Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3 - 02

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alcune trattative col capitano Pascià, e colla corte di Costantinopoli,
ottennero nuovi firmani in favore di _Mehemed Alì_. Il capitano Pascià e
_Mussa_ Pascià ritiraronsi senza aver fatto nulla il 18 ottobre 1806; ed
_Elfi_ Bey rimase solo ed abbandonato nel deserto. Fu questi senza
dubbio un fatal colpo per gl'Inglesi, che perdettero i frutti di tanti
sacrificj, ed i vantaggi che loro assicurava l'esclusivo commercio
dell'Egitto. Ciò è quanto mi fu raccontato, ma io non guarentisco che la
verità di ciò che ho veduto io stesso, e quantunque il capitano Pascià e
_Mussa_ Pascià mi dassero non equivoche testimonianze di considerazione
e di amicizia, portato dai mio carattere più alla contemplazione dalla
natura che agl'intrighi degli uomini, mi tenni sempre lontano da simili
affari.
Rimasi diciannove giorni accampato fuori d'Alessandria con tutta la mia
gente, nel qual tempo raccolsi molte piante marine, e disegnai la veduta
d'Alessandria. Avanti di partire da Alessandria il capitan Pascià ebbe
la delicatezza di presentarmi, senz'averla richiesta, una lettera
commendatizia per _Mehemed Alì_, un'altra per il Pascià di Damasco, ed
un firmano pel Sultano Scheriffo della Mecca.


CAPITOLO XXX.
_Tragitto a Rosetta. — Bocche del Nilo. — Rosetta. — Viaggio al
Cairo pel Nilo._

Dopo il soggiorno di cinque mesi e mezzo in Alessandria, ripresi il mio
pellegrinaggio il giovedì 30 ottobre 1806, e m'imbarcai sopra un
_dierme_ accompagnato da alcuni de' principali Scheih della città, che
vollero seguirmi per due ore di navigazione. Il dierme è un bastimento
scoperto a vele latine o triangolari. Quello che m'aveva ricevuto a
bordo era de' più grandi, ed a tre alberi, con una gran vela ad ogni
albero. La lenta manovra di queste navi le espone a frequenti pericoli;
e non passa anno senza qualche naufragio al pericoloso passaggio delle
_barre_ del Nilo. Non potendo per cagione del vento assai fiacco
giugnere avanti sera alle bocche del Nilo, si diede fondo nella rada
d'Aboukir alle quattro della sera.
Il 31, alle sette ore e mezzo arrivammo alla _barra_ del Nilo, la quale
è posta quattro miglia all'incirca entro al mare. D'ordinario l'onda è
assai gagliarda per l'urto delle acque del mare con quelle del Nilo; e
perchè i passaggi praticabili cambiano continuamente di luogo, vi sta
continuamente un battello per indicarli alle navi. Malgrado questa
precauzione, essendo la _barra_ assai larga, in tempo che il Nilo è
povero d'acque non avvi legno per piccolo ch'egli sia, la di cui chiglia
non tocchi più volte la sabbia; ciò che stanca assai gli equipaggi, e li
espone a perdersi. Quand'io passai, essendo il Nilo gonfio ed il mare
tranquillo, si attraversò la _barra_ senza quasi avvedersene.
Mancato affatto il vento si gettò l'ancora sul Nilo poco più addentro
della barra. Come è bella la vista di questo mare d'acqua dolce! la
bocca del Nilo era ancor lontana più di una lega, e pure bevevamo le
acque del Nilo perfettamente dolci, che rispingono quelle del mare assai
al di là della _barra_. Alle nove ore e mezzo un vento favorevole ci
portò in mezz'ora alla bocca del Nilo... Quale sorprendente spettacolo!
