Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3 - 11

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su cui stavano per conglutinarsi colla massa pietrosa che le circondava,
altra ne raccolsi impietrita per metà. Ma ciò che è più interessante, è
un banco di pietra calcarea che formasi attualmente nella parte
orientale dell'isola _Om-lmelek_.
Qui è dove ho potuto osservare tutte le gradazioni dell'impietrimento
dall'arena, ossia _attritus pulverulentus_ delle conchiglie fino alla
roccia compatta; e ciò che trovai di più maraviglioso in questa scala
d'impietrimento, è che il _detritus_ delle conchiglie di già amalgamato
e diventato concreto, benchè ancora friabile, e di facile spezzatura,
trovasi impregnato d'una specie d'_olio volatile_, che ugne le dita
toccandolo: ma quest'olio si volatilizza e sfuma in poco tempo. Nel solo
spazio di sei in sette piedi trovansi tutte le gradazioni
dell'impietrimento; cioè l'arena incoerente, l'arena convertita in pasta
molle, la parte che comincia ad indurirsi, la pietra friabile, la pietra
molle e la pietra dura. Questa gradazione è ugualmente sensibile sulle
spiaggie del mare. Colsi alcuni esemplari di tutte le curiosità: ma
quanto mi pesa lo staccarmi da un luogo così interessante senza poter
fare una folla d'osservazioni, che forse sarebbero feconde
d'incalcolabili risultati pei progressi della scienza! Io raccomando lo
studio di questo banco ai viaggiatori che dopo di me visiteranno queste
contrade.
Questa specie di pietra che è assai bianca forma strati d'ardesia. Le
case e le mura di Djedda, e dell'Iemboa sono formate della stessa pietra
che trovasi abbondante su tutta la costa, ma particolarmente in quel
laberinto delle isole e scogli, chiamate isole _Hamara_. Questa è la più
interessante parte del mar Rosso sotto i rapporti della storia naturale.
Io sospetto una diversità di livello nel mar Rosso che tende
progressivamente al suo disseccamento. Si è creduto apocrifo o erroneo
il livello fatto dagli antichi geografi, che trovarono il mar Rosso più
elevato che quello del Mediterraneo: ma io inclino a credere che tale
veramente fosse la bisogna negli antichi tempi, e che al presente il mar
Rosso trovisi di già al livello del Mediterraneo, e fors'anche più
basso.
La rapida progressione con cui il mar Rosso si ritira, mentre il
Mediterraneo sembra essere stazionario, o retrogradare più a rilento, mi
ha già da lungo tempo fatto credere a questa diversità di livello tra i
due mari, indipendentemente dalla differenza più generale dovuta
all'accumulazione delle acque in certi punti; lo che fa che la
superficie dei due mari forse non coincide con quella che si suppone
alla sferoidità terrestre. Ma questo non è il luogo di sviluppare una
questione che ci porterebbe troppo lontano, e che tratteremo di
proposito in altro luogo. Qui ci limiteremo ad indicare soltanto alcune
più notabili osservazioni.
Nel luogo detto _el-Wadjik_ sopra la costa d'Arabia, è un banco, la di
cui superiore superficie trovasi elevata ventiquattro in trenta piedi
sopra l'attuale superficie del mar Rosso; la sua larghezza media è di
dugento tese sopra alcune migliaja di tese di lunghezza, lungo le
sinuosità della costa. Questo banco è unito alla terra ferma, che è più
elevata; la sua superficie è perfettamente piana; dalla parte dell'acqua
è tagliato perpendicolarmente in maniera che rappresenta assai bene la
piattaforma di una fortezza.
Dopo avere esaminati li zoofiti che compongono questo banco, parvemi
ch'essi fossero di recentissima formazione relativamente alle grandi
epoche della natura: egli è pure evidente che questo banco si formò
sott'acqua; e siccome io non conosco sulle rive del Mediterraneo un
monumento di così recente ritirata, ne conchiudo che all'epoca della
formazione di questo banco, la superficie del mar Rosso forse si trovava
