Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 09

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fatto di sassi comuni, di mattoni malcotti, e di calce. Il coperto non è
di tegole, è piano, ed assai pesante: ed è forse a questa dannosa
pratica che si deve imputare la distruzione di tutti gli antichi
edificj, de' quali non altro rimane al presente che il palazzo, il quale
vien chiamato _Scraya_, ossia Serraglio, monumento vasto e mal
distribuito ove dimora il governatore generale dell'isola.
L'antica cattedrale d'_Aïa Sophia_ (Santa Sofia), grandioso fabbricato
gotico, fu ridotto in moschea di turchi, che coprirono le colonne con un
grosso strato di calce, onde sembrano mostruosi cilindri: vi aggiunsero
due torri assai ben fatte, ma discordanti affatto dal totale della
fabbrica.
Perchè la legge ordina di pregare volgendosi verso la Mecca, non essendo
questo tempio stato fatto pel culto mussulmano, si dovette nell'interno
del medesimo alzare delle facciate o frontispicj di legno, posti
obliquamente nella direzione della linea della Mecca, onde poter pregare
nella situazione prescritta.
Tutti i Vescovi dell'isola erano venuti a Nicosia per ricevervi il nuovo
governatore generale; e vi si trovavano egualmente molti de' più
distinti personaggi dell'isola.
All'indomani del mio arrivo venne a trovarmi il Vescovo di Lamarca
accompagnato da numerosa comitiva. Lo conobbi uomo di buon senso, di
molto giudizio, ed assai istruito.
Il susseguente giorno accolsi la visita del Vescovo di Pafo, che
quantunque giovane, mi parve assai destro, l'altro Vescovo di Chiriga,
era gravemente indisposto.
L'Arcivescovo ritenuto dall'estrema sua vecchiaja, e dai dolori della
gotta, mi mandò il suo Vescovo _in partibus_ che ne fa le veci; il quale
venne a trovarmi accompagnato dall'_archimandrita_, dall'economo, e da
altri cinquanta preti. I tre dignitarj mi fecero mille scuse in nome
dell'Arcivescovo, che malgrado il suo stato, voleva assolutamente farsi
trasportare, se non n'era impedito.
Tra le molte riguardevoli persone, che mi frequentavano, distinsi in
particolar maniera il sig. Nicolao Nicolidi, incaricato della dragomania
di Cipro in assenza del Dragomano. Egli parla con tanta eloquenza anche
improvvisamente, ch'io gli diedi il soprannome di moderno Demostene.
Il terzo giorno andai a visitare il governatore generale, che mi
ricevette in grande cerimonia, circondato da molti ufficiali, soldati, e
domestici armati fino ai denti. Alla porta della sala eravi una
sentinella in piedi con una scure in ispalla.
Il governatore si alzò per ricevermi, e mi fece sedere al suo fianco
sopra un magnifico sofà. Lo trovai uomo di spirito, pieno di fuoco, e mi
fu detto ch'era assai colto. La conferenza che fu molto lunga, s'aggirò
specialmente intorno ad oggetti politici. I signori Nicolidi e
Francondi, che mi avevano accompagnato, mi servirono da interpreti,
perchè il governatore non parlava l'arabo, nè alcuna lingua europea, ed
io non intendeva la turca. Il governatore riccamente vestito, aveva una
superba pelliccia. Gli fu recata la sua pipa persiana, che presentò a
me, ed io rifiutai per non essere avvezzo a fumare. Sei paggi dell'età
di quindici anni, di bella e vantaggiosa statura, doviziosamente vestiti
di raso, e di finissimi _scialli cachemiri_ servivano di caffè; ed in
appresso mi profumarono e mi spruzzarono d'acqua di rose. Partendo, il
governatore volle accompagnarmi fino alla porta dell'appartamento.
Passai in seguito nella camera d'un suo fratello, che è un buon vecchio:
ci fece anch'egli servire di caffè, e si accese d'entusiasmo per me
quando seppe ch'io mi disponeva a fare il viaggio della Mecca, ov'egli
era stato più volte. Mi diede alcuni consigli, e ci separammo egualmente
contenti l'uno dall'altro.
Terminata la visita al serraglio passai al palazzo dell'Arcivescovo.
