Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3 - 06

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[Illustrazione: LUOGO SACRO NOMINATO SAFFA COMPOSTO DI TRE
ARCHI ALLA MECCA.]
Avanti la preghiera del mezzogiorno andammo a gettare sette pietre
lavate nell'acqua contro un pilastro fatto di pietre e di calce, alto
sei piedi, largo quasi due piedi quadrati, posto in mezzo alla strada di
Mina, e creduto opera del _diavolo_: ne ho gettate altre sette contro un
altro pilastro simile, innalzato dallo stesso architetto, lontano
quaranta piedi dal primo: e le ultime sette furono gettate contro la
casa di cui si è parlato poc'anzi.
[Illustrazione: LUOGO SACRO NOMINATO MEROUA COMPOSTO DI TRE
GRANDI MURAGLIE ALLA MECCA.]
Il venerdì 20 febbrajo, 12 del mese doulhaeja, e terzo della Pasqua,
dopo aver ripetuta la cerimonia delle sette pietre, tornai alla Mecca.
Appena entrato in città, passai al tempio ove feci di nuovo i sette giri
della casa di Dio, in appresso dopo la preghiera e dopo aver bevuta
l'acqua dello _Zemzem_, uscii dalla porta di _Saffa_ per terminare il
pellegrinaggio coi sette viaggi tra _Saffa_ e _Meroua_, come la notte
del mio arrivo.
Quest'atto solenne era in addietro accompagnato da altre pratiche di
stazione e di devozione, inventate da varj dottori, e da anime pie; ma i
_Wehhabiti_ soppressero tutte queste addizioni quali formole
superstiziose, e non lasciarono che la seguente appendice da me
osservata in tutta la sua estensione.
La domenica 22 febbrajo, quasi tutti i pellegrini vanno una lega lontano
dalla Mecca verso l'O. N. O., in un luogo ove trovasi una moschea che
cade in ruina, detta _el-Aàmar_. Si incominciò dal fare la preghiera,
poi si posero divotamente tre pietre l'una sopra l'altra a poco distanza
dalla moschea. Si passò in appresso nel luogo ove abitò l'infame
_Abou-gehel_ acerrimo nemico del nostro santo Profeta, dove animati da
un santo furore, lo caricammo di maledizioni, gettandoli contro sette
pietre. Ritornati in città si fecero di nuovo i sette giri alla casa di
Dio, ed i sette viaggi a _Saffa_ ed a _Meroua_, che chiusero la
cerimonia del pellegrinaggio per la nostra santificazione.
Vuole la tradizione che quest'appendice sia una giunta istituita da
_Ayescha_, la più cara sposa del nostro santo Profeta.
Darò adesso una concisa notizia degl'impiegati del tempio. L'Haram ha il
suo capo principale detto _Schéich-el Haram_, ed il pozzo _Zemzem_
egualmente il suo, chiamato _Scheih Zemzem_. La _Kaaba_ è servita da
quaranta eunuchi negri, che sono ad un tempo guardie e domestici della
casa di Dio. Portano per distintivo sopra il loro abito ordinario un
grande _caftan_, o camicia di tela bianca, stretta con una cintura, uno
spazioso turbante bianco, e per ordinario una canna od una mazzetta in
mano.
Il pozzo _Zemzem_ conta pure un considerabile numero d'impiegati, e di
portatori d'acqua, ai quali spetta inoltre l'amministrazione delle
stuoje che dispiegansi tutte le sere sul suolo della corte e della
galleria del tempio.