Un maestoso fiume le di cui acque s'avanzano lentamente fra sponde
coperte di alberi d'ogni specie, da vasti campi di riso che mietevasi
allora, da una infinita varietà di piante aromatiche, da casali, da
capanne, da case qua e là sparse, da vacche, da montoni, e da diverse
specie d'uccelli che facevano risuonar la campagna co' loro canti,
mentre copriva il Nilo un infinito numero di oche, d'anatre e d'altri
uccelli acquatici, tra i quali si distinguevano alcune truppe di cigni,
che sembravano aver signoria sugli altri. Ah perchè mai la Dea d'Amore
non scelse per suo soggiorno le rive della foce del Nilo?
Lasciando a sinistra il forte Giuliano, e a destra _l'isola Verde_, che
deve la sua origine ad un _dierme_ naufragato, sul quale la sabbia e la
melma ammonticchiandosi ne fecero poco a poco una vasta isola ora
coperta di case e di giardini.
In una sinuosità del fiume prendendo il vento da prua, tutti gli
equipaggi del nostro, e di altri tredici _dierme_ che ci accompagnavano,
saltarono a terra, rimurchiando il proprio bastimento colle corde,
finchè in un giro prendendo vento in poppa, furono rimesse le vele, e si
giunse in sul mezzogiorno a Rosetta. Sbarcato all'istante andai ad
alloggiare nella casa che un arabo mio amico mi aveva preparata.
Rosetta posta sulla riva sinistra del Nilo è poco larga, ma lunga assai.
Le case sono fatte di mattoni come quelle della vicina campagna, ed
hanno quattro o cinque piani; lo che unitamente alle molte finestre ed
alle grandi e sontuose torri, la fa parere una bella città d'Europa. Se
poi vi si aggiunga la vicinanza d'un vasto fiume, ed al di là la
prospettiva del Delta, la bontà del clima, e l'eccellenza de' suoi
prodotti, è facile il giudicare quanto delizioso ne sarebbe il
soggiorno, se le benefiche disposizioni della natura non fossero
contrariate dagli uomini.
Rosetta è governata da un Agà arnauto detto _Alì_ Bey, che d'ordinario
tiene sotto i suoi ordini trecento soldati della sua nazione. Eravi
accidentalmente in questo tempo un altro _Alì_ Bey turco figliuolo d'un
antico Pascià; onde eravamo nello stesso tempo tre _Alì_ Bey a Rosetta.
In questa città fa la sua residenza un vescovo greco, ed adesso vi si
trovava pure l'arcivescovo del Monte Sinai che recavasi dal Cairo a
Costantinopoli, ov'era in pari tempo diretto anche il luogotenente
generale del Capitano Pascià detto _Kiùhia_.
Non uscii quel giorno di casa che per visitare il celebre sig. Rosetti
che mi fece una straordinaria accoglienza. La seguente domenica fu
piovosa, e s'udirono gagliardi tuoni.
Il lunedì 3 ottobre m'imbarcai alle due ore dopo mezzogiorno sopra un
_càncha_ per rimontare il fiume. Il càncha è una specie di bastimento
unicamente destinato alla navigazione del Nilo: rassomiglia ai _dierme_,
ma ha di più una camera assai comoda divisa in due parti che ne formano
una sola, ed un gabinetto circondati da belle finestre. Io vi occupai
solo le camere, ed il rimanente della nave i miei domestici, equipaggi,
e cavalli.
Alle due ore e mezzo si passò in faccia ad Abu Mandour, ed alle cinque
giugnemmo presso Berinhal, borgata posta sulla riva destra dopo aver
lasciato Lemir a sinistra.
Le frequenti sinuosità del Nilo obbligando gli equipaggi a rimurchiare
spesse volte il bastimento, sono cagione che si prendono assai numerosi:
il mio era di quattordici uomini. La sera si diede fondo tra i villaggi
di Entaube, e di Edfina.