Trovai alla porta l'archimandrita e l'economo, con venti in trenta
domestici per ricevermi. A piè della scala fui preso da molti preti, e
portato fino alla prima galleria, ove mi ricevette il Vescovo _in
partibus_, con molti altri preti. Nella seconda galleria trovai
l'Arcivescovo. Questo venerabile vecchio quantunque avesse le gambe
straordinariamente enfiate, erasi fatto colà trasportare dal Vescovo di
Pafo, e da cinque o sei altre persone, per venirmi incontro. Gli feci
degli amichevoli rimproveri per essersi presa tanta pena, e presolo per
mano lo seguii nella sua camera.
Il dottor Brunoni medico italiano domiciliato a Nicosia, il quale aveva
tutte adottate le usanze, i costumi, e le greche maniere, mi servì
d'interprete. È questi un uomo di bell'umore, accorto assai, e senza
verun pregiudizio.
Il venerabile Arcivescovo mi fece il racconto delle violenti vessazioni
sofferte nel precedente anno dai turchi ribelli dell'isola; ed io
procurai di consolare questo cuore ancora esulcerato dalle recenti
ingiurie. Si parlò assai intorno a ciò, e dopo i consueti onori del
caffè, de' profumi, e dell'acqua nanfa, ci separammo presi da
vicendevole affetto.
Visitai in appresso nelle loro abitazioni l'economo e l'archimandrita,
ove trovai pure il Vescovo di Pafo, ed il Vescovo _in partibus_. Ma
quale non fu la mia sorpresa, allorchè sortendo vidi ancora il
venerabile Arcivescovo nella galleria, ov'erasi fatto condurre per darmi
un'ultimo addio! Non saprei dire quanto mi toccasse questo tratto del
venerando vecchio. Volli fargliene un dolce rimprovero, ma la parola si
spense sulle mie labra.
L'Arcivescovo di Cipro patriarca indipendente in seno della chiesa
greca, è inoltre il principe, o capo supremo spirituale e temporale
della nazione greca nell'isola. Egli risponde verso il Gran Signore
delle imposte e della condotta de' Ciprioti greci. Per non entrare nelle
particolarità degli affari criminosi, e per iscaricarsi di una parte del
governo temporale, ha delegati i suoi poteri al _dragomano di Cipro_, il
quale in forza di tale delegazione è diventato la primaria autorità
civile: egli trovasi per il rango e per le attribuzioni eguale ad un
principe della nazione, perchè il governatore non può far nulla contro
un greco senza la partecipazione e l'intromissione del dragomano, che
trovasi pure incaricato di portare a' piè del trono del Gran Signore i
voti della nazione.
Eravi stata l'anno avanti nell'isola una gagliarda sommossa de' turchi
contro il dragomano. Essendosi costoro impadroniti di Nicosia vi
commisero infinite atrocità contro l'Arcivescovo e contro gli altri
greci, uccidendo coloro che rifiutavansi di dar loro del danaro. Il
dragomano fuggì a Costantinopoli, ove non solo vinse la causa in favore
dei greci, ma ottenne ancora l'ordine di far marciare un pascià con
truppe della Caramania, contro i ribelli ch'eransi chiusi in Nicosia.
In così difficile situazione l'economo fu l'angelo tutelare della
nazione, essendo riuscito coi suoi talenti a calmare alquanto il furore
dei faziosi.
Dopo varj combattimenti questi entrarono in trattative col pascià, il
quale per l'intromissione di alcuni consoli europei, promise di non
castigarli. A tale condizione i ribelli aprirono le porte della città:
ma senza aver riguardo alla data fede, il pascià appena entratovi ne
fece decapitar molti.
Questo avvenimento umiliò i turchi dell'isola, ed incoraggiò i greci che
affettano una certa qual'aria d'indipendenza. Il dragomano trattenevasi
tuttavia a Costantinopoli; ma se io non potei conoscerlo personalmente,
le sue opere da me vedute lo fanno conoscere per un uomo dotato di
spirito e di talento.
Ho di già fatto osservare che in ciò che spetta allo spirituale
l'Arcivescovo di Cipro è patriarca indipendente: e perciò egli non ha
veruna relazione col patriarca di Costantinopoli, ma bensì con quello di
Gerusalemme per rispetto ai luoghi santi, i di cui sacerdoti possedono
alcune proprietà nell'isola.
L'Arcivescovo conferisce i vescovadi e le altre dignità, ed impieghi
ecclesiastici dietro la presentazione del popolo; ed accorda le dispense
matrimoniali ne' gradi proibiti.
