Viaggio a Costantinopoli (1609-1621) - 1

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VIAGGIO A COSTANTINOPOLI

DI

TOMMASO ALBERTI
(1609-1621)
PUBBLICATO
DA
ALBERTO BACCHI DELLA LEGA

BOLOGNA
=Presso Romagnoli Dall'Acqua=
1889


Edizione di soli 202 esemplari
ordinatamente numerati

N. 145

BOLOGNA--SOCIETÀ TIP. AZZOGUIDI


Di Tommaso Alberti, bolognese o veneziano, viaggiatore della prima
metà del secolo XVII, nessuna memoria rimane, fuor che la semplice
relazione del suo viaggio a Costantinopoli, che offro ora ai Lettori
della _Scelta di Curiosità_. L'ho cavata da un manoscritto di
questa Biblioteca Universitaria a cui mi onoro di appartenere: e il
manoscritto, segnato di N.^o 99, cartaceo e in forma di piccol foglio,
appartenne ad Ubaldo Zanetti, il noto original farmacista, raccoglitore
assiduo di codici e stampe. Si raccomanda da se e non ha bisogno di
prefazione: perchè, oltre la curiosità, ha il merito d'aver preceduto
senza nessun fasto e clamore, il Tavernier, la cui _Relazione del
Serraglio_ ebbe ristampe e traduzioni, mentre questa, la primogenita,
giaceva affatto dimenticata.
A. B.


=Viaggio fatto da Tommaso Alberti nel 1609 da Venezia a Costantinopoli
per via di mare sopra la nave del Mag.^{co} S.^r Giacomo Bonesi di
Venezia nominata Nave Buona Ventura=.

Al Nome di Dio e della B. V. Maria. Alli 18 Maggio andassimo tutti in
nave per far partenza il giorno seguente, in porto delli due castelli;
la sera a due ore di notte vennero li ammiragli con le sue barche per
condurci fuori di porto, e remorchiandoci, andassimo a seconda d'acqua
a scorrere in prua d'un berton Inglese con la nostra nave, dove si
ingabbiò le antenne ed ordegni insieme; ma noi subito con arme, manare
ed altro tagliassimo tutte le corde ed anco la cividiera, portandoli
via li pennoni di detto bertone, senza aver noi alcun danno da esso.
E così uscimmo fuori di porto, dubitando che esso ci giungesse nel
viaggio e che con noi volesse combattere.
Alli 19 d.^o facessimo vela a nostro cammino; alli 23 fece un poco di
mar contrario, dove fossimo sforzati andar a pigliar porto nelle ....
di Pola, in un luogo detto Fasana, dove gli stassimo sino il giorno
della Sensa; ed in questo tempo andassimo in terra di d.^a Fasana,
luogo piccolo ma molto abbondante d'ogni cosa, cioè carne di manzo
soldi tre la libbra, un capretto 40 soldi, l'olio tre soldi la libbra,
pane e vino a buonissimo mercato; insomma buonissimo vivere, il sito
bellissimo e molto abondante d'olive. Andassimo a un'altra terra
lontano tre miglia, luogo nominato Dignano, dove trovassimo il medesimo
vivere; dipoi andassimo a Pola, città antichissima ma piccola e tutta
rovinata e cascata dall'antichità sua, ma a suo tempo dovea essere
una bella cosa, essendo tutte le case ed altro di pietra viva; nella
quale vedessimo una memoria sopra la porta del Duomo, dove egli è un
millesimo che dice dell'anno 757. Di poi gli è un teatro bellissimo e
di molta altezza, tutto di pietra viva, cosa molto vaga da vedere, nel
quale li Palatini se ne servivano per farvi le loro giostre e tornei.
Vi è anco il palazzo d'Orlando, qual poco più si tien insieme, ma
doveva esser molto grande e bello. Vi è molte sepolture, cioè cassoni
di pietra, ma tutti ruinati dall'antichità, quali dicono che sono
sepolture de' Pagani.