_Martedì 4._
Si spiegarono le vele con leggier vento alle otto ore del mattino, e
dopo avere lungamente rimurchiata la nave, arrivammo a Fizzara villaggio
posto dirimpetto all'altro di Schemschera sulla riva destra, ove vidi
passare un feretro. Un uomo ben vestito, probabilmente l'iman, apriva il
convoglio seguito da dodici o quindici persone; teneva loro dietro il
morto portato sulle spalle da quattro uomini, e coperto da alcuni panni
di diversi colori, l'ultimo de' quali era rosso. Era seguito da cento
femmine all'incirca che mettevano altissime grida. Giunto il convoglio
al luogo della sepoltura le donne si ritirarono, e gli uomini rimasero
soli per seppellire il cadavere.
Ad ogni tratto incontravamo delle aje ove battevasi il riso; e le rive
erano tutte coperte di vacche e di bufali, che scendevano anche nel
fiume fino al collo, e talvolta ancora cacciavano la testa sott'acqua, e
ve la tenevano uno o due minuti.
Alle cinque ore e mezzo della sera passammo presso al villaggio di
Salmia, e tre ore dopo si gettò l'ancora fra la città di Rähmanieh posta
sulla riva sinistra, ed il villaggio di Dessouk situato sull'opposto
lato.
La vista di Rähmanieh, come quella delle altre città interne del basso
Egitto, è alquanto trista. Le case sono fabbricate sopra piccole alture
di terra nera, e fatte di mattoni mal cotti dello stesso colore, che non
venendo imbiancati, danno a queste città un aspetto lugubre. Notai un
quartiere della città tutto composto di colombaje fatte a guisa di pani
di zucchero, o di cupole paraboliche. Accanto alla città trovavansi
accampati circa mille Arnauti, che avevano molti battelli al lungo della
loro linea.

_Mercoledì 5._
Si rimase all'ancora fino alle dieci ore, quando si mise alla vela con
buon vento, che in breve tempo ci portò tra i villaggi di Morguese e di
Maïdmoun, indi a Mehalet Abouaali e Caffer-Machar, in faccia al quale
sulla opposta riva vedonsi molti gruppi di case nelle quali sonovi
moltissime colombaje eguali a quelle di Rähmanieh; perciocchè
scarseggiando in questi paesi le carni, vi si mangiano assai piccioni.
In questo luogo le rive sono prive di alberi.
A mezzodì passammo innanzi a Saaffia, poi Mahhaladiaya, indi a
Hheberhhil, Dameguiniddena, Schebberis, Saoun-el-Hajar, Nikleh, per
ultimo Addahharie allora occupato da' Mamelucchi: per cui ci siamo ben
guardati dall'avvicinarvici, tenendoci presso alla destra riva, ove
trovasi il casale di Schabour.
Alle otto della sera giunti al di là di Noffa, il bastimento diede in
secco sulla sponda destra; lo che ci forzò a passarvi la notte.

_Giovedì 6._
In sul far del giorno mi avvidi d'essere tra Nitmè e Caffer-el-Baga. Non
bastando l'equipaggio a metter la nave a galla si fecero venire alcuni
Arabi; ma si dovette restare a Caffer-el-Baga finchè durò un gagliardo
vento di levante. Approfittai di questo contrattempo per iscendere a
terra, ed osservarvi il passaggio del sole che mi diede per latitudine
settentrionale di questo villaggio 30° 47′ 55″.
Dopo tre ore di lentissima navigazione arrivammo alle quattro a Mischla,
ed un'ora dopo dovemmo gettar l'ancora per mancanza di vento.
Trovavansi colà ancorati due altri bastimenti, dai quali fummo informati
che gli Arabi della riva sinistra avevano alquanto più sopra preso un
bastimento, e che avevano due scialuppe armate.
Alle sei ore e tre quarti si fece vela con leggier vento, e passata
Zaïra, si diede fondo alle otto e mezzo a Tounoub.

_Venerdì 7._
Il tempo burrascoso non ci permise di partire avanti le due dopo
mezzogiorno. Dopo i villaggi di Komscherif, e di Tschan arrivammo alle
quattr'ore e mezzo in faccia a Zaouch. Singolarissima è la vista di
questo luogo. Figuriamoci un gruppo di cento cinquanta cupole
paraboliche alte diciotto in venti piedi, la di cui base può averne
dieci in undici di diametro, formate di terra e di mattoni neri, in
mezzo alle quali s'inalza una torre. Queste cupole sono abitate da
colombi, e la base dagli uomini; onde potrebbe dirsi essere questo un
villaggio di piccioni con pochi individui della razza umana.
