Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 07

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Nel tempo del Ramadan non si odono le trombette funebri che si usano a
Marocco; ogni notte vengono illuminate le gallerie delle torri ove i
mudden cantano alcune lunghe preghiere.
Le moschee possedono case e terreni provvenienti da donazioni
volontarie: queste entrate servono al mantenimento dei ministri e degli
altri impiegati nelle cose del culto.
Il muftì è il capo della religione, e l'interprete della legge. Stan
sotto di lui due kadì, uno per gl'individui del rito ehanefi, l'altro
per quelli del rito maleki.
La composizione dei tribunali del muftì e delkadi è veramente una
istituzione rispettabile Questi giudici sono incorruttibili, e tutti i
loro ministri sono mantenuti coi proventi delle moschee.
Sonovi in Tripoli tre prigioni, una per i Turchi, e due per i Mori, ma
sono male governate ed i prigionieri sono obbligati a mantenersi del
proprio, o col prodotto della carità pubblica.
I negozianti e gli oziosi sogliono riunirsi in un caffè; ed il basso
popolo in due altri d'un ordine inferiore. Da pertutto vi si prende il
caffè senza zuccaro.
Vi sono pure alcune taverne ove si vendono vini e liquori dai Mussulmani
medessimi, che non si fanno scrupolo di beverne ancor essi malgrado la
proibizione della legge. Questo ramo di pubblica entrata produceva
all'erario centomila franchi.
Il mercato è assai ben provveduto, ed i viveri si vendono a prezzi
moderati. Vi si trovano eccellente pane e carni, non così i legumi. I
Tripolitani fanno il couscoussou meno fino che a Marocco; essi usano
molti altri grani, alcuni de' quali provengono dall'interno
dell'Affrica. Il paese produce l'olio necessario al suo consumo.
La terra è comune come a Marocco, purchè non sia circondata da qualsiasi
siepe; e trovansi varj abitanti che possiedono quindici ed anche venti
poderi chiusi; e mi fu detto averne uno bellissimo il Pascià. Mancando
acque correnti s'innaffiano i giardini coll'acqua salmastra de' pozzi,
che si attigne con una macchina posta in moto dai muli.
I Giudei che hanno in Tripoli tre sinagoghe sono assai meglio trattati
che a Marocco. Sono circa due mila che vestono alla musulmana, e solo la
berretta, e le pantofole devono essere nere, ed il turbante
ordinariamente turchino. Si contano fra questi circa trenta famiglie
ricchissime, gli altri sono artigiani, orefici ec. Il commercio d'Europa
è quasi tutto nelle loro mani: essi corrispondono principalmente con
Marsiglia, Livorno, Venezia, Trieste e Malta. Vi sono pure alcuni
negozianti mori tra i quali Sidi Mehemet Degàiz primo ministro del
Pascià, che ha fama d'avere in circolazione un milione di franchi.
Se sono sincere le notizie che ho potuto raccogliere, la bilancia del
commercio di Tripoli coll'Europa è a suo vantaggio, perchè le
esportazioni eccedono d'un terzo il valore delle importazioni; ma il suo
commercio col Levante e coll'interno dell'Affrica conguaglia i vantaggi
di quello d'Europa. Riunirò altrove le particolarità del commercio di
questa città con quello degli altri paesi.
Le misure ed i pesi che vi si adoperano sono inesatti come a Marocco,
tanto per la grossolana loro forma che per mancanza d'un tipo originale.
Dietro un grande numero di confronti diretti ho trovato i seguenti
risultati.
Il pik o gomito di Tripoli, detto _dràa_ è la base d'ogni loro misura:
corrisponde a venticinque pollici, nove linee e mezza del piede
Parigino.
L'_Artàl_ o _rottla_ a sedici oncie, sei grossi, e 54 grani del peso di
Parigi.