L'Arcivescovo, i Vescovi, e gli altri grandi dignitarj non possono
ammogliarsi: ma viene permesso d'aver moglie ai semplici sacerdoti
secolari, i quali la sposarono avanti di diventar preti: e se questa
muore non possono passare a seconde nozze. L'attuale Arcivescovo è
vedovo, ed ha un figlio. I monaci sono a perpetuità obbligati al
celibato.
L'insegna distintiva de' preti consiste in una berretta di feltro nero,
angolare per gli ammogliati; rotonda in forma di cono rovesciato per i
celibatarj, e per i monaci. I Vescovi hanno il distintivo di un piccolo
nastro violetto intorno al capo, e vestono frequentemente una stoffa
dello stesso colore. Gli altri preti sono per lo più vestiti di nero.
I greci sono subordinati assai e rispettosi verso i loro Vescovi: quando
li salutano, si prostrano, si cavano la berretta, gliela presentano
rovesciata; e quasi in presenza loro non osano parlare. Vero è che i
Vescovi sono come punti di riunione per questa nazione schiava, e quelli
cui devono la loro qualsiasi esistenza; e quindi l'interesse loro
proprio vuole che diano ai prelati quella importanza politica che i
medesimi turchi riconoscono, se dobbiamo giudicarlo dal modo con cui
questi li trattano, e per la deferenza, e, dirò ancora, per il rispetto
che gli dimostrano. Nelle loro case, i Vescovi spiegano un lusso
principesco, non sortendo mai senza un numeroso seguito; e facendosi
portare quando ascendono una scala.
I greci pagano al Vescovo la decima e la primizia de' frutti,
gl'incerti, le dispense, ed altre molte elemosine.
Siccome questi principi riscuotono le imposte della nazione per pagare
al governo turco l'ordinario tributo, ciò dà luogo tra di loro ad una
specie di monopolio. Il governo turco non potè mai sapere con precisione
il numero de' greci dell'isola. Essi confessano un totale di
trentaduemila anime: ma le persone istruite portano la popolazione greca
a centomila. Nel precedente anno il governo aveva mandato un commissario
per fare il censo esatto della popolazione greca, ma questi fu
guadagnato coll'oro, e partì senza far nulla. Quest'amministrazione
delle imposte produce ai capi un immenso guadagno; ed il popolo soffre
in silenzio per timore di peggio.
I greci pagano al governo il tributo di cinquecentomila piastre all'anno
per il soldo della guarnigione di quattromila soldati turchi; numero ben
lontano dall'essere giammai compiuto. In oltre il Gran Signore
percepisce ancora due in trecentomila piastre sull'esportazione dei
cotoni, ed altri prodotti dell'isola. Tali somme riunite a quelle che il
governo generale, ed i governatori particolari esigono, possono portare
le imposizioni ad un millione di piastre che i Ciprioti greci pagano ai
turchi. Ma i Vescovi, e gli altri capi della nazione ne percepiscono
assai di più.
I greci non sono meno gelosi dei turchi; e tengono le donne loro in
luoghi così appartati, che non è possibile di vederle. Quelle che io
scontrai sulle strade erano coperte ed avviluppate in una tela bianca,
come le donne turche; e non si vedono a viso scoperto se non le vecchie,
e le deformi affatto. Il loro abito non è senza eleganza: ma dispiacemi
assai una specie di berretta in figura di cono ch'esse portano in capo.
Rispetto agli uomini sono generalmente ben fatti, ed hanno una bella
tinta. I ricchi portano sempre degli abiti lunghi come i turchi, dai
quali non si distinguono che pel turbante turchino; e molti ne hanno
pure di altri colori, e perfino di bianchi, senza che i turchi gli
muovano querela. In generale osservai, che tutti i greci dell'isola, non
esclusi i pastori, i giornalieri, ed i poveri, erano decentemente
vestiti.
Mancando i greci di scuole pubbliche nell'isola per istudiarvi le
scienze sublimi, sono assai poco istruiti. Pure si fa ancora travedere
l'antico spirito de' loro padri, e vi si trovano non di rado uomini
pieni di fuoco, e di eccellenti disposizioni; ma la massa della nazione
avvilita dalla schiavitù è pusillanime, ignorante, e vile.
