Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - 01

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VIAGGI DI ALI BEY EL-ABBASSI
IN AFRICA ED IN ASIA
DALL'ANNO 1803 A TUTTO IL 1807

_TRADOTTI_
DAL DOTTORE STEFANO TICOZZI
con tavole in rame colorate

TOMO II

MILANO
Dalla Tipografia SONZOGNO e COMP.
1816.


VIAGGI IN AFFRICA ED IN ASIA
FATTI DAL 1803 AL 1807.


CAPITOLO XV.
_Descrizione di Marocco. — Santi. — Palazzo del sultano. —
Giudei. — Giardini. — Corvi. — Leprosi. — Monte Atlante. —
Brebi. — Collezione di alcuni vocaboli di quell'idioma._

La città di _Marràhsch_, o Marocco, antica capitale del regno di questo
nome, ruinata da una lunga serie di disastrose guerre, spopolata dalla
peste, non conserva ora che l'ombra del suo passato splendore. Ne' tempi
della sua prosperità una popolazione di quasi settecento mille abitanti
ravvivava l'agricoltura, le arti, ed il commercio del paese: al presente
appena conta trenta mille abitanti.
Le sue mura che sopravissero alle ingiurie del tempo, e della mano degli
uomini, ne attestano l'antica grandezza. Esse girano tre leghe, e questo
spazio è adesso ingombro di ruine, o trasformato in orti; la minor parte
forma la presente città; e quantunque le muraglie delle case siano
tirate a filo, e formino contrade, lasciano ancora nell'interno delle
isole grandi spazj vuoti.
Molte osservazioni astronomiche mi hanno data la longitudine della mia
casa, chiamata _Bebhamed Duquali_ posta quasi nel centro delle mura:
longitudine orientale = 9° 55′ 45″: dell'osservatorio di Parigi,
latitudine settentrionale = 31° 37′ 31″; e la declinazione magnetica =
20° 38′ 40″ Orient.
Le strade della città sono di larghezza assai disuguali, allargandosi
qua e là e ristringendosi più volte. Gli accessi alle case alquanto
considerabili sono quasi sempre formati da chiassolini tanto angusti e
così tortuosi, che un cavallo non vi passa senza difficoltà; e ciò fu
espressamente fatto dai grandi per potersi più facilmente difendere
nelle rivoluzioni popolari, e nelle frequenti guerre de' scheriffi per
la successione al trono, poichè bastano quattro o sei uomini per
difendere uno di questi vicoli. Per la stessa ragione le case sono
provvedute di feritoj, e la mia sembra, piuttosto che una casa, una
fortezza.
L'architettura di Marocco non è diversa da quella delle altre città
dell'impero; val a dire che le case sono composte di un cortile con
gallerie, o corritoj all'intorno, cui corrispondono lunghe e strette
sale, illuminate soltanto dalla luce che entra per la porta. Le
principali case hanno due e tre cortili simili al descritto; la mia ne
conta cinque. Poche sono quelle che abbiano finestre verso la strada.
Molte sono fatte di pietra, ma la massima parte di smalto composto con
terra, sabbia, e calce che si batte entro due tavole applicate alle due
superficie del muro; ciò che chiamasi _tàbbi_.
La città di Marocco contiene varie piazze o mercati, che come le strade,
non sono nè lastricate, nè coperte d'arena; la qual cosa le rende
estremamente incomode, sia ne' giorni piovosi a cagione del fango, come
ne' tempi asciutti per la soverchia polvere.
Tra le molte moschee di Marocco se ne contano sei grandi, delle quali le
principali sono _El Kautoubia, El Moazinn, El Benious_. Trovasi la prima
isolata in mezzo ad un grande spazio scoperto: elegante ne è la sua
architettura, e l'altissima sua torre si rassomiglia molto a quella di
Salè. La moschea di Benious conta omai seicento cinquantadue anni da che
fu fabbricata: è grande assai, ma la sua architettura presenta una
bizzarra mescolanza di architettura antica e moderna, essendo stata in
molte parti rifatta di nuovo. Trecento cinquant'anni dopo fu innalzata
la moschea El Moazinn veramente magnifica, e posta in vicinanza della
mia casa. Le sono addetti dieci ministri, assai mediocremente pagati per
ordine del sultano colle entrate della moschea: di modo che questi
ministri, come tutti gli altri di Marocco sono obbligati di procacciarsi
la loro sussistenza col travaglio, o colle pie truffe dei talismani che
vendono per guarire le malattie, i veleni, le ferite, i maleficj ed
altri accidenti.... Ah grande Maometto! voi non ingannaste mai gli
uomini con sì piccole frodi!... Il profeta non si arrogò giammai il dono
dei miracoli, pubblicamente confessando che fu accordato a Gesù Cristo,
e non a lui.