Un altro sterminato numero d'impiegati è formato dai fabbricatori di
lampadi, smoccolatori, serventi di _Makam Ibrahim_, serventi della
piccola fossa della _Kaaba_, serventi di cadaun luogo di preghiera dei
quattro riti, portieri, domestici delle torri, serventi di _Saffa_, di
_Meroua_ ec. Inoltre domestici che custodiscono i sandali dei pellegrini
a tutte le porte d'entrata del tempio, _mudden_, o gridatori pubblici,
_imani_ e _mudden_ particolari per tutti i quattro riti, il _Kadi_ ed i
suoi impiegati, i cantori del coro, i _monkis_, ossia osservatori del
sole per annunciare le ore della preghiera, l'amministratore ed i
serventi del _tobel-kaaba_, i conservatori dalla chiave della Kaaba, il
_mouft_, le guide ec. ec.; di modo che la metà degli abitanti della
Mecca possono ritenersi impiegati o servitori del tempio, non avendo
altro salario che il prodotto delle elemosine eventuali de' pellegrini.
Per questo motivo quando arriva un pellegrino tutti gli s'affollano
intorno, tutti sforzansi a gara di servirlo e di onorarlo voglia o non
voglia: essi prendono il più grande interesse all'eterna sua salute,
facendo ogni sforzo per fargli aprire le porte del cielo con preghiere e
pratiche mistiche secondo il rito del pellegrino.
Le numerose carovane che in addietro giugnevano da tutte le parti del
mondo ove si pratica l'islamismo, provvedevano colle larghe loro
elemosine ai bisogni di tutti; ma ora che il numero è minorato assai,
pochi pellegrini si trovano abbastanza ricchi per supplire alle spese,
cresciute a dismisura, perchè il numero degl'impiegati al tempio è
ancora il medesimo, ed appena bastano in elemosine e gratificazioni
mille cinquecento in duemila franchi. Perfino i più poveri pellegrini, e
quei medesimi che viaggiano mendicando, sono costretti di lasciarvi
qualche scudo.
Siccome queste elemosine sono individuali, ogni impiegato si appropria
quello che può in pubblico o in privato, ad eccezione degli eunuchi
negri, e degl'impiegati dello _Zemzem_, che formano due specie di
corporazioni. Vero è che malgrado questa specie di società, malgrado i
loro registri e le loro casse, ogni individuo di questi due corpi cerca
di scroccare in particolare tutto quello che può.
In altri tempi le carovane portavano dai loro paesi considerabili
elemosine per parte dei loro compatriotti; ora non si manda quasi nulla:
manifesto indizio di un deplorabile rilasciamento.
In altri tempi il Capo del paese concorreva alla sussistenza
degl'impiegati, ma oggi lo Sceriffo impoverito dalla rivoluzione dei
_Wehhabiti_, invece di far elemosine, prende per sè quanto può.
Il Sultano di Costantinopoli somministra gli eunuchi negri per guardie e
domestici della _Kaaba_, e per gl'impieghi de' cantori e dei _mudden_.
I pellegrini avevano altra volta varie altre stazioni da fare, che pure
fruttavano agl'impiegati maggiori elemosine, ma i _Wehhabiti_ hanno
tutto distrutto, e privati i pellegrini del maggior merito che
acquistavano visitando que' santi luoghi, fra i quali la cappella di
_Setaa Fatima_ figlia del Profeta, di _Sidi Mahmud_, la casa
d'_Aboutaleb_ ec.


CAPITOLO XXXV.
_Descrizione della Mecca. — Sua posizione geografica. —
Edificj. — Mercati pubblici. — Viveri. — Arti e Scienze —
Commercio. — Povertà. — Decadenza._

La santa città della Mecca, capitale dell'_Hedjaz_, o dell'Arabia
deserta degli antichi geografi, è il centro della religione Musulmana, a
cagione del tempio che _Abramo_ v'innalzò all'essere Supremo, oggetto
dell'attenzione di tutti i fedeli credenti.
Un gran numero di osservazioni mi diedero la latitudine della Mecca al
21° 28′ 9″ N., e la longitudine 57° 54′ 45″ E. dell'osservatorio di
Parigi. L'osservazione di molti _azimut_ dà per la declinazione
magnetica 9° 43′ 52″ O.
