Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1 - 10

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Eravamo passati in vicinanza di due _dovar_, uno de' quali innalzato
sulle ruine di Lela Rotma.

_Giovedì 15._
Alle sett'ore e mezzo della mattina si riprese il cammino nella
direzione di S. O.; attraversando alle otto ed un quarto un piccolo
fiume. Alle dieci si passò presso due _dovar_, e due poderi ove
vedevansi pochi terreni coltivati. A poca distanza vedevansi pure le
ruine d'un altro podere; e verso il mezzogiorno ci trovavamo vicini a
tre cappelle o eremitaggi, e ad alcuni orti con qualche casuccia. La
_hhenna_, parzialmente coltivata in questo paese è una pianta colla
quale le donne si tingono di rosso le mani e le palpebre. Alle due ore
giugnemmo sulla riva destra del fiume _Morbea_ sul quale serviva di
porto una piccola barca capace soltanto d'un leggere carico; ma convenne
accontentarsene per non esservi altro di meglio, e si dovettero
impiegare cinque ore nel passare tutta la mia carovana. Giace sulla riva
sinistra la città d'Azamor, presso alla quale feci alzare le tende verso
le sette della sera.
Il paese che si attraversò avanti mezzogiorno offriva grandissime
pianure, ma dopo era un misto di pianura e di colline. Ebbimo sempre il
mare a mezza lega di distanza, ed il terreno della medesima natura
dell'antecedente.
La prima traccia di vegetazione ch'io scopersi fu una densa macchia di
lecci; in appresso d'ogni qualità di piante, e specialmente di palme.
Tutto era in fiore. Osservai due spiche d'orzo già formate, ma in
generale le seminagioni erano ancora piccole.
Il tempo coperto nel mattino, si rischiarò in appresso non rimanendo che
alcune nuvole staccate. Alle otto ed un quarto della sera il termometro
segnava entro la tenda 12° 8′, e l'igrometro 98°.

_Venerdì 16._
Il tempo burrascoso, il cielo sempre coperto, una pioggia a reffoli mi
forzarono a non levare il campo. Malgrado tali ostacoli potei fare
alcune osservazioni astronomiche, che mi diedero la latitudine d'Azamor
a 33° 18′ 46″ N. e la longitudine di 10° 24′ 15″, nella quale può
essere corso l'errore tutt'al più d'un 10″.
La principale moschea mi sembrò elegante, la città non affatto brutta. È
cinta di mura, e di fossa; e vi si tiene un gran mercato ogni venerdì in
una piazza destinata a tale uso. Intorno ad un eremitaggio fuori della
città vedesi un bel sobborgo.
Il fiume può esser largo 150 piedi, ma assai profondo, e rapido a segno
che le barche lo attraversano con qualche difficoltà, per essere
strascinate dalla corrente, a rischio talvolta di perdersi. Questo
pericolo fa dire agli abitanti che alcuni diavoli alloggiano nel fiume.
In questo luogo la sponda sinistra è assai alta e tagliata a picco;
mentre la destra è bassa e piana, e le maree sono sensibili anche molto
al di sopra. Mi fu detto che questo fiume scende dalle montagne di
Tedla, ossia dal grande Atlante. Le sue acque a cagione delle pioggie
erano rosse e cariche di melma come quelle del Nilo in tempo
dell'inondazione, onde non si può beverne senza averla prima lasciata
deporre.
Facevasi altra volta un vivissimo commercio su questo fiume sempre
coperto allora di bastimenti. Il mare non dev'essere a maggior distanza
d'un quarto di lega, e ne udiva il muggito senza vederlo; ma il giorno
innanzi l'aveva osservato tinto di rosso dalle acque del fiume a più di
due leghe dalla spiaggia. Le rive della Morbea in questo luogo sono di
una terra vegetale argillo-arenosa con pietre calcaree.
Alle otto ore del mattino il termometro segnava 15° 5′, il barometro 27
poll., 9 lin., e l'igrometro 98°. Il vento fu sempre S. O. ed a mezzodì
il termometro salì a 15°.