_Sidi Belabbèss_ è il santo patrono di Marocco. La sua moschea, come
quella di Muley Edris a Fez, è composta d'una sala quadrata coperta da
una cupola ottagona, le di cui travature sono incise e dipinte in
rabeschi, e coperte al di fuori di tegole inverniciate e colorite. Il
sepolcro del santo è coperto di molte stoffe di lana e di seta, poste le
une sopra le altre: vedesi da un lato la cassa delle elemosine. Il
palco, ed una parte delle muraglie sono coperti di tappeti, e di altri
drappi.
Presso al salone o moschea sono molti cortili con portici e camere
destinate ad alloggiare i poveri, i storpiati, gl'invalidi, i vecchi.
Questo spettacolo è ributtante, ed al triste aspetto che presentano
tante miserie dell'umanità, si aggiunge la mancanza di quelle saggie
istituzioni praticate in Europa negli stabilimenti di tale natura.
_Mille ed ottocento infelici dei due sessi_ sono al presente alimentati
in questo luogo col prodotto delle elemosine, e colle entrate della
moschea.
Questo santuario serve pure d'asilo agli sgraziati perseguitati dal
dispotismo, i quali rifugiatisi nel suo circondario possono negoziare la
loro grazia, ed aspettare di essere riammessi al godimento de' loro
diritti, essendo intanto sicuri che il loro asilo non sarà violato. Per
altro non avvi veruna legge positiva in favore di tale immunità, ma è
talmente fondata sulla pubblica opinione, che quel monarca che, abusando
del suo potere, osasse di violarla, sarebbe irrimediabilmente perduto
nelle rivoluzioni che farebbe nascere. Quanto è mai vantaggioso
all'umanità questo pregiudizio in un paese ove l'abitante, privo d'ogni
civile guarenzia, trovasi assorbito dallo spaventoso vortice del
despotismo! Il capo di questo stabilimento ha, come quello di Muley
Edris a Fez, il titolo _El Emkàddem_, il vecchio, ed è egualmente
rispettato; anzi incomincia ad avere _odore di santità_.
Farò qui parola dei due più gran santi che attualmente vivono
nell'impero di Marocco; uno de' quali _Sidi Ali Benhamet_ risiede a
Wareu, ed il secondo chiamato _Sidi Alarbi Beumàte_ trovasi a _Tedla_.
Questi due santi si può dire che quasi decidano della sorte dell'impero,
perchè si crede ch'essi soli provochino sul paese le benedizioni del
cielo. Nel loro distretto non avvi nè pascià, nè kaïd, nè governatore
del sultano, e non si paga alcun tributo: il popolo viene governato dal
rispettivo Santo, sotto una specie di teocrazia ed in una tal quale
indipendenza. È tanta la venerazione di cui essi godono, che quando
visitano le provincie, i governatori vicini ricevono i loro ordini, ed i
loro consigli. Non però lasciano i due santi di predicare la sommissione
al sultano, la pace domestica, e la pratica delle virtù. Immenso è il
prodotto dei doni, e delle elemosine che loro si fanno, e forse non v'è
una sola donna in tutto l'impero che non si procuri l'opportunità di
parlargli quando vengono nel proprio paese. In questi religiosi viaggi
sono accompagnati da una folla di miserabili che cantano le lodi del
Signore, o quelle dei Santi personaggi. Li seguono pure molti uomini
armati, preparati a difendere la santa causa a colpi di fucile.
Ho di già fatto osservare che questa celeste grazia della santità era in
alcune famiglie ereditaria: il padre di Sidi Ali era un gran santo; Sidi
Ali lo è attualmente, ed il suo maggior figlio Sidi Bentcami incomincia
ad esserlo.