più elevata di quella del Mediterraneo, mentre attualmente trovasi allo
stesso livello, e fors'anche più bassa.
La forma del mar Rosso lunga e stretta tagliata da tanti banchi, scogli
ed isole, rende necessariamente più difficile la propagazione delle alte
maree, come fu giudiziosamente osservato dal viaggiatore _Niebuhr_. Il
vento quasi intermittente dal N. e dal N. E. per nove mesi dell'anno,
deve contribuire alla sortita delle acque in tempo della bassa marea,
mentre è anch'esso un ostacolo alla propagazione delle alte maree.
Questa propagazione si fa ogni giorno più difficile in ragione
dell'impietrimento attivo che sembra dover colmare il bacino del mar
Rosso, colla rapida formazione di nuovi banchi, e di nuove isole,
ostacoli novelli aggiunti agli altri che già opponevansi alla libera
circolazione delle acque. L'evaporazione del mar Rosso dev'essere assai
più forte che nel Mediterraneo, e per la diversa temperatura e
latitudine, e pei deserti che lo circondano da ogni lato, e che seccando
l'aria la rendono più atta ad assorbire i vapori. Dall'altra parte il
mar Rosso non riceve, per così dire, una goccia d'acqua dalle terre
vicine, perchè non sorte alcun fiume dalle coste dell'Arabia e
dell'Affrica, tranne alcuni torrenti nelle stagioni piovose. Quindi può
dirsi che nel corso dell'anno _il mar Rosso perde una maggiore quantità
d'acqua di quella che riceve dalle maree dell'Oceano_. Altronde le più
gagliarde correnti portano d'ordinario a S. E., cioè verso l'imboccatura
di _Babelmandel_. A queste cause si aggiugne la differenza della forza
d'attrazione planetaria in ragione del movimento dell'asse
dell'ecclittica, e della situazione dell'orbita della terra, che è nel
suo perièlio nel solstizio d'inverno; lo che deve produrre un
ammassamento di acqua in certi luoghi. Finalmente devonsi calcolare
molte circostanze per la soluzione del problema, che procureremo di
svolgere in un'apposita opera.
Gli arabi custodiscono gelosamente come un segreto la navigazione del
mar Rosso; e temendo che gli Europei non s'invaghiscano di
appropriarsela, fuggono, per quanto è loro possibile, di avere con essi
diretta comunicazione, onde non si avvedano del lucroso commercio di
questo mare. Questo timore è la principalissima cagione delle avarìe che
si fanno soffrire agli Europei sulle coste dell'Arabia. Anche un
capitano inglese dipendente dal console _Petrucci_, che pure aveva
l'intima confidenza del sultano Sceriffo, non potè sottrarsi che colla
forza ai cattivi trattamenti degli Arabi.
Io sono di sentimento che le nazioni europee che tengono stabilimenti
nel Mare Indiano potrebbero aprirsi pel Mar Rosso una linea di
comunicazione, che non sarebbe difficile ad ordinarsi per mezzo di
agenti stabili a Moca, a Djedda, a Suez, ed al Cairo.
Due dì dopo il mio arrivo a Suez una carovana partita pel Cairo fu
attaccata sulla strada dai Badovini. La carovana si difese; ed ebbe due
uomini feriti, e sei cammelli presi dagli assassini. Noi aspettavamo la
venuta del gran _Scheik Dìidid_, che doveva arrivare del Cairo con un
corpo di truppe per iscortare la nostra carovana incaricata di
trasportare al Cairo il carico della flottiglia. Era prevenuto che col
di lui mezzo mi sarebbero stati spediti alcuni cavalli, ma seppi in
appresso ch'era partito per l'alto Egitto onde ridurre al dovere alcuni
Arnauti ribellatisi al pascià _Mehemed Alì_.
Essendo giunta a Suez un'altra carovana di sette in ottocento uomini, ed
altrettanti cammelli compresi i soldati e pellegrini turchi di Djedda,
risolvemmo di partire insieme, non però senza qualche sospetto ancora,
perchè tale unione presentava forze inferiori alla presente situazione
del paese. I capi ed altri impiegati di Medina, ed alcuni grossi
negozianti di Djedda e del Cairo, dovevano pure ingrossare questa
carovana.