_Sabbato 17._
Si riprese la strada alle otto e tre quarti del mattino dirigendoci al
S. S. O., e piegando alle dieci verso S. E. Alle quattr'ore dopo
mezzogiorno feci spiegare le tende in vicinanza di un grande _dovar_.
Il paese è sparso senza interrompimento di colline sopra un suolo di
bella terra vegetale argillo-arenosa.
Vedevansi molte palme, i liliacei, e diverse piccole piante tutte
fiorite; osservai molte terre seminate, e piantagioni di popponi, di
fichi, e di altri alberi fruttiferi. Questo spettacolo mi fu di grata
sorpresa dopo tanto tempo che più non vedevo che terreni incolti.
Il tempo fu sempre coperto. Alle sette il termometro segnava 13°, e
l'igrometro 98°. Il vento spirò costantemente da S. O.
Il cheik o capo del vicino _dovar_ mi regalò un montone, molto latte,
frutti, polli, ed orzo. La tribù è composta di due rami: _Oulèd-el
Faràch_, ed _Oulèd-Emhhammed_.

_Domenica 18._
Alle quattro del mattino pioveva dirottamente, e continuò fino alle otto
ed un quarto; quando essendosi alquanto rischiarato il cielo, si ponemmo
in viaggio prendendo la direzione S. S. O. Alle dieci meno un quarto
passammo per un gran mercato che si tiene ogni domenica in vicinanza di
alcune cappelle; ed a mezzogiorno, dopo esserci riposati un istante, si
ripigliò la strada verso il S. ¼ S. E. e si rialzarono le tende presso
un _dovar_ alle quattro della sera.
Il paese presenta a principio alcune collinette d'un eguale altezza, in
appresso grandi pianure chiuse al sud da un alta montagna distante sei
in otto leghe; e da altre ancora più lontane al S. E., ed al S. ¼ S. O.:
io suppongo che queste montagne siano una diramazione di quelle di
Tetovan, e di quelle che vedonsi stando sulla strada di Fez; ma qui
molto più alte, forse perchè più vicine alla grande Cordelliera
dell'Atlante.
Il suolo è composto di terra vegetale rossa alquanto arenosa, che forma
uno strato assai alto. L'arena, ed il quarzo contengono molto feldspato
rosso radiato. Proviene questo dalle vicine montagne che forse sono di
granito?... Io non posso assicurarlo, perchè tutte quelle che io vidi
sono montagne calcaree secondarie.
La vegetazione era vivacissima; ed io osservai con piacere molti campi
di biade, di cocomeri, di fave, e di altri grani.
Il giorno fu perverso: cadde molta pioggia accompagnata da gagliardo
vento, che talvolta obbligava la carovana a fermarsi. Alla fine il tempo
si abbonacciò. Alle sei della sera il termometro segnava 12° 8,
l'igrometro 100°. Il vento spirò da S. O., e le nubi si spezzarono.