In un gran giro che Sidi Ali fece a Marocco, ebbi l'onore
d'intrattenermi con lui; egli liberò la mia dilicata coscienza da
qualche scrupolo. Gli feci un piccolo dono di mille franchi, ed egli mi
diede una magnifica pelle di leone, sopra la quale egli da tredici anni
faceva la preghiera: vi aggiunse molte confetture ed un gran vaso di
siroppo di limone, ch'egli costuma di mischiare col suo te. Non
trascurai di encomiare molto questo siroppo quando ne presi in sua
compagnia. Sciolto affatto da ogni mondano interesse, il sant'uomo
impiegò il danaro ch'io gli diedi, ed il prodotto delle abbondanti
elemosine che aveva ricevute, nell'acquisto di fucili e di altre armi
pei difensori della fede che l'accompagnano.
L'aspetto di Sidi Ali, dell'età di circa cinquant'anni, è venerando e
grave. Un volto regolare, colori risentiti, occhi vivaci, piccola barba
candida come la neve, forme piccole e pienotte perfettamente
proporzionate... Dio sia lodato! Il suo abito sempre uguale consiste in
una specie di camicia, o piccolo caftan di lana bianca, un piccolo
turbante, una specie di hhaik leggere di lana bianca, che coprendo la
testa del santo gli ondeggia sciolto sulle spalle e sui fianchi a guisa
di piccolo mantello. La sua voce alquanto nasale acquista grazia dalla
sua divina dolcezza. Il maggior figlio di Sidi Ali cammina sulle traccie
del padre, e spira santità malgrado la sua fresca età. Può avere
ventisei anni, ma è più grande e grosso di suo padre, e più rossiccio.
Altri figli avuti dalle sue negre, accompagnavano il santo che viaggia
in una lettiera sostenuta da due muli. Questa lettiera è abbastanza
lunga perchè l'uomo apostolico possa coricarsi quando trovasi stanco
d'avere colle sue ferventi preghiere chiamate sopra l'impero le grazie
della divinità.
Non ho potuto vedere Sidi Alarbi che era a Tedla, ma conosco un suo
nipote venuto a ritrovarmi da parte sua. Egli è rubicondo assai, e
talmente grosso d'avere difficoltà di respiro. Mi si disse che Sidi
Alarbi, è ancora più grande e grasso del nipote. Onde apparisce che i
digiuni, e le mortificazioni non pregiudicano al vigore ed alla sanità
dei nostri santi. Si aggiungeva che a fronte della sua pinguedine Sidi
Alarbi monta leggermente a cavallo, e sa ben tirare un colpo di fucile,
lo che è un nuovo favore della divinità. Sgraziatamente ebbero luogo
alcuni diverbi tra questo santo ed il Sultano Muley Solimano. Avendo
l'ultimo fatta fabbricare una moschea nel territorio di Tedla, ed avendo
forse mancato a certi riguardi, Sidi Alarbi credette di doverla
convertire in una scuderia. Muley Solimano per rappacificarlo gli donò
mille ducati; ed il venerabile santo mandò in vece mille montoni al
Sultano. Giova sperare che quest'atto di pentimento gli procurerà la
misericordia di Dio per le raccomandazioni del santo.
La città di Marocco ha nove porte. Le mura che la circondano sono
abbastanza solide, altissime, ed armate di torri al di fuori, tranne
dalla banda del palazzo del sultano, ove invece sono al di dentro,
formando come una cittadella che domina la città. Le muraglie sono quasi
tutte costrutte di terra battuta colla calce.
Il palazzo del sultano trovasi al S. E. del circondario della città.
Viene formato dall'unione di molte fabbriche assai vaste; perchè oltre
gli appartamenti del Sultano, de' suoi figliuoli, di Muley Abdsulem, e
dell'infinito numero di donne che loro appartengono; vi si trovano
diversi giardini ed orti. Sonovi pure le abitazioni delle persone della
corte, dei domestici, delle guardie, due moschee, ed immensi cortili o
piazze nelle quali il Sultano accorda le sue _meschouàrs_, ossia
pubbliche udienze. Tanti edificj formano un laberinto di muri, e come
un'altra città, il di cui esterno recinto può avere una lega e mezzo di
circonferenza.
Per entrare nel palazzo propriamente tale, dopo avere attraversate tre
immensi cortili, o piazze d'udienza, conviene da prima entrare in un
quarto cortile ove trovasi il corpo di guardia, di poi passare in un
altro, in mezzo al quale vedesi un _cobba_, o casuccia quadrata alcuni
piedi più alta sopra il piano del cortile. Questa casuccia internamente
coperta di tappeti, e provveduta di alcuni cuscini è il luogo in cui
stanno i grandi ufficiali di corte in attenzione degli ordini del
Sultano: è propriamente un'anticamera, ove le persone obbligate a
risiedervi si fanno servire di pranzo e di cena. Da questo cortile si
entra in un vestibolo, ove trovansi paggi di servizio, ed un'altra
guardia; e di là finalmente si entra in un giardino, ove sono due
casette di legno, in una delle quali il Sultano suol ricevere le
persone.