Essi adoprano l'antico calendario senza la correzione gregoriana, onde
il loro computo trovasi arretrato di dodici giorni da quello d'Europa;
resta ugualmente indietro dal corso solare, talchè se non viene
corretto, verrà un tempo in cui il calendario noterà il mese di luglio
nel solstizio d'inverno, o i giorni del freddo nella canicola.
La quaresima che i greci osservano rigorosamente è più lunga una
settimana di quella dei cattolici. Durante questo tempo di penitenza non
mangiano nè carne, nè pesce, nè cose di latte; e si fanno per fino
scrupolo di adoperar l'olio; onde il loro cibo si riduce al pane, ed a
poche olive. Essi credonsi i soli ortodossi, perchè suppongono d'aver
conservato il rito greco primitivo, e trattano di scismatici i cristiani
latini. Hanno tutti i Sacramenti ammessi dalla chiesa Romana; ma
consacrano l'Eucaristia col pane fermentato.
Il santuario delle chiese greche è separato dalla nave per una sbarra di
legno coperta di quadri dipinti secondo il cattivo gusto che regnava in
tempo del basso Impero. Questa sbarra ha nel mezzo una larga porta, ed
altre più strette, una da ogni lato, che servono per entrare nel
santuario, in mezzo al quale s'inalza un piedestallo quadrato coperto, e
circondato da una piccola balaustrata di legno. Vedonsi su questo
piedestallo alcuni piccoli quadri, il messale, ed altri arredi. I
ministri del culto che possono soli entrare in questa parte della
chiesa, dicono la messa, per quanto mi fu detto, colle tre porte chiuse,
che si aprono soltanto a certi tempi fissati dal rituale. I fedeli
stanno nella nave, e la loro immaginazione supplisce alla grandezza dei
misteri che non vedono. Le donne stanno in una tribuna alta, chiusa di
dense griglie, ove non possono essere vedute.
I greci portano i mustacchi, e si radono la barba come i turchi; ma gli
uomini d'età avanzata, ed i preti la lasciano ordinariamente crescere. È
loro proibito il portar armi; ma tutti tengono sotto l'abito nascosto
uno stile, o un coltello.
I greci fanno quasi esclusivamente il commercio dell'isola, il di cui
principale prodotto è il cotone; ed i turchi in questa parte gli sono di
lunga mano inferiori. L'indolenza del loro carattere è abbastanza
conosciuta; soddisfatti del clima, e degli abitanti di Cipro, fumano
tranquillamente le loro pipe, e non si scompongono che quando possono
fare una soverchieria ad un greco, sotto pretesto d'un fallo reale, o
apparente. Il più grave delitto viene perdonato, quando il reo pone
sulla bilancia la quantità d'oro, che, secondo l'avidità del giudice,
equivale alla gravità del fatto. La proprietà non è rispettata se non
allora quando il proprietario è più forte, o più protetto del rapitore;
quindi si vedono frequentemente degli sgraziati villani greci
spossessati dai turchi, che si usurpano il loro patrimonio.
Per evitare queste arbitrarie vessazioni, alcuni greci si mettono sotto
la protezione dei consoli europei, che possono accordare tale favore ad
un determinato numero di famiglie. Questi _protetti_ godono delle
immunità accordate agl'individui della nazione che li protegge. Portano
per segno distintivo una gran mitra di pelle d'orso, detta _calpàc_, col
pelo assai nero. Ho però veduti alcuni greci portare la mitra senza
essere protetti, e senza che i turchi guardino troppo per minuto[6].
[6] _Questi privilegi cessarono posteriormente in Turchia._ (N.
dell'Edit.)
Le moschee del paese, tranne quella di Santa Sofia chiamata dai turchi
_Aïa Sophia_, sono meschine e sudicie.
Abbiamo già detto che ogni venerdì, avanti la preghiera del mezzogiorno,
l'Iman deve fare un sermone in arabo; ma qui, siccome nissuno Iman turco
conosce quella lingua, i loro sermoni riduconsi ad alcune frasi assai
brevi che imparano a memoria, e ripetono sempre come papagalli senza
intendersi, e senza essere intesi dagli uditori. Quantunque l'araba sia
la lingua sacra de' musulmani, non ve n'hanno appena dieci in tutta
l'isola che l'intendano.
Con osservazioni soddisfacenti ebbi la latitudine N. di Nicosia 35° 13′
14″, e la longitudine E. dall'osservatorio di Parigi 31° 6′ 30″.