La misura dei grani è chiamata _ouiva_, ma perchè riesce incomoda a
cagione della sua grandezza, adoprano d'ordinario un'altra misura che
non è che la quarta parte.
Questa misura di capacità, _quarto ouiva_, è un vaso di legno che ha la
figura di cono troncato fatto assai grossolanamente. Dopo fatte le
possibili riduzioni trovai che la sua capacità era uguale a pollici cubi
di Parigi 1200. Ma perchè si usa di colmare la misura, devono
aggiungersi 130. Onde questa misura colla colmata contiene del piede
Parigino 1330 pollici cubi.
Tali sono i piedi e le misure da me paragonati; ed avuto riguardo ai
mezzi di cui mi sono servito, ho motivo di lusingarmi che i miei
risultati siano più esatti di quelli avuti precedentemente.
Le monete in corso a Tripoli sono le seguenti:
In oro
_Scherifi_ — Vale 48 hamissinn: è la moneta di maggior valore.
_Nos scherifi_ — Eguale a 24 hamissinn.
_Mahbouh trablessi_ — Vale 28 hamissinn.
In argento
_Yuslik_ — Vale 10 hamissinn.
_Tseaout hamissinn_ — Eguale a 9 hamissinn, come lo indica il suo nome.
_Hamissinn_, ossia _bou hamissinn_ — È l'unità monetaria, e la moneta
più comune in circolazione; 26 hamissinn valevano allora una piastra
Spagnola.
_Nos hamissinn_ — La metà d'un hamissinn come lo indica il suo nome.
_Para_ — dodici para e mezzo equivalgano ad un hamissinn.
In rame.
_Para_ — Dodici para e mezzo equivalgono ad un hamissinn.
_Nos para_ — ossia mezzo para, de' quali 25 formano un hamissinn, è la
più piccola specie corrente.
Moneta ideale.
_Piastra_ — Cinquanta piastre formano un hamissinn.
Tutte queste specie, ed in particolar modo quelle d'argento sono d'una
bassa lega, e poco più che rame inargentato.
Il valore rispettivo di queste specie va soggetto ai capricci del
momento: di modo che all'epoca in cui io mi trovavo a Tripoli eranvi dei
_para_ di buon argento in circolazione, che avevano esattamente lo
stesso peso di quelli di rame, e pure gli uni e gli altri avevano lo
stesso valore rappresentativo di dodici para e mezzo per un hamissinn.
Gli Europei sono a Tripoli assai ben veduti, e rispettati. Oltre gli
agenti delle diverse potenze d'Europa, eravi allora un negoziante
Francese, fratello del Console, uno Spagnuolo fabbricatore di navi, un
medico Maltese, ed un orologiajo Svizzero.
I Cristiani vi hanno una cappella ufficiata da quattro monaci del
terz'ordine di Roma. È cosa assai singolare che questi monaci hanno
nella loro cappella una campana, il di cui suono si fa udire ogni giorno
in tutti gli angoli della città. Questa chiesupola è mantenuta
cogl'incerti, colle donazioni, e con una pensione della corte di Roma.
Si dice che il clima è caldo nella state proporzionatamente alla
latitudine, ma che tutte le altre stagioni offrono l'immagine d'una
perpetua primavera. Pure, durante la mia dimora, ebbi alcuni giorni
freddi, che però mi fu detto essere affatto straordinarj al paese. Dalle
mie osservazioni meteorologiche fatte a Tripoli risulta, che il più alto
grado di calore fu di 16° 1′ di Réaumur in diverse mattine, e durante la
notte.
Questa minorazione di calore sarebbe in Europa poco sensibile, ma qui
produce una così piccante sensazione di freddo, come in Europa il freddo
dell'inverno, lo che senza dubbio è relativo allo stato abituale dei
pori, che sono in questo paese sempre aperti.
Ho veduto regnare quasi abitualmente i venti del quartiere d'O.; cadde
molta pioggia, e l'igrometro di Saussure segnò frequentemente 100 gradi,
termine della estrema umidità.