Questo giardino di forma regolare è pieno d'aranci, è assai bello, e ben
provveduto di fiori e di piante aromatiche. Le donne non vi entrano.
Esse ne hanno alcuni altri di loro esclusivo uso inaccessibili agli
uomini. Tra le due casette vedesi un pilastro sopra il quale è collocato
un quadrante solare orizzontale. Un giorno che aveva fatto portare i
miei strumenti, osservai il passaggio del sole per prendere la
latitudine di questo punto, e feci un segno sul pilastro, affinchè si
rettificasse la posizione del quadrante che trovavasi alquanto
disorientato. Feci quest'operazione in presenza del sultano.
Un'altra volta il sultano mi condusse egli medesimo nell'interno del
palazzo, e mi fece vedere i bei appartamenti fatti all'europea con
grandi finestre dalla banda del giardino, ed una magnifica sala, che non
aveva altri mobili che pochi tappeti. Quest'appartamento che trovasi al
primo piano è assai bello, e soltanto la scala è mal collocata, oscura,
ed assai meschina. Nello stesso giardino trovasi un passaggio interno
per andare nell'appartamento di Muley Abdsulem posto a fianco del
palazzo. Quest'entrata non ha guardie, ma le porte sono sempre chiuse;
ed il portinajo non le apre che al Sultano, a Muley Abdsulem, ed a me:
per ogni altra persona è necessario un ordine particolare del Sultano.
La casa di Muley Abdsulem è abbastanza spaziosa, ed ha pure in sul
davanti un bel giardino.
La _Giuderia_ ossia il quartiere de' Giudei, che ha pure un parziale
recinto, è situato tra il palazzo e la città. Anche questo quartiere fu
ruinato come gli altri, e vi si trova solamente un mercato
abbondantemente provveduto. La porta viene chiusa la notte ed il
sabbato, è custodita da un kaïd.
I Giudei di questo quartiere si fanno ascendere a circa due mille; quali
tutti, senza distinzione d'età nè di sesso, non possono entrare in città
che a piedi nudi; e sono trattati con estremo disprezzo. Il loro abito
di color nero è assai meschino, ed è perfettamente eguale a quello de'
Giudei di Tanger. Il loro capo che sembra un buon uomo, e che venne più
volte a ritrovarmi, non veste meglio degli altri. Le donne vanno per le
strade col volto scoperto, ed io ne vidi alcune assai belle, anzi
straordinariamente belle. La loro capigliatura per lo più bionda, ornata
di rose e di gelsomini, dà ai loro volti un'aria seducente. La
dilicatezza e la regolarità dei tratti, l'eleganza del corpo, la
bellezza degli espressivi loro occhi, le grazie allettatrici sparse su
tutta la persona, danno loro quel bello ideale, che invano cercasi
altrove che nei capi d'opera della greca scoltura. Eppure queste
singolari bellezze sono disprezzate ed avvilite; esse vanno a piedi
nudi, e sono obbligate di prostrarsi ai piedi riccamente ornati delle
orribili negre, che godono dell'amor brutale e della confidenza dei
Musulmani loro padroni. I figli maschi de' Giudei sono belli finchè sono
giovanetti, ma degradono coll'avvanzare degli anni, talchè difficilmente
si vede un Giudeo di bell'aspetto in età matura. Devesi ciò forse
ascrivere alle sofferenze inseparabili dall'orribile schiavitù che li
opprime?
I Giudei esercitano molte arti o mestieri; sono essi i soli argentieri,
i soli lattonaj, i soli sarti di Marocco. I mori sono soltanto calzolai,
falegnami, muratori, magnani, e fabbricatori di hhaik.
