Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 05

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Non è a dubitarsi che queste pianure di sabbia non siano depositi del
mare, che sensibilmente si ritira da queste rive: la baja di Tanger si
colma; il fiume di Rabat va egualmente colmandosi e restringendosi, e lo
stesso fenomeno si riproduce a Mogador, nel canale, che lo separa
dall'isola, e serve di porto. Questi fatti sono provati dagli ancoraggi
che ogni giorno diventano più ristretti, e vedonsi ad ogni istante
vortici di sabbia levati dalla spiaggia del mare dal vento d'O. formare
in poco tempo _dune_ o colline ne' luoghi ove non eranvene per lo
innanzi, senza che giammai un contrario vento, una forza contraria
equilibri questi effetti, di modo che la sabbia viene levata sempre
dalla riva del mare senza più ritornarvi. Quindi se il Sahhara è una
replica in grande dello stesso fenomeno, come tutto c'induce a crederlo,
ben lungi d'essere composto dell'_humus depauperatus_ di Linneo, non
sarà che una superficie di sabbia abbandonata dal mare, come quella di
Tanger e di Mogador, e che non fu giammai atta alla vegetazione.
Tale congettura si spinge ben presso all'evidenza quando si fa
attenzione alla piccola elevazione del Sahhara sopra il livello del
mare. Noi vediamo il Wad-Dràd, il Wad-Taffilet, e gli altri fiumi che si
precipitano dal piovente settentrionale dei monti Atlante nel deserto,
perdersi senza poter arrivare al mare per mancanza di declive per
proseguire il corso.
Il Senegal e la Gambia si precipitano dalle vicine montagne di Kong
verso il N., ed il N. O.: arrivati, il primo sui confini del Sahhara, ed
il secondo in altra pianura, ritorconsi bruscamente all'O., e dopo
infinite sinuosità somiglianti a quelle del Meandro dell'Asia minore,
giungono al mare a traverso un piano quasi insensibilmente inclinato,
formando nel loro corso innumerabili isolette, perchè la caduta di un
albero, o qualunque altro leggero ostacolo basta a deviare, e dividere
la loro debole corrente.
Ciò sembra indicare, che quando le montagne del Kong formavano un'isola,
questi grandi fiumi precipitavansi nel mare del Sahhara, e che quando
questo mare fu colmato dalla sabbia ammonticchiata a poco a poco, i
fiumi diressero il loro corso verso l'Oceano, a misura che la sabbia
successivamente aumentandosi li forzava a ripiegare dalla prima
direzione. Debole essendo la loro corrente, bastava a farli piegare il
più leggero ostacolo, come a' nostri giorni accade rispetto al Senegal
quando questo fiume è vicino a metter foce nel mare.
Queste considerazioni corroborate dall'immensa quantità di conchiglie
trovate nei deserti all'O. dell'Atlante, e dalla considerabile quantità
di sale che trovasi nel Sahhara, e da altri fatti da me osservati, mi
fanno credere che il Sahhara fu un mare fino ai tempi assai vicini
all'età nostra, quando si paragoni colle grandi epoche della natura; ed
allora troviamo che la Cordelliera dell'Atlante era un'isola.
Questa Cordelliera dai naturali è chiamata _Tedla_, e siccome questo
vocabolo, secondo il costume delle lingue orientali, è scritto senza
vocali, può ancora pronunciarsi _Atdla_; cui i Greci aggiunsero la
finale come comportava il genio della loro lingua: ed ecco questo nome
conservato dalla prima antichità tradizionale fino al presente.
Se consultinsi gli autori e le carte antiche, si troveranno i mari che
circondano l'Affrica dalla parte di levante, di mezzogiorno, o
d'occidente, indicati col nome di _mare Atlantico_; e poichè il paese
d'Atlante dava il proprio nome a mari tanto lontani, a più forte ragione
l'avrà dato ancora al mare di Sahhara che bagnava le sue coste, ed in
allora l'isola dell'Atlante, e l'Atlantide si presenta circondata dal
mare dello stesso nome, e dal Mediterraneo, offrendo esattamente le
prime circostanze annunciate a Platone dal sacerdote di Sais, il quale
dice che quest'isola era situata _sulle rive del mare Atlantico_.