_Lunedì 19._
Alle sette ore e mezzo del mattino eransi già levate le tende, ed io
m'ero posto in cammino dirigendomi verso l'alta montagna veduta jeri,
alle di cui falde arrivammo a mezzo giorno meno un quarto. Si piegò al
S. ¼ S. O., ed alle tre ore e tre quarti scopersi le sommità di molte
montagne che ci stavano in faccia al sud. Uno de' miei domestici mi
disse che Marocco era situata poco più in qua della più alta montagna,
che vedevasi mezzo coperta di neve. Alle quattro ed un quarto si fece
alto.
Da principio si attraversarono alcune pianure di dove scoprivansi le
sommità delle alte montagne a grandissima distanza. Alle dieci
s'incominciò a salire le più vicine che chiudevano successivamente
l'orizzonte: ed avvicinandoci lentamente alla più alta si trovò meno
alta di quel che sembrasse la vigilia. Si viaggiò in seguito lungo una
valle in cui si attraversarono tre ruscelli; e salito sopra un eminenza,
scopersi un altro orizzonte formato di collinette che andavano a
terminare in grande distanza nella catena del monte Atlante, che
tagliava l'orizzonte in tutta la parte del sud; di dove si staccavano
quattro grandi masse gigantesche quasi affatto isolate. Quale sensazione
provai io trovandomi, in vista di questa famosa catena...!
La terra vegetale non era diversa da quella d'jeri. Trovai in seguito
delle roccie calcaree nella prima costiera; l'alta montagna era tutta da
cima a fondo composta d'argilla ardesiata, e d'ardesia argillosa,
formando transizione all'ardesia per il coperto in istrati orizzontali.
Il terreno fu costantemente calcareo, ed arenoso; ma alle quattro della
sera mi trovai sopra un vero _strato di roccia granitica_. Mi affrettai
di esaminarla, e trovai che era granito ma già passato allo stato di
decomposizione per la conversione del _feldspato_ in terra argillosa. Il
suo colore è rossiccio con un poco di mica cristallizzata in
specchietti; il grano inegualissimo passa dal _grosso grano_ al _piccolo
grano_, e da questo al fino. Queste roccie continuarono fino al luogo
del nostro accampamento; e mentre alzavansi le tende io salj sopra una
rupe, di dove ebbi la soddisfazione di contemplare con tutto comodo le
masse colossali che innalzavansi in faccia mia.
La vegetazione era assai ritardata; e non vidi in tutto il giorno verun
terreno coltivato.
Mi fu detto che l'alta montagna, alle di cui falde eravamo passati
serviva d'abitazione ad alcuni santi eremiti. Vidi molte persone, ed una
donna, che supposi essere pure una santa.
Non trovai che un solo villaggio, ed il luogo in cui eravamo poteva
dirsi un vero deserto.

_Martedì 20._
Si riprese la strada alle otto del mattino dirigendoci al S. Dopo avere
attraversati tre piccoli ruscelli, si fece alto a quattr'ore e mezzo
presso ad un dovar poco lontano da alcune montagne.
Il luogo in cui ci trovavamo era sparso di ciottoli di diaspro bianco.
La vegetazione non aveva nulla di seducente, tranne alcuni tratti di
terreno coperti di fiori.
Il tempo si mantenne bello fino alle due dopo mezzogiorno, quando ci
sorprese una burrasca di pioggia e vento. Alle sett'ore della sera il
termometro segnò 14° e l'igrometro 78°. Il vento soffiava dall'O., ed il
cielo era carico di nubi.

_Mercoledì 21 marzo 1804._
Alle sette e mezzo si levarono le tende, camminando sempre al S., e
s'incominciò poco dopo a salire le montagne. Alle nove ore essendo
giunto sulla sommità, vidi perfettamente la città di Marocco. Scesimo
bentosto; ed alle dieci eravamo sulla pianura detta di _Marocco_.
A mezzo giorno ed un quarto arrivai al lunghissimo ponte sul quale si
passò il fiume di _Tensit_. Feci far alto fino ad un'ora e mezzo, e poco
dopo entrai in città termine del mio viaggio.
Il paese percorso presenta prima una montagna, in appresso piani che
stendonsi fino alla Cordelliera dell'Atlante al S. e S. E., ed all'O.
non ha limiti.
[Illustrazione: VISTA DI MAROCCO E DELLA CORDELLIERA DEL
MONTE ATLANTE.]
Il terreno della montagna è composto d'ardesia argillosa, e d'ardesia è
il coperto con molto _schisto_ micaceo, che sorte dal terreno in istrati
sottilissimi ardesiati perpendicolarmente, che scomponendosi pel
contatto dell'atmosfera, rimangono isolati, ed hanno l'aspetto d'un
cimitero immenso con pietre sepolcrali situate a perpendicolo.