Anticamente la città di Marocco era circondata di giardini, e di belle
piantagioni, che stendevansi a grandissima distanza. Per l'irrigazione
di que' giardini vi derivavano dalle montagne dell'Atlante moltissime
sorgenti per mezzo di acquedotti, o canali scoperti: grandiose opere, di
cui al presente non rimangono che le ruine per attestare alle persone
istruite che gli arridi deserti ond'è al presente circondata la città,
erano ameni e fertili orti. I pochi giardini tutt'ora esistenti ricevono
l'acqua da alcuni conservati acquedotti sotterranei; tra i quali quello
che conduce alla mia villa di Semelalia è così grande, che gli uomini
incaricati di ripulirlo vi passeggiavano sotto in piedi fino ad una
ragguardevole distanza. Quest'acqua è eccellente.
La pianta più comune ne' contorni di Marocco è la palma. Quest'albero si
solleva ad una prodigiosa altezza; ma i frutti nè uguagliano quelli di
Taffilet, nè possono conservarsi secchi tutto l'anno: chiamansi
_billòh_. Entro e fuori del circondario di Semelalia io possiedo molte
di queste piante; e nel mio giardino io mangiavo frequentemente del
midollo, ossia della parte centrale del tronco, che è un'eccellente
cosa.
In una foresta di palme tra Semelalia e Marocco si è formata una specie
di repubblica di corvi, le di cui costumanze sono affatto singolari.
Ogni mattino allo spuntar del giorno questi uccelli partono tutti in
traccia di cibo, recandosi in luoghi assai lontani senza che che rimanga
un solo in quel contorno: tornano poi verso sera riunendosi a migliaja
nel bosco e facendo un orribile fracasso, quasi fra di loro si facessero
il racconto delle avventure di quel giorno: cosa da me più volte
osservata tanto in tempo d'estate che d'inverno. A fronte delle
praticate diligenze io non ho mai potuto trovare in queste parti i corvi
a piedi rossi osservati da altri viaggiatori e naturalisti.
Trovasi a breve distanza da questo bosco un sobborgo isolato abitato
soltanto da famiglie che hanno la sventura di essere infette da una
espulsione somigliante alla lepra, che si propaga di padre in figlio.
Quest'infelici sono esclusi dalla società degli altri abitanti, e non
avvi persona che ardisca di avvicinarli.
Vedesi stando a Marocco la Cordelliera dell'Atlante, di cui un quarto
rimane costantemente coperto dalla neve. Ho calcolato che nella sua
totalità possa avere 13,200 piedi d'altezza sopra il livello del mare;
ciò dico per approssimazione, giacchè per averne un'esatta misura avrei
dovuto eseguire delle operazioni trigonometriche, che avrebbero
allarmato i barbari che mi circondavano, e sagrificai quest'oggetto,
siccome molti altri, al mio grande progetto. Questa cordelliera è posta
obbliquamente innanzi a Marocco dirigendosi dal S. O. al N. E., ma la
parte più immediata trovasi al S. della città non più distante di sei
leghe. Essa si prolunga nell'interno dell'Affrica, e si volge al levante
passando al S. d'Algeri, e di Tunisi fino ai confini di Tripoli. Avremo
opportunità di parlare altrove di queste montagne, esaminandole sotto un
diverso rapporto.
I viveri sono più a buon mercato a Marocco, che a Tanger, o a Fez.
Questa sgraziata capitale quasi spopolata affatto dalle guerre e dalla
peste ha perduto ogni commercio. Le arti e le scienze non possono
prosperarvi, nè avervi incoraggiamento, mancando Marocco perfino d'una
scuola di qualche importanza. Il circuito delle mura, l'immenso ammasso
di ruine, gl'infiniti acquedotti resi inutili, i vasti cimiterj che la
circondano, possono soli rendere credibile una distruzione così rapida,
e così sorprendente.
L'_alcaïsseria_ di Marocco non è paragonabile a quella di Fez, ma gli
Arabi delle vicine montagne vengono a farvi le loro provvisioni; lo che
anima alcun poco il mercato.
Questi Arabi montagnardi sono tutti di piccola statura, negri,
abbrustoliti del sole, e di un ributtante aspetto. Sono conosciuti sotto
il nome di _Brebi_, e formano una nazione separata. Quantunque la
maggior parte di loro sappia parlare l'arabo come gli altri abitanti, si
valgono d'un idioma affatto diverso dalla lingua araba, fuorchè nelle
espressioni prese dalla medesima. Io mi feci spiegare alcuni vocaboli,
di cui ne do la seguente nota:
_Amànn_ acqua.
_Agròm_ pane.
_Tiffli_ carne.
_Oudi_ buttiro.
_Tàmment_ miele.
_Adìl_ uva.