Un'altra particolarità di quest'isola è quella di trovarsi _in faccia
all'imboccatura che i greci chiamano nel loro linguaggio le Colonne
d'Ercole_. Il sacerdote non dice solamente che l'isola fu in faccia alle
Colonne d'Ercole, ma ne indica più circostanziatamente il luogo dicendo,
ch'era in faccia _all'imboccatura che i Greci chiamano nella loro lingua
le_ Colonne d'Ercole. Ora quest'imboccatura non fu mai altro che lo
stretto di Gibilterra; ed il piccolo Atlante, che è una diramazione
della Cordelliera che prolungasi fino a Tezza, a Tetovan soddisfa
esattamente a questa seconda condizione.
Quest'isola era _più estesa della Libia e dell'Asia insieme_[3]. Ecco
press'a poco l'estensione del grande e del piccolo Atlante.
[3] _Val a dire di quella parte d'Asia conosciuta dagli antichi
a quell'epoca._ (N. dell'Edit.)
Aggiugne il sacerdote di Saïs che _i viaggiatori potevano da
quest'Atlantide recarsi ad altre isole, di dove era loro agevole il
passare sul continente_. Chiara cosa è che le molte isole del
Mediterraneo potevano facilitare le comunicazioni dell'Atlantide coi
diversi punti del continente d'Europa e d'Asia, bagnati dallo stesso
mare, tanto più che nello stato di potenza in cui suppongonsi i re
Atlantici, dovevano avere esteso il loro dominio sulle piccole isole
vicine, per valersene, secondo l'espressione dello stesso sacerdote di
Saïs, come di scala.
La dominazione dai re atlantici stabilita da una banda sopra la Libia
fino in Egitto, e dall'altra fino alla Tirrenia, e le loro minaccie
contro la Grecia s'accordano perfettamente colla posizione di
quest'isola, situata sopra una linea centrale di questo paese, e colla
sua popolazione.
Una sola opposizione può essere fatta a questo sistema che al primo
aspetto sembra distruggerlo affatto. Questa è la narrazione fatta dal
sacerdote di Saïs della _scomparsa_ dell'isola prodotta da _spaventosi
tremuoti, e da disastrose inondazioni_. In fatti l'isola lasciò di
essere isola da che fece parte del continente: non è pure improbabile
che qualche parte dall'isola sia stala inghiottita dai tremuoti, come
per esempio la porzione che occupava lo spazio oggi coperto dal golfo di
Tripoli, dal Capo Bon presso Tunisi fino al Capo Ras Sem presso di
Derna: i gran banchi di Kerkena e quelli di Sydra, che sono in quei
golfo appoggerebbero quest'ipotesi, ove si vogliano considerare come
avanzi di una terra sommersa; lo che combinerebbe coll'ultima
circostanza riferita dal sacerdote di Saïs intorno all'isola Atlantide.
Quanto alla sommersione totale effettuatasi in ventiquattr'ore di
un'isola così estesa quanto si suppone l'Atlantide, e sparsa di alte
montagne; è un avvenimento che a stento si ammette, qualunque volta si
voglia rappresentarsi all'immaginazione gl'immensi abissi che debbono
supporsi per concepire un così prodigioso effetto: supposizione altronde
affatto gratuita, e non convalidata da veruno avvenimento analogo preso
dall'istoria naturale dopo l'ultimo grande cataclisma.
Se si voglia supporre che l'Isola d'Atlante arrivasse fin al Capo Ras
Sem, allora questa parte dell'Atlantide sarebbesi trovata in faccia ed a
poca distanza della Tirrenia, dalla Grecia, dall'Asia, dall'Egitto, e
dalla Libia; ed ecco il teatro delle conquiste degli Atlanti, la di cui
metropoli trovavasi nel centro.
