Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 08

Total number of words is 4464
Total number of unique words is 1724
35.4 of words are in the 2000 most common words
51.7 of words are in the 5000 most common words
59.8 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
risguardarsi come una piazza di second'ordine, come ancora per la sua
posizione geografica, che è l'angolo S. O. della Morea, ed il passaggio
dall'Arcipelago ai mari d'Europa. Ella ha pure nelle sue vicinanze
eccellenti porti, che potrebbero renderla un emporio di commercio.
Trovai con una buona osservazione la latitudine settentrionale di Modone
36° 51′ 41″. Una cattiva osservazione precedente dava due minuti meno.
La sua longitudine è quella dell'isola Sapienza che gli sta al S. Non mi
fu possibile di osservarvi le distanze lunari.
Nel tempo del mio soggiorno la temperatura fu fredda, l'atmosfera quasi
sempre coperta di nubi, e piovve spesse volte.
Sopra un isolotto distante poche tese dalla città vi è un castello, o
torre ottagona, composta di tre piani gli uni su gli altri; ed il più
basso è guernito di artiglieria. In questa torre abita il capitano del
porto, e per passare dalla torre all'isola fu costruito una specie di
molo.
Presso Porta a mare eravi anticamente un altro molo, di cui più non
rimangono che le ruine.
Mal tenuto e meschino è il bagno pubblico. Sonovi molti caffè nei quali
i Turchi sono continuamente occupati a bevere, a fumare, ed a giuocare a
scacchi. Vedonsi nella strada principale diverse botteghe mal
provvedute, e di cattivo aspetto.
L'unità monetaria che si usa a Modone, siccome in tutta la Turchia, è
una piccolissima moneta d'argento, o di rame inargentato, che chiamasi
_para_. Centoquaranta para equivalgono ad una piastra spagnuola.
Il _Goeursch_ o piastra turca moneta della grandezza della piastra di
Spagna vale quaranta _para_. È di rame con poca mistura d'argento.
Il _Yuslìk_ dello stesso metallo vale cento _para_.
Il _Mahboub_ del Cairo, moneta d'oro vale cent'ottanta _para_.
Il governatore di Modone la di cui autorità è sempre precaria,
chiamavasi Mehemet Aga allora indisposto.
Il più influente abitante di Modone è certo Mustafà Schaoux, uomo ricco,
che ha l'aspetto perfettamente di grossolano bandito. Esce sempre di
casa armato di coltello e di pistole. Padrone del bagno pubblico, del
grande caffè, e di tutte le biscazze della città e dell'isola Sapienza
tiene l'Agà quasi confinato nel suo alloggio; ed il capitano del porto,
che ugualmente lo teme, non osa d'entrare in città. Il gran caffè è un
asilo sicuro per ogni delinquente. Dopo esservi entrato, non gli resta a
temer nulla per conto della pubblica autorità finchè non sorte da quel
sacro recinto.
Mustafà Schaoux proteggeva la pirateria nella sua isola. Era amico del
mio capitano, e del suo secondo, che mi accompagnò dalla nave alla casa
quando sbarcai. Poichè questi ebbe avvisato i doganieri che conducevami
in una casa di Mustafà Schaoux, tutti chinarono il capo; mi si fecero
singolari distinzioni, e fui spedito all'istante.
Pure questo Mustafà aveva di fresco sostenuta una guerra con una fazione
sollevatasi contro la sua tirannia. Le ostilità durarono più mesi, i
suoi partigiani assai numerosi eransi ritirati ne' suoi caffè e nelle
sue case, di dove facevano fuoco sopra i nemici che uscivano dalle
proprie abitazioni, ed osavano passeggiare per le strade. In fine
trionfò e mantenne il suo dispotismo, che rinforzossi più che mai.
Simili avvenimenti rinnovansi ad ogni istante nella maggior parte delle
provincie sottomesse all'imperatore di Costantinopoli: onde non è
difficile il prevedere che un tal'ordine di cose non può durare lungo
tempo, e che quest'anarchia perpetua, queste parziali sommosse
termineranno col distruggere l'impero de' Turchi.