Trovasi alla Mecca un dignitario col titolo di _Monjim Bascki_, o capo
degli Astronomi; ma non ha verun astronomo sotto di lui, ed egli stesso
ignora perfettamente la posizione geografica della città, non avendo la
più leggiera tintura di astronomia, riguardata da lui e da tutti gli
abitanti siccome l'arte di far pronostici: pure vi è molto stimato.
La città della Mecca, in arabo _Mekka_, è posta in una valle, la di cui
compensata larghezza è di circa centocinquanta tese sopra una linea
tortuosa che va da N. E. a S. O. tra basse montagne: e per conseguenza
secondando le sinuosità della valle ha una forma affatto irregolare, e
le case fabbricate sul piano della valle, ed ancora sopra una parte del
pendio delle montagne da ambo i lati, ne accrescono l'irregolarità. Si
può avere un'idea di questa città figurandosi un ammasso di molte case
aggruppate al N. del tempio, che prolungansi in forma di luna crescente
dal N. E. al S. O. per il S. La città si sviluppa sopra una linea di
novecento tese di lunghezza all'incirca, e di dugento sessanta sei di
larghezza nel centro dall'E. all'O.
Le principali strade sono bastantemente regolari, e potrebbero quasi
dirsi belle per le eleganti facciate delle case: sono coperte d'arena,
ed assai comode. Avvezzo com'io era alle città dell'Affrica fui
graziosamente sorpreso dalla vaghezza degli edificj della Mecca.
Io suppongo che la loro forma si avvicini al gusto indiano o persiano,
che si era introdotto durante la residenza del Califfato a Bagdad. Le
case hanno due ordini di finestre, come in Cipro, con molte griglie; ma
vi si vedono altresì grandi finestre aperte come in Europa. Le più però
sono coperte da una specie di persiana leggerissima di palma che difende
dal sole senza togliere il passaggio dell'aria, piegandosi a piacere
nella loro più alta parte, come le persiane usate in Europa.
Tutte le case solidamente costrutte di pietra, hanno tre o quattro
piani, ed anche più, con facciate ornate di modonatura, zoccoli e
pitture, lo che dà loro un grazioso aspetto. Difficilmente trovansi
porte senza gli ornamenti e modonature con iscaglioni e banche ai due
lati.
I tetti sono piani in forma di terrazza, e circondati d'un muro alto
circa sette piedi; il quale muro è di tratto in tratto interrotto da un
andamento di fori fatto con mattoni bianchi e rossi posti
orizzontalmente e simmetricamente a secco onde lasciar passare l'aria,
di modo che contribuiscono ad un tempo all'ornamento della facciata, ed
a celare le donne che trovansi sulla terrazza.
Tutte le scale ch'io vidi sono strette, oscure, e con scalini troppo
alti. Le camere sono ben proporzionate in larghezza, lunghezza ed
altezza. Oltre le grandi hanno pure un secondo ordine di piccole
finestre, e come in Alessandria una tavoletta all'intorno che serve per
riporvi diversi oggetti.
La bellezza delle case prova l'antico splendore della Mecca, che gli
abitanti procurano di conservare appariscenti, per allettare i
pellegrini, formando gli affitti delle case la miglior parte delle loro
entrate. Non sonovi in questa città formali mercati, non permettendolo
l'irregolarità del terreno, e la ristrettezza dello spazio; perciò
tengonsi lungo le strade principali, e può dirsi che la grande strada
centrale sia un continuo mercato da cima a fondo della città. I
venditori stanno entro le loro baracche formate di bastoni e di stuoje,
ed alcuni non hanno che un grande parasole sostenuto da tre bastoni che
si riuniscono al centro. I mercati abbondano di commestibili, e d'ogni
sorte di oggetti grossolani; e la gente vi è sempre affollata,
specialmente nell'epoca del pellegrinaggio. Vi sono allora vivandieri
ambulanti, pasticcieri, calzolaj, sarti, e simili.