Potrei aggiugner prove a prove, ragionamenti a ragionamenti in sussidio
del mio sistema; ma non volendo trattare questa quistione che come una
parte accessoria, e subordinata a quella dell'esistenza d'un mare
interiore nell'Affrica, io ne lascio la soluzione ai dotti critici che
l'hanno di già analizzata. Frattanto senza parlare di quei tanti sistemi
creati intorno all'Atlantide, credo di poter far osservare che la
posizione data a quest'isola dall'autore della storia filosofica del
mondo primitivo, non corrisponde ai dati che noi abbiamo dal sacerdote
di Saïs, poichè più non sarebbe _sulle rive del mare Atlantico_,
collocandola, com'egli fa, in mezzo del Mediterraneo, che non ebbe mai
il nome d'Atlantico; nè _in faccia all'imboccattura che i Greci chiamano
nella loro lingua le Colonne d'Ercole_; ossia lo stretto di Gibilterra;
di dove, secondo il citato autore, sarebbe stata lontana quasi duecento
leghe. In tale ipotesi niuna linea retta sarebbesi dall'isola tirata
allo stretto senza passare sopra terre intermediarie a cagione della
projezione delle coste di questo mare: altronde il piccolo spazio entro
cui pone quest'isola non poteva contenere un territorio tanto esteso
quanto la _Libia e l'Asia insieme_, qualunque riduzione si faccia subire
al paesi allora conosciuti sotto questi nomi; meno poi un territorio sul
quale regnavano molti re _famosi per la loro potenza...._, che
stendevano il loro impero sui vasti paesi adjacenti, ed andavano
_altieri delle loro grandi forze_. Vedo che l'autore della storia
filosofica ha cercato di dissipare tanti inconvenienti con ingegnose
soluzioni, ma a lui medesimo io subordino queste osservazioni, e sono
persuaso ch'egli renderà giustizia a' miei voti per la verità, qualunque
sia il grado di probabilità che voglia attribuirsi al mio sistema.
Devo pure notare che la situazione data a quest'isola del sig. Bory de
Saint-Vincent nei suoi saggi intorno alle isole Fortunate, non combina
meglio colle circostanze riferite dal prete di Saïs; poichè il sig. Bory
la suppone nel mare Atlantico, e non presso le rive di questo mare, come
l'enunciato prete. Nè in tal caso avrebbe più da un lato la Libia, e
dall'altro la Tirrenia. Per la situazione e la forma che le vengono da
lui date non sarebbervi state isole intermediarie per passare sul
continente. Ma ciò che è ancora più notabile, il sacerdote dice
positivamente che Atene esisteva già al tempo dell'Atlantide, e che gli
Ateniesi condussero le loro flotte contro gli Atlantidi conquistatori:
ora nel sistema dell'autore, risulta, malgrado il suo commentario, che
ai tempi dell'Atlantide lo stretto di Gibilterra, ed Atene non
esistevano, perchè quello ancora non era aperto, e l'altra con tutte le
pianure della Grecia era tuttavia coperta dalle acque del Mediterraneo,
che non la scoprirono che per rompere lo stretto, ed inghiottire
l'Atlantide. Come dunque gli Ateniesi, che ancora non esistevano hanno
potuto frenare l'ambizione degli Atlantidi? Come mai le flotte degli uni
e degli altri hanno potuto entrare e sortire dal Mediterraneo, il quale,
come suppone l'autore, non era allora che un lago chiuso da ogni banda
senza avere comunicazione con verun altro mare?
Provato una volta, come possono provarsi simili oggetti, che il Sahhara
era un mare ne' tempi d'assai posteriori all'ultimo grande cataclismo
del globo, risulta che la sua superficie essendo pochissimo elevata al
di sopra del livello del mare, deve formare un gran bacino, ove si
precipitano le acque piovane di tutti i paesi che lo circondano. È pure
probabile che nel centro dell'Affrica sia restato un vasto lago, ossia
un mare Mediterraneo, che sarebbe per avventura un irrefragabile prova
dell'essersi il mare Atlantico ritirato dalla Sahhara.