Vidi un bel monumento presso alla casa del console di Francia; un arco
trionfale inalzato dai Romani, e composto di una cupola ottagona,
sostenuta da quattro archi posti sopra quattro pilastri. Il tutto è
fatto senza cemento con pietre tagliate di enorme grandezza sostenute
dalla propria gravità[5].
[5] _I Romani che fabbricavano per l'eternità conoscevano
ottimamente, che il solo cemento che possa resistere all'urto
del tempo è la gravità._
Questo monumento era ornato di sculture, di figure, di festoni e di
trofei d'armi internamente, e al di fuori; ma la maggior parte di tali
rilievi fu distrutta: non rimangono adesso che parti isolate incoerenti,
che attestano ancora l'antica eccellenza del lavoro.
Sulle facciate al nord, ed all'occidente vedonsi gli avanzi d'una
iscrizione, che pare essere stata la medesima in amendue i lati. Questa
singolarità rese facile al sig. Nissen console di Danimarca il
redintegrarle, riunendo ed ordinando, i frammenti delle due iscrizioni.
Lontano venti leghe da Tripoli vedonsi le ruine dell'antica _Leptis_, e
_Lebda_; e mi fu detto rimanervi tuttavia molte colonne, capitelli, ed
altri interessanti rottami. Il sig. _Delaporte_ cancelliere del
consolato generale di Francia che visitò tali ruine ha copiato le
iscrizioni.
A maggiori distanze entro terra vedonsi pure le grandiose ruine d'altre
città antiche, con catacombe, statue, ed avanzi di edificj d'ogni
specie.
La costa di Tripoli stendesi duecento venti a duecento trenta leghe dai
confini di Tunisi fino a quelli d'Egitto, ed in tale estensione contansi
i seguenti porti.
_Trabonca_ porto situato alla estremità della costa; dodici leghe al di
là del quale verso occidente trovasi _Bomba_, rada con un buon
ancoraggio. _Rasatin_ si trova otto leghe più lontano, porto che non
ammette che i piccoli bastimenti che vengono a caricar sale. Altre
quindici leghe più in là avvi _Derna_, il di cui basso fondo rende quel
porto impraticabile nell'inverno: vi si caricano per Alessandria
butirro, cera e lana, in cambio di riso, e della tela di cottone. Gli
abitanti di Derna non conoscono altra moneta che quella del Levante, e
le piastre spagnuole. Quaranta leghe al di là da Derna vedesi Bengàssi
buon porto, ma non praticabile dai grandi bastimenti: pure vi si fa un
ragguardevole commercio di lane, di butirro, di miele, di cera e di
piume di struzzo, con Marsiglia, Livorno, Venezia, Malta e Tripoli.
Cinquanta leghe più in là è situato il Capo _Messurat_, la di cui
cattiva rada è esposta a tutti i venti: vi si caricano datteri per
_Bengassi_.
Tripoli il di cui porto non ha bastante fondo per le navi da guerra, ed
è aperto ai venti di N. E. trovasi lontano trent'otto leghe all'O. dal
Capo Messurat: vi s'imbarcano lane, datteri, zafferano, soda, senape,
donne negre, pelli, penne di struzzo per i porti d'Europa sopra
enunciati, e per il Levante. Dieci leghe più occidentale era il _vecchio
Tripoli_, il di cui porto non è ora praticabile che ai piccoli battelli,
che caricano la soda per Tripoli. Vedesi finalmente altre ventiquattro
leghe più in là Sovàra nella di cui rada le piccole barche vanno a
caricare sale e pesce salato per tutta la costa.
In così vasta estensione del regno di Tripoli non si contano che due
milioni d'abitanti, perchè la maggior parie del paese è deserto, e
tranne gli abitanti della capitale, gli altri sono poveri e sventurati
Arabi. L'autorità del governo sul paese è così poco rispettata, che
niuno, se non è Arabo, può viaggiare a qualche distanza senza andare in
carovana, o fortemente scortato; altrimenti sarebbe infallibilmente
derubato, o assassinato.