_Viaggio al Cairo._
Il giovedì, 11 giugno, alle due ore e tre quarti dopo mezzo giorno uscii
di Suez per unirmi alla carovana ch'erasi accampata presso _Bir-Suez_
(_pozzo di Suez_), cinque quarti di ora distante dalla città. È questo
un parallelogramo, i cui maggiori lati possono avere quindici piedi, e
dieci in undici i minori, ed ha diciotto piedi di profondità. L'acqua è
alquanto salsa, ma la sola che esista in questo luogo. I cammellieri ne
attingono l'acqua con secchj di cuojo per darne a' cammelli; ma gli
uomini della carovana avevano fatte le loro provviste a Suez. Il tempo
era sereno, malgrado un gagliardo assai incomodo vento settentrionale.
In sul tramontare del sole il termometro nella mia tenda segnava 37
gradi di _Reaumur_. È questo paese una grande pianura terminata in
Affrica al S. O. dalle montagne _Diebel Attaka_, ed in Asia da quelle
assai lontane all'E. dall'Arabia.

_Venerdì 12._
Eravi nella carovana un santo _Marabotto_, che portava uno stendardo
giallo e rosso somigliante ad una bandiera spagnuola, ma tutto
stracciato. Consumò costui tutta la notte invocando a tutta voce il nome
di Dio, e del Profeta, facendo preghiere, e correndo da un canto
all'altro del campo, di modo che niuno potè dormire.
Si partì alle quattro e mezzo del mattino; alle sette si giunse al
vecchio _Kalaat-Ageroud_ fortezza abbandonata, e di là, avanzando nella
direzione di O., si entrò un'ora dopo in una gola, che è il più
pericoloso passo di questo deserto. La carovana precedente era stata
attaccata in questo luogo, e nel mio primo viaggio vi aveva veduti molti
Bedovini. Per passare queste strette mi posi in testa alla carovana
colla mia guardia di dieci soldati turchi, sostenuti da una cinquantina
di soldati della stessa nazione, e da pochi arabi armati: altri soldati
senz'ordine determinato proteggevano i fianchi della carovana, che
occupava una linea di oltre cinquecento tese; e due Agà turchi col
rimanente della truppa coprivano la retroguardia. Io passai senza
ostacolo colla maggior parte della carovana, ma quando era per uscire
dalla gola udii delle grida sul di dietro. Accorsi colla spada alla
mano, conducendo le mie truppe in sul punto attaccato; e conobbi che i
Bedovini eransi presentati tentando di tagliare la coda della carovana,
e che eransi ritirati dopo alcuni colpi di fucile, essendosi lasciati
imporre dalla nostra risolutezza: non erasi avvicinato che un corpo di
trenta uomini, ma ne vidi in distanza col cannocchiale altri sessanta
all'incirca.
Alle cinque ore ed un quarto facemmo alto in un'aperta pianura affatto
deserta. Si soffrì tutto il giorno un caldo che toglieva il respiro, ed
in sul tardi alcune vampe di vento, che ci obbligavano di bevere ad ogni
istante, di modo che taluno cominciava a scarseggiare d'acqua, ed io
stesso non era tranquillo per l'indomani se non diminuiva il calore. Il
luogo in cui eravamo accampati chiamasi _Dar-el-Hhamara_, posto a mezza
strada da Suez al Cairo.
Questo tratto di paese di Suez ad Hhamara è quasi affatto sterile ed
arenoso: vi si trovano poche piante senza frutta e senza fiori, e sulle
rupi pochi cespugli spinosi senza foglie. Il termometro di _Reaumur_
alle otto e mezzo della sera segnava 38° 6′. Molti passeggieri partirono
questa notte coi loro dromedarj prendendo una strada traversa per
giugnere al Cairo prima della carovana.