CAPITOLO XIV.
_Arrivo a Marocco. — Generosità del Sultano. — Semelalia. —
Partenza del Sultano. — Viaggi di Ali Bey a Mogador. — Saarra.
— Mogador. — Feste pubbliche. — Ritorno a Marocco._

Il Sultano, Muley Abdsulem, e tutti gli amici che avevo alla corte
mostraronsi assai contenti del mio arrivo. Appena avutone avviso, il
Sultano mi mandò una provvisione del latte della sua tavola come una
prova del suo affetto; e lo stesso fece Muley Abdsulem. Andai a
visitarlo il susseguente giorno, e ricevetti nuove testimonianze
d'amicizia e di stima, che raddoppiò in progresso.
Pochi giorni dopo il Sultano si degnò di accordarmi poderi
considerabili, col di cui prodotto potevo sostenere il mio rango
indipendentemente dai fondi ch'io possedeva. Ero nei miei appartamenti
quando uno de' suoi ministri si presentò, consegnandomi un firmano col
quale il sultano mi donava in assoluta proprietà una casa di piacere,
nominata _Semelalia_, con molti terreni coltivati ad uso di orto, e con
piantagioni di palme, d'ulivi ec.; ed inoltre una gran casa in città
detta casa di Sidi Benhamèd Duquèli.
Il palazzo e le piantagioni di Semelalia erano opera del Sultano Sidi
Mohamed padre di Muley Solimano, che soleva farvi l'ordinaria sua
dimora. Vi aveva fatti piantare i più belli e migliori alberi
fruttiferi, ed aggiunti deliziosi giardini. Un'abbondante vena d'acqua
condotta con magnifici acquedotti dal monte Atlante, aggiunge amenità a
quest'abitazione circondata da terreni chiusi da vasta muraglia che si
stende più di mezza lega: il podere e le palme sono al di fuori del
ricinto, che non contiene che giardini di piacere, orti, ed ulivi.
Grande è la casa di città fatta fabbricare ed abitata un tempo da
Benkamed Duquèli ministro favorito, che tenne lungo tempo le redini
dell'impero. Regolare è l'architettura dei bagni, e di una porzione
della casa, e non priva di eleganza; ma il rimanente, quantunque vasto,
non ben risponde al totale. Io conservo la proprietà di questi beni in
forza del firmano datato il 29 doulhaja dell'anno 1218 dell'egira (11
aprile 1804) che me ne assicura il godimento.
Tra pochi giorni il Sultano che voleva recarsi a Mequinez, bramando di
rendermi aggradevole la dimora nel suo impero, determinò ch'io andassi a
_Sovèra_ o Mogador, per fare una gita di piacere: ed in conseguenza
ordinò che i tre pascià delle provincie _d'Hthahha_ di _Scherma_, e di
_Sous_, si riunissero colle loro truppe a Mogador.
In conformità delle intenzioni del Sultano, io sortj da Marocco il
giovedì 26 aprile a mezzogiorno, viaggiando al S. O. ed all'O. S. O.
Alle quattr'ore traversai un piccolo fiume ed un'ora dopo l'_Enfiss_, e
feci alzar le tende sulla riva sinistra.
Il paese è una vasta pianura senza confine all'est, ed all'ouest, chiusa
al nord da piccole montagne, ed al sud, ed al sud est dalla catena
dell'Atlante. Il suolo è calcareo-arenoso, ed è un vero deserto
senz'altri esseri organici apparenti, che bassi cespugli e pochi lecci.
Il tempo fu tranquillo e sereno, ed il caldo orribile.
Il mio campo era formato di cinque tende: la mia, una per i miei fakih,
un'altra per la cucina, una quarta per i domestici, e l'ultima per la
mia guardia, composta di un caporale, e di quattro soldati negri della
guardia a cavallo del Sultano. Avea lasciato a Marocco i miei equipaggi
e la mia farmacia, di che n'ero dolente, trovandomi alquanto indisposto.