Avvicinandosi la notte, i tre equipaggi si posero in armi per esser
pronti ad ogni avvenimento in caso che fossero attaccati dagli abitanti
della riva sinistra.
Alle sei ore e mezzo, lasciato Nadir sulla sponda destra entrammo
mezz'ora dopo nel canale di Menouf al S.O., abbandonando il tronco
principale del Nilo, sul quale potevamo trovarci esposti agl'insulti
degli Arabi della riva sinistra. Alle dieci ore si diede fondo nel
canale.

_Sabato 8._
Si spiegarono le vele alle sette ore e mezzo fra una densa nebbia,
dissipatasi la quale, trovai che il canale poteva in quel luogo avere
duecento cinquanta in trecento piedi di larghezza. Ritenuti dalla calma
non arrivammo a Menouf prima del mezzogiorno. Ad un'ora ci rimettemmo in
viaggio, e si dovette rimurchiare fino a notte.

_Domenica 9_.
Dopo essere rimasti all'ancora nel canale fino alle sette del mattino,
si fece vela con un leggier vento, ed alle nove eravamo presso a Quèleti
di dove incominciai a scoprire col cannocchiale le montagne del Cairo.
Vidi poco dopo sulla sponda diritta un villaggio con molte colombaje
formate di segmenti di sfere di terra cotta, il di cui lato convesso è
al di fuori, ed il concavo volto all'indentro serve di nido. Ogni sfera
può avere un piede di diametro, ed ogni colombaja è composta da molte
sfere ordinate in cupole paraboliche; una sola finestra serve
all'ingresso ed all'uscita de' colombi; ed il padrone vi entra per
un'apertura fatta nella base della cupola. Al di fuori sono assicurati
nel muro molti bastoncelli perchè possano appollajarvisi i piccioni.
Alle dieci ore e mezzo entrammo nel tronco sinistro del Nilo che scende
a Damiata. Il canale di Menouf riceve le acque del tronco destro del
Nilo, e le versa nel sinistro. Alle dieci e tre quarti ci ancorammo sul
braccio sinistro del Nilo, di dove vedevo perfettamente le due grandi
piramidi benchè distanti ancora dodici leghe.
Si mise alla vela alle undici ore e mezzo, e dopo sei ore e mezzo di
navigazione, durante la quale lasciammo a diritta ed a sinistra diversi
villaggi, demmo fondo felicemente a Boulak, che è il porto del Cairo
sulla riva destra.
La navigazione del Nilo da Rosetta al Cairo è altrettanto deliziosa,
quanto stucchevole per il lettore deve riuscire il nome di tanti
villaggi; ma avrei creduto di mancare all'esattezza del mio itinerario,
ommettendo di ricordarli.


CAPITOLO XXXI.
_Sbarco. — Stato politico del Cairo e dell'Egitto. — Le
piramidi. — Djizè. — Il Mikkias. — Il vecchio Cairo. —
Commercio._

Il giorno dopo diedi avviso del mio arrivo al mio amico scheih
_El-Medhluti_, che ne informò all'istante _Seid Omar el Makram_ primo
scheih del Cairo, il quale spedì i cammelli necessarj per lo sbarco del
mio equipaggio. _Scheih-el-Medluti_ venne ad incontrarmi con molte
persone, e mi condusse a casa sua ove mi aveva preparato un
appartamento.