Ho già detto ch'io ero alloggiato in una casa di Mustafà Schaoux. Suo
fratello erasi incaricato de' miei affari, ed egli medesimo mi faceva
continuamente la sua corte, ripetendo che _Ali Bey era il primo uomo del
mondo_; volendo con ciò farmi sentire che la mia riconoscenza doveva
essere proporzionata ai servigi, ed agli onori che mi rendeva.
Quest'uomo potente e feroce ha una figlia e due figli bevitori quanto il
padre, ed egualmente grossolani e rossi; sicuro pegno della perpetuità
di così nobile razza. La figlia dell'età di circa dodici anni venne
tutta sola a recarmi la mia biancheria: entrando nella mia camera
scoprissi intieramente il volto assai avvenente. Quando rientrò Mustafà
gli chiesi perchè sua figlia avesse tanta libertà; _mio caro Signore_,
mi rispose, _noi non formiamo che una sola famiglia_. Io mi mostrai
grato alla distinzione che si compiaceva d'accordarmi.
Sul rovescio della collina che signoreggia la città è fabbricato il
villaggio dei Greci, nel quale contansi a pena centocinquanta abitanti;
e le loro case hanno l'apparenza dell'estrema miseria. Pure in questo
luogo teneva la sua residenza il solo console straniero che trovavasi a
Modone, quello di Ragusi. Era questi un uomo di gentili maniere; aveva
seco un canonico, prefetto apostolico della Morea, personaggio istruito
assai, e che nel suo lungo soggiorno di Roma aveva acquistata tutta la
delicatezza dell'urbanità romana. Gli altri consoli Europei risiedono
nella città di Corone distante un giorno di viaggio all'E. di Modone.
Tripolizza è la capitale della Morea in cui risiede il Pascià. Si
pretende che la Morea racchiuda 88,000 Greci, e 18,000 Turchi. La
popolazione Greca era in addietro infinitamente più numerosa; ma vessata
di continuo orribilmente da' suoi brutali padroni, soffre ogn'anno una
sensibile emigrazione. Continuando alcun poco ancora lo stesso ordine di
cose, i Greci abbandoneranno affatto la terra de' loro padri. Se le
virtù e le austerità de' costumi non salvarono la fiera Sparta dalla
vergogna della schiavitù, quale mai nazione potrà lusingarsi d'esser
libera!
La parte orientale della Morea forma un separato dipartimento, detto la
_Maïna_, abitato da 30,000 abitanti. Questo dipartimento è sempre
l'appanaggio del Capitan-Pascià della Porta Ottomana, che lo governa a
suo capriccio, e ne percepisce tutte le rendite.


CAPITOLO XXIII.
_Porta-Longa. — Bastimenti Europei. — Ipsilanti. —
Continuazione del viaggio. — Burrasca. — Arrivo in Alessandria.
— Uragano. — Spaventosa burrasca. — Arrivo a Cipro. — Pessimo
stato del bastimento. — Sbarco a Limmassol._

Io rimasi a Modone fino al 20 febbrajo dì sera, quando il capitano mi
avvisò d'essere pronto a partire. Perciò entrai nella scialuppa che mi
condusse a Porta-Longa, ove trovai tre bastimenti austriaci, i di cui
capitani mi diedero all'indomani una piccola festa.
I venti d'E. ci obbligarono a restare tre giorni in quel porto della
costa orientale dell'isola Sapienza. Due esatte osservazioni fatte in
terra mi diedero la latitudine settentrionale di 36° 46′ 37″.
In questo frattempo si approvisionò la nave di viveri presi a Modone,
come pure d'acqua piovana raccolta nell'isola.
Nell'ultimo giorno entrarono in porto una grande ourca Russa armata, ed
un altro bastimento procedente da Napoli e da Corfù, i quali portavano
ufficiali e soldati Russi sulle coste del Mar Nero.
Vennero a visitarmi un general maggiore ed alcuni ufficiali. Il generale
parvemi un buon uomo; era vestito di nero, con una piccola berretta di
cuojo in capo dello stesso colore, ed una corona composta d'una dozzina
di grani grossi come una noce che teneva in mano. Gli ufficiali avevano
tutti presa l'aria e le maniere inglesi. Erano accompagnati da un Greco,
chiamato Costantino Ipsilanti, nipote del famoso principe di tal nome.