_Venerdì 27._
Mi rimisi in cammino alle otto ore del mattino dirigendomi al S. O., ed
all'O. S. O.: alle undici passai un piccolo fiume, ed alle cinque della
sera avendo attraversato il fiume _Schouschàoya_, che come gli altri
scorre dal S. O. al N. O., mi accampai sulla sponda sinistra. Il paese
rassomiglia a quello percorso jeri. La catena dell'Atlante s'allontana,
ed una delle sue ramificazioni assai più basse termina l'orizzonte al S.
Al dopo pranzo alcune collinette rompevano la eguaglianza del piano, ed
al N. vidi una montagna che parvemi isolata. Il terreno è composto d'una
marna argillosa abbastanza dura. Nè la vegetazione era diversa da quella
di jeri, tranne sulle rive del fiume, che sono coperte di bellissimi
orti, e che sembraronmi assai popolate. Molte donne col volto scoperto
lavavano al fiume.
Il mio male s'accrebbe. Mi trovavo a sette gradi e mezzo dal tropico: il
tempo era infernale; ed essendo privo di medicinali ebbi timore che la
malattia si rendesse seria.

_Sabato 28._
Malgrado la mia indisposizione feci partire la mia gente alle otto ore
del mattino, dirigendoli all'O., ed in appresso all'O. S. O. Mezz'ora
dopo mezzogiorno si passò in vicinanza di poche case e di alcune
cappelle chiamate _Sidi Moktard_. Alle quattro ritrovai altre case
disperse come fattorie o poderi. Giunto alle cinque in vicinanza di una
di queste abitazioni, situata accanto di un _dovar_, e presso ad un
ruscello, allettato da questa bella posizione, feci far alto, e prender
riposo.
Il terreno presenta a principio della marna mista di terra argillosa
rossa, ed in seguito roccie calcaree coperte d'uno strato sottile di
terra vegetale seminata d'un'infinita quantità di ciottoli calcarei, e
di alcuni sassi quarzosi.
Il paese era piano da principio, ma dopo mezzogiorno convenne salire e
scendere varie colline, in mezzo alle quali alzaronsi le tende.
Il tempo fu coperto, e faceva un vento d'O. alquanto fresco; lo che mi
fu di non piccolo sollievo. Bevei molta limonata, e questa bevanda
rinfrescativa mi giovò assai. La vegetazione assai povera la mattina, mi
presentò avanti sera campi seminati, ed alberi fioriti.

_Domenica 29._
Levatosi il campo ci ponemmo in cammino alle otto ed un quarto del
mattino verso l'O., ed in appresso verso O. S. O. fino alle quattro
della sera che si fece alto.
Il paese è tutto sparso di bellissime montagnette sulle quali vedonsi
moltissime case isolate; ciò che gli dà una qualche rassomiglianza colle
montagne della Svizzera; ma sgraziatamente ve ne sono molte cadenti.
Dalla sommità di alcune montagne scopersi un vasto paese montagnoso al
N. ed al S. Alle tre ore dopo mezzogiorno vidi il mare, e la costa di
Mogador.
Il terreno è composto di roccie calcaree coperte d'uno strato leggero di
terra vegetale, egualmente calcarea ed arenosa.
Rigogliosissima era la vegetazione. Mietevasi l'orzo, e vedevansi molte
piante fiorite; ma ciò che più mi sorprese, fu la moltiplicità degli
alberi, nel paese chiamati _argàn_.
Quest'albero prezioso si moltiplica da se medesimo senza aver bisogno di
coltura; cosicchè non altro resta a farsi che raccoglierne i frutti: è
una specie d'ulivo grossissimo, da cui se ne ritrae olio in abbondanza,
bonissimo a tutti gli usi. Benchè mi sia proposto di dare a parte la
descrizione delle piante, la somma utilità di questa mi sforza a dirne
qui alcune cose.
Sembra che Linneo mettesse questa pianta o nel genere _ramnus_, o nel
_sideroxilus_, e la chiama _rhamnus siculus_ nel suo Sistema, e
_sideroxilus spinosus_ nel suo Erbario. Il dotto botanico Driander gli
dà il nome di _rhamnus pentaphillus_, ma il sig. Schousboe console del
re di Danimarca a Marocco, che ha esaminate le piante del paese con
assai più di attenzione che non erasi ancora fatto prima, si determinò a
seguire i botanici Retz, e Wildenow, che la chiamarono _elaeodendron
argan_.
La descrizione del sig. Schousboe è senza dubbio più completa di tutte
le altre, e non vi si trovano che alcune leggere differenze indicate in
altra mia opera scientifica. L'albero, quand'io lo vidi, era in piena
fruttificazione. È spinoso, e trovasi sul frutto una grande abbondanza
di certo glutine resinoso, di cui forse la chimica potrebbe cavarne
profitto. La sua polpa, dopo averne estratto l'olio, è un eccellente
alimento per i buoj. Avvi in questo luogo un bosco di dieci in dodici
giornate di viaggio nella direzione N. e S. ove la mano dell'uomo non si
occupa d'altro, che di raccoglierne i frutti. Non sarebbe possibile di
renderlo indegno de' paesi meridionali dell'Europa? Ciò, a mio credere,
sarebbe più utile che l'acquisto d'una provincia.