Abbiamo dimostrato la poca elevazione della Sahhara al di sopra del
livello del mare col fatto dei fiumi che dopo essere penetrati nel
deserto mancano di declivio per giugnere ai mari esteriori dell'Affrica;
esaminiamo adesso i motivi che mi muovono ad ammettere un mare interno
nell'Affrica, indipendentemente dalle acque che ha potuto lasciarvi
l'Oceano, e che forse, come nel mar Caspio, basterebbe per mantenervi un
vastissimo lago per molti secoli.
Avvi nell'interno dell'Affrica uno spazio di trentatrè gradi e mezzo
dall'E. all'O. dalle sorgenti del _Niger_ fino a quello del _Misselad_;
e più di venti gradi dal N. al S. dal piovente meridionale dell'Atlante,
e delle altre montagne vicine ai Mediterraneo, fino al piovente
settentrionale dalle montagne del Kougo e fino alle sorgenti del
Bahàr-Koula, superficie immensa da cui non sorte una goccia d'acqua per
gettarsi nei mari esteriori dell'Affrica, poichè da un lato non
conosciamo le sorgenti dei fiumi, che mettono foce nel Mediterraneo, e
nell'Oceano occidentale, i quali tutti derivano le loro acque fuori di
questa superficie; e dall'altro lato i fiumi che si gettano nel golfo
della Guinea non sono troppo più abbondanti degli altri, e per
conseguenza non suppongono un'origine più lontana dalla loro foce, di
quello che lo sia il piovente meridionale delle montagne del Kongo, e
delle altre montagne che seguendo la stessa linea dell'E. vanno a
riunirsi alle montagne di Kouri o della Luna, ove trovansi le sorgenti
del Bahàr el-Abiad, o fiume bianco, che forma il principal ramo del
Nilo.
Sappiamo inoltre che i fiumi di questa parte dell'Affrica si dirigono
per linee convergenti verso il centro: i fiumi dell'Atlante, e quelli
del deserto al S. ed al S. E., il Niger e quelli che scendono dalle
montagne di Kong al N. E. ed all'E., il Misselad, il Kulla, e molti
altri intermediarj al N. O.; il Kuku, il Gazel, ed altri al S. ed al S.
O.; e finalmente tutti quelli che sono conosciuti nell'interno
dell'Affrica, hanno la loro direzione verso il centro del continente.
Le relazioni di alcuni viaggiatori nell'interno dell'Affrica, e le
informazioni che si hanno dagli abitanti, danno, che la quantità d'acqua
somministrata dalle continue pioggie in quel paese è tanto
considerabile, che gli animali e le piante cadono in uno stato di
deperimento.
Non avendo osservazioni metriche dirette intorno a questa quantità
d'acqua dell'estensione de' paesi di cui parliamo, ci è forza supplirvi
con calcoli approssimativi, fondati sulla misura de' luoghi conosciuti.
Sappiamo che in Europa prendendo un termine medio cadono annualmente
diciotto pollici d'acqua, e che questa quantità cresce al Sud. In
Algeri, ad anno compensato, ne cadono ventotto pollici: nel 1730 ne
caddero trenta pollici, e quaranta quattro nel 1732. A Madera ne cadono
trenta pollici all'anno, e sotto i tropici, stando alle osservazioni del
celebre Humboldt, settanta. La superficie in quistione è tagliata a
mezzo dal tropico; pure per dare maggiore forza a tutte le supposizioni
a me contrarie, ridurrò la quantità della pioggia a cinquantaquattro
pollici, vale a dire a sedici pollici meno di quanto ne dà il sig.