Questo giovane che aveva servito in qualità d'ufficiale nelle guardie
vallone di Spagna, mi parve un dizionario poliglotto ambulante,
perciocchè parlava e faceva versi in dieci o dodici lingue. Io l'udii
parlare inglese, francese, spagnuolo, italiano assai bene:
sgraziatamente per altro con tante cognizioni e talenti, le sue idee
erano frequentemente confuse.
Poichè si ritirarono, io mandai loro un piccolo regalo di latte, e di
rinfreschi, cui corrisposero con una scarica generale dell'artiglieria
dei due bastimenti. Ipsilanti mi spedì i seguenti versi:
«Volerà di lido in lido
La tua gloria vincitrice,
E d'oblio trionfatrice
La tua fama viverà.
«E non solo in questi boschi
Sarà noto il tuo coraggio
Ma ogni popolo più saggio,
Al tuo nome, al tuo valore
Simulacri innalzerà.»
«In segno di verace stima
e profondo rispetto
«L'infimo sì, però servo sincero
_Costantino Ipsilanti_.»
Se come pare questi versi improvvisati sono suoi, può riguardarsi il
Greco Ipsilanti come l'uomo attualmente più istrutto della sua nazione.
All'indomani mattina 21 febbrajo si mise alla vela per continuare la
nostra navigazione al S. O., avendo il capitano alla fine risolto di
passare al largo di Candia senza entrare nell'Arcipelago.
Il vento di N. O. cominciò a rinfrescarsi a mezzodì, e verso sera erasi
cangiato in decisa burrasca. Si corse tutta la notte, ed il susseguente
giorno con colpi di mare terribili; ma in su le nove della sera il vento
calmossi alquanto, ed il pericolo cessò.
Moderati furono i venti del susseguente giorno benchè il mare
continuasse ad essere grosso. Io trovavami in un estremo stato di
debolezza; niente potendo mangiare o ritenere nello stomaco, e vomitando
sangue. Quasi tutti i passeggieri trovavansi egualmente ammalati, e nel
più compassionevole stato. Il capitano peggiorava i nostri mali
prolungando il tragitto, perchè faceva di notte piegar le vele onde
poter dormire a suo agio, dopo aver passata un'ora a cantar canzoni in
onore di Bacco in mezzo alle bottiglie; ciò che non lasciò di fare in
tempo di burrasca. Io non avrei mai creduto d'incontrarmi in un capitano
Turco così dedito all'ubbriachezza, e così poco guardingo nel celarla.
Molte volte pregavami di alzarmi per osservare la nostra posizione,
perchè egli non teneva verun conto di stima, nemmanco per
approssimazione; e trovavasi come un cieco in alto mare senza sapere da
qual parte andare: cosa che faceva disperare i passeggieri, onde mi
pregavano tutti a levarli da tanto imbarrazzo.
Portato a guisa d'un moribondo su le spalle di alcuni uomini veniva
spesso sul ponte. E perchè non avevasi veruna stima della nostra
posizione, feci varie osservazioni del Sole e di Venere, e per
approssimazioni successive, fui a portata di determinare con esattezza
il nostro punto, che trovai di già ben vicino ad Alessandria. Tale
notizia rincorò tutti i passaggieri.
All'indomani mattina 3 marzo avendo trovato che la nostra longitudine
era vicinissima a quella di Alessandria, feci drizzar bordo al S. per
trovar terra. Si scoperse infatti prima di mezzogiorno, e da
quest'istante la gioja fu universale. Ma perchè è una spiaggia assai
bassa ed uniforme, non trovavo verun punto che me la facesse
distinguere.