Quantunque abbondanti i viveri, ad eccezione delle carni, sono cari: un
grosso castrato si paga circa sette franchi; i polli scarseggiano, e
perciò anche le ova; e non v'è selvaggiume d'alcuna sorte. La farina
viene dal basso Egitto, i legumi ed il riso dall'India, gli erbaggi da
Taïf, di dove viene ancora formento e farina in poca quantità, e di
qualità inferiore a quella d'Egitto. Il butirro che si conserva negli
otri e ne' vasi è assai comune; ma dal calore reso liquido come l'olio.
Il prezzo delle derrate varia assaissimo a cagione della mancanza di
sicurezza del commercio: eccone i prezzi che vi si facevano in tempo del
mio soggiorno nel 1807.
Piastre Turche
Un oka di butirro num. 5
Un pollo 4
Sei ova 1
Un carico di Cammello d'acqua dolce 2
Un oka d'olio 4
Parà
Un oka di pane num. 12
Un otre d'acqua di pozzo 15
Un oka di legna da fuoco 3
Un oka di carbone 20
I pesi e le misure sono le medesime che si usano in Egitto, ma così
inesatte, che sarebbe inutile di cercarne la regola. Le monete correnti
sono pure quelle dell'Egitto. La piastra spagnuola vale in commercio
cinque piastre turche di cinquanta parà cadauna; ma a cambio non ne vale
che quattro e mezzo. Vedonsi circolare alla Mecca le monete di tutti i
paesi; onde trovansi cambiatori col loro banco ne' pubblici mercati
sempre occupati con una piccola bilancia a pesare e cambiare valute. Le
loro operazioni eseguisconsi per dir vero assai all'ingrosso, ma può
facilmente credersi che i loro errori non siano giammai a proprio danno.
Trovansi pure ne' mercati tutti i prodotti naturali ed artificiali
dell'India, e della Persia. Eravi presso alla casa in cui io alloggiavo
una fila di botteghe esclusivamente destinate alla vendita delle cose
aromatiche, delle quali io ne presi il catalogo e le descrizioni[9].
[9] _È veramente cosa dispiacevole che questo curioso catalogo
sia andato perduto._ (N. dell'Edit.)
Alla Mecca, siccome in tutta l'Arabia, non si fa pane propriamente
detto, ossia ciò che comunemente s'intende sotto questo nome: bensì si
fabbrica con farina diluita nell'acqua senza lievito, e talvolta con
pochissimo lievito, una piccola quantità di focaccie, di tre o quattro
linee di spessezza, e di otto o nove pollici di diametro. Vendonsi tali
focaccie mal cotte, e molli come pasta; e queste sono chiamate pane,
_hhops_.
L'acqua dolce che viene continuamente portata dalle vicine montagne di
Mina sopra cammelli è assai buona; ma l'acqua de' pozzi come anco quella
dello _Zemzem_, quantunque bevibile, è alquanto salmastra: pure il basso
popolo non beve che di questa.
Ho esaminati con particolare attenzione alcuni pozzi, e li conobbi tutti
della medesima profondità, e tutti contenenti un'acqua perfettamente
eguale. Nelle strade più vicine al tempio vi sono pozzi, e non ne
mancano pure nelle parti più rimote della città. Io ho potuto
persuadermi mercè di un attento esame intorno alla profondità, qualità,
temperatura e gusto dell'acqua, che essa deriva da una sola fonte, il di
cui livello è a cinquantacinque piedi sotto al suolo, ed il di cui
ammasso si forma col filtramento delle acque piovane.
Il suo gusto salmastro non può attribuirsi che alla decomposizione della
selenite mista colla terra.