Colà ricevetti le visite di _Seid Omar_, e di molti altri grandi del
Cairo. Ma fui altamente commosso alla vista di _Muley Selema_ fratello
dell'imperatore di Marocco. La sua figura, i suoi lineamenti, le sue
maniere mi rammentarono vivamente quelle del mio rispettabile amico il
Principe _Muley Abdsulem_: il mio cuore balzò di gioja, e gridai: _Muley
Selema!_... e di già eravamo nelle braccia l'uno dell'altro: lungo tempo
le nostre lagrime c'inumidirono le guancie. Sedemmo senza poter parlare.
Io ero informato delle sue sventure, egli non ignorava ciò che m'era
accaduto partendo dagli Stati di suo fratello; onde potevamo senza
preamboli entrare in discorso. _Selema_ si lasciò trasportare assai
contro il fratello Imperatore. Cercai di calmarlo, e gli rimproverai
amichevolmente alcuni suoi leggieri falli. Dopo un lungo trattenimento
alzandosi mi baciò la barba, dicendomi che le mie parole _erano più
dolci dello zuccaro_.
Poi ch'ebbi restituite le visite ai grandi scheih, andai con _Seid Omar_
a trovare il Pascià _Mehemed Alì_, cui diedi la lettera del capitan
Pascià; e non vi fu cortesia che non mi usasse. Questo giovane principe
è di gracile corporatura e svajuolato; ha gli occhi vivaci ne' quali
scorgesi una cotal aria di diffidenza: è per altro valoroso, e non privo
di buon senso, ma non avendo avuto veruna istruzione trovasi spesse
volte imbarazzato. In tali congiunture, _Seid Omar_ che ha molta
influenza sul di lui spirito, rende importantissimi servigi al popolo ed
allo stesso Pascià.
Si fanno ascendere a cinquemila gli Arnauti sotto gli ordini di questo
governatore dell'Egitto. Questi soldati sono caparbj ed esigenti oltre
ogni dovere; ma il popolo li tollera pazientemente, perchè non sarebbe
più felice nè co' Turchi, nè co' Mamelucchi; e non essendo in grado di
darsi un governo rappresentativo, sopporta il presente giogo in
silenzio. D'altra banda _Mehemed Alì_ che riconosce il suo inalzamento
dal coraggio di queste truppe, ne dissimula gli eccessi, e non sa
rendersene indipendente. Altronde i grandi scheih avendo sotto questo
governo molta influenza e libertà, lo sostengono con tutte le loro
forze. Il soldato tiranneggia, ed il basso popolo soffre, ma tacciono i
grandi perchè non soffrono, e la macchina va alla meglio. Intanto il
governo di Costantinopoli privo di energia per tenere tutt'i paesi sotto
l'immediata sua dipendenza, si accontenta di una specie d'alta signoria,
che gli frutta alcuni leggieri sussidj, che ogni anno sotto varj
pretesti cerca di accrescere. I pochi Mamelucchi che rimangono ancora,
vivono rilegati nell'alto Egitto, ove non giugne la potenza di _Mehemed
Alì_: ma siccome questi per una singolarità della natura non possono
colla generazione mantenere la loro popolazione in Egitto, e loro non è
permesso di tirarne altri dall'Asia, si ridurranno tra poco al nulla.
_Elfi_ Bey col suo corpo di Mamelucchi, di Arabi, di Turchi e di
rinnegati scorre il deserto di Domanheur. Il governo di Costantinopoli
non può fare verun conto d'Alessandria, la quale per la sua posizione
geografica non è nè città Egiziana, nè città Turca: tale è il quadro
fedele dello stato politico dell'Egitto.
Io non prenderò a descrivere la città del Cairo, troppo nota a tutti gli
Europei; nè a parlare dell'immenso suo traffico presentemente ridotto in
misero stato per le guerre d'Europa, per la rivoluzione de' Mamelucchi,
e per i progressi de' Wehhabiti; nè de' principali scheih ond'è formato
il suo governo, perchè il presente sistema dipende in gran parte
dall'arbitrio del Pascià.
Quantunque le piramidi di Djizè fossero allora circondate d'Arabi
ammutinati, e che fosse pericoloso l'avvicinarsi, volli ad ogni costo
tentare di vedere questi colossi inalzati dalla mano degli uomini.