Gli era sopra la detta nave una compagnia di soldati che avevamo levati
da Venezia per condurre al Zante; ed il Capitano era il S.^{or} Marzio
Timotei da Rimini. E in questo tempo che andassimo vedendo questi
luoghi, quattro delli suddetti soldati furono scoperti che avevan
trovato modo di rubare la polvere dell'artiglieria della nave; li quali
furono la mattina della Sensa legati all'argano, e confessarono il
furto, dove ebbero alquante bastonate, ed il medesimo fu fatto a due
altri de' detti soldati, quali avevano tratto di ammazzare M.^r Pietro
Mazza da Bologna per torgli li denari; e dopo le bastonate che ebbero,
furono messi nei ceppi per quattro giorni continui.
Il p.^o di Giugno andassimo a Lesina per pigliar biscotto per li
soldati, qual si era fornito, dove vedessimo quel luogo assai bello di
vista, per esser su la riviera d'una collina; e in cima di quella gli
è una fortezza bella; ma subito pigliato detto biscotto, tornassimo a
nave e seguitassimo il nostro cammino. La sera istessa giungessimo a
Curzola, fortezza bella per di fuori ma dentro bruttissima, dove ci
fermassimo per quattro ore sole, perchè il Peota di nave fece un suo
negozio; e così trovassimo il pesce a tanto buon mercato, che è cosa da
non credere, che per quindici soldi ne avessimo passa venti libbre; il
vino buono, pane, formaggio, ogni cosa a buon mercato, l'olio soldi sei
la libbra.
Tornassimo a nave per il nostro viaggio; alli 6 essendo sotto a Corfù
scoprissimo due vascelli grossi che venivano alla volta nostra;
dubitando che fussero nemici, ci mettessimo tutti in arme insieme
con li soldati, ma conoscessimo che erano due vascelli Francesi, e
così passassimo avanti. Gli fu un soldato che voleva sparare il suo
moschetto, nè mai volse pigliar fuoco: andorno due o tre altri, fe'
li il medesimo, andò un altro, subito prese fuoco, il moschetto crepò
e gli portò via mezza la testa; il poverello poi si buttò in mare. La
sera istessa a 23 ore scoprissimo sette vascelli grossi sotto il Zante,
quali andavano alla volta di Venezia; e così giunti, conoscessimo che
erano sette navi Veneziane che venivano d'Alessandria, cariche di
molta ricchezza; ci accostassimo facendo molte allegrezze con sparare
artiglieria, e ci dessimo avviso l'uno all'altro; e gli era assai
mercanti Veneziani. E così passato che fu parola, pigliassimo licenza
ognuno al suo cammino.
Alli 7 detto, giorno di Pasqua rosata, giungessimo al Zante, dove
gli stassimo sei giorni, e vedessimo quel luogo assai bello, con una
grandissima fortezza in cima d'un monte, dove gli sta il S.^{or}
Provveditore; ma poi trovassimo molto caro ogni cosa, essendo isola
molto fruttifera d'uva passa e Romania, che per la relazione avuta
gli fa trenta milioni d'uva passa, Ribola e Romania gli ne fa trenta
mila botti, quali sono vini grandi e buoni; fichi assai e sono di tal
grossezza che fa meraviglia il vederli; di frumento non gli ne fa molto.
Il martedì sera, che fu alli 9 detto, essendo a dormire in nave, venne
la notte un tempo cattivissimo con vento tanto grande, con fortuna di
mare grandissima, la quale ci travagliava assai; ed essendo un bertone
Inglese poco lontan da noi sopra vento, se gli ruppe la gomena grossa,
e il d.^o bertone con gran furia veniva alla volta nostra, facendoci
grandissima paura che non ci scorresse nella nave; ma essi gettarono
un'altra gomena in mare; e per il gran vento che faceva l'ancora
non teneva, ed il bertone ci veniva addosso, perchè l'ancora non si
attaccava ed andava arando sotto acqua; ne gettarono un'altra e si
attaccò e subito si fermò: e vedessimo quel vascello a gran pericolo
di rompersi, ma ancor noi avessimo assai paura; e quel tempo durò
tutto il giorno seguente. E noi sul far della sera andassimo in terra
con gran fatica per la fortuna del mare, ed erimo tutti affamati,
non avendo potuto tener in corpo niente di cibo; e tutti andassimo
all'osteria dove gli stassimo sino alla nostra partenza, venendo ancora
il sud.^o signor Capitano de' soldati con altri officiali.