_Sabato 13._
Il timore di mancar d'acqua ci fece partire alle due ore e mezzo del
mattino: e dopo aver attraversate alcune colline si sboccò alle dieci e
mezzo in un'altra pianura. Il caldo faceva grandissimo; e per un'ora
continua provai il singolare fenomeno di un vento d'O. alternativamente
freddo e caldo. Se questo vento avesse soffiato leggermente e per
intervalli non sarei rimasto sorpreso, ma era un vento uguale ed
intermittente con alternative di freddo e di caldo così rapide e
violenti, che spesso nello spazio di un minuto ne faceva provare tre o
quattro volte la vicenda del caldo ardente, e del freddo più acuto. Come
mai il calorico non equilibravasi colla massa dell'aere ambiente?
Allora coi miei domestici e le mie guardie montate sui dromedarj passai
avanti alla carovana, e giunsi due ore prima ad _Alberca_, detta dai
Turchi _Birked el Gad_ (pozzo dei pellegrini). È questi un villaggio di
circa cento famiglie posto in così deliziosa situazione, che a chi sorte
dal deserto sembra più bello di Versailles, o d'Aranquez. Le inondazioni
del Nilo vi arrivano per un canale. Il villaggio occupa la sommità d'una
collina corrosa al piede dalle acque; e la collina e la campagna sono
coperte di palme simmetricamente disposte; e la salita al villaggio
forma uno spazioso ed ameno passeggio rinfrescato dalle acque, ed
ombreggiato da alte palme e da altre specie di piante. A piedi del
colle, entro una moschea mezzo rovinata, trovasi una bella fonte. In
somma _Alberca_ è un luogo di delizie in mezzo ad un vasto deserto di
sterile arena, lontano tre ore dal Cairo. Ebbi colà una gagliarda prova
dell'apatia de' Turchi: la carovana era accampata presso a questo
delizioso giardino dopo un viaggio che doveva farle ardentemente
desiderare un così fatto godimento; pure io solo uscii dalla tenda per
approfittarne. Il termometro alle cinque e mezzo della sera segnava 42°
di _Reaumur_, ed alle sette ore 37° 3′.
Le mie genti dopo tramontato il sole si sollazzarono tirando de' colpi
di fucile.

_Domenica 14 giugno._
Si partì al levar del sole; ed io non tardai a trovare gli amici usciti
di città per incontrarmi. A due terzi della strada vidi _Seïd Omar_,
capo degli sceriffi, primo personaggio del Cairo, accompagnato da molti
grandi e dai dottori della città con venti Mamelucchi a cavallo,
altrettanti soldati Arnauti a piedi, domestici ed Arabi armati. Ci
abbracciammo con vera effusione di cuore, indi mi presentò un bellissimo
cavallo bardato. Dopo esserci riposati all'ombra e preso il caffè, fui
condotto a visitare un eremitaggio posto accanto al luogo in cui
eravamo. Rimontati poi a cavallo si prese la strada del Cairo,
accompagnati da _Muley Selima_, fratello dell'Imperatore di Marocco,
ch'era pur venuto ad incontrarmi.
Strada facendo i Mamelucchi e gli Arabi a cavallo fecero delle corse,
delle scaramuccie, e consumarono molta polvere in segno d'allegrezza; lo
stesso venerabile vecchio _Seïd Omar_ si compiacque di correre un
_Djerid_, mettendo grida di gioja per celebrare _il felice ritorno di
Seïd Ali Bey_.
Entrammo in città per la porta _Bab-el-Fatag_, che è di felice auspicio
quando si torna dalla Mecca. _Seïd-Omar_ mi condusse come in trionfo in
mezzo ad affollato popolo che andava sempre crescendo per le strade e
piazze principali del Cairo.
Finalmente arrivammo alla sua casa ove ci aspettava un magnifico pranzo,
dopo il quale fui condotto nel mio appartamento. _Seïd Omar_ mi mandò un
altro cavallo ancor più bello del primo: ed in tal modo terminò questa
festa ed il mio viaggio della Mecca. _A Dio sia la lode e la gloria._