Recatomi a Djizè m'avanzai verso le piramidi scortato della mia gente
armata fino al punto in cui la prudenza permetteva d'inoltrarsi.
L'immaginazione senza il soccorso del tatto non basta per formarsi
un'adequata idea delle piramidi, della colonna d'Alessandro, e di
tutt'altro oggetto di forme e proporzioni inusitate. Aveva meco un
telescopio acromatico, ed il canocchiale militare di Dollond. A forza di
confronti, di avvicinamenti e di raziocinj, io mi lusingo d'aver potuto
formarmi un'idea se non del tutto esatta, lo che è impossibile quando
non si consulta che un solo senso, almeno assai prossima alla verità.
Io non parlerò delle loro dimensioni, perchè la commissione d'Egitto ha
completamente esaurito l'argomento: basta sapere che sono le più grandi
moli che esistano.
Tre sono le piramidi di Djizè; una delle quali minore assai delle altre
due: ma tra le due maggiori io credo non esservi la differenza indicata
da' viaggiatori.
Il profondo storico de' traviamenti dello spirito umano, il sig.
_Dupuis_, ha detto che la grande piramide è fatta in modo, che
l'osservatore posto al piede il giorno dell'equinozio vedrebbe il sole a
mezzogiorno come seduto o appoggiato sulla sua cima. Ciò vuol dire che
il piano inclinato o la faccia della piramide forma col piano
dell'orizzonte un angolo eguale all'altezza meridiana del sole a tale
epoca, ossia eguale all'altezza dell'equatore. Le piramidi essendo
esattamente poste nella latitudine di 30 gradi N., ne viene che
quest'angolo dev'essere di 60 gradi. Ora siccome tutte le faccie pajono
essere egualmente inclinate, il profilo della piramide tagliato
perpendicolarmente dalla sommità alla base per il mezzo delle due
opposte faccie, deve esattamente rappresentare un triangolo equilatero.
Questo felice azardo, prodotto dalla più semplice figura rettilinea,
adoperata nella costruzione di un edificio, produsse questo bel
fenomeno, e diventò per me uno sprone che mi spinse a verificarlo.
Quando osservansi le piramidi a qualche distanza ci sembra che abbiano
la base alquanto più lunga che i lati, ossia l'angolo della sommità più
aperto, e più ottuso che gli angoli della base; ma questa illusione
deriva dal vedersi quasi sempre due lati della piramide, ed allora
vedesi la diagonale del quadrato della base, che di sua natura è più
lungo che un lato; lo che rappresenta all'occhio le piramidi schiacciate
quantunque la loro altezza sia eguale alla lunghezza d'uno dei lati
della loro base.
Fu pure sciolto il problema rispetto alla loro destinazione, sapendosi
destinate per ultimo soggiorno de' sovrani che le inalzarono. Gli Arabi
le chiamano _El Haràm Firàoun_, e raccontano mille scioccherie delle
loro strade sotterranee, che stendonsi sotto tutto il basso Egitto.
È noto che su questi antichi monumenti non vedonsi nè iscrizioni, nè
geroglifici che possano condurci alla cognizione de' tempi in cui furono
fatte. La più grande viene attribuita a Cheops che viveva circa
ottocento cinquant'anni avanti l'era cristiana; ma io inclino a crederla
anteriore ai tempi storici, perciocchè se fosse opera di quel principe
avremmo altre testimonianze oltre quelle di Erodoto sopra un monumento
che a' suoi tempi doveva eccitare l'universale ammirazione.
A' piedi della maggior piramide vedesi un _dovar_ arabo, che serve di
scala per formarsi una più esatta idea delle sue vaste dimensioni.
Presso alle piramidi vidi la _Sfinge_ busto o testa formata d'una rupe
di enorme grandezza, che gli Arabi chiamano _Aboullahoul_. Io ne
rimarcai perfettamente l'acconciatura di capo, gli occhi e la bocca; ma
perchè mi trovava quasi in faccia non potei vederla di profilo come lo
desideravo.