Gli abitanti di Soàkem, di Fezzan e di Guddemes che sono tributarj di
Tripoli, tengonsi in corrispondenza cogli abitanti dell'interno
dell'Affrica. Il sovrano di Fezzan viene riconosciuto dal bascià di
Tripoli sotto il nome di _Scheik di Fezzan_. I Fezzanesi sono neri
grigi, poveri, ma di un carattere assai dolce. A Tripoli s'impiegano ne'
più piccoli esercizj.
Abita due leghe lontano da Tripoli il maggior santo o marabotto del
paese detto il _leone_. Ha un villaggio cinto di mura ove trovasi la
moschea; gode il dono della santità ereditaria, come i santi di Marocco:
il suo villaggio è un asilo inviolabile per i delinquenti, qualunque
siano i loro misfatti, fosse anche l'assassinio del Pascià. Il _leone_
attuale è un uomo d'oltre quarant'anni.
Le montagne più vicine alla città trovansi ad otto leghe verso il S., i
di cui abitanti sono tributarj del Pascià.
In vista del pericolo non potendosi viaggiare isolati, molte carovane
vanno e vengono di levante a ponente ne' tempi tranquilli. Le grandi
carovane di Marocco, di Algeri, di Tunisi, e di El-Gerid quando
intraprendono il viaggio della Mecca, riposano quivi quindici giorni:
attualmente non possono viaggiare per le turbolenze che agitano quasi
tutta la Barbaria e l'Egitto. Questa circostanza mi costrinse ad
intraprendere per mare il tragitto di Alessandria, e di continuare in
tal modo il mio pellegrinaggio alla casa di Dio.


CAPITOLO XXII.
_Congedo d'Ali Bey dal Pascià di Tripoli. — Partenza alla volta
di Alessandria. — Errore del Capitano. — Arrivo sulle coste
della Morea. — Isola Sapienza. — Continuazione della strada. —
Mancanza di viveri. — Ritorno a Sapienza. — Modone._

In conseguenza delle mie disposizioni sì allestì per il mio tragitto ad
Alessandria un grosso bastimento Turco, che sortì dal porto di Tripoli
il 26 gennajo 1806, colle mie genti ed i miei equipaggi, mentre io mi
stavo ancora a Tripoli con due domestici, aspettandovi gli ordini dei
Pascià, che mi aveva fatto prevenire che desiderava abbracciarmi avanti
ch'io partissi.
Perchè il tempo passava, ed il Pascià non mandava a cercarmi,
incominciai ad essere inquieto, come pure i miei amici, perchè il
bastimento trovavasi già due miglia al largo, bordeggiando per
aspettarmi.
Finalmente alle dodici ore del mattino ebbi ordine dal Pascià di recarmi
al suo palazzo.
Mi accolse colla maggiore cordialità, mi fece sedere presso di lui, e
rinnovò in una lunga conversazione i primi tentativi per indurmi a
restare a Tripoli. Alzossi in uno slancio di cuore, e stando in piedi
innanzi a me, mi disse: _Io sono tuo fratello; che vuoi tu? parla_. Lo
accertai della mia riconoscenza, ma stetti fermo per la partenza. Poco
dopo scherzando meco, condussemi ad una finestra, di dove vedevasi il
bastimento che bordeggiava verso l'orizzonte, e prese a dirmi: _vedete,
vedete come vi aspetta_. Avendo il bastimento tirato un colpo di
cannone, soggiunse: _egli vi chiama_. Presi allora la parola per dirgli:
_in nome di Dio, mio amico, lasciatemi partire_. Ci abbracciammo colle
lagrime agli occhi, e partii accompagnato dai miei amici, e da alcuni
suoi cortigiani. Trovai preparate al porto le scialuppe del Pascià: miei
amici imbarcaronsi meco ad un'ora dopo mezzogiorno, e mi accompagnarono
fino al bastimento, ove li congedai. Immediatamente dopo, il vascello si
diresse al N. E. con buon vento, e si perdette ben tosto di vista la
terra.