Osservai la latitudine meridionale, e la trovai quasi affatto la stessa
di quella d'Alessandria. Feci girar di bordo all'E. con vento fresco di
N. O. che ci faceva avanzare gagliardamente.
Ad un'ora e mezza si scopri Alessandria in faccia a noi. Due ore dopo
eravamo già presso al porto; e le case sembravano tanto vicine da
toccarsi colla mano: tutti saltando per allegrezza, si vestivano, e
disponevansi a scendere a terra; già preparavansi le ancore.... Nel
medesimo istante in cui afferravamo la bocca del porto col vento più
favorevole, uno spaventoso colpo d'uragano colpisce la nave ed
impietrisce il capitano.
Il suo secondo, ed i marinaj si ostinano a voler entrare in porto; il
capitano vi si oppone, si fa ubbidire a colpi di bastone, e correndo sul
ponte rimette la prora al mare. Si scongiura di prendere l'altro porto
d'Alessandria, o quello d'Aboukir: ma sordo alle preghiere riprende il
mare, e ci porta in seno alla burrasca la più orribile che immaginar si
possa.
La furia del vento e delle onde s'accrebbe a segno che verso sera tutti
i passeggieri si credettero perduti, e già imploravano ad alte grida la
Divina misericordia. Salii sul ponte, e vidi uno spettacolo d'orrore. Le
onde più alte assai del vascello venivano le une sulle altre a
rompervisi contro; e formavano come una specie di nebbia densa, che a
traverso dalla incerta luce del crepuscolo confondeva la vista del cielo
con quella del mare; tutti gli oggetti sembravano d'un color grigio che
piegava al rossiccio; le vele erano squarciate, il bastimento faceva
acqua da tutte le parti, e le pompe non bastavano per diminuirne la
quantità. La maggior parte de' passeggieri tremanti, sembravano
moribondi; molti marinai erano feriti, sia pei colpi loro dati dal
capitano, sia per le cadute ed i colpi della manovra. Il bastimento era
raggirato come una palla da giuoco tra i due elementi che lo battevano.
Tale fu io spaventoso quadro che s'offerse a' miei occhi. Il capitano mi
s'avvicinò colle lagrime agli occhi, e mi disse; _che potrei io fare,
Sedi Alì Bey? Se è volontà di Dio che noi moriamo qui, questa notte, che
andiamo noi ad essere?_.... Io gli risposi soltanto: _Ah! capitano_....
e non volli proseguire, perchè la cattiva sua condotta, e la sciocca sua
ostinazione ne avevano condotti a tale estremità, ch'egli avrebbe potuto
schivare entrando in uno dei porti d'Alessandria, o meglio ancora s'egli
avesse vegliato la precedente notte; nel qual caso saremmo entrati in
porto avanti il mezzogiorno.
Questa terribile burrasca si andò alquanto calmando in sul cominciar
della notte. Così urgente pericolo non impedì al capitano di chiudersi
nella sua camera, ove poich'ebbe bevute alcune bottiglie di vino
s'addormentò così tranquillamente come se fosse stato all'ancora. Lo
stesso fece il suo secondo poich'ebbe fatto assicurare il timone. I
marinai stanchi e senza capo, sparirono l'un dopo altro andando per
dormire sotto coperta. Io rimasi sul ponte con un marinajo maltese e due
napolitani. Quale spettacolo presenta una nave della grandezza di una
fregata, sbattuta da violenta burrasca, facendo acqua in ogni lato,
senza capitano, senza piloto, senza marinaj, col timone attaccato, e
totalmente abbandonata al furore dei venti e delle onde!
Alle dieci ore della sera il vento rinforzò ancora, ed i colpi di mare
si resero più gagliardi e più frequenti. Vedendo che la burrasca
prendeva nuovo vigore, ero preparato ad una crisi terribile nell'atto
del passaggio della luna per il meridiano; e non potendo assolutamente
contare sul capitano, nè sull'equipaggio, ritenni ogni cosa perduta.