Humboldt, ridurrò a zero le pioggie del deserto, e supporrò che il
Sahhara occupi la metà di questa superficie, di modo che soltanto le
pioggie dell'altra metà somministrino acqua al gran lago interiore.
Spero che chiunque troverà larghe queste concessioni: dunque calcoliamo:
la superficie intera è di 240,000 leghe di venti al grado; ma perchè ne
ho assegnata la metà al deserto, non ne rimangono che 120,000 per
somministrare le acque piovane al gran lago: questa estensione a ragione
di 292,410,000 piedi quadrati rotondi per lega, forma una superficie di
33,089,200,000,000 piedi quadrati, sulla quale le pioggie depongono ogni
anno compensatamente una massa d'acqua di 157,901,400,000,000 piedi
cubi.
Se diansi al mare interiore dell'Affrica 150 leghe di lunghezza e 50 di
larghezza, verrebbe ad essere press'a poco grande come il mar Caspio o
il mar Rosso: e formerebbe una superficie di 12,500 leghe quadrate,
eguale a 3,655,125,000,000 piedi quadrati.
L'evaporazione in Europa in una temperatura media di 11° è, secondo
Dobson di 30 a 38 pollici all'anno. Il sig. Humboldt l'osservò a Cumana
in America a 28° centigradi di temperatura 2780 millimetri all'anno Si
trovò alla Guadaluppa di quattro a sei millimetri per giorno; e questo
dotto viaggiatore suppone che possa portarsi ad 80 pollici per anno
sotto i tropici. Ma per non lasciare alcuna cosa a desiderarsi agli
antagonisti del sistema, porrò contro di me questo risultamento,
triplicando la quantità assegnata dal sig. Humboldt, e portando
l'evaporazione del nostro lago a 240 pollici, ossiano 20 piedi per ogni
anno.
Ora se moltiplichisi questa evaporazione per la superficie del lago, ne
risulta una massa di 157,901,400,000,000 piedi cubi: onde rimane ancora
un eccedente di 84,698,900,000,000 piedi cubi di acqua per supplire alla
evaporazione nei fiumi e nei laghi subalterni, e per la decomposizione
dell'acqua per la vegetazione ed altri fenomeni: lo che dimostra, stando
anche alle supposizioni meno favorevoli al sistema, che in un mare della
grandezza del Rosso, o del Caspio, posto nel centro dell'Affrica,
l'evaporazione non leverebbe pure la metà dell'acqua che le pioggie
devono deporre ogni anno sulla superficie in quistione, e che ne
rimarrebbe più della metà per le altre cause d'assorbimento; tal che, se
queste non bastano per consumare l'altra metà, come sembra probabile, il
nostro mare Affricano dovrà essere più vasto del Rosso e del Caspio.
Nulla dirò della sua profondità, perchè dipendente dalla configurazione
del suolo: ma qualunque sia tale profondità, il mare conserverà
senz'alterazione tutto l'eccedente dì venti piedi tolti dalla
evaporazione.
Questi calcoli dimostrano l'impossibilità della supposizione, che il
Niger si perda nel pantani a Wangara; e spiegano ove devono essere le
foci dei tanti fiumi che vanno nel centro dell'Affrica senza che più si
vedano sortire.
Dimostrano in pari tempo l'impossibilità dell'uscita di tanta quantità
d'acque per la costa della Guinea, come lo suppose un dotto tedesco. Di
fatto il Migered ed il Senegal hanno le loro sorgenti nelle montagne di
Kong a brevissima distanza le une dalle altre, e questi fiumi dirigonsi,
uno al N.E., l'altro al N. O. Il primo dopo un corso dì cento sessanta
leghe arriva a Giambala in sul confine del Sahhara, ed il secondo dopo
avere percorso un eguale spazio, bagna i confini dello stesso deserto a
Fariba. La situazione di questi due fiumi è allora assolutamente la
medesima. Il Senegal per arrivare da Fariba al mare, di dove non è
lontano più di cinquanta leghe, fa mille tortuosità, e forma colle sue
acque un gran numero di laghi e di paludi in un suolo appianato, e quasi
al livello dell'Oceano; di modo che può dirsi che se il mare si
ritraesse cento leghe dalle rive attuali, conservando lo stesso livello,
il Senegal non potrebbe arrivare colà, e svaporerebbe in uno o più
laghi.