Questo bastimento era grande ma cattivo veliero; ed il capitano la più
gran bestia che si potesse trovare. Quand'egli non vedeva più la terra,
non sapeva più dove si fosse, e non sapeva pur fare il più piccolo conto
di stima. Fortunatamente il suo secondo incaricavasi di tutto, e non
rimaneva a quest'imbecille altra incombenza che quella di bevere a
dismisura, e di dormire.
Trovavansi a bordo molti passeggieri, cioè: due negozianti Marocchini,
un ufficiale del Pascià di Tripoli, due o tre piccoli negozianti
Tripolitani, uno scheriffo Marabotto detto Muley Hassen, che vantavasi
di essere stato grande distruttore dei Francesi nella guerra d'Egitto;
cinque in sei donne, e molti pellegrini che andavano alla Mecca, i quali
erano tanto miserabili, che sembravano piuttosto avventurieri che
cercassero di fare fortuna, che persone che andassero a soddisfare ai
doveri della divozione.
L'aria del mare mi era così contraria che ogni tragitto ch'io facevo mi
ruinava sempre più il temperamento: di modo che questa volta mi trovai
estremamente male, avendo dovuto restare due giorni a letto. Il 29 potei
alzarmi, ed avendo fatte alcune osservazioni astronomiche mi accorsi che
in vece di tenere la strada d'Alessandria, ci eravamo alzati in maniera
verso il N. che il bastimento stava per entrare nel mare Adriatico,
sulla direzione di Corfù.
Prevenni il capitano dell'errore, ed egli fece cambiare direzione all'E.
per cercare la costa della Morea, sulla quale giugnemmo dopo quattro
giorni di calma. Si gettò l'ancora all'isola Sapienza in faccia a
Modone.
Questo paese offre una spaventosa prospettiva; sembrando tutto
squarciato da eruzioni vulcaniche. La base del terreno è un'argilla
glutinosa assai tenace, ed il fondo del mare è della stessa specie di
terra, per cui le ancore vi si attaccano con una straordinaria forza.
Avevamo dato fondo a quaranta braccia dalla costa al N. dell'isola
Sapienza, in venti e più braccia di acqua.
Si rimase cinque giorni all'ancora nella medesima posizione, e
quantunque ammalato scesi un giorno a terra, e trovai che la latitudine
settentrionale dell'isola in vicinanza al nostro ancoraggio era 36° 49′
51″; ma la longitudine vuol essere meglio discussa. Osservai altresì la
declinazione orientale dell'ago magnetico di 14° 27′ 0″, non
rispondendo per altro della differenza di uno o due gradi, perchè la mia
bussola sofferta aveva l'avaria d'un colpo di mare nel tragitto di
Laraïsch.
L'isola della Sapienza può avere otto in dieci miglia di circonferenza:
è formata di terra argillosa coperta di roccie calcaree; ed è tutta
sparsa di piccole montagne e di colline. Mancante di ruscelli, di
sorgenti, di pozzi, non ha che un poco d'acqua che si raccoglie quando
piove in alcune cavità delle rupi; ma anche quest'acqua sempre malsana
non conservasi in tempo d'estate. Veruna famiglia vi soggiorna
stabilmente, e soltanto finchè vi si trova acqua vi si conducono alcune
mandre di pecore e di capre, custodite da pastori greci vestiti di una
specie di giubbone, e di un pajo di mutande di pelli dì montone non
spogliate della sua lana. Sembrano sani e robusti, e nella ilarità del
volto mostransi contenti della loro sorte: bella è la loro carnagione,
ed il loro sguardo penetrante e vivo. Siccome non conoscono che il
linguaggio del proprio paese, non potei legar con loro conversazione; ma
parvemi che conservassero ancora un avanzo della politezza e della
urbanità che formavano il carattere degli antichi Greci.
