di forma rotonda
e di grandezza d'un gran cerchio di tinazzo, ma sono diversi lumi
l'uno sopra l'altro; e di questi saranno due o tre per moschee,
secondo la loro grandezza e bisogno. Non vi sono nè banchi nè altro
da sedere, ma solo da una parte vi è un pergoletto assai basso per il
predicatore, e dall'altra un altro più basso, dove si va a porre il
Re quando entra all'orazione, essendo tutti gli altri posti in terra
a sedere sopra le gambe, secondo li costumi loro ordinarii; e per tal
causa tutti li pavimenti, se bene sono di bellissime pietre, vengono
coperti con stuoie per lo più finissime, di quelle del Cairo, le quali
si conservano sempre nette e pulite, perchè dal Re in poi non è chi
entri con scarpe in esse, lasciandole tutte alla porta. Nelli estremi
casi di morte assistono alli infermi: e morti, posti in un lenzuolo e
ben fasciati e serrati in una cassa, vengono portati alla sepoltura
con il capo avanti; e se è maschio con il turbante sopra la cassa, e
se è femmina la scuffia e il pennacchio; essendo accompagnati dalli
assistenti delle moschee e dai parenti fino alla sepoltura, senza
lumi di sorta alcuna, ma ben con il condurre delli Messini, li quali
invocando il nome di Dio e del profeta Maometto pregano per la salute
dell'anima; e nel ritorno fanno a tutta la compagnia il banchetto, per
il ristoro delle fatiche fatte.
Le sepolture degli Imperatori per l'ordinario sono poste in terra a
pari al tumulo che sta coperto di panno eletto o di velluto, con il
turbante sopra con li suoi pennacchi di airone, e da capo e da piedi
vi sono sempre candelieri; e per l'ordinario sono vicini alle loro
moschee in una cappella separata; per ogni tumulo dei grossi e grandi
cerchi miniati e dorati sostentano due cerindelli che del continuo
ardono giorno e notte; e in dette cappelle da tutte le ore vi assistono
Messini provvisionati che a vicenda gli danno lodi continue, o l'uno,
o l'altro, leggono l'Alcorano, e pregano con le corone per la gloria
degli Imperatori ad imitazione delli Re. Li Visiri Bassà grandi e
ricchi usano di far il medesimo, ma con minor pompa e spesa, e quelli
che non hanno luogo vicino alle moschee possono farsi seppellire anco
vicino alle loro case e dove più gli pare per la città, quando il
terreno sia di loro ragione; gli altri sono portati fuori della città
quando muoiono e in altre campagne a questo deputate, e sono sotterrati
come usano gli Ebrei di fare con quelle pietre che appaiono sopra della
terra, nelle quali descrivono il nome, la patria, il titolo, e ciò che
vogliono.
Fra i Turchi non è alcuna sorte di religione nè meno monasterii, perchè
tutti sono incamminati all'arme e pochi sono quelli che sanno scrivere
e leggere, anzi pochissimi, perchè di quelli del Serraglio del Gran
Signore e non tutti, e del popolo dipendenti da soggetti grandi che
stanno nei seminarii e collegi a questo deputati, e dell'ordine di
quelli che attendono alle leggi, che sono li Cadì, e alli Jasegi che
sono li notari. Anzi che alle volte occorre vedere in Divano qualche
Bassà non uscito del Serraglio, che non sa nè leggere nè scrivere.
E così ad ultimo convengono imparare, e non solo a far il segno
imperiale, ma qualche altra parola, per poter di suo pugno porre in
carta sogno della sua volontà; e chi sa fra i Turchi leggere, è tenuto
per dottore e viene più degli altri stimato. Vi sono però diversi
che professano di vivere fuori del costume, che si chiamano _Dervis
Issich_, che vuol dire mansueti. Questi vestono poverissimamente e
malamente, con una scuffia in testa, mendicando il vivere e dormendo
nelli cortili delle moschee e luoghi simili; sono stimati di grande
semplicità, perchè attendono alle orazioni e speculazioni mentali, e
vivono sempre innamorati dell'onestà, predicando questa dottrina, che
non si può perfettamente arrivare all'amor di Dio se non con la scala
dell'amor umano; e tengono che per questo non solo vivono innamorati e
appassionati in questo mondo, per esser poi tali nel cielo da Dio; e
con tal favola e coperta di santità possono anco vivere disonestamente,
più comodamente degli altri.
Delle donne per osservanze della religione non si tiene niun conto;
però non entrano mai nelle moschee, e se vogliono esse osservare
l'onore, in tempo che sentono a gridare l'ora dell'orazione la fanno,
se vogliono, nella propria casa; ma solo restano grandemente osservate
di onestà, essendo obbligato l'Iman e i piovani delle contrade essere
osservati, intendere molto bene le loro pratiche, e scoprendo il male
o sospetto sono tenuti accusarle alli mariti, perchè le ripudino, o
vero alli padri e parenti perchè gli proveggano. Con tutto ciò se
bene le donne non possono essere praticate dagli uomini, fuor che
padre, mariti e fratelli, e che siano in appartamenti separati, e
vadano sempre coperte, nondimeno le Turche sono lussuriosissime e
disonestissime, per la comodità che hanno dell'assenza dei mariti alla
guerra di potere uscire in bagni e andare coperte, e quello che più
importa, che non possono venire a peggio, che essere ripudiate.


NOTA DEL DONATIVO DA FARSI DAL GRAN TURCO NELLA SUA ASSUNZIONE
ALL'IMPERIO.

Al Muftì.............................. Zecch. 2500
Al primo Visir........................ » 2500
Alli altri Visiri, per uno............ » 2000
Alli Cadì Leschieri, per uno.......... » 250
Alli Tefterdari, cioè Camerlenghi, per
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