Il giovedì che fu alli 11 detto il sud.^o signor Capitano si imbarcò
con li suoi soldati e robe sopra tre fregate per andare alla fortezza
di Nassi: ed essendo a cammino circa cinque miglia, il signor Capitano
volendo salire sopra un'altra di quelle fregate che veleggiava più
delle altre, ed accostatesi le due fregate, si intrigarono con le
corde, vele ed antenne insieme, e quella dove era salito il Capitano,
si affondò con perdita di tutta la roba e di 17 uomini fra soldati
e marinari; ma il Capitano si salvò a un remo insieme con cinque
soldati, e venirono in terra, ma più morti che vivi; ed il Capitano
stette molto male e perse tutta la sua roba che in quella era, che
manco pure il Capitano aveva drappi attorno, quando venne in terra:
e gli fu danno grande, che oltre la roba sua persa, ancora perse le
lettere Ducali, li gruppi di denari di S.^{to} Marco che lui aveva;
ma vedendo il caso, il S.^{or} Proveditore del Zante gli diede danari
e lettere, e lo spedì via alla peggio alla volta di Nassi, senza
insegna nè tamburo; e li soldati non volevano più stare sotto la sua
ubbidienza, dicendo che essendo perso l'insegna e il tamburo, non esser
più obbligati a servire; e così gli ne scappò da 6 o 7, e lui andò via
con la metà dei soldati e poco onore.
Alli 13 detto che fu sabato, facessimo vela a nostro cammino insieme
con una nave Francese la quale andava ancor lei a Costantinopoli. Alli
18 d.^o giorno del Corpus Domini, trovandoci nell'Arcipelago la mattina
nella levata del sole, scoprissimo sotto certe isole alquanti vascelli
e galie, dove tutti ci mettessimo in arme, e così stassimo in questo
dubbio sino a mezzo giorno, sempre in bonazza cioè, senza vento; ma per
bene conosciuti quelli non essere vascelli nè galie, ma erano li monti
che per il riflesso del sole facevano quell'effetto; e a quel tempo
venne buon vento che ci portò avanti. Alli 21 d.^o che fu la domenica,
essendo sotto Pessavà isola fece un vento maestrale a noi contrario,
tanto grande, che fossimo sforzati andar a pigliar porto nell'isola di
Scio in un luogo detto S.^{ta} Anastasia, dove gli stassimo 18 giorni,
per il d.^o vento qual sempre seguitò, che non potessimo levarci di
quel luogo, nel quale ogni giorno andassimo in terra per quelle ville
e casali, ma non andassimo mai alla città di Scio, perchè vi era gran
peste, ed anco perchè vi erimo lontani da XX miglia. Pigliassimo pesci
in quantità; ed io per mio ricordo, il giorno di S.^{to} Pietro,
essendomi andato per mio diporto in acqua con molti altri della nave
per lavarci e rinfrescarci, quali sapevano benissimo nuotare, ed
io per non saperne pigliai un'assa in mare, con la quale mi andava
sostenendo, e quella mi portò assai lontano dalla nave; uno di quelli
che nuotavan venne sotto acqua e mi diede nell'assa la quale mi scappò
di mano, e restando io abbandonato di quella, andai sotto acqua molte
volte, dove mi messi per morto. Uno, visto il pericolo, venne alla
volta mia per aiutarmi: ed io sentendo d'aver appoggio me gli attaccai
talmente attraverso le sue braccia, e con le mie gambe le incrociai
insieme con le sue, che ancor lui non potendo nuotare, avendo prese
le braccia e gambe, tutti due ci annegassimo. Fu visto dalli altri il
pericolo, vennero gli altri, quali ci aiutarono e ci portarono quasi
come morti alla nave; ed io per grazia di quella Beatissima Vergine di
S. Luca di Bologna, la quale sempre chiamai in aiuto, fui liberato, ma
stetti molto male per otto giorni per la grand'acqua salsa che avevo in
corpo; ed averò ricordanza di tal giorno.