CAPITOLO XLIII.
_Viaggio a Gerusalemme. — Belbèis. — Gaza. — Saffa. — Ramlè. —
Scena dei due vecchi. — Ingresso in Gerusalemme._

Ripigliai il mio alloggio in casa dello scheih _el Metlouti_; ossia capo
de' Mogrebini, ed in pari tempo Scheih della grande Moschea _el-Azahar_.
Gli abitanti del Cairo erano alquanto inquieti per lo sbarco che gli
Inglesi avevano fatto ad Alessandria, e pei due attacchi di Rosetta, nei
quali gli assalitori erano rimasti soccombenti, ed il Cairo era pieno di
prigionieri inglesi. Rimasi in questa città diciannove giorni
festeggiato da tutti gli amici. Finalmente il venerdì mattina 3 luglio
1807 presi la strada di Gerusalemme.
Ebbi partendo lo stesso accompagnamento del giorno che entrai in città
fin presso ad Alberca ov'erasi radunata la carovana.

_Sabato 4._
Erano le due e mezzo del mattino quando la carovana composta di due
cento cammelli si mise in cammino verso il N. ¼ N. E. sopra un suolo
alternativamente di arena sciolta, e di ciottoli. Il paese prima piano,
è poi tagliato da piccole colline. A mano a manca vedevasi molto lontano
una linea d'alberi che fiancheggiano il canale di Belbèis, ove arrivammo
alle dieci ore del mattino. La carovana si accampò presso alla città, ed
io mi posi in un eremitaggio dedicato ad un santo detto _Sidi Saadoun_.
Il _Capidgi Baschi_ apportatore del Firmano con cui il Sultano di
Costantinopoli riconfermava _Mehemed Ali Pascià_ nel suo governo di
Egitto, faceva parte della carovana. Mi fu detto che il Pascià gli aveva
in tale occasione regalati cinquanta mila franchi. Eranvi inoltre molti
altri personaggi turchi.
_Belbèis_ è una vasta città fornita di molte moschee. Un canale del Nilo
la provvede abbondantemente di acque in tempo dell'escrescenza, e
mantiene rigogliosi un infinito numero di alberi e di palme. Vi si
trovano ottimi poponi ed angurie, ma non legumi. La città ed il
territorio sono governati da un _Kiaschet_, ossia ufficiale dal Pascià
del Cairo.

_Domenica 5._
Ad un'ora dopo mezzo giorno camminavamo in mezzo ad un deserto nella
precisa direzione di levante, esposti ad un vento infiammato, e percossi
dai cocenti raggi del sole. Alle sei ed un quarto si fece alto in mezzo
a questa vasta campagna ove non trovasi alcuna traccia di esseri
organizzati animali o vegetabili. Poco prima di arrivare al luogo
dell'accampamento il mio cavallo cadde come morto: tornò ben tosto a dar
segni di vita, ma non potè levarsi, onde rimase abbandonato alla
benefica natura fino all'indomani.

_Lunedì 6._
Dopo un lungo cammino arrivammo al di là di _el-Wadi_; ed avendo
attraversato il canale di Belbéis si fece alto alle sette ore ed un
quarto in una piccola foresta.

