Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1 - 08

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despotismo. La venerazione in cui sono tenuti gl'imbecilli, protegge la
sgraziata loro esistenza; ma l'asilo delle cappelle conserva altresì un
ragguardevole numero di delinquenti, dai quali dovrebbesi liberare la
società, ed il rispetto verso gl'imbecilli è cagione di mille attentati
contro la pubblica morale. I _safi_, o talismani, le reliquie, le
corone, i recitatori di preghiere per gl'infermi, per le cose smarrite,
ec. ec., sono altrettante pie frodi che macchiano il puro deismo di
_Maometto_. Altronde qual è il culto in terra che non sia stato alterato
dalla cupidigia dei ciarlatani, o dalla sciocca timidità del popolo?
Fortunatamente che nell'impero di Marocco non si vedono quelle greggie
monastiche, ossia quei _Dervis_, che scontransi in tutta la Turchia.


CAPITOLO XI.
_Sceriffi di Muley Edris. — Affare del pendolo. — Ingresso del
Sultano in Fez. — Messo del Sultano. — Interrogatorio del capo
degli astrologi. — Sua ipocrisia, mala fede. — Intrighi
dell'astrologo. — Trionfo d'Ali Bey. — Compera d'una Negra. —
Almanacco. — Partenza del Sultano. — Eclissi._