Alli 8 Luglio ci levassimo di d.^o luogo per il nostro viaggio.
Alli 10 detto, essendo sotto Troia in bonaccia grande, cioè senza
vento, vedessimo una galera di Barbaria che veniva alla volta nostra
dove erimo in gran paura e ci mettessimo tutti in arme; ma la Maestà
di Dio ci mandò buon vento, dove scappassimo dentro delli due castelli
di Costantinopoli, quali sono di tal fortezza che credo non ve ne sia
due altri simili, con riviere di ville, giardini, che rendono vista
bellissima.
Alli 12 d.^o che fu la domenica, avanti giorno, fossimo a Gallipoli: e
la sera giunse quella galera di Barbaria che avevamo lasciato addietro,
la quale venne con gran allegrezza sparando artiglieria, moschetti
ed altro, per segno d'allegrezza d'una presa che avevan fatto d'un
vascello di Siviglia, nel quale vi era dentro un figliuolo del Vicerè
di Napoli, qual avevano preso insieme con tre altri vascelli che
andavano da Napoli in Siviglia, per passare d.^o figliuolo in altro
luogo, e detti quattro vascelli furono presi dalle galere di Barbaria;
nelli quali vi era ancor quattro Padri Zoccolanti: ed ogni cosa
condussero in Barbaria, eccetto il figliuolo suddetto, quale era un
putto di dodici anni in circa, bello e garbato, il quale stava assai di
buona voglia; e lo condussero a presentare al Turco, il quale l'ebbe
molto caro e lo fece rinnegare subito.
Alli 15 d.^o ci partissimo di Gallipoli ed essendo nel golfo di Marmara
scontrassimo l'armata Turchesca, quali erano settanta galere ma ben
armate, le quali andavano per trovare quelle di Fiorenza.
Alli 17 d.^o stassimo sotto Silivrea città. Alli 19 d.^o con l'aiuto
del S. Dio e della Beatissima Vergine Maria fossimo a Costantinopoli.


=Viaggio fatto da me Tommaso Alberti da Costantinopoli in Polonia,
cioè in Leopoli, per via di terra, con molti effetti dei signori miei
principali mercanti Veneziani cioè 27 carri carichi di tappeti, tre
carri di reobarbaro, due carri di seta, tutto per condurre alla lor
casa aperta in Leopoli, ed io sopracarico delle suddette robe, quali
carri erano tutti condotti da Turchi.=

Al Nome del S. Dio e della B. V.
Alli 26 Novembre 1612 ci levassimo di Costantinopoli con li carri, e
stassimo fuori della porta chiamata la porta d'Andrinopoli due giorni e
due notti, sempre con vento e pioggia, per la spedizione del commercio,
cioè dazio. Alli 8 d.^o giovedì facessimo levata: la sera giungessimo
al ponte lungo, qual ponte è tutto di pietra viva e lungo mezzo miglio
in circa; vi è molti occhi ma è basso, vi è un bellissimo Cavarserà,
che vuol dire luogo riservato, dove vanno li viandanti per posarsi,
e tutto coperto di piombo; non vi è che una porta; vi è comodità di
stalle, fontane ed alloggiamenti per persone in quantità; il ponte
serve per esser laguna marittima.