È da notarsi che in questo paese il gesto negativo, ossia il segno che
tien luogo del vocabolo _non_, consiste nell'alzare il capo nel modo
medesimo con cui in Europa si suole indicar disprezzo, o derisione. Il
gesto del disprezzo si fa ponendo la punta della lingua tra le labra, e
pronunciando _potu_, quasi si volesse sputare. Il segno negativo degli
europei di girar la testa a diritta ed a sinistra, non è conosciuto in
Cipro.


CAPITOLO XXV.
_Viaggio a Citera. — Ruine del palazzo della regina. —
Osservazioni intorno alla loro origine. — Ritorno a Nicosia. —
Viaggio ad Idalia. — Larnaca. — Ritorno a Limassol._

Partii da Nicosia il giorno tre di aprile alle otto del mattino
prendendo la direzione di N. E. per andare a Citera: alle nove
attraversava un villaggio detto _Diamiglia_; e dopo tre quarti d'ora ero
giunto al termine del mio viaggio. La vasta pianura di Nicosia stendesi
fin presso a Citera posta in mezzo a collinette d'argilla. Quanto
riscalderebbesi un'immaginazione poetica all'aspetto di questi luoghi
consacrati un tempo alla madre d'amore!... A Limassol aveva trovato il
sig. Rook viaggiatore inglese, il quale avendo visitato Citera, mi disse
che la sua immaginazione aveva supplito al difetto della realtà, e
ch'erasi figurata innanzi agli occhi la Dea circondata dalla sua corte.
Il mio capo mal proprio alle illusioni non seppe presentarmi immagini
opposte a quelle che ricevono dai sensi. Le Ninfe, le Grazie, gli Amori
non vollero abbellire a' miei occhi l'aspetto della povera Citera, ch'io
non seppi rassomigliare che al più misero casale del contado Venosino, o
della Limagna dell'Alvernia. Citera non è infatti che un piccolo
quartiere di forma irregolare coperto di orti, e di gelsi sopra lo
spazio d'una lega dal nord al sud, e d'un quarto di lega da levante a
ponente.
Questo piccolo villaggio deve la sua esistenza ad un'abbondante fontana,
che dividendosi in due ruscelli bagna il piano di una valle formata da
colline affatto nude d'argilla pura, che giammai non hanno potuto
rendersi fertili. Vedonsi in questa valle qua e là sparse diverse case,
ed alcuni mulini che provvedono Nicosia di farine. Il terreno non è di
sua natura fertile, ma la rarità dell'acqua in tutta l'isola fa sì, che
non si trascurino i mezzi d'innaffiamento; e questa valle è ben
coltivata dovunque può essere irrigata. Sonovi molti orti, e molti
gelsi, e questi non isolati gli uni dagli altri come costumasi in
Europa, ma per l'opposto fitti in modo da formare una densa macchia che
direbbesi un vivajo, tanto le pianticelle sono piccole e sottili.
Pretendesi che con tal metodo producano maggior abbondanza di foglie; ed
inoltre si ha l'avvantaggio di poterle spogliare stando in terra.
Citera presenta dunque una foresta di gelsi per i bachi da seta, alcuni
carrubi, ulivi, alberi fruttiferi, ed erbaggi nel fondo di una valle,
che per lo stagnamento dell'aria, il riverbero delle colline, e la
vicinanza di una catena di montagne vulcaniche al nord, deve essere in
estate un soggiorno infernale. Pure gli abitanti vogliono che il caldo
siavi moderato; ma perchè l'uomo è un animale che s'avvezza a tutti i
climi, devesi piuttosto dar fede alla sua posizione topografica, che a
tutte le loro asserzioni.
Io non aveva in questo viaggio altri compagni che un domestico, ed il
dottor Brunoni che facevami da interprete e da _Cicerone_. Fummo per
ordine dell'Arcivescovo alloggiati in casa del parroco, che era un
ottimo vecchio. Desideravo di vedere qualcuna delle donne che hanno così
universale opinione di bellezza, ma tanto nelle case, che nelle strade
non vidi che donne al disotto della mediocrità. Pretendeva il mio
dottore non esservene di veramente belle, ma che sono le più scostumate
dell'isola, e sono spesso cagione di procedure innanzi ai magistrati di
Nicosia. Non è inverosimile che il calore del clima, la separazione
delle case, le fitte macchie di gelsi, e la frequente assenza dei
mariti, che vanno al mercato della città, siano cagioni della loro
dissolutezza, o non la rendano, se non altro, più facile.