Per più forte ragione le acque del Niger, che a Gimbala è nella stessa
posizione che il Senegal al Fariba, non avranno una bastante
inclinazione per iscorrere più di cento cinquanta leghe, ossia il triplo
della distanza che attraversa il Senegal da Fariba all'Oceano; ed allora
incomincierà il gran lago interno dell'Affrica, che stendendosi nelle
supposte dimensioni arriverà presso al lago Fitrè, ove gettansi i fiumi
delle Gazzelle, il Misseda, ed altri, e che comunicano col lago di
Semegonda, che io riguardo come una baja, o un golfo del nostro mare
Caspio d'Affrica.
Ma se dal punto in cui io suppongo che incominci questo mare interno,
dovesse il Niger scorrere ancora duecento quaranta leghe, il Gazzel, il
Misselad, ed altri fiumi trecento quaranta di più in linea retta per
arrivare al golfo della Guinea, chiara cosa è, che trovando il suolo
senza inclinazione, si spargerebbero e perderebbero nei laghi senza
arrivare all'Oceano.
I grandi fiumi Formoso e Rey, e gli altri che gettansi nel golfo della
Guinea, ricevono le acque da una superficie assai estesa per poter
pareggiarsi ai più gran fiumi, poichè calcolandosi dal piovente
meridionale delle montagne di Kong e di Komri fino all'Oceano, avvi una
superficie di 75,000 leghe quadrate, più che bastante ad alimentare
tutti questi fiumi in un paese ove in uno spazio minore della metà si
formano i fiumi del Senegal, di Gambia, di Rio grande, di Messurata, e
molti altri i quali presso a Capo Roxo ed alle isole Bissagos dividonsi
in grandi canali e laghi uguali press'a poco a quelli di Rio Formoso, e
di Rio de Rey sul golfo della Guinea.
La carta generale dell'Affrica settentrionale del maggior Rennel prova
che la supposta esistenza del mare interno risolve il problema delle
foci degli interni fiumi dell'Affrica, senza deviare un atomo dalla
geografia conosciuta.
Dimostrato una volta, per quanto lo acconsente la qualità
dell'argomento, che l'immensa quantità d'acqua versata dalle pioggie
nell'interno dell'Affrica, e portata dal Niger, e dagli altri fiumi nel
centro del continente, non può svaporarsi nei piccoli laghi, e meno poi
nei semplici pantani del Wangara ed inoltre che non può arrivare
all'Oceano nel Golfo della Guinea; se noi ne deduciamo la necessità
dell'esistenza d'un gran lago o mare interno, in cui riuniscansi e
svaporino le acque che sovrabbondano ai bisogni della vegetazione, ed
alle altre scomposizioni di questo fluido, non rimane che ad addursi
alcun fatto per ultima prova dell'esistenza di questo mare interno.
Trovansi negli antichi autori rammentati molti grandi laghi dell'interno
dell'Affrica; la _palude Nigrite_, i laghi _Clonia_, _Libia_, _Nili_,
_Nuba_, _Gira_, _Ghelonide_. Non potrebbero essere questi golfi o baje
d'un solo e gran lago, cui sarebbersi dati tali nomi? I moderni fecero
lo stesso, e se taluno, ignorante della geografia, udisse parlare del
mare Adriatico, dell'Arcipelago, del mare di Marmora, e del mar Nero,
non crederebbe egli giammai, che queste siano parti di un solo e
medesimo mare, che dicesi Mediterraneo, ma li crederebbe altrettanti
mari isolati.