_Martedì 7._
Alle quattr'ore e tre quarti del mattino la carovana viaggiava nella
direzione di N. E., ed alle undici arrivò in un luogo detto
_Al-bovaarouk_, ove fece alto presso ad un pozzo di acque amare e
fetenti.
Nel precedente giorno aveva ordinato di riempire i miei grandi otri
dell'eccellente acqua di El-Wadi: ma quando si scaricarono i cammelli mi
accorsi che non ve n'avevano che quattro di pieni. Chiesi al capo della
carovana quando potrei trovare acqua bevibile; ed egli mi rispose che
non ne troverei che ad Aaerisch, lontano quattro giorni di viaggio. In
quell'istante mi si presentò all'immaginazione l'accidente del 4 agosto
1805 nel deserto della Sahara; onde trovandomi di nuovo in mezzo ad un
deserto senza sufficiente provvisione di acqua, non fui padrone d'un
primo impeto di collera, e sguainata la spada, mi volsi contro le mie
genti. Tutti i viaggiatori e lo stesso Scheik condottiere dalla
carovana, vedendomi preso da tanto furore, si buttano a terra. Questo
commovente spettacolo disarma la mia collera; ma nell'agitamento in cui
mi trovava, volendo rimettere la sciabla nel fodero, la mano si svia, e
conficco il ferro nella parte superiore della mia coscia sinistra alla
profondità di nove linee. Accortomi appena della ferita rimisi con più
moderazione la sciabla nel fodero; ed entrato nella mia tenda, mi trovai
inondato da un torrente di sangue, che parvemi uscire da una arteria.
Feci subito recare la mia spezieria, e dopo aver lasciato uscire
alquanto di sangue, lavai la ferita con acqua fredda, poi riempiendola
di balsamo cattolico vi posi sopra un grande piumacciuolo di filaccie
inzuppate nello stesso balsamo, e con tre bende feci una fasciatura che
montava fin sopra le reni per assicurare il piumacciuolo contro
qualunque accidente. Mi posi a letto per riposarmi, e la carovana volle
per mio riguardo fermarsi fino all'indomani. In questo infausto giorno
morì uno de' miei cammelli.

_Mercoledì 8._
Alle quattr'ore del mattino, trovandomi in buono stato, e quasi non mi
accorgendo della ferita, montai a cavallo colle debite precauzioni, e
partii colla carovana dirigendoci al N. E.
Si fece alto la sera alle cinque ore e mezzo in un luogo detto _Barra_.
La mia ferita non mi dava verun incomodo, e la scena che la cagionò
produsse almeno il buon effetto di far rispettare le mie provvisioni.

_Giovedì 9._
La carovana riprese il cammino alle quattr'ore, e tenendo sempre la
direzione di N. E. giunse alle otto ore al villaggio abbandonato di
Catieh, ove sonosi molte palme ad un pozzo di acqua bevibile, presso al
quale i Francesi avevano fatta una fortezza, che ora più non esiste. Si
tornò a mettersi in viaggio alle tre ore e mezzo, e poco prima delle
sette si alzarono le tende ad Abouneïra, ove trovasi un pozzo.

_Venerdì 10._
Questo giorno si avanzò nella direzione di levante, si fece alto a nove
ore a Dienadel, ove scopersi il mare Mediterraneo a non molta distanza,
ed alle sei ed un quarto la carovana si fermò ad Abudjilbana.

_Sabato 11._
Nella carovana eranvi già molte persone alle quali incominciava a
mancare l'acqua; onde si affrettava possibilmente il viaggio. Mentre io
dormiva, alcuni Turchi entrarono nella mia tenda, che stava aperta onde
dar passaggio all'aria, per levarmi la mia acqua, ma vedendomi
addormentato rispettarono il mio sonno, e ritiraronsi senza prenderne.
La notte si fece alto a Messaoudia in riva al Mediterraneo, ove trovansi
molti pozzi d'acqua bevibile.

_Domenica 12._
Si giunse alle sei ed un quarto del mattino presso ad Aarisch, e si fece
alto in una macchia di palme. L'_Aarish_, è un alcassaba sul fare di
quelli di Marocco, ed era stato dai Francesi rimesso in buono stato. Vi
sono all'intorno alcune case abitate da circa duecento persone, pozzi di
acqua di mediocre qualità, palme, e pochi erbaggi.
La mia ferita andava sempre di bene in meglio, e dava speranza di
cicatrizzarsi senza suppurazione.
A mezzo giorno il termometro esposto al sole segnava 53° 7′ _Reaumur_,
che equivale ai due terzi dal calore dell'acqua bollente, ed all'ombra
43° 5′.