_Accaïnn_ dattilo.
_Agmàr_ cavallo.
_Tèzerdunt_ mulo.
_Erguez_ uomo.
_Tamgart_ donna.
_Tamtot_ donna.
_Taouàïa_ negra.
_Yessèmh_ negro.
_Aguioul_ asino.
_Taguiòul_ montone.
_Tehzi_ pecora.
_Tagat_ capra.
_Tofòunagt_ vacca.
_Azuer_ bue.
_Aïdi_ cane.
_Idan_ cagna.
_Tigmi_ casa.
_Agadir_ muro.
_Lafit_ fuoco.
_Imi_ porta.
_Zeccar_ albero.
_Timuzunìn_ argento monetato.
_Kareden_ rame monetato.
_Afous_ mano.
_Adar_ piede.
_Alen_ occhio.
_Imi_ bocca.
_Tamàrt_ mento.
_Medden_ del mondo.
_Tadovatz_ calamajo.
_Taparout_ chiave.
_Touslinn_ forbici.
_Hint_ coltello.
_Ohsan_ dente.
_Ils_ lingua.
_Egf_ testa.
_Iberdan_ arredi.
_Amzog_ orecchio.
_Inzar_ naso.
_Adouco_ scarpa.
_Sabàït_ scarpa.
_Iducan_ scarpe.
_Zifr_ libro.
_Quièguit_ carta.
_Maismennek_ come vi chiamate?
_Saoval_ chiamare.
_Aglid_ sultano.
_Amgar_ pascià.
_Aronco_ vaso.
_Torazinn_ orzo.
_Ierdenu_ grano.
_Ibaun_ fave.
_Turigt_ sale.
_Abdan_ pelle.
_Idemmen_ sangue.
_Azèr_ capelli.
_Iegzan_ braccio.
_Ifedden_ ginocchio.
_Tàdautt_ dorso.
_Addiss_ ventre.
_Ovoul_ cuore.
_Eguer_ spalla.
_Adat_ dito.
_Idudan_ dita.
_Aglid moccorn_ Dio.
_Taffoct_ sale.
_Aïour_ luna.
_Azal_ giorno.
_Gayret_ notte.
_Zik_ mattino.
_Tedduguet_ sera.
_Tirerninn_ l'ora dopo mezzogiorno.
_Takourinn_ due o tre ore dopo mezzogiorno
_Tenouschi_ o
_el mogareb_ tramontana del sole.
_Tenietz_ o
_al Ascha_ ultimo crepuscolo.
_Idgam_ jeri.
_Azca_ domani.
_Azzummeit_ freddo.
_Ierga_ calore.
_Elhhall_ tempo.
_Behra_ molto.
_Imik_ poco.
_Ariatzaat_ di qui a poco.
_Aschat_ venite.
_Ascht_ venite.
_Souddo_ andate via.
_Adrer_ montagna.
_Azif_ fiume.
_Aragar_ piano.
_Orti_ giardino.
_Atchag_ mangiate.
_Atzog_ bevete.
_Igdad_ uccelli.
_Hoùloussen_ pollo.
_Tigliaï_ ovo.
_Taouount_ rupe.
_Accoraï_ bastone.
_Aganìmm_ canna.
_Ouchen_ lupo.
_Tiflouz_ tavola.
_Acal_ terra.
_Imèndi_ grano.
_Tigant_ sale.
_Agauhha_ cucchiajo.
_Timsguida_ moschea.
_Tahanutz_ bottega.
_Araam_ cammello.
_Numeri._
_Tau_ uno.
_Sin_ due.
_Crad_ tre.
_Cos_ quattro.
_Semmòs_ cinque.
_Seddès_ sei.
_Za_ sette.
_Tam_ otto.
_Tza_ nove.
_Meràou_ dieci.
_Ian de meraou_ undici.
_Sin di meraou_ ec. dodici.
I Brebi contano così fino al venti, ch'essi chiamano _aascharinn_ come
gli Arabi, di cui ne hanno adottate le espressioni numerali di decine,
che combinano colle unità brebe; per esempio
_Cos de ascharinn_ ventiquattro.
_Za de telatiun_ trentasette.
Usano pure le espressioni;
_Ascharin de meraou_ trenta.
_Telatin de meraou_ quaranta ec.
Secondo la costumanza de' Francesi, che dicono _sessanta dieci_,
_quattroventi dieci_.