Assicurasi che l'antica Citera era posta sopra una piccola altura alla
distanza di un miglio. Io non crederò mai che colà vi potesse essere un
giardino; o almeno non vedesene traccia. Ma noi dobbiamo descrivere
assai più interessanti oggetti. Partendo da Nicosia fui prevenuto, che
tornando da Citera, potevo visitare le ruine del _palazzo della Regina_:
ma ciò mi fu detto con certa quale non curanza, siccome di cosa di non
molto rilievo. Il dottore m'avea strada facendo indicato il luogo di
queste ruine sopra la più elevata sommità delle montagne poste al nord
di Nicosia. Credetti, osservandole col cannocchiale, vedervi oggetti
degni della mia curiosità; onde mi proposi di visitarle nel ritorno da
Citera. Dalla casa del parroco in cui eravamo alloggiati, vedesi di
fianco la montagna del palazzo della Regina. Congedatomi dopo il pranzo
dal nostro ospite, partimmo per vedere la fonte che bagna Citera. Ai
piedi delle colline argillose che sono al sud d'una catena di montagne
basaltiche, l'acqua sorge in abbondanza da cinque luoghi, ed in minore
quantità da molti altri, e forma ben tosto un piccolo fiume. È
trasparente, leggiera, perfettamente pura, e freddissima, per quanto mi
fu detto in estate; lo che prova derivare da profondo deposito posto
nelle montagne, e non mai nelle colline d'argilla. Credono gli abitanti
che abbia origine nei monti della Caramania continentale, e si faccia
strada per di sotto al mare. Nè ciò sarebbe, rigorosamente parlando,
impossibile; ma è ben più probabile che provenga dalle montagne
basaltiche dell'isola, facendosi strada sotto alle colline d'argilla,
senza però toccarle, perchè in tal caso perderebbe le sue buone qualità;
tanto più che queste colline sono di più moderna formazione, e
sovrapposte alla massa primordiale delle montagne.
Soddisfatta in tal modo la mia curiosità, lasciai con tutta indifferenza
la povera Citera, cui ben poco rimane del bello, ch'ebbe allorquando vi
dimorava la Dea della Grazie. Salimmo verso il nord fino alla prima
linea delle montagne che signoreggiano le colline d'argilla, e la grande
pianura al sud, di dove dirigendomi all'ovest sul piano superiore di
questa linea coperta di lava e di prodotti vulcanici, e costeggiando la
catena delle montagne basaltiche che ci stavano a destra, riprendemmo
dopo due ore la direzione del nord, finchè si giunse al monastero di S.
Giovanni Grisostomo posto a poca distanza della roccia, sulla quale sono
le ruine del palazzo della Regina, che chiamasi _Buffavento_.
Questo monastero che ha press'a poco la forma di quello di Santa Tecla
appartiene ai luoghi di Terra Santa. Tre monaci greci, la sorella del
priore vecchia e vedova, ed una giovane serva assai bella, sono i soli
abitanti di questa solitudine. Gli ortolani, e gli altri lavoratori
alloggiano fuori del monastero.
All'indimani 4 aprile uscii accompagnato da due guide, non avendo avuto
coraggio di seguirmi nè il dottore, nè il mio domestico troppo pingue
per arrampicarsi sulla rupe. Montato sopra un mulo andai fino alle falde
della rupe lontana del cammino mezz'ora di viaggio; e colà dovetti
smontare per salir l'erta. Dopo un quarto d'ora eravamo giunti al piede
dell'aguglia, ove trovansi due quadrati di muraglie rovinate. È
quest'aguglia una rupe tagliata quasi perpendicolarmente in ogni lato,
che non offre niuna traccia di sentiero. Approfittavamo
dell'ineguaglianza del sasso, e delle stenditure per aggrapparci colle
mani e co' piedi, ajutandoci a vicenda l'un l'altro: talvolta le guide
si fermavano per riconoscere il lato che offriva minori ostacoli,
comecchè tutti difficilissimi, e tutti sparsi di orribili precipizj.
Finalmente dopo molti stenti arrivammo alla porta del palazzo ove si
prese un istante di riposo.
Questo edificio può considerarsi come diviso in quattro parti le une più
alte delle altre, che io indicherò così; il primo l'alloggio delle
guardie, il secondo quello de' magazzini, il terzo il luogo di parata,
ossia la corte, il quarto il dormitorio de' padroni posto sulla più
elevata parte dell'aguglia.