La carne che si mangia alla Mecca non è della miglior qualità; i montoni
sono assai grandi ma tutti magri. Non si sa quasi cosa sia pesce benchè
il mare trovisi a sole dodici leghe di distanza. Gli erbaggi che vi si
portano da Taif e da altri luoghi vicini principalmente da _Santa
Fatima_, sono cipolle, cocomeri, pastinache, cetriuoli, capperi, ed una
specie d'insalata con foglie somiglianti alle gramignacee; la quale
pianta ch'io non ho potuto vedere intera, vien detta _corrat_.
Nel tempo ch'io dimorai alla Mecca non vidi altri fiori, fuorchè uno
andando ad Aàrafat. Aveva ordinato ad uno de' miei domestici di
portarmele colla pianta, ma ne fu impedito da molti pellegrini, i quali
gli rimostrarono essere peccato lo svellere, o troncare una pianta nel
pellegrinaggio d'Aàrafat: e quindi io dovetti rinunciare al solo fiore,
che scontrai in quel viaggio. Fannosi alla Mecca diverse bevande con uve
secche, zucchero, mele, ed altre frutta. L'aceto non val nulla, e si fa,
per quanto mi fu detto, coll'uva secca.
Non credo che in verun'altra città musulmana si trascurino le arti come
alla Mecca, dove non si troverebbe un uomo capace di fare una serratura,
o una chiave. Le porte vengono chiuse con grossolane chiavi di legno, le
casse ed i bauli con serrature europee. Non mi fu quindi possibile di
sostituire altre chiavi a quelle rubatemi a Mina. Le pantoffole, e le
pappuzze vengono da Costantinopoli e dall'Egitto, perchè alla Mecca non
si sanno fabbricare che sandali e scarpe cattivissime. Altra volta
eranvi alcuni incisori in pietra, che ora sono affatto mancati, e più
non si troverebbe un uomo capace d'incidere ragionevolmente una
iscrizione.
Parrebbe che in un paese, non alieno dalle armi, dovrebbero almeno
trovarsi alcuni mediocri armajuoli, pure si cercherebbe invano chi
sapesse rifare il più piccolo pezzo di un fucile europeo. Codesti
armajuoli non sanno fare che rozzi fucili a miccia, coltelli curvi e
lancie o alabarde all'uso del paese. In qualunque luogo essi trovinsi,
la loro officina è subito allestita; riducendosi a fare un buco in terra
che serve di fucina, una o due pelli di capra che un operajo agita
innanzi alla fucina, e tengono luogo di mantice, due o tre stuoje di
foglie di palma, e quattro bastoni formano le pareti ed il tetto.
Non si manca di chi sappia ripulire il vassellame di rame, che peraltro
viene dall'estero; e sonovi fabbricatori di alcune specie di vasi di
latta, di cui valgonsi i pellegrini per trasportare l'acqua miracolosa
del pozzo _Zemzem_. Vi trovai pure uno sgraziato incisore in rame.
Nè le scienze vi sono meglio coltivate delle arti: tutto il sapere degli
abitanti si ristringe al leggere il Corano, a scrivere assai male, ad
imparare fino dalla fanciullezza le preghiere e le cerimonie del santo
pellegrinaggio alla casa di Dio, a _Saffa_, ed a _Meroua_, onde poter di
buon'ora guadagnar denaro, facendo la guida ai pellegrini; sicchè si
vedono fanciulli di sei in sett'anni portati in ispalla dai pellegrini,
farne le funzioni. I pellegrini vanno replicando le parole, che questi
recitano con acutissima voce, mentre dirigono il cammino dei pellegrini,
e le cerimonie alle diverse stazioni.
Io desiderava di far acquisto di un Corano scritto alla Mecca; ma
difficilmente se ne trovano, ed anche trovandone, sono così orribilmente
scritti, e scorretti, che non possono valere ad alcun uso.