Alli 9 d.^o facessimo levata: la sera fossimo a Silivrea città alla
marina. Alli 20 d.^o ci levassimo e a mezzo giorno fossimo al Corlù,
bazar grande cioè villa di mercato. Alli 11 domenica ci levassimo, la
sera fossimo a Pergas villa. Alli 12 fossimo a Capsi villa grande. Alli
13 ci levassimo, la sera giungessimo in Andrinopoli, città antichissima
ma brutta: vi stassimo due giorni. Ed io avevo un rinnegato che era
otto anni che si era fatto Turco, quale era Ludovico Zarlatini da
Modena, ed io stavo con qualche timore e sospetto, perchè conduceva
costui in Cristianità per ritornarlo alla nostra e vera fede, siccome
feci con l'aiuto di Dio.
Alli 15 d.^o a mezza notte ci levassimo, la sera giungessimo a
Dervente, villa abitata da Bulgari. Alli 16 d.^o camminassimo per
un bosco molto pericoloso d'assassini, però andassimo ben provvisti
da ogni sospetto. La notte stassimo in detto bosco. Alli 17 d.^o
camminassimo sempre per il detto bosco con strada cattivissima e sempre
pioggia. Alli 18 d.^o domenica giungessimo a Aidos, città brutta senza
muraglie grandi e in bel sito.
Alli 19 d.^o facessimo levata al nostro cammino, e trovassimo un
monte molto faticoso da salire, che vi voleva dieci paia di cavalli a
tirare un carro. La sera stassimo in una villa disabitata e bruciata
dai Tartari, quali spesse volte fanno delle scorrerie a danno dei
passaggieri, e saccheggiano li villaggi ed altri luoghi secondo li
piace. Alli 20 detto Martedì ci levassimo e camminando giungessimo nel
bosco di Balcar, bosco grandissimo; e si passa un fiume 39 volte. La
sera con gran pioggia stassimo a una villa nominata Giengia, abitata
da Bulgari, ma la più parte indisposti di mal di idropisia per la
cattiva aria che vi regna, per essere in una valle, cioè in fondo a
monti altissimi. Alli 21 d.^o ci levassimo di detto luogo; la sera
giungessimo a Provadia, città abitata da Turchi, posta in pianura senza
muraglie: ma è circondata da monti altissimi, che la guardano molto
bene; vi stassimo due giorni per accomodare li carri e provvederci di
vittovaglie necessarie, ma sempre con pioggia.
Alli 24 ci levassimo per il nostro cammino; la sera giungessimo a una
villa piccola, disabitata, da Tartari, dove stassimo tutto il 25 per
esser giorno di Bairam dei Turchi, cioè il dì di Pasqua e il giorno di
S.^{ta} Caterina; ed erimo in cima a un monte altissimo, e li furbi
di carrettieri ci lasciarono in d.^o loco con li carri e mercanzia,
ma menarono via li cavalli; e restassimo in cima a d.^o monte lontani
dalla villa otto, o dieci miglia, che per danari non trovassimo da
mangiare nè bere; e li carrettieri tutti erano andati a quella villa
per far la festa; ed ivi stassimo con gran freddo e vento.
Alli 25 ci levassimo di detto luogo e camminassimo per boschi
grandissimi; la sera fussimo a Barzargichi, città dei Turchi posta
in pianura, città brutta e senza muraglie. Alli 27 ci levassimo,
camminassimo al nostro cammino, entrassimo nella Provincia della Dobiza
e Tracia, confine della Tartaria, tutta pianura grandissima. La sera
fossimo a Carages villa. Alli 28 d.^o ci levassimo e camminassimo
sempre per dette pianure, le quali sono tanto grandi che par un mare
di terra, che non si vede che cielo e terra, senza un minimo albero;
le strade sono facilissime da fallare, con tutto ciò che vi sia
persone pratiche, per la gran quantità di carreggiate che si vedono,
traversando una sopra l'altra; e noi fallassimo la strada due volte.