Alle undici ore la luna passò il meridiano, crebbe la burrasca, ed a
mezzanotte era più orribile che mai. Malgrado la luna, ci trovavamo tra
le più dense tenebre; montagne di flutti ne coprivano di quando in
quando, e la pioggia, e la grandine alternavano col furore del mare. I
lampi illuminavano questa scena d'orrore, ma non si udiva il fracasso
del tuono, reso nullo da quello delle onde somigliante al ruggito di
mille lioni e tori; e per colmo di sventura il bastimento, in tale
estremità era, per così dire, abbandonato dal capitano e
dall'equipaggio!... Io mi trovavo affatto debole, ed omai fuori d'ogni
speranza di salvezza: ma la considerazione che vent'anni di vita più o
meno passano come un sogno, ed alcune altre riflessioni calmarono il mio
spirito; e rimasi alcun tempo aspettando tranquillamente il fatale
istante.
La burrasca continuava colla medesima forza. Vidi più volte cadermi il
fulmine vicino, e parvemi ancora di averlo altra volta osservato guizzar
dal mare verso le nubi. Ottenni intanto di risvegliare il secondo ed
alcuni marinaj, i quali cominciarono a pompar acqua, mentre il secondo
ch'era un uomo colossale, preso il timone, cercava di presentar la prora
alle onde: queste due operazioni furono assai utili. Finalmente alle due
ore dopo la mezzanotte vidi innanzi alla prora risplendere una fiamma
che parvemi avesse tre piedi di diametro; ma perchè non potevo
calcolarne la distanza non mi fu possibile di conoscerne l'effettiva
grandezza. La sua esplosione si eseguì senza lampo e senza apparente
movimento; la sua luce brillante come il sole durò tre in quattro
secondi. La figura di questa meteora parvemi quella d'un sacco che si
vuota, e di cui si svolge la tela. Turchino e rossastro fu l'ultimo
raggio di luce.
Lo sparire della meteora fu seguito da un orribile colpo di mare, di
vento, di grandine, che durò fino alle tre ore. Allora la tempesta
cominciò a scemarsi quantunque fosse ancora assai violenta fin dopo il
levarsi del sole; continuando a mantenersi tutto il giorno il vento N.
O., e l'onda grandissima.
Il cinque di marzo poi ch'ebbi osservata la mia posizione, il capitano
decise che non potevasi arrivare ad Alessandria; e risolse di passare a
Cipro. Diressi perciò la nave a quella volta, ed in tre giorni di
navigazione con venti sempre furiosi, ed il mare grossissimo, si diede
fondo nella rada di Limmassol nell'isola di Cipro il 7 marzo 1806.
Come potrei io descrivere il miserabile stato del nostro bastimento?
Tutte le vele squarciate, e senza averne di cambio; il corpo faceva
acqua in ogni lato a segno che le pompe dovevano sempre essere in
azione; tutte le genti ammalate; venti che sembravano prossimi a
spirare: uno era morto il giorno 4, ed il suo corpo era stato gettato in
mare, un altro morì il giorno che si prese porto, due altri erano
agonizzanti, e due impazziti. Gli uomini dell'equipaggio ajutandosi a
vicenda per iscendere a terra fuggirono tutti lasciando il capitano a
bordo con tre o quattro marinaj turchi. Tutti ci affrettammo di
sbarcare. Gli abitanti in vista dell'infelice stato del bastimento, se
ne allontanarono: niuno voleva montare a bordo; e fu duopo che il
governatore della città ordinasse ad alcuni calafattaj di chiudere
almeno le principali aperture del carcasso per salvar la nave, che
faceva temere di colare ben tosto al fondo.
Si pretese che la cattiva acqua dell'isola Sapienza avesse pregiudicata
la salute della nostra gente, e che il vapore di alcuni quintali di
zafferano avesse viziata l'aria del bastimento: ma il peggio di tutto
fu, che in molti giorni che fummo agitati dalle burrasche, furonvi
sempre più d'ottanta persone chiuse sotto senza la menoma apertura per
respirare: tutti eravamo tristi ed abbattuti non avendo altro che pochi
cibi freddi, e gli escrementi di tante persone gettate in fondo alla
cala. Da ciò è facile l'immaginarsi lo stato di quegl'infelici. Rispetto
a me, fortunatamente la camera di poppa ov'io ero solo, non aveva
comunicazione colla sotto coperta.