La Mecca non ha scuole regolari fuorchè di leggere e scrivere. Alcuni
_Talbi_ o dottori, per capriccio, per vanità, o per allettamento di
guadagno, vanno a sedersi sotto i portici o gallerie dell'_Haram_, ove
incominciano a leggere ad alta voce per chiamare gli uditori, che
d'ordinario vanno gli uni dopo gli altri a porsi in cerchio intorno al
precettore. Questo, come può meglio, spiega, legge, o predica; e se ne
va e ritorna come gli aggrada. Tali sono i mezzi d'istruzione che
trovansi nella santa città. Tutte le sere due o tre di cotal fatta di
dottori recansi nelle gallerie del tempio, ma io non vidi che alcun di
loro avesse giammai più di una dozzina d'ascoltanti.
Da ciò risulta che i Mecchesi sono ignorantissimi; al che contribuisce
pure assai la posizione geografica della città. La Mecca posta nel
centro di un deserto, non venne, come Palmira, dal commercio
dell'oriente cogli occidentali portata a quell'alto grado di splendore
di cui ci fanno testimonio le sue ruine, e che forse sarebbe anche di
presente una ricchissima città se non si fosse scoperto il Capo di Buona
Speranza. La Mecca trovasi lontana da ogni passaggio, nel centro
dell'Arabia, circondata a levante dal golfo Persico, dal Mar Rosso
all'occidente, dall'Oceano a mezzo giorno, e dal Mediterraneo dalla
banda del nord: però il centro di questa penisola non può essere un
centro di comunicazione coi paesi circonvicini, cui si può andare per
mare. I suoi porti possono tutt'al più servire di scala ai bastimenti
commercianti di Djedda e di Moca sul Mar Rosso, ed a quelli di Muscate
presso all'imboccatura del golfo Persico. La Mecca non è dunque per la
sua posizione destinata ad essere piazza di commercio; nè i suoi
abitanti in mezzo ad un arido deserto possono occuparsi nè
all'agricoltura, nè alla pastorizia. Quai mezzi rimangono però ai
Mecchesi per sussistere? la forza delle armi per costringere gli altri
popoli a dargli parte dei loro prodotti, o l'entusiasmo religioso per
chiamare gli stranieri a portare il denaro nella loro città. Ai tempi
de' Califfi questi due mezzi avevano procurate alla Mecca immense
ricchezze, ma prima e dopo quest'epoca gloriosa non ebbe altro modo di
provvedere alla sua sussistenza, che quello dell'entusiasmo religioso,
che sgraziatamente va scemando di giorno in giorno, e rende affatto
precaria la esistenza di questa città.
La Mecca fu sempre il centro dell'entusiasmo religioso di diversi
popoli. L'origine dei pellegrinaggi, e la primitiva fondazione del suo
tempio perdonsi nell'oscurità de' secoli, poichè sembrano anteriori ai
tempi storici. Il profeta atterrò gl'idoli che profanavano la casa di
Dio; il Corano approvò il pellegrinaggio, ed in tal maniera la divozione
degli altri popoli fu in ogni tempo la base della sussistenza dei
Mecchesi. Ma perchè questa sorgente non basta ai bisogni di tutti gli
abitanti, la Mecca era assai povera avanti la venuta del Profeta, e dopo
una breve epoca di gloria e di ricchezze acquistate colle armi, ricadde
in quella povertà cui sembra condannata dalla sua posizione. Come si può
dunque sperare che vi fioriscano le arti e le lettere? Lontana da tutte
le comunicazioni commerciali, ignora tutto quanto accade nel mondo, le
scoperte, le rivoluzioni, le azioni tutte dagli altri uomini; e la Mecca
rimarrà costantemente nella più profonda ignoranza malgrado l'affluenza
degli stranieri, che non vi rimangono che il tempo necessario
assolutamente al soddisfacimento de' sacri doveri del pellegrinaggio,
per alcuni affari commerciali, e per preparare quanto abbisogna per
tornare ai loro paesi.