La sera stassimo a una villa detta Bulbul, villa piccola posta in
detta pianura. Alli 29 d.^o fessimo levata, e sempre per dette pianure
camminassimo e togliessimo uno a quella villa, pratico delle strade,
acciò ci conducesse bene; e passassimo per Caracchicci, città piccola,
per posar li cavalli; nella qual città vi è un bello Cavarserà, cioè
luogo serrato per le mercanzie e cavalli, qual è alla similitudine di
un convento con una sola porta, e tutte le comodità necessarie per li
viandanti e cavalli; la sera giungessimo a Straggia, villa grandissima,
abitata la più parte da Valacchi.
Alli 30 d.^o, giorno di S.^o Andrea, camminassimo sempre per dette
pianure con la guida; scontrassimo una grandissima carovana che andava
a Costantinopoli, la quale veniva di Polonia; la sera fossimo a
Cavachei, villa grande. Il 1^o dicembre facessimo levata, camminassimo
sempre per dette campagne con la guida; la sera giungessimo a una villa
detta Sohaali, villa grande posta sopra la riva del Danubio. Alli 2
d.^o facessimo levata, camminassimo dietro il Danubio, a mezzo giorno
giungessimo a Mecina, villa e scala del Danubio, cioè dogana e dazio
del confine della Turchia, discaricassimo tutti li carri, pagassimo
il dazio, ci sbrigassimo da quella maledetta razza dei Turchi, ma
con molte difficoltà, e ci liberassimo da quelli furbi dei nostri
carrettieri Turchi; mettessimo tutte le robe in barca e così passassimo
il Danubio, lasciando la Turchia, entrassimo in Cristianità, facessimo
la notte 60 miglia giù per il Danubio.
Alli 3 detto giungessimo a Galazzo città su la riva del Danubio, stato
del Principe di Bogdania. Discaricassimo la mercanzia di barca, e
stassimo in detto luogo tutto il giorno per accomodare le balle e per
trovare li carri per il nostro viaggio. Alli 4 d.^o stassimo in detto
luogo, facessimo dir messa alla Valacca, stassimo con molto nostro
gusto, trovassimo molti e buoni pesci, cioè morone fresche, sturioni
e lucci in grandissima quantità ed a buonissimo mercato, quasi per
niente, gran quantità di lepri a soldi cinque l'una; galline ed altri
polli non ne trovassimo per esser stata, già quattro mesi, ogni cosa
svaligiata dai Tartari. Alli 5 d.^o ci levassimo da detto luogo con le
nostre mercanzie, camminassimo tutta la notte a lume di luna con gran
freddo. Alli 6 d.^o camminassimo sempre per le campagne già dette, con
altra guida, senza mai trovar ville nè casali. La sera ci fermassimo.
Alli 7 seguitassimo sempre per dette campagne con gran freddo, senza
mai trovare ville nè casali. Alli 8 d.^o camminassimo al nostro
viaggio, sempre come di sopra, la sera giungessimo a Barlado città, ma
tutta disfatta e svaligiata. Alli 9 seguitassimo per dette campagne
con grandissimo freddo, la sera fummo a Zizzaar villa, cenassimo e poi
facessimo levata al nostro cammino tutta la notte. Alli 10, sempre
per dette campagne, passassimo per Vasclù mercato, posto di molte
case, e vi è una chiesa e un palazzo del Principe di Bogdania ma tutto
rovinato. Alli 11 d.^o camminassimo sempre fra monti, e seguitassimo
tutta la notte camminando con gran freddo. Alli 12 d.^o seguitassimo
sempre con gran pioggia, entrassimo in un gran bosco, nel quale vi
stassimo la notte, sempre camminando con gran vento e pioggia. Alli 13
d.^o, giorno di S.^{ta} Lucia, camminassimo per d.^o bosco il quale è
grandissimo, le strade cattivissime, che sei para di bovi non potevano
tirare un carro; restassimo la notte in detto bosco, senza niente da
mangiare e con gran paura dei lupi quali urlavano grandemente. Alli
14 camminassimo sempre per d.^o. La sera fossimo fuori, e stassimo la
notte fuori di d.^o bosco.