Allorchè sbarcai a Limassol mi si presentarono alcuni Turchi e Greci; ai
quali avendo chiesto un alloggio, mi condussero in una bella casa, di
cui ne presi possesso coi miei domestici. In seguito venne ad offrirmi i
suoi servigi il governatore turco che è un agà, e spedì due scialuppe
con un ufficiale per isbarcare i miei effetti, che alla dogana non
furono visitati. In ogni cosa fui trattato con quella delicatezza che
avrei potuto desiderare nella più cortese città d'Europa.
Colui che qui aveva cura de' miei affari era il più ricco greco,
Dometrio Francondi, allora vice console d'Inghilterra, e di Russia, e
console di Napoli: parlava assai bene l'italiano, ed era egualmente
rispettato dai greci, e dai turchi.
Era alloggiato in sua casa un inglese chiamato il sig. Rich, che
risiedeva al Cairo, come egli diceva, per amministrarvi gli affari della
compagnia delle Indie. Questo giovane preveniente che parlava senza
stento il turco, ed il persiano, ed aveva adottati gli usi e le
costumanze mussulmane mi accompagnava spesso a pranzo, e parlavami
sempre con entusiasmo di Mamlouk Ali-Bey.
Trovavasi pure presso il sig. Francondi un eunuco nero, ch'era uno dei
quattro capi del serraglio del Gran Signore: chiamavasi Lala, e si
recava alla guardia del sepolcro del Profeta a Medina. Allorchè arrivò a
Limassol rimase mortalmemte ferito da alcuni soldati, che avevano
attaccato uno de' suoi domestici; e questo uomo dotato del più dolce
carattere che mai possa immaginarsi, perì vittima di tale accidente.
Uno de' miei domestici era ammalato in conseguenza delle fatiche
sofferte sul bastimento. Eranvi nella moschea molti altri sventurati
nello stato medesimo.
Il 21 marzo morì una delle donne ch'erano sulla nave, il 25 si perdette
un altro passeggiere, ed un altro mio domestico ammalossi il giorno 23.


CAPITOLO XXIV.
_Viaggio a Nicosia. — Descrizione di questa città. —
Architettura. — Visite d'etichetta. — Arcivescovi, e Vescovi. —
Tributi dei Greci. — Donne. — Ignoranza. — Chiese Turche. —
Moschee._

Trovandomi nel paese reso famoso dalle descrizioni che fecero i poeti
delle gentili avventure della madre d'Amore, volli visitare i siti più
celebri di Citera, d'Idalia, di Pafo, d'Amatunta, accompagnato soltanto
dal sig. Francondi, da suo figlio, e da quattro domestici. Il 28 marzo
1806 partii alle cinque del mattino, prendendo la strada all'E.
Appena passato il fiume d'Amatunta che scorre al S. per isboccare poco
dopo in mare, trovai in riva al mare stesso le ruine della città, di cui
vedremo più sotto la descrizione. Di là seguendo la stessa direzione al
N. O., entrai nelle montagne, ove a mezzogiorno fui sorpreso dalla
burrasca, ed all'un'ora e un quarto giunsi al villaggio di _Togui_.
Il paese attraversato questo giorno offre le più ridenti prospettive. Da
Limassol alle ruine la strada costeggia il mare, e la terra offre
piccole pianure dolcemente inclinate che vanno a terminarsi in amene
colline coperte di un bel verde. Al di là delle colline innalzasi una
catena di alte montagne, le di cui cime erano coronate di neve. Il suolo
formato di una terra vegetabile rossiccia è fertilissimo.
Le montagne attraversate dalla strada hanno un pendio assai dolce, e la
più rigogliosa vegetazione anima questo grazioso paesaggio.
Il villaggio di Togui, le di cui case sono brutte, e mal fabbricate,
trovasi in una pittoresca situazione sul declivio di due colline,
abitata l'una dai greci, l'altra dai turchi. Passa tra le due colline un
piccolo fiume sotto un ponte d'un solo arco, sopra il quale è fabbricata
la chiesa de' greci dedicata a S. Elena.
Il 23 marzo partii alle sette ore ed un quarto, seguendo sempre la
direzione dell'E., un'ora dopo si attraversò il fiume Scarino, che
scorre al S., ed alle tre ore un altro fiume che va dalla stessa banda.