Rimarcansi nelle montagne diversi dialetti della lingua breba: tutti
estremamente poveri e formanti misti d'arabo; di modo che si può
prevedere che la lingua breba scomparirà in pochi secoli. Per iscrivere
in questa lingua si adoperano i caratteri e l'ortografia araba: ma a
fronte delle mie più diligenti ricerche non ebbi notizia di verun altro
libro scritto in questo idioma.


CAPITOLO XVI.
_Malattia d'Ali Bey. — Storia naturale. — Eclissi della luna. —
Ritorno del Sultano. — Regalo di donne. — Annuncio del viaggio
alla Mecca. — Visita di etichetta, e regalo del Sultano. —
Tenda mandata dal medesimo. — Ali Bey parte da Marocco._

Mentre mi trovavo a Semelalia fui sorpreso da grave malattia, che mi
ridusse agli estremi. Nel corso di tre mesi ebbi cinque gravi ricadute,
che mi lasciarono così debole da non potermi neppure leggermente
occupare de' miei più favoriti studj. Rimasi costantemente nel mio
palazzo di Semelalia senza medico, perchè non voleva prevalermi di
quelli del paese, e non eravi in Marocco alcun medico europeo. Dovetti
perciò curarmi da me stesso, adoperando i medicamenti, di cui ne aveva
meco un abbondante provvisione, accompagnata da una apposita istruzione
intorno al modo di farne uso; ed ebbi la fortuna nel tristo stato di
trovarmi affatto abbandonato a me medesimo, di non perdere affatto i
sensi. Quando potevo alzarmi del letto non omettevo di fare qualche
operazione astronomica; e rispetto alla storia naturale raccolsi i
seguenti fatti.
In maggio i pomi granati erano perfettamente fioriti, come ancora le
palme e gli ulivi: gli albicocchi erano maturi, e tagliavasi l'orzo.
In sul finire di giugno incominciava la stagione dei fichi che durava
fino alla metà d'agosto.
In luglio eranvi popponi e pastinache, e verso la fine d'agosto si
ebbero i primi dattili di Taffilet.
Alla metà d'agosto i mercati incominciarono ad essere abbondantemente
provveduti di uve.
In giugno ed in luglio eranvi molti citriuoli, pomi d'oro, ec., legumi
di varie sorti, e si raccolsero le granaglie.
Il giorno 31 luglio i miei domestici uccisero nel mio giardino d'estate
un serpente lungo sei piedi e quattro pollici, e della circonferenza di
cinque pollici ed otto linee nella parte più grossa. Questo rettile mi
parve analogo al _coluber molurus_ o al _boa_; ma egli aveva sulla testa
alcune grandi piastre, che lo avvicinavano al Scitale. Io sono di parere
che sia d'una specie sconosciuta: ma per mala sorte era un animale
immondo, che la legge non permetteva di toccare; onde non potei
esaminarlo attentamente, nè disegnarlo, lo che sarebbe stato un delitto
in faccia alla gente che mi stava intorno. Perciò i miei domestici si
affrettarono di levarmelo dinnanzi e portar lontano quest'animale così
bello e curioso. Come mai potrebbero le scienze naturali fare alcun
progresso ne' paesi mussulmani!
Ne' tre mesi di maggio, giugno e luglio l'atmosfera fu quasi sempre
serena.
Nel medesimo giorno in cui si trovò il bel serpente un vento di S. O.
portò una specie di turbine che si mantenne molto elevato, o dirò forse
meglio, una massa di vapori che aveva un orribile aspetto. Non vedevasi
alcuna nube, ed il lontano orizzonte sembrava un immenso vortice di
fiamme, mentre una linea rubiconda sembrava circondarci da ogni lato
all'altezza apparente di sei gradi; e di là fino allo zenit il cielo era
tutto di colore citrino. Il disco solare era bianco smaccato, affatto
privo di splendore e rassomigliava ad un globo di terraglia, o a dir
meglio ad un disco di carta bianca. Il termometro era salito al 36°, ed
il calore era effettivamente soffocante. Questa meteora si mantenne
tutto il giorno; e fu portata senza dubbio dal vento _simoum_ dal
deserto, comechè non abbia potuto per cagione del monte Atlante
dispiegare al di qua delle cordelliere la sua forza distruggitrice.
L'atmosfera fu alquanto meno carica all'indomani, e quantunque il sole
la penetrasse con difficoltà, non presentò il fenomeno del precedente
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