Alli 15 d.^o camminassimo per strade molto cattive, e giungessimo in
Jassi città dove risiede il Principe di Bogdania e Moldavia: la qual
città è senza muraglie e vi sono da ottomila case in circa, ma tutte
di legno, alquante chiese, alcune di pietra, ma parte son ruinate
dalla guerra; il palazzo del Principe è di pietra e serrato attorno di
legnami. Quando il Principe va per la città cavalca accompagnato da 500
archibugieri, e vestito di rosso con la mazza ferrata in mano. La città
è sporchissima, con molto fango, che rende molto mal camminarvi; la
città è stato suo; sono obbligate tutte le case, se vi va un viandante
per voler alloggiare, riceverlo; e vi usano molto accoglienze. Le donne
sono quelle che reggono e fanno tutti li fatti necessari alle loro
case, ragionano liberamente e famigliarmente con uomini in pubblico e
in secreto, chè non vi è guardato; quando portano da bere, o mangiare,
sono le prime a far la credenza. Quando muore la moglie a uno, quello
per esser conosciuto vedovo, cammina per alquanti giorni per la città
senza niente in capo. In d.^a provincia fanno alla greca, la quale
circonda 700 miglia. Vi fa gran freddo; usano le stufe. In detta
provincia vi sono 24 m. ville. Paga di tributo al Gran Turco talleri 60
m. La Valacchia paga 100 m. talleri, ed ha nel suo stato 24 m. ville.
Alli 20 d.^o giovedì ci levassimo da d.^o luogo con gran freddo e neve:
camminassimo il giorno e la notte. Alli 21, giorno di S. Tommaso,
camminassimo per pianure e giungessimo li nostri carri che erano
partiti due giorni avanti di noi da Jassi. Alli 22 seguitassimo il
nostro cammino con detti carri, passassimo il fiume di Greggia qual
era ghiacciato, e passassimo sopra il ghiaccio con li carri; la sera
giungessimo a Steffaneste, villa grande di due mila case; vi è una
gran chiesa fabbricata di pietra ma non è fornita; vi è in d.^a villa
mille soldati mantenuti dal Principe per presidio e per riguardo dei
Polacchi. Al 23 d.^o facessimo a mezzanotte partenza di d.^a villa:
camminassimo con gran patimento di freddo. Alli 24 d.^o camminassimo
sempre per campagne, nè trovassimo mai acqua nè legne per scaldarci e
beverare li bovi, ma bene la terra tutta coperta di cavallette morte
dal freddo, che pareva neve ghiacciata che fosse in terra; per le quali
si era empito tutti li pozzi ed altri laghetti, che avevano fatto
putrefare tutte le acque; e pensisi che dette cavallette fecero un
notabilissimo danno la estate passata, che mangiarono tutti li raccolti
che erano in erba; e dette cavallette erano grandi e lunghe mezzo
palmo. Alli 25 d.^o, a mezzanotte del Santissimo Natale, ci levassimo
con gran freddo, e a mezza mattina ci trovassimo a passare un fiume
detto il Pruto, ma lo passassimo con molta difficoltà, rispetto che era
molto grosso, come anco che era un grandissimo vento da maestro, che
lo faceva molto ondeggiare, con cavalle, che rendeva assai timore; e
vi stassimo tutto il giorno a passare. La notte stassimo malissimo di
freddo, di neve e vento che tagliava la faccia e senza da far fuoco,
senza vino nè altra cosa da mangiare. Camminassimo tutta la notte per
poter giungere quanto prima a Cutino. In tutto questo viaggio mai siamo
stati con li carri e cavalli e bovi al coperto, ma sempre alla campagna
aperta. Alli 26 d.^o cessò il vento: passassimo certi monti cattivi
la sera; a ore due di notte giungessimo a Cutino, ultima città del
Principe di Bogdania, ma tutta bruciata e saccheggiata dai Polacchi.
Vi è una bella fortezza su la ripa del fiume, la quale è in potere dei
Polacchi, quali vi tengono un presidio per pegno di fiorini 100 m. al
Principe.