Il piano e le colline del Sahhara affatto coperti di sabbia bianca
mobile chiudono la vista all'occidente.
Djizè è posto sulla sponda sinistra del Nilo. Altra volta, secondo che
mi fu detto, questo borgo era un luogo di delizie circondato di belle
case di campagna e di giardini; al presente è un tristo villaggio
popolato soltanto di soldati Arnauti, che non possono meglio
rassomigliarsi che a banditi.
Ritornando da Djizè visitai l'isola di _Roudi_ o _Rouda_ sul Nilo presso
la riva destra. Questa isola oggi abbandonata fu anticamente un piccolo
paradiso coperto di deliziosi giardini. All'estremità meridionale entro
una specie di profondo cortile che comunica colle acque del fiume
trovasi il celebre _mikkia_, colonna innalzata per misurare giornalmente
l'altezza delle acque del Nilo in tempo della escrescenza. A
quest'effetto è diviso in cubiti disuguali, o a dir meglio inesatti, ed
in dita, di modo che chiunque può calcolare l'abbondanza del successivo
raccolto. Ma oggi questo monumento di tanta importanza è abbandonato ad
un corpo di soldati, o a dir meglio di barbari, che sembrano cospirare
alla sua distruzione. Allorchè sbarcai fui condotto sopra un ammasso di
ruine abbandonate, di dove vidi con estremo dolore e sorpresa, che in
breve preparavasi la stessa sorte al _mikkia_. Di già una moschea ed
altri edificj vicini al _mikkia_ sono stati atterrati; di otto colonne
che ne formavano la galleria, quattro giacciono nella polvere, i tetti
cadono a pezzi, e per affrettare il troppo lento lavoro del tempo, i
soldati levano il piombo che unisce le pietre ed i legni del coperto:
per cotal modo si accelera la ruina di un edificio così utile, e che da
tanti secoli contribuisce alla gloria dell'Egitto.
I Francesi in tempo della loro spedizione in questo paese avevano
ristaurato il _mikkia_, e ristabilito l'ordine del servizio; ma ogni
cosa fu distrutta a quest'ora, e la medesima colonna del _mikkia_
sarebbe già atterrata, se non fosse appoggiata ad una grossa spina
trasversale che i Francesi posero sul capitello. Domandai se non eravi
persona incaricata della custodia di un edificio di tanta importanza, e
mi fu risposto: _Chi pagherebbe?_ Perchè almeno non si provvede d'una
porta che ne chiuda l'ingresso? _Ciò ancora richiede denaro; altronde i
soldati leverebbero la porta e la serratura..._ — Colle sole lagnanze si
può rispondere a sì grande apatia. Sospettai che lo stesso _Mehemed Alì_
cospirasse dal canto suo come gli altri alla distruzione del _mikkia_,
di cui anche il Califfo _Omar_ pare che desiderasse l'annientamento.
I muri del cortile nel di cui centro trovasi il _Mikkia_ hanno l'esterno
di pietre quarzose, e dello stesso sasso è la scala per cui si scende a
basso, come pure la colonna che non potei avvicinare per essere
circondata dall'acqua. Una elegante cupola di legno ond'era ricoperto il
cortile e la colonna, viene ogni giorno esportata a pezzi.
Un simile monumento in tutt'altro paese in cui il raccolto discende
dalle pioggie e da altre cagioni accidentali, sarebbe superfluo e fuor
di luogo; ma in Egitto ove l'abbondanza o la sterilità dipendono
unicamente dal grado d'elevazione periodica delle acque del Nilo, avendo
l'esperienza dato un esatto risultato degli effetti d'ogni cubito sulla
quantità del raccolto, della più alta importanza diventa uno stromento
destinato a misurarli: ed un saggio governo deve prendersene la più
attenta cura, perchè conoscendo anticipatamente la misura del raccolto,
può provvedere, prima che si sentano, ai bisogni della popolazione. Per
tali considerazioni i Francesi diedero a quest'oggetto la debita
importanza, ed è loro dovuto il bel passeggio con doppie linee di alberi
che attraversano in tutta la sua lunghezza l'isola della _Rouda_ dal S.
al N.