_Lunedì 13._
Alle due ore del mattino eravamo in cammino verso Levante. Non tardai a
trovare alcune terre vegetali, poi terre lavorate, mandre di vacche, e
di altri bestiami, benchè il terreno in generale fosse ancora arenoso.
Dopo sette ore di cammino la carovana si riposò a poca distanza da un
eremitaggio, ove si venera un santo detto _Scheik Zonaïl_. Vi si trova
dell'acqua, ed all'interno alcuni _Dovar_, e piantagioni di palme.
Alcuni abitanti ci vennero all'incontro per venderci delle angurie.
Alle undici ore e mezzo riprendemmo il cammino, e lasciando la strada
maestra, attraversammo molte colline al S. E., il di cui suolo era a
vicenda formato di terre vegetali e seminate, e di vasti tratti arenosi.
Alle cinque della sera arrivammo a Khanjounes, borgata cinta di mura, e
di giardini, in bella situazione, poco distante dal mare, e la prima
popolazione della Siria da questa banda.

_Martedì 14._
La carovana partita alle quattr'ore del mattino prendendo la direzione
di N. E. in mezzo a terre parte sterili, e parte coltivate, attraversò
alle sette ore il torrente _el-Wadi-Gaza_ che non aveva acque; ad un'ora
dopo entrò in Gaza, avendo così felicemente terminato il viaggio del
deserto.
_Gaza_ è una mediocre città vantaggiosamente fabbricata sopra un'altura,
e circondata da molti giardini. Vi si contano presso a poco cinque mila
abitanti. Le strade sono angustissime e le case quasi senza finestre. Il
paese abbonda di pietre calcaree, o marmi grossolani di un bel bianco,
che servono agli edificj di _Gaza_. I mercati sono assai ben provveduti
di commestibili a discretissimi prezzi, il pane comune è piuttosto
cattivo, ma se ne trova di buonissimo, ed eccellenti sono le carni, i
pollami, gli erbaggi, i legumi e l'acqua. Vi sono molti cavalli, ma
sembraronmi di cattiva razza, all'opposto dei muli che sono assai belli.
La popolazione di _Gaza_ è formata di una mescolanza di Arabi e di
Turchi; e perchè posta sulle frontiere del deserto, gli Arabi sono di
tutte le nazioni, delle Arabie, dell'Egitto, della Siria, dei Fellahs,
dei Bedovini, ec., e tutti conservano le proprie costumanze degli abiti
e di tutt'altro. In _Gaza_ non ho quasi veduta alcuna donna, perchè sono
più riservate che nell'Egitto e nell'Arabia: a fronte di ciò il mal
venereo è un mal comune in questo paese, e molti mi chiesero s'io avessi
qualche rimedio per questa crudele malattia.
La città è governata da un Agà Turco, la di cui autorità stendesi anche
sul territorio sotto gli ordini dell'Agà di Jaffa; esso pure dipendente
dal Pascià di s. Giovanni d'Acri.
Il governatore di quel tempo era _Moustafà Agà_, uomo di buon carattere,
da cui ricevetti mille cortesie. Il clima di _Gaza_ è caldo in modo che
il termometro all'ombra d'ordinario segnava 37 gradi di _Reaumur_.
_Gaza_ è distante mezza lega dal mare, una giornata e mezza da Jaffa, e
due assai lunghe da Gerusalemme.
Io soggiornai qualche tempo a _Gaza_ per terminare la guarigione della
mia ferita ch'era omai chiusa il giorno 19 di luglio, quando partito a
cinque ore e mezzo del mattino senza carovana, dopo mille ravvolgimenti
in mezzo a giardini ed alle piantagioni d'ulivi, mi trovai ad un'ora e
mezzo in aperta campagna nella direzione di E. N. E. Poichè ebbi fatto
colazione alle otto in un villaggio posto al di là d'un piccolo ponte,
continuando il viaggio a N. E., mi fermai ad un'ora e mezzo nel
villaggio di Zedond.
Tutti i villaggi di questa contrada sono situati sopra alture; hanno le
case assai basse, coperte di stoppia, e circondate da piantagioni di
ulivi e da bei giardini. Quanto parevami nuova questa maniera di
viaggiare! Avvezzo com'io era da lungo tempo ad attraversare i deserti
con numerose carovane, provai questo giorno le più grate sensazioni non
avendo meco che tre domestici, uno schiavo, tre cammelli, due muli, il
mio cavallo, ed un soldato turco di scorta; mi trovavo alla fine in
terreni coltivati, incontrava di tratto in tratto villaggi e casali
abitati; il mio sguardo poteva sempre fermarsi con piacere sopra variate
piantagioni; e di quando in quando incontrava degli uomini che
viaggiavano a piedi o a cavallo, e quasi tutti vestiti, talchè parevami
d'essere in Europa. Ma gran Dio! qual pensiero veniva a mischiare la sua
amarezza a così dolci sensazioni! Lo confesserò poichè l'ho provata:
entrando in questo paese, circoscritto da proprietà individuali, _il
cuore dell'uomo s'impiccolisce e resta compresso_. Io non posso volgere
gli occhi, non posso fare un passo senz'essere subito fermato da una
siepe che sembra dirmi; _Alto là, non oltrepassare questo limite_; la
mia anima si abbassa, mi si rilasciano le fibre, m'abbandono mollemente
al movimento del cavallo, più in me non sentendo quello stesso _Ali
Bey_, quell'Arabo che pieno d'energia e di fuoco slanciavasi in mezzo ai
deserti dell'Affrica e dell'Arabia, come l'ardito navigante che si
abbandona alle onde d'un mar tempestoso, colla fibra sempre tesa, e
collo spirito preparato ad ogni avvenimento. Non è a dubitarsi che la
maggior felicità dell'uomo non sia quella di vivere sotto un governo ben
organizzato, che col prudente uso della forza pubblica, assicura ad ogni
individuo il pacifico godimento della sua proprietà: ma sembrami altresì
che quanto si guadagna in sicurezza ed in tranquillità, si perda in
energia.
Il suolo attraversato questo giorno è composto di colline ondeggiate,
coperte di ulivi, e di piantagioni di tabacco, che allora fioriva.