Da questa isoletta vedesi la città di Modone posta sul continente in
riva al mare alla distanza di mezza lega al N. N. O. Vedesi pure a poca
distanza dal continente un isolotto assai alto, sul quale i Russi
avevano nell'ultima guerra piantata una batteria di ventiquattro cannoni
per battere la città: io per altro non so persuadermi, che in uno spazio
così limitato, comecchè opportunissimo all'oggetto, si potessero
manovrare ventiquattro cannoni.
Noi restammo all'ancora; ed il capitano continuava a bevere largamente:
in fine la mattina del sette febbrajo si spiegarono le vele con un vento
d'O. Poco prima gli avevo indicata la direzione che doveva prendere per
tenersi al largo dell'isola di Candia, e andare direttamente ad
Alessandria. Promise di attenersi ai miei ricordi; ma egli aveva
intenzione d'entrare nell'Arcipelago, e di dar fondo sotto qualsiasi
pretesto nel porto di Canea, o di Candia. Perciò durante la notte mutò
direzione all'E., ed in sul fare del giorno mi vidi in faccia alle isole
di Cerigo e di Candia all'imboccatura dell'Arcipelago. Rimproverai al
capitano un'operazione che doveva prolungar molto il nostro viaggio, del
che scusossi, dicendo di non aver potuto fare altrimenti, e che non si
poteva a meno di entrare nell'Arcipelago. In tale stato di cose ci
sorprese una perfetta calma.
I molti capi e montagne della Morea coperte di neve, e le varie isole
poste sull'ingresso dell'Arcipelago presentano una sorprendente veduta.
Tutte le isole assai alte mi parvero composte della roccia medesima
ond'è formata l'isola della Sapienza. Quella di Cerigo che domina
l'ingresso dell'Arcipelago pare ben coltivata, e contiene molti
villaggi. Trovavasi allora occupata dalle truppe Russe.
In sul cominciare della notte si levò un piccolo vento, che facendo
temere al capitano l'avvicinamento della terra, volse la prora al mare,
indi s'addormentò affatto ubriaco.
Il giorno dopo voleva entrare nell'Arcipelago; ma eravamo troppo
lontani. Il vascello con piccoli venti, o contrariato dalle calme
avanzava assai lentamente; ed essendo sopraggiunta la notte prima di
arrivarvi, il capitano rinnovò la manovra del precedente giorno, lo
stesso fece cinque giorni consecutivi: lo che non sarebbe accaduto, e
noi saremmo entrati il secondo giorno nell'Arcipelago, se, vegliando una
sola notte, avesse corso piccole bordate per tenersi nella sua
posizione.
Un giorno si dubitò d'essere minacciati da un pirata; e si approntarono
le armi, ma il pirata s'allontanò rispettando forse la portata del
nostro bastimento, ed il ragguardevole numero di uomini da cui lo vedeva
montato. Il labirinto delle isole dell'Arcipelago favorisce i progetti
di questi assassini, che con deboli barche senza artiglieria, e con
iscarsi equipaggi, ma ben armati e decisi, attaccano bastimenti assai
considerabili: il nostro capitano ed il suo secondo avevano molti anni
esercitato questo nobile mestiere. Allorchè un pirata s'impadronisce di
un bastimento, annega d'ordinario tutto l'equipaggio, e chiunque si
trova con esso, onde non si palesi il segreto; conduce poscia il
bastimento in alcuno dei tanti porti deserti di cui abbonda questo mare,
e colà si gode pacificamente la sua preda: lo che prova evidentemente
che il governo Turco non è capace, o non si cura di distruggere tanta
infamia.