Alle nove e mezzo la strada piegò al N E., s'incominciò a salire sulle
alte montagne. Si giunse alla sommità alle undici, e discendendo per un
dolce pendio si attraversò mezz'ora dopo un villaggio, chiamato Corno,
ove si entrò a mezzogiorno nel monastero greco di _Aià Tecla_ (Santa
Tecla).
Sortendo dal monastero ad un'ora e mezzo mi diressi al N. N. O. Alle due
si guadò un piccolo fiume, e dopo un altro mi lasciai alle spalle il
villaggio Traforio posto a piccola distanza dalla strada. Proseguendo
trovammo a destra altro villaggio detto Tisdarchavi, ed attraversato un
torrente, si giunse alle sei ore, tenendo sempre la stessa direzione,
nella città di Nicosia capitale dell'isola.
Il paese ci presenta in principio piccole montagne fatte a scaglioni, e
coperte di freschissima verzura, che ad ogni tratto ci offrivano ridenti
prospettive veramente degne dell'amabile divinità cui era consacrata
l'isola. Il suolo è composto di una eccellente terra vegetabile, quale
potrebbe desiderarsi per un giardino. Le alte montagne sono formate da
una roccia cornea a varie degradazioni di color verde, dal verde pomo
fino al verde cupo; e vi si trovano ancora dei pezzi di cornea assai
bella, e lucidissima.
Fermai un'istante il mio cavallo per esaminare queste roccie. Il sig.
Francondi mi disse: _queste roccie chiamansi Rocche di Corno_. Gli
chiesi, com'erasi formato tal nome, ed egli mi rispose; _da un luogo che
vedremo tra poco_. È questo quel luogo di cui feci cenno nel descrivere
la strada. Se è accidentale quest'incontro del nome vernacolo d'un
villaggio colla denominazione mineralogica, sarebbe assai singolare; e
nel contrario supposto qual mineralogista avrà fondato, o denominato
così il villaggio di Corno? Sulla origine di questo villaggio non
poterono darmi veruna notizia, lo che è una prova della sua antichità.
Può avere, a dir molto trenta case, ma la sua posizione in mezzo ad una
valle coperta d'ulivi e di cavoli è veramente deliziosa. Gli abitanti
sono quasi tutti fabbricatori di stoviglie.
Queste montagne sono tutte sparse di cipressi selvaggi che formano
macchie assai graziose. Quest'albero indigeno di Cipro, ne ha pure
ricevuto il nome. Tra gli strati di roccia cornea vedonsi alcune vene e
piccoli filoni di quarzo; ma non mi riuscì di vedervi verun indizio di
granito. Che tali montagne siano metallifere, ne fanno prova la mica
ch'esse contengono, e gli ossidi di rame e di ferro.
Dopo avere attraversato due ore dopo mezzogiorno un ruscello si entrò in
un piano di una cattiva terra argillosa. Il piano può avere una lega di
diametro, ed è chiuso all'E. da montagnette di pura argilla bianca,
affatto sterile ed ignuda. Trovasi in sull'uscita di questo piccolo
deserto un poco di terra vegetale, ma d'inferiore qualità. Tutte le
pianure seguenti non presentano nè la fertilità, nè la bellezza della
parte meridionale dell'isola.
Il monastero di Santa Tecla è in una ridente situazione sul pendio delle
montagne cornee. Vi abita un solo monaco con molti domestici, e
lavoratori che coltivano le terre del monastero. L'Arcivescovo di
Nicosia, vero principe dell'isola, gode le entrate di questo monastero e
di molti altri. Sotto alla chiesa di Santa Tecla sorge una fonte di
eccellente acqua. La chiesa è ben tenuta; è nel monastero vi sono celle,
ed abitazioni pei viaggiatori.
L'estensione di Nicosia, capitale dell'isola, la renderebbe capace di
centomil'abitanti; ma è spopolata affatto: vi si vedono in vece di case
molti orti assai vasti, e molti tratti di terreno ingombrati di ruine.
Mi fu detto che attualmente non aveva più di mille famiglie turche, ed
altrettante greche.