Nelle discussioni cui ha dato luogo questa quistione, sonosi, per non
essersi intesi, ammessi degli errori, ed io ne trovo la ragione
principale nei vari significati attribuiti al vocabolo _Bahàr_. Le
nazioni che parlano l'arabo chiamano _Bahàr_ il mare, _Bahàr_ un
qualunque lago, e _Bahàr_ un fiume.
Quando gli abitanti o gli Arabi viaggiatori dell'Affrica interna
parlarono d'un _Bahàr_ esistente in quel paese, gli antichi e moderni
Europei intesero semplicemente un lago, e senza cercare ulteriore
spiegazione di un vocabolo, di cui credevano averne compreso il vero
significato, supposero che si parlasse di laghi, o di fiumi.
Ecco le ragioni che m'indussero ad ammettere questo mare interno anche
prima di viaggiare nell'Affrica; ragioni da me discusse nel 1802 a
Parigi con varj dotti dell'Istituto, ed a Londra con molti membri della
Società reale. Spedii pure intorno allo stesso argomento una memoria da
Cadice in data del 30 maggio 1805, ed un'altra da Tripoli nel novembre
del 1805.
Ma veniamo al fatto che conferma il sistema, e rende innegabile
l'esistenza di questo mare interno.
Nel bastimento che portavami da Laraïsch a Tripoli in ottobre del 1805
eravi un negoziante di Marocco detto _Sidi Matte Bouhlàl_, ch'era stato
lungo tempo a _Tombout_, o Tombouctoo, ed in altri paesi del Soldano o
della Nigrizia, ove commerciava in società con uno de' suoi fratelli.
Quello Bouhlàl era fratello d'un cheik nominato dall'imperatore di
Marocco direttore della carovana della Mecca, se le circostanze
politiche avessero permesso di fare il viaggio. Era un uomo intelligente
di circa quarant'anni, d'irriprovevole condotta, veritiero, ricco, e che
non poteva avere il menomo sospetto ch'io andassi in traccia di notizie
intorno allo stato interno dell'Affrica. Il complesso di tali
considerazioni m'inducono a dar piena fede al suo rapporto, ed a credere
ch'egli non volle ingannarmi perchè non aveva il menomo interesse di
farlo.
Essendomi durante il viaggio trattenuto in lunghi discorsi con questo
negoziante, si venne più d'una volta a parlare dell'interno
dell'Affrica; e n'ebbi le seguenti notizie:
«Tombout è una grande città assai commerciante, abitata dai Mori e dai
Negri.
«La famiglia colà regnante discende da un imperatore di Marocco, che
fece un'incursione in quel paese, ed il di cui nome vi è tuttavia
rispettato assai.
«A Tombout Bouhlàl avea più libertà che a Marocco. Aveva sempre ai suoi
servigi molte negre, che comperava, vendeva, cambiava a suo capriccio;
lo che avea pure alquanto alterata la sua fisica costituzione, e
cagionate più malattie.
«Tombout trovasi _alla medesima distanza dal Nilo Abid_ (Nilo dei Negri,
o Niger ) _che Fez da Wad Sebou_, vai a dire a meno di due leghe.
«Questo fiume scorre _verso il levante_.
«Il Nilo Abid è largo ed ogni anno nella stagione delle pioggie _sorte
dal suo letto, ed inonda il paese come il Nilo d'Egitto_, talchè allora
sembra un braccio di mare.
«I Negri navigano su questo fiume con barche di una costruzione
particolare; non hanno chiodi, e tutte le parti sono legate assieme da
sottili corde di palma.
«Ogni barca porta fino a _cinquecento cariche di cammello_ in sale, in
grani, ed in altre derrate.
«Queste barche viaggiano senza remi e senza vele: per farle camminare,
un certo numero d'uomini, secondo la grandezza della barca; si colloca
sui due lati, verso prora; ognuno tiene in mano una pertica assai lunga
che appoggia contro il fondo del fiume, e tutti spingono la barca nello
stesso tempo. Questa nascente navigazione li costringe a non iscostarsi
dalla riva.