_Lunedì 30 aprile._
Ci movemmo alle dieci ore e mezzo del mattino dirigendoci all'O. S. O.
Un'ora dopo usciti dal bosco si cominciò a camminare sull'arena in mezzo
a molte colline di sabbia sciolta, e poco dopo il mezzogiorno arrivammo
a Sovèra o Mogador, meta del viaggio.
Il paese aveva il medesimo aspetto di quello di jeri. Si entrò in un
piano di sabbia che è veramente un piccolo _sàhharra_, nel quale il
vento prende una sorprendente rapidità; la sabbia è tanto sottile, che
forma sul terreno le onde come quelle del mare; e queste onde sono tanto
considerabili, che in poche ore una collina di venti o trenta piedi
d'altezza può essere trasportata da un luogo all'altro. A questo
fenomeno che parevami poco probabile dovetti dare intera fede, quando ne
fui testimonio: ma questo trasporto non si eseguisce all'istante, come
viene comunemente creduto, nè è capace di sorprendere, e di seppellire
una carovana che cammina. Il vento levando continuatamente la sabbia
dalla superficie, si vede abbassarsi sensibilmente di più linee ad ogni
istante. Questa quantità di sabbia che va sempre più addensandosi in
aria per le successive ondate, non potendo sostenersi, cade e
s'ammucchia, formando una nuova collina; ed il luogo che occupava
poc'anzi vedesi affatto piano e senza la menoma traccia di quello che
era un istante prima. La quantità di sabbia levata dal vento in aria è
tale, che conviene attentamente evitare di averla direttamente in
faccia, e sopra tutto difenderne almeno gli occhi e la bocca. Questa
seconda sahharra può avere circa tre quarti di lega di larghezza ove si
attraversa; e conviene attentamente orizzontarsi, onde non ismarrirsi
negli andrivieni che devono farsi in mezzo alle colline di sabbia che
limitano la veduta, e cambiano di luogo con tanta frequenza, che non
vedesi che cielo e sabbia senza alcun'orma che possa diriggerci;
perciochè all'istante che l'uomo o il cavallo alza il piede, per
profonda che ne sia l'impronta, viene in sull'istante colmata affatto.
La grandezza, la rapidità, la continuazione delle ondate confondono in
modo la vista degli uomini e degli animali, che si cammina quasi a
tentoni. In questo luogo il camello ha un grande vantaggio, perchè
portando il suo collo perpendicolarmente alzato, viene ad avere il capo
al di sopra dalla più densa ondata; i suoi occhi sono difesi dalle sue
grandi palpebre semi-chiuse ed armate di densi peli; le vestigia de'
suoi passi sono poco profonde per la grandezza e la configurazione de'
suoi piedi fatti a guisa di cuscinetti; le sue lunghe gambe gli danno
modo di fare lo stesso cammino facendo meno passi di un altro animale, e
per conseguenza dura assai minor fatica degli altri. Questi avvantaggi
gli danno un andamento fermo e facile in un suolo ove gli altri animali
sono forzati di andare a passi lenti e corti, reggendosi a stento;
talchè li camello destinato dalla natura a questo genere di viaggi è un
nuovo motivo di lode verso il creatore, che diede il camello
all'Affricano, e la renna al Lapone.
La città di _Sovèra_ che trovasi sulle carte col nome di Mogador fu
fabbricata dal Sultano Sidi Mohamed padre del Sultano attuale. La sua