Durante questa nojosa navigazione, eransi consumati quasi tutti i viveri
e l'acqua: molti passeggieri non avevano più nulla da mangiare; ed
eravamo tutti ridotti ad un ottavo di razione d'acqua.
In tale situazione i viaggiatori, ed i marinaj tanto più rattristati, in
quanto che non sapevano vederne il fine, tenevano tutti rivolti gli
occhi sopra di me: ma che potevo io fare con quell'imbecille di
capitano, il quale in mezzo a tanta sciagura continuava ad ubbriacarsi e
dormire?
Finalmente montai sul ponte, feci distribuire parte de' miei viveri, e
somministrai denaro ad una quarantina di sventurati, onde potessero
comperarsi i viveri da coloro che ne avevano. Riconfortata così alla
meglio la gente; rimproverai acerbamente il capitano della sua condotta,
che ci aveva ridotti in così trista situazione. Sentendo il suo torto e
vergognandosi, voltò bordo al N. E., e facendo buona guardia tutta la
notte, all'indomani 14 febbrajo rientrò in un piccolo porto dell'isola
Sapienza, onde vettovagliarsi a Modone.
Questo piccolo porto, detto _Porta-Longa_ è bello e ben chiuso con un
isoletta alla imboccatura, ed un fondo eccellente: vi si può dar fondo
fino a quaranta braccia dalla riva, ed ancora molto più vicino coi
piccoli bastimenti. È capace di dodici o quindici vascelli di guerra che
vi possono restare in tutta sicurezza in qualunque vento, perchè coperto
da tutti i lati, e protetto da montagne.
La stessa sera entrò in Porta-Lunga un bastimento greco proveniente da
Livorno.
La domenica 16 febbrajo io sbarcai a Modone piccola città sei in sette
miglia lontana da Porta-Longa.
Tre grosse figure turche mi ricevettero alla dogana su la riva del mare,
e mi colmarono di gentilezze, invitandomi a prendere il caffè, e mi
offrirono una delle loro lunghe pipe che io rifiutai. Siccome nessuno di
loro intendeva l'arabo, nè verun altro linguaggio da me conosciuto, non
potei rispondere che con segni di riconoscenza alle lor gentilezze. Ci
lasciammo reciprocamente soddisfatti, ed io entrai in città, ove mi era
stata destinata una casa nella contrada principale.
La città di Modone può riguardarsi come una buona fortezza. Posseduta un
tempo dagli Spagnuoli, poi dai Veneziani, fu successivamente fortificata
da quelle due nazioni. E circondata da alte fortissime mura con torri
provvedute di numerosa artiglieria, larghe fosse, controguardie, strade
coperte, palificate, ec., ma ciò che in particolar modo difende i ponti
levatoj e la porta di terraferma è un gran bastione fatto dai Veneziani,
sulle di cui facce vedesi tuttavia il leone di San Marco. La città dalla
banda di terraferma ha una sola porta, e due in sul mare. Vien detto che
abbia inoltre un portello segreto che mette in campagna, e per il quale,
mentre i Russi l'assediavano, i soldati turchi fecero una sortita, e
batterono così aspramente gli assedianti, che furono obbligati a fuggire
abbandonando tutta l'artiglieria, e gli altri effetti di campagna.
Non pertanto questa piazza ha il capitale difetto di essere dalla parte
del N. dominata da una piccola altura, sulla quale può facilmente il
nemico stabilire delle batterie in distanza di sole centocinquanta tese
dal corpo della piazza, senza che questa vi si possa opporre, e di dove
il nemico signoreggia una gran parte della strada coperta, e batte fino
ai piedi della muraglia. Per ovviare a questo inconveniente, gli
Spagnuoli fabbricarono un'altissima batteria nel corpo della piazza; e
questa opera, benchè in parte danneggiata dal fuoco russo, esiste ancora
in buono stato: ma in vece sarebbesi dovuto spianare il rialto
esteriore, che pure non sembra cosa assai difficile. Imperciocchè finchè
resta, le batterie che il nemico sarà sempre in libertà di stabilirvi,
malgrado gli sforzi della piazza, riusciranno ben tosto a far tacere il
fuoco degli assediati; ed in allora gli assedianti possono stabilirsi
liberamente su la cresta della strada coperta, e battere in breccia.