La costruzione di questo edificio che posa sopra camere sotterranee
parvemi anteriore all'epoca istorica: onde per quanto mi fu detto non
viene ricordato in veruna storia degna di fede; ed io, per quanto
attentamente ne esaminassi ogni parte, non vi scorsi alcun indizio
d'iscrizioni, o di geroglifici.
Le mura sono formate di pietre prese in sul luogo, ed unite con cemento
di calce; e molti angoli sono fatti di mattoni ancora rossi, e ben
cotti. Quelli ch'io misurai sono lunghi due piedi, e larghi un piede, ed
hanno la spessezza di due dita: i pilastri delle porte e delle finestre
sono di marmo composto di nicchi marini di diverse specie, ed assai ben
conservati: alcune camere dell'edificio hanno ancora il coperto.
Pensando al lavoro ed alla spesa di quest'edificio posto in tal luogo, e
ponendo mente alla sua antichità, non si può non esserne sorpresi. Si
vede abbellito di tutto ciò che di più magnifico e signorile aver poteva
il lusso de' tempi in cui fu eretto. Le finestre sono regolari e
simmetricamente disposte, i pilastri, le cornici, i fregi delle porte e
delle finestre sono tutti di marmo colassù trasportato da lontane parti;
come non hanno potuto fabbricarsi in luogo, la calce, i mattoni, ec. La
bellezza, o dirò meglio, la magnificenza dell'appartamento in cui io
penso che si radunasse la corte, e perfino la provvista dell'acqua
necessaria alla costruzione di così vasto edificio in così elevato
luogo, tutto concorre a farci credere che il di lui fondatore fu un
sovrano fornito di non comuni talenti, e di molte ricchezze.
Se vuol supporsi che quest'edificio non fosse che una semplice rocca,
potrebbesi press'a poco determinare l'epoca in cui fu fatta, senza farsi
scrupolo del silenzio della storia perchè potrebbe non aver meritato per
alcun fatto importante, l'attenzione degli storici. Se vuole
risguardarsi come l'abitazione di piacere di alcun ricco privato
somigliante a quelle ch'io vidi sovr'alcune montagne dell'Affrica, direi
che tal'edificio si fece in eguali circostanze, cioè quando non eranvi
case nel paese piano. Ma se poi riguardo alla magnificenza ed al lusso
di questo palazzo, prezioso monumento dei progressi dell'arte all'epoca
della sua costruzione, ed alla singolare inattaccabile sua posizione;
son chiamato a crederlo la dimora di un gran sovrano.
Parmi adunque che il palazzo della Regina sia stato fatto avanti i tempi
storici, ed abitato da un ricco e potente sovrano dell'isola, il quale
volle farne a un tempo una rocca inespugnabile, ed un magnifico
soggiorno, ove i piaceri della società abbellivano e rallegravano
l'apparato della potenza. Ma qual è il principe che lo fece inalzare?
Il nome di _palazzo della Regina_ fu da costante tradizione trasmesso
fino ai nostri tempi, non essendovi persona nell'isola, che non lo
conosca sotto tal nome. Siccome ogni culto ha le sue misticità, mi fu
mostrato nel convento di S. Giovan Grisostomo un antico quadro in legno,
rappresentante, come mi fu detto, la regina fondatrice, cui i monaci
attribuiscono ancora la fondazione del loro convento. Questa principessa
vedesi in atto supplichevole avanti ad una immagine della Vergine Maria.
Il pittore ha fatta la regina più bella ch'egli ha potuto, ma gli diede
un abito greco moderno. A piè del quadro trovasi una iscrizione greca
quasi affatto perduta, ove leggesi ancora il preteso nome di questa
signora, _Maria figlia di Filippo Molinos_, ec.
Pretendono i monaci che si conservasse nel loro convento un antico
manoscritto, portante che questa sovrana era loro protettrice. Niuno
però vide tale manoscritto, ed il confronto dei due edificj disvela
l'anacronismo. Certo è intanto che quando fu fabbricato il palazzo della
regina non conoscevansi ancora nè la Maria, nè i Filippi, nè i Molinos,
ed ancora meno il monastero di S. Giovanni Grisostomo. Questi poveri
Greci dopo l'epoca del basso impero non vedono per tutto che monaci e
monasteri: essi chiamano chiesa la superior parte del palazzo,
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