Questa città, posta sopra un rialto di alcuni piedi in mezzo ad un vasto
piano, gode di un'aria purissima e di una amena vista. Scoscesa è la
circonferenza del rialto, che serve di muro alla città con parapetto di
pietre tagliate, e mezze lune ad angoli salienti e rientranti, di modo
che è suscettibile di regolare difesa, ciò che gli dà un'importante
aspetto. Ha tre porte dette di Pafo, di Chirigna, di Famagosta. L'ultima
è magnifica essendo formata di una volta cilindrica che copre tutta la
salita dall'inferior piano della campagna fino al superiore ov'è posta
la città. A metà della salita v'è una cupola compressa, o segmento di
sfera, nel centro della quale trovasi una fenestrella circolare per
ricevere la luce. Questo monumento tutto formato di pietre tagliate, e
di marmo comune rammenta l'eccellenza della greca architettura. La parte
di città abitata dai greci non è affatto priva di belle strade; ma tutte
le altre sono anguste affatto, ed inoltre sucide. e non selciate.
Vedonsi alcune case molto belle, ed alcune ancora assai grandi. Quella
in cui io alloggiai, e che apparteneva al _dragomano di Cipro_ primo
impiegato della nazione greca nell'isola può dirsi un vero palazzo, ed è
vagamente ornata di colonne, di giardini, di fontane.
Qui gli edifici sono costrutti affatto diversamente da quelli di
Barberia: colà non ricevono luce che dalla porta, qui per lo contrario
non vedesi muro interno od esterno che non abbia due ranghi di finestre
poste le une sopra le altre, ed in tanto numero, che nella camera da me
più frequentata, la quale aveva 24 piedi in lunghezza sopra dodici di
larghezza, se ne contavano quattordici oltre la porta. Il superiore
ordine di finestre è chiuso da una griglia esterna, ed internamente di
vetri: le inferiori hanno griglie, vetri ed imposte. Questa disposizione
produce un buon effetto in case che hanno il tetto assai alto; e non
devo dimenticar di dire che anche i muri di separazione, hanno le loro
finestre come gli esterni. I corritoi o gallerie sono egualmente
provvedute di griglie.
Il tetto ed una parte della scala sono fatti di legno; di marmo i
pavimenti di tutte le camere, come pure i pilastri delle porte e delle
finestre, ed il primo filare delle case: il rimanente delle muraglie è
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 09
  • Parts
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 01
    Total number of words is 4131
    Total number of unique words is 1778
    33.4 of words are in the 2000 most common words
    48.6 of words are in the 5000 most common words
    55.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 02
    Total number of words is 4427
    Total number of unique words is 1697
    36.6 of words are in the 2000 most common words
    51.3 of words are in the 5000 most common words
    58.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 03
    Total number of words is 4431
    Total number of unique words is 1631
    35.2 of words are in the 2000 most common words
    50.1 of words are in the 5000 most common words
    57.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 04
    Total number of words is 4457
    Total number of unique words is 1663
    33.7 of words are in the 2000 most common words
    49.5 of words are in the 5000 most common words
    57.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 05
    Total number of words is 4372
    Total number of unique words is 1482
    32.6 of words are in the 2000 most common words
    48.4 of words are in the 5000 most common words
    56.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 06
    Total number of words is 4377
    Total number of unique words is 1630
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 07
    Total number of words is 4419
    Total number of unique words is 1694
    34.4 of words are in the 2000 most common words
    51.2 of words are in the 5000 most common words
    58.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 08
    Total number of words is 4464
    Total number of unique words is 1724
    35.4 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    59.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 09
    Total number of words is 4437
    Total number of unique words is 1753
    35.9 of words are in the 2000 most common words
    53.2 of words are in the 5000 most common words
    60.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 10
    Total number of words is 4454
    Total number of unique words is 1608
    36.0 of words are in the 2000 most common words
    50.9 of words are in the 5000 most common words
    58.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 11
    Total number of words is 2300
    Total number of unique words is 1043
    39.2 of words are in the 2000 most common words
    54.7 of words are in the 5000 most common words
    63.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.