Questa piazza è piena d'una immensa quantità d'artiglieria d'ogni
calibro, d'ogni nazione, di tutte le età, ma questi pezzi sono tutti mal
montati; la maggior parte senza carro, e posti soltanto in prospettiva.
Modone è abitato dai Turchi. Credo che possa contenere un migliajo di
famiglie; e si vuole che abbia settecento soldati pagati dal Gran
Signore. I pochi ch'io vidi mi parvero belli, bianchi, ben fatti, e
sopra tutto ben equipaggiati, e ben vestiti. Le loro armi sono una
piccola carabina, due pistole, ed il _khanjear_, ossia coltello. Vidi
pochissimi cavalli, e questi ancora assai cattivi.
In tempo della mia dimora tutti gli uomini d'arme uscirono di città per
dar la caccia ad una masnada di briganti che pochi giorni prima avevano
sorpreso un villaggio, e scannati gli uomini, le donne, ed i fanciulli.
Queste orribili scene sono sgraziatamente nella Morea assai frequenti;
manifesto argomento della disorganizzazione del governo turco.
Modone circondato di alte mura, con strade anguste, e sucide sembrommi
un soggiorno insalubre, perchè vi si respira un'aria inprigionata, ed
infetta di cattivi odori. Ho inoltre osservato nella campagna che
l'argilla forma un terreno pantanoso e disaggradevole, ed a questa
cagione io attribuisco quell'apparenza di putrefazione che vedesi
egualmente nei legumi e nelle frutta. Il pane molle, ed affatto nero
rassomiglia perfettamente ad un pezzo di fango disseccato per metà; e la
stessa disgustosa apparenza trovai perfino nella carne. Pure gli
abitanti vi si conservano sani e con bei colori; vantaggi che potranno
forse ascriversi alla molta quantità di vino che vi si beve: in
proporzione più considerabile che in qualunque città d'Europa malgrado
la proibizione della legge.
In città non sonovi fonti, ma soltanto pozzi, la di cui acqua non è
bevibile, e quella che vi si beve vien portata dalle bestie da soma, e
presa in un ruscello che scorre a breve distanza dalla città. Eranvi in
altri tempi alcune fonti, ma ne furono minati i condotti.
Quasi tutte le muraglie sono fatte di pietre tagliate; le case sono pure
di pietra, coperte di tegole all'usanza d'Europa, e le strade ben
lastricate. Queste pietre sono di varie specie d'ardesia, di pietra
calcarea, o di marmo grossolano. I palchi delle camere sono di legno. Le
case hanno molte finestre verso strada fatte all'europea, e chiuse da
griglie assai fitte. Alcune porte, ed alcuni archi che preludono qualche
idea d'architettura sono tutte di stile greco, e nulla vi si vede che
ricordi lo stile arabo.
In generale l'aspetto di questa città è trista assai. Il color
cenericcio degli edificj, le tegole dello stesso colore, l'altezza delle
mura, le sozzure che si lasciano nelle strade, il cattivo odore che
n'esala continuamente, la cattiva qualità dei cibi, la scarsezza d'acqua
buona, la povertà e la inazione assoluta degli abitanti che non hanno nè
arti nè commercio, la reciproca loro diffidenza, le diverse loro sette
sempre armate e sempre disposte a battersi, il cupo silenzio che domina
la città, la pubblica ubriachezza, tutto concorre a dare a questa città
l'aspetto di una dimora infernale: pure per le sue fortificazioni può
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