_Lunedì 20._
Partii ad un'ora e mezzo del mattino prendendo la direzione di N. N. E.,
poi di N. E., e non molto dopo incontrai una carovana con carico di
sapone e di tabacco che andava da _Nablous_ al Cairo.
Attraversando il villaggio di _Iebui_ vidi molte donne col volto
scoperto, e tra queste alcune assai belle. Chiesi se erano cristiane, e
mi fu risposto essere musulmane, e che le _Fellahis_, ossia paesane del
contorno, non usavano di coprirsi il volto. Quale corruzione di costumi!
Di qui m'internai tra montagne coperte di boschi, ove mi trattenni
alquanto per far colazione; indi ripiegando a N. O. entrai alle dieci
ore in Jaffa.
Tutto il paese ch'io vidi della Palestina e _terra promessa_ da
Khanyounes fino a Jaffa è formato di belle colline rotonde ed
ondeggiate, coperte di un terreno grasso somigliante alla belletta del
Nilo, ridente della più rigogliosa vegetazione. Ma non vidi un solo
fiume in tutto il distretto, una sola fontana. Secchi erano i torrenti
che attraversai, ed il paese non ha altra acqua per bevere e per
innaffiare la terra che quella delle pioggie e dei pozzi, che per altro
è molto buona. Tale è la cagione delle frequenti carestie ricordate
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