forma regolare, i suoi edificj di una conveniente altezza, le danno un
assai vago aspetto per una città d'Affrica: bello è il mercato maggiore
circondato di portici; e, quantunque alquanto anguste, sono abbastanza
belle ancora le contrade tirate a filo. Le sue mura difese da alcuni
pezzi di cannone la assicurano dalle incursioni degli Arabi. Si è alzata
una batteria verso il mare che lo batte di fronte; ma sgraziatamente le
cannoniere sono disposte in maniera che i cannoni, non si possono far
giuocare che con estrema difficoltà. Questa batteria è provveduta ancora
di alcuni mortai, e di due petriere. L'estrema piattaforma dalla banda
di mezzogiorno forma un angolo o fianco armato di un grosso cannone che
batte la bocca del porto, il quale vien formato dal canale che divide
dalla città un'isola posta al S. O. Mi fu detto che non è molto sicuro,
pure vi osservai ancorata una fregata inglese. All'ingresso del porto vi
è pure una batteria più alta dell'altra: e tra le due batterie vi sono
dei grandi magazzeni assai ben fatti.
L'isola che forma il porto può avere un miglio di diametro, ed è lontana
un mezzo miglio dalla terra. Viene difesa da alcuni pezzi di cannone, e
serve alla custodia dei prigionieri di stato.
A fronte delle sue fortificazioni questa città non potrebbe sostenersi
contro un attacco un poco ostinato, perchè non ha che le acque del fiume
lontano più di un miglio.
Il soggiorno di Sovèra è molto triste, trovandosi circondata da un
deserto di arena mobile, che non permette di passeggiarvi, e non avendo
verun giardino. In distanza di mezza lega sonovi però alcune montagne
coperte di macchie di _argani_, che vi prosperano assai.
Risiedono a Sovèra alcuni vice-consoli e negozianti di diverse nazioni
Europee, che vi formano come una colonia resa numerosa dai negozianti
Giudei del paese. Questi vi godono maggiore libertà che in tutt'altro
luogo dell'impero, fino a poter vestire all'europea, e vivere come gli
altri negozianti stranieri. Sono perciò più ricchi degli Ebrei delle
altre città; ma di tratto in tratto pagano questi vantaggi con terribili
avanie.
Ne' dieci giorni che rimasi a Sovèra il tempo fu sempre variabile; ma
potei farvi esatte osservazioni, che mi diedero la latitudine di 31° 32′
40″ al N., e la longitudine O. di 11° 55′ 45″ dell'osservatorio di
Parigi.
In questi dieci giorni i tre pascià ch'erano qui colle loro truppe mi
diedero lo spettacolo delle corse dei cavalli, e delle scaramuccie,
nelle quali rappresentavano i loro combattimenti coll'esercizio delle
armi a fuoco, consumando molta polvere, e facendo molto fracasso. Un
giorno mi condussero nel palazzo del Sultano, posto nelle montagne in
mezzo ad una foresta, ove mi fu dato un magnifico pranzo. Tornando alla
città avevamo intorno più di mille uomini a cavallo che facevano delle
corse e delle scaramuccie. Si visitò un palazzo che il Sultano Sidi
Mohamed aveva fatto fabbricare in una pianura di sabbia. Dopo averne
osservato l'interno, vidi, nell'atto che si usciva, una camera chiusa:
ordinai di aprirla, ed entratovi dentro col pascià, trovammo un falcone,