La Mecca è di sua natura così povera che senza la casa di Dio
troverebbesi deserta nello spazio di due anni, o ridotta piccola
borgata, poichè i suoi abitanti non hanno, generalmente parlando, altro
mezzo di sussistenza nell'andante anno, che quanto possono raccogliere
nell'epoca del pellegrinaggio. In tale circostanza la città prende
un'apparenza di vita, il commercio si anima, e la metà degli abitanti si
trasmuta in albergatori, in mercadanti, in facchini, in domestici, ec.;
mentre l'altra metà interamente attaccata ai servigi del tempio, vive
colle limosine, e coi regali de' pellegrini. Tali sono i mezzi di
sussistenza dei Mecchesi; esistenza deplorabile che impresse sulle loro
figure l'immagine dell'alta miseria che li circonda.
L'arabo è naturalmente magro; ma i Mecchesi, e più d'ogni altro
gl'impiegati del tempio sono vere mummie ambulanti ricoperte di una
pelle attaccata alle ossa. Confesso che rimasi stupefatto quando li vidi
la prima volta. Sarò forse imputato d'esagerazione, ma protesto che non
ho minimamente alterata la verità, e soggiungo essere impossibile
formarsi, senza averli veduti, un'adequata idea d'una unione di uomini
tanto magri e tanto scarnati quanto gl'impiegati d'ogni ordine, ed i
servitori del tempio, tranne il capo dello _Zemzem_ che è il solo uomo
ben nutrito, oltre due o tre eunuchi negri meno magri degli altri.
Sembra impossibile che questi scheletri o piuttosto ombre, possano
sostenere le fatiche come fanno. Figurinsi due grandi occhi sepolti, un
naso affilato, guancie incavate fino alle ossa, braccia e gambe
veramente disseccate, le coste del petto, le vene, i nervi tutte le
parti secche così rilevate, che prenderebbonsi per modelli perfettissimi
d'anatomia: tale è il tristo aspetto di questi sciagurati, che l'occhio
mal può comportare così orrido spettacolo. Ma i piaceri, di cui
parteciperanno in cielo, non sono forse un largo compenso dei terreni
patimenti? Pure malgrado questa speranza è impossibile di trovare gente
più trista e melanconica dei Mecchesi. In tutto il tempo della mia
dimora non ascoltai un solo istrumento musicale, o il canto d'un solo
uomo: ho due o tre volte udito il canto di qualche femmina, e mi sono
preso cura di farne memoria. Immersi in una continua malinconia,
s'irritano all'istante per la più leggiera contrarietà. I pochissimi
schiavi dei Mecchesi sono i più sventurati di quanti se ne trovino in
tutti i paesi musulmani. Ho udito stando in casa un abitante battere uno
schiavo per un quarto d'ora non con altro intervallo che quello che gli
era necessario per riprendere maggior forza.
Dopo ciò non sarà meraviglia che la popolazione della Mecca vada
sensibilmente diminuendo. Questa città che altra volta ebbe centomila
abitanti non ne conta oggi più di sedici in diciotto mila. Sonovi
esteriormente delle contrade affatto abbandonate che cadono in ruina:
due terzi delle case della città sono vuote, e le abitate si vanno
internamente guastando malgrado la loro solidità, perchè i proprietarj
non si prendono cura che delle facciate per allettare i pellegrini; ed
intorno a queste ancora non facendosi importanti riparazioni, non
tarderanno a cadere. Una sola casa io ho veduto rifarsi di nuovo, ma con
una estrema lentezza: e per poco che duri un tale stato di cose, la
città in un secolo si vedrà ridotta alla decima parte di quello che è
presentemente.


CAPITOLO XXXVI.