Alli 30 d.^o domenica ci levassimo di detto luogo e passassimo d.^o
fiume sopra del ghiaccio, e passato su la Podoglia, vi è una villa su
la ripa di detto fiume, nominata Bragà. A mezzo giorno giungessimo
a Camignizza, città senza muraglie, ma circondata attorno d'un fiume
che lo fanno alzare quanto vogliono; e vi è anco attorno certi monti
di sasso vivo, in modo che non vi si può salir se non per le porte
ordinarie, le quali sono due, guardate da soldati. In detta città vi
sono le chiese e case tutte di pietra, ma le strade molto fangose.
Stassimo in d.^o luogo molti giorni, per riposare del gran patimento
avuto, e per accomodar li carri ed altro.
Alli 24 Gennaio 1613 ci levassimo di d.^a Camignizza e la sera
stassimo a una villa detta la Scala. Alli 26 d.^o a Sanuff, alli 27
d.^o domenica a Nastasuff, la sera a Coslù, alli 28 d.^o desinassimo a
Sborù, alli 29 d.^o desinassimo a Ghelignano, la sera a Savannizza.
Alli 30 d.^o martedì giungessimo a Leopoli, città e fine del nostro
viaggio, e qui stassimo per espedire le nostre mercanzie sicome segue.
La città non è bella, le case tutte coperte d'asse; è abbondantissima
di carne, di pollami, e pesci di laghi: si beve cervogia, per esser il
vino molto caro; le donne attendono alle botteghe e fanno loro tutti
li negozii; si usa il baciare le donne per le strade e nelle case,
con gran domestichezza e famigliarità. La città è mercantile, per
esser vicina alla città di Iublino ed altre città grosse di negozio.
E qui finissimo di contrattare tutti li nostri effetti e mettessimo
all'ordine il ritratto per ritornelo a Costantinopoli, sì come
facessimo.
Alli 24 Aprile 1613 facessimo levata di Leopoli per ritornare a
Costantinopoli con li ritratti di nostre mercanzie, parte in contanti
e parte botti di coltelli. La sera stassimo lontano da Leopoli tre
leghe in casa d'un amico; alli 25 seguitassimo a cammino; la sera
a Ptevisano, villa grande dell'illus.^{mo} S.^{re} Adam Signaschi
Palatino della Corona, il qual Signore mi presentò un paio di cavalli
da carrozza; vi stassimo tutto il dì 26, per alcuni negozii che aveva
con d.^o S.^r Palatino. Alli 27 d.^o ci levassimo, facessimo leghe
quattro; alli 28 facessimo leghe sette; alli 29 d.^o andassimo avanti
una lega, e scontrassimo uno a cavallo, il quale ci disse che in un
boschetto che dovevamo passare vi erano alquanti furfanti, che facevano
del male alli viandanti; e da lì a poco trovassimo uno a cavallo che
era stato svaligiato, e piangeva della perdita del suo carro e robe,
ma anco per le bastonate avute; così noi, per esser soli tre, ci
ritirassimo a Probona villa, per aspettar altri mercanti che avevano a
venire, per andar ancor loro a Camignizza, dove si faceva la raccolta
della carovana; e ci risolvessimo pigliare otto uomini con arme, quali
ci accompagnarono sino alla Scala. Alli 30 giungessimo a Camignizza,
ed ivi si fece tutta la raccolta dei carri della carovana per andare a
Costantinopoli.
Al 4 Maggio facessimo levata da Camignizza con n.^o 60 carri grandi,
tutti da 6 cavalli per carro, carichi di diverse mercanzie, cioè
zibellini, lupi cervieri, conigli ed altri pellami, cremisi, coltelli
e molte altre robe, tutte per condurre a Costantinopoli: che N. S.
ci dia buon viaggio e ci guardi da assassini. Alli 5 passassimo
il fiume di Cutino, alli 6 passassimo il fiume Pruto, alli 7 d.^o
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