«Il Nilo Abit scorre verso l'interno dell'Affrica ove forma _un gran
mare senza comunicazione cogli altri_. In questo mare le barche dei
negri _fanno quarantotto giornate di cammino rasentando_ la costa, e
sempre _senza vedere la terra opposta_.
«I più comuni oggetti di commercio su questo mare sono i grani ed il
sale, perchè trovansi nell'interno vaste contrade, cui mancano tali
generi.
«Si dice che questo mare _comunica col Nilo d'Egitto_, ma su questo
proposito non avvi nulla di positivo.
«Si soggiugne che Haoussa è una città molto grande, e molto popolata,
all'E. di Tombout, e che è assai civilizzata.»
Siccome in questi intrattenimenti parlavamo l'arabo, e che Bouhlàl
faceva sempre uso del vocabolo _Bahàr_, io non ommettevo giammai di
chiedergliene spiegazione: ed egli mi replicò più volte che intendeva
significare un mare di molti giorni di traverso in largo ed in lungo,
_come quello sul quale noi navigavamo nel nostro bastimento_; ed era il
Mediterraneo.
Un fatto così notabile toglie qualunque dubbiezza intorno alla esistenza
del mare interno, o del Caspio Affricano, che Bouhlàl chiamava sempre
_Bahàr Soudan_, ossia mare della Nigrizia. Si faranno tuttavia alcune
obbiezioni, e si aspetterà ai futuri viaggiatori il darne, o cercarne la
risposta[4].
[4] _Alcuni anni dopo che Ali Bey fece queste ricerche intorno
al mare interno all'Affrica il sig. Jackson vice-console inglese
a Magador pubblicò che gli abitanti di Tombouctoo avevangli
detto che, «quindici giorni di cammino all'E. al di là di quella
città trovavasi un vasto lago, detto _Bahàr Soudan_, o _mare di
Soudan_». Ma perchè non dà verun altra notizia intorno a questo
mare, avendo limitate le sue indagini soltanto intorno agli
abitanti delle sue coste, (indagini che noi vogliamo credere più
esatte di quelle da lui fatte intorno al regno di Marocco),
niente aggiunge alla precedente scoperta d'Ali Bey, che presenta
molto maggiori lumi sull'argomento trattato. Avvi non pertanto
qualche cosa di singolare nella coincidenza della posizione data
a questo mare, _a quindici giornate all'E. da Tombouctoo_, cioè
a poco più di cento leghe, in ragione di sette leghe al giorno,
ordinario cammino di un cammello; ciò che torna precisamente al
calcolo fatto da Ali Bey._ (Nota dell'E.)


CAPITOLO XX.
_Viaggio per mare da Laraïsch a Tripoli in Barbaria. —
Innalzamento del mare. — Burrasca. — Si approda al banco di
Kerkeni. — Descrizione delle isole dello stesso nome. — Arrivo
al porto di Tripoli._

M'imbarcai la domenica 13 ottobre 1805 sopra una fregata di Tripoli
comandata dall'_Erraiz_ ossia capitano Omar: trovavasi ancorata nella
rada di Laraïsch, ove rimasi tutto il susseguente giorno. Si spiegarono
le vele il martedì 15 in sul far del giorno; ma mancando il vento
favorevole, il bastimento non poteva che bordeggiare.

_Mercoledì 16._
La mattina s'alzò un vento d'O. S. O. A mezzogiorno eravamo nello
stretto di Gibilterra, e due ore dopo tra Gibilterra e Ceuta, di dove
vedevansi le due città in una prospettiva assai pittoresca. Il campo
Spagnuolo in faccia a Gibilterra formato di tende e di baracche, la
città di S. Rocco posta sopra un rialto, ed Algezira che vedevasi a
traverso una punta di terra, formavano un sorprendente quadro.
Trovavansi nel porto di Gibilterra una squadra inglese, ed un convoglio.
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