ch'eravisi senza dubbio introdotto per un buco; lo feci prendere e lo
portai meco. Pochi istanti dopo il corteggio si pose in cammino, ed
attraversammo il fiume poco profondo. Un soldato che mi era vicino
scoprì un grosso pesce lungo due piedi e mezzo, ch'era stordito per il
passaggio della cavalleria; lo ferì colla sua spada, e me lo presentò.
Non saprei ben dire quali e quanti felici presagi, si motivarono sulla
preda dell'uccello e del pesce....
[Illustrazione: _a._ SOLDATO MORO A CAVALLO IN ATTO DI
ATTACCARE IL NEMICO. _b._ ALI BEY IN VIAGGIO A CAVALLO.]
Terminati questi divertimenti, cui prese parte anche il popolo di
Mogador, ripresi la strada di Marocco scortato da quindici cavalieri
sotto il comando di un ufficiale. In tale circostanza incominciai a far
uso dell'ombrella, privilegio esclusivo del Sultano, de' suoi figli, e
fratelli, e vietato a qualunque altra persona.
Rifeci il cammino praticato nella venuta; e perchè preceduto dal mio
nome, tutti gli abitanti dei _dovar_ vicini alla strada, stavano
aspettandomi per complimentarmi. Gli uomini d'arme a cavallo schierati
in linea erano i primi, e mi salutavano con una riverenza accompagnata
dal grido _Allàh iebàrk òmor Sidina_, Dio benedica la vita del nostro
signore, venivano appresso i vecchi, ed i fanciulli, che mi salutavano
presentandomi un vaso di latte all'ordinario agro, perchè si costuma
così; ed io lo assaggiavo come voleva l'usanza. Tutti mi scongiuravano a
rimanere nel loro paese; le donne nascoste dietro la tenda, o dietro le
grotte facevano eccheggiare i contorni colle loro acute grida
d'applauso. Siccome questi saluti ripetevansi ad ogni istante, perchè
gli abitanti accorrevano da luoghi assai lontani, sarebbe inutile
l'avvertire ch'io non potevo accettare tutti gl'inviti. Chiedevanmi
allora una preghiera; io la faceva, ed essi mi attestavano la loro
riconoscenza colle corse de' cavalli, e colle salve de' loro fucili.
Quando arrivavo nel luogo destinato a passarvi la notte, dopo le
medesime ceremonie, e quando io ero di già accampato, tutti i notabili
della tribù, o del _dovar_ venivano una seconda volta, preceduti dallo
scheik, e dai principali abitanti, che due a due conducevano un grosso
montone tenendolo per le corna, e me lo presentavano; altri recavano del
couscoussou, orzo, polli, frutta ec. che consegnavano al mio maestro di
casa. Io invitavo i principali a prender meco il tè; ed essi mi tenevano
compagnia una mezz'ora od un'ora al più; dopo di che ritiravansi
orgogliosi dell'ospitalità ch'io aveva accordata, e del grazioso
accoglimento loro fatto.
La mattina nell'atto della partenza ricominciavano le corse de' cavalli,
le archibugiate e le grida della femmine; e per tal modo mi ricondussi
fino a Marocco il martedì 15 di maggio.

FINE DEL TOMO PRIMO.


INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO TOMO PRIMO.

_Intitolazione_ Pag. V
_Prefazione del Traduttore italiano_ » IX
CAP. PRIMO.
_Arrivo a Tanger. — Interrogatorio. — Presentazione
al governatore. — Stabilimento d'Ali Bey nella sua
casa. — Preparativi per andare alla moschea. —
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