_Donne. — Fanciulli. — Lingua. — Costumi. — Armi. — Siccità. —
Matrimonj, nascite, e funerali. — Clima. — Medicina. — Balsamo
della Mecca. — Incisioni sul volto._

Le donne hanno più libertà alla Mecca, che in tutt'altra città
musulmana. Forse nell'epoca del suo splendore l'immensa affluenza degli
stranieri contribuì a pervertirle, e l'abituale miseria e tristezza
degli abitanti fu cagione che rimasero quasi affatto abbandonate a se
medesime. Certo è per lo meno che l'opulenza e la povertà sono due
estremi ugualmente contrarj alla conservazione de' costumi. Qui le
donne, come in Egitto, copronsi il viso con un pezzo di tela nella quale
sono due fori corrispondenti agli occhi, e questi d'ordinario abbastanza
grandi per lasciar discoperto metà del volto; e senza ciò la maggior
parte non si cura altrimenti di coprirlo. Tutte le donne portano una
specie di mantello, o gran drappo di tela sottile a strisce bianche e
turchine, in lungo ed in largo come in Alessandria, che loro dà molta
grazia; ma quando loro vedesi il viso, si dilegua ben tosto
ogn'illusione, essendo generalmente brutte, e del color giallognolo che
hanno gli uomini. Il loro volto e le mani affatto imbrattate di nero, di
turchino, o di giallo, offrono uno schifoso aspetto, che forse
l'abitudine farà avere in conto di bellezza. Ne vidi taluna che aveva un
anello passato a traverso della cartilagine del naso, e pendente sulle
labbra superiori.
Esse sono assai libere, per non dirle sfrontate, ove si abbia riguardo
alla riservatezza musulmana. Vidi continuamente le donne delle case
vicine al mio alloggio stare frequentemente alla finestra, ed alcune
affatto scoperte. Una che abitava il piano superiore della mia casa, mi
faceva infinite pulitezze e complimenti a viso scoperto, qualunque volta
io saliva sulla terrazza per fare qualche osservazione astronomica; lo
che mi fece sospettare che le donne potessero essere un ramo di
speculazione pei poveri Mecchesi. Tutte quelle ch'io vidi erano assai
graziose, ed avevano occhi assai belli, ma le loro guance prominenti, e
l'abitudine di tingersi di colore verdognolo, le rende disaggradevoli, e
le fa parere oppilate. Del resto parlano bene, e si esprimono con
grazia, hanno il naso regolare, ma la bocca grande. S'imprimono sulla
pelle indelebili segni, e si tingono il contorno degli occhi in nero, i
denti in giallo, le labbra, le mani, i piedi in rosso di mattone, come
fanno gli Egiziani, e colle stesse materie.
Il loro abito consiste in un pajo di pantaloni immensi che entrano nelle
pantoffole o stivaletti gialli: quelli delle povere sono di tela di
canape turchina, e quelli delle ricche di tela screziata dell'India.
Hanno inoltre una camicia della più stravagante forma e grandezza.
Figurisi un pezzo di tela larga sei piedi, e lunga cinque; questa è la
metà della camicia, un altro simile quadrato forma l'altra metà:
unisconsi questi due pezzi nella parte superiore, lasciando nel mezzo
un'apertura per passarvi il capo; ai due angoli inferiori vien tolta una
sezione di cerchio di circa sette pollici, e con tale operazione ciò che
forma l'angolo anteriore diventa una curva rientrante, si cuciscono
soltanto le due curve, e la camicia rimane aperta in tutta la parte
inferiore ed ai due lati dall'alto al basso. Le camicie delle signore
sono d'un leggiero tessuto di seta finissima di color violetto liscio o
screziato, che si fabbrica in Egitto. Per vestire tali camicie ripiegano
sulle spalle la stoffa sovrabbondante della eccedente larghezza, e le
ristringono al corpo con una cintura. Al disopra di questa camicia le
ricche portano un _caftan_ di tela d'India. Non ho mai veduto loro in
capo altro ornamento fuorchè un fazzoletto, ma esse portano cerchietti,
anelli, braccialetti come le musulmane degli altri paesi alle mani, alle
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