Di là ritornai al vecchio Cairo o _Mussar-el-Atik_, sobborgo posto sulla
diritta del fiume in faccia all'isola di Djizè. Vuolsi che altra volta
questo sobborgo fosse più dilettevole soggiorno di quello del Cairo per
le moltissime case di delizia che vi avevano i grandi ed i ricchi
abitanti del Cairo e che oggi abbandonate vanno cadendo in ruina. Pure
la popolazione del vecchio Cairo è ancora ragguardevole, ed i pubblici
mercati abbondantemente provveduti. Sonovi monasteri di varj riti
Cristiani. Io visitai quello de' Greci situato in amena posizione, la di
cui terrazza signoreggia la città e la campagna. Da questo punto vedonsi
le piramidi di Sakkara, che sembrano rivalizzare con quella di Djizè. La
cappella di questo monastero dedicata a S. _Gregorio_ è sommamente
venerata dalle persone del paese per l'immagine del Santo posta in un
angolo sopra un piccolo altare, e chiusa con griglia d'acciajo. Nel
centro della cappella s'innalza una colonna, dalla quale pende una
catena di ferro con cui vengono legati i pazzi che vi sono condotti per
ottenere il patrocinio del Santo; e que' monaci assicurano, che accadono
frequenti miracolose guarigioni, qualunque siasi la religione del pazzo
che vien presentato.
Visitando il convento de' Cofti fui condotto in una grotta sotto l'altar
maggiore, nella quale credesi che si ricoverasse la famiglia di _Gesù_
quando venne in Egitto, salvandosi dalle persecuzioni di _Erode_: ma la
cosa mi parve troppo assurda per meritarsi la menoma considerazione. È
non pertanto a credersi che la grotta e la cappella non siano sterili
monumenti pei monaci che ne hanno cura.
Boulak posto sulla sponda del Nilo è il più considerabile sobborgo del
Cairo. Sonovi molti buoni edificj, e la sua posizione lo assicura dalla
distruzione, che si fa già sentire a Djizè, ed al vecchio Cairo. Il
porto di Boulak è sempre coperto di bastimenti che commerciano con tutti
i paesi posti lungo le rive del Nilo, e perciò vi si vede assai
movimento, e le dogane danno molto profitto all'erario. La strada da
Boulak al Cairo rifatta ed abbellita dai Francesi offre un dilettevole
passeggio.
Rispetto al commercio di Boulak, è certo che adesso non è se non
un'ombra di ciò che dovrebbe essere, perchè l'insurrezione dell'alto
Egitto, ove sonosi ritirati i Mamelucchi con _Ibrahim Bey_ ed _Osman Bey
Bardissi_, toglie al Cairo tutto il commercio dell'interno dell'Affrica.
Inoltre le rivoluzioni di Barbaria impediscono la partenza delle
carovane di Marocco, d'Algeri, e di tutti i paesi occidentali; e d'altra
parte gli Arabi di Ssaddor, ossia deserto dello smarrimento, si avanzano
fin presso a Suez per ispogliare le carovane che portano le mercanzie
dell'Arabia e dell'India, procedenti dagli scali del mar Rosso: a ciò si
aggiunge per ultimo la guerra degl'Inglesi che guasta affatto il
commercio del Mediterraneo: tutte cose estremamente nocive all'esterno
commercio dell'Egitto.
Nè più florido è il commercio interno, perchè tutto l'alto Egitto è
dominato dai Mamelucchi, la provincia di Bohira da Elfi, e gli Arabi
della provincia di Scherkia sono rivoltati; parziali tumulti succedonsi
senza interruzione nella Garbia o Delta, di modo che non è possibile
fare un passo nell'Egitto senza esporsi a gravissimi rischi.
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