Abbiamo veduto, che le ceneri di _Muley Edris_ fondatore di quest'impero
sono venerate nel suo santuario a Fez, ove dimorano i suoi discendenti,
risguardati ancora come la più illustre famiglia del paese sotto il nome
di _Sceriffi_ di _Muley Edris_. Il capo di questa famiglia prende il
titolo di el _Emkaddem_, o _l'antico_. _L'Emkaddem_ attuale è un vecchio
venerabile chiamato _Hadj Edris_, il quale ha l'amministrazione dei
fondi posti ne' coffani accanto al sepolcro del santo, come pure
dell'elemosine in granaglie, in bestiami, ed in altri effetti che gli
abitanti gli danno a titolo di tributo: egli stesso le ripartisce tra i
scheriffi della tribù, la maggior parte de' quali si mantiene con questi
fondi, comecchè ve n'abbiano di ricchissimi di beni stabili, o pel
commercio che fanno, siccome l'_Emkaddem_. È tanto grande la venerazione
degli abitanti per _Muley Edris_, che in tutti gli accidenti della vita,
e ancora per uno spontaneo movimento, in luogo d'invocare
l'onnipossente, invocano _Muley Edris_.
Venendo da Mequinez a Fez mi passò innanzi un ufficiale del Sultano
apportatore d'un ordine sovrano ad _Hadj Edris_ perchè mi preparasse un
alloggio e mi assistesse e servisse di tutto quanto potessi desiderare.
In conseguenza, al mio arrivo fui alloggiato in casa sua; e perchè la
vecchiaja appena gli permette di far pochi passi, non che di occuparsi
di tutti i doveri dell'ospitalità, fu il suo maggior figliuolo _Hadj
Edris Rami_[15] che s'incaricò esclusivamente di tutti i miei affari, e
perciò qualunque volta io parlerò di _Hadj Edris_ si deve intendere del
figliuolo, ammeno che io non indichi espressamente il padre. Amendue
colle rispettive loro famiglie abitano nella medesima casa. _Hadj Edris
Ràmi_ è della mia età; il suo stimabile carattere, la dirittura de' suoi
principj, e la sua fedeltà, che giammai non si smentirono, lo resero il
mio migliore amico: possa egli essere tanto felice quanto io lo
desidero, e possano i suoi anni essere numerosi come le sue virtù!
[15] _È lo stesso personaggio che fu a Parigi nel 1808 in
qualità d'ambasciatore straordinario dell'Imperatore di
Marocco._ (N. dell'E. F.)
All'indomani del mio arrivo a Fez ricevetti la visita dei principali
scheriffi della tribù _d'Edris_ e di molti altri della città. Infinite
erano le domande che mi si facevano in tali visite, e le osservazioni;
come pure le ricerche che facevansi ai miei domestici, al quale oggetto
valevansi di tutti i mezzi immaginabili. In somma facevansi loro subire
formali interrogatorj sul conto mio; ma ne ottennero così soddisfacenti
risposte, che avanti che terminasse il secondo giorno, mi avevano
baciata cento volte la barba, ed i più ragguardevoli mi avevano pregato
a riceverli nel numero de' miei amici.
Gli _Edris_ affezionatisi al loro ospite pensavano ad avermi lungo tempo
in loro casa, e nulla trascuravano di tutto ciò che poteva, rendermene
aggradevole il soggiorno; ma siccome io non mi trovo mai bene che in
casa mia, si viddero forzati dalle mie istanze a cercarmene una, e pochi
giorni dopo io mi trovavo già stabilito in quella ch'essi mi procurarono
delle migliori di Fez. Il susseguente giorno mi recai a visitare il
principe _Muley Abdsulem_ che allora era a Fez. Quest'augusto e
rispettabile cieco mi fece infinite carezze, e mi pregò caldamente
d'andare a trovarlo ogni giorno; glielo promisi, e poche volte mancai
alla promessa.
Il despotismo che da tanto tempo pesa su quest'impero avvezzò gli
abitanti a nascondere il loro danaro, e ad adottare nei loro abiti, e
nella economia famigliare tutto ciò che può allontanare da loro il
sospetto dell'agiatezza; talchè niuno ardisce, per ricco ch'egli sia,
fare la menoma spesa di lusso; ad eccezione dei più prossimi parenti del
Sultano e dei scheriffi _Edris_, che godono di una maggiore libertà, e
perciò non temono di vestirsi, e di alloggiare più decentemente. I miei
amici mi vedevano tenere un sistema diverso dal loro, perchè accostumato
al lusso orientale, non sapevo ridurmi alla miseria ed agli usi di Fez.
Essi tremavano per me, e non mi dissimulavano i loro timori; ma lontano
dal pensare a correggermi, non declinai un sol punto dalle mie
abitudini; onde i miei amici terminarono coll'avvezzarvisi, e qualcuno
ancora incominciò ad imitarmi. La mia società s'accresceva ogni giorno.
I _Fachik_, i _Sceriffi_, i dotti, non isdegnavano di farne parte.
Non molto dopo arrivato a Fez fui condotto nella moschea di _Muley
Edris_, ed in una bella casa dipendente dalla moschea, ove vidi un
singolare assortimento d'oriuoli a pendolo: seppi che il Sultano aveva
ordinato che mi fosse preparata quell'abitazione, affinchè potessi
andarvi per leggere o per studiare, e che i dottori dovevano venire ogni
giorno a parlare con me intorno a cose scientifiche.
Per verun conto non mi conveniva assoggettarmi a qualsiasi vincolo; e
quindi dopo avere testificata tutta la mia riconoscenza verso il
sovrano, ed accettata l'abitazione, ordinai ai miei domestici di
portarvi tappeti, cuscini, un soffà, e tutto quanto poteva abbisognarmi;
dissi che sarei talvolta venuto a leggere, dichiarando in pari tempo
francamente che _ciò non avrebbe luogo ogni giorno_. Questo linguaggio
li sorprese.
Ne' primi dieci giorni non v'andai che due volte; vi capitarono molti
dottori, ma la nostra conversazione si restrinse ai complimenti
vicendevoli, ed a discorsi di niuna importanza.
Intanto si ebbe notizia che il Sultano arriverebbe ben tosto a Fez.
Allora _Hadj Edris_ mi fece sapere che due giorni dopo il mio arrivo suo
padre aveva ricevuto un ordine dal Sultano, col quale gli partecipava,
ch'io dovevo prendermi cura dell'andamento regolare dei pendoli di
_Muley Eddris_, e dare l'ora per le preghiere canoniche; che a tale
oggetto mi assegnava una pensione sulle entrate della moschea. Io saltai
come un capretto udendo un così fatto ordine. Declamai contro l'ingiusta
pretesa di voler impormi obbligazioni quando io non chiedevo nulla a
chicchessia; mi alterai, giurando, che mai più non avrei posto piede in
quella sala, e che se non mi si dava soddisfazione non andrei in
avvenire nella moschea di _Muley Edris_. Il buono _Hadj Edris_
arrabbiava; m'assicurò, ch'esso, e quanti erano stati informati di
questo affare, erano del mio sentimento; che per tale motivo non me ne
avevano parlato fino al presente, vedendosi costretti a farlo in vista
dell'imminente arrivo del Sultano, onde non esporsi a qualche dispiacere
per non aver eseguito il suo ordine. Tutti gli amici non trascuravano
intanto di calmarmi, pregandomi d'addolcire il mio rifiuto coll'andare
qualche volta presso _Muley Edris_; ma io non ascoltavo alcuno, e
montato a cavallo partii come un lampo per recarmi da _Muley Abdsulem_.
Feci conoscere a questo rispettabile amico le mie acerbe lagnanze,
osservandogli, che io veniva degradato in faccia al pubblico, e che ciò
doveva farmi credere ben poco avanti nella considerazione del Sultano, a
cui lo pregavo di far conoscere i miei sentimenti su quest'argomento.
_Muley Abdsulem_ mi diede ogni possibile soddisfazione, assicurandomi
che doveva esservi qualche mal inteso, e che s'egli ne avesse avuta
prima conoscenza, non avrebbe permesso di parlarmene; che dovevo
risguardarmi come suo figlio, e come figlio del Sultano _Muley
Solimano_, e che per conseguenza sarebbe sempre in mio arbitrio di fare
quanto mi piacesse, senza che alcuno debba o possa immischiarsene; e
ch'egli non soffrirebbe mai che mi si desse il menomo dispiacere.
Per tre giorni questo buon principe si compiaque di darmi ragione
intorno a quest'affare; ond'io conobbi evidentemente la favorevole
opinione ch'egli, ed il Sultano avevano di me, e che l'ordine relativo
ai pendoli era opera di qualche ministro ambizioso, che aveva interesse
di degradarmi agli occhi di tutto il mondo: ma invece d'abbassarmi,
quest'affare accrebbe il mio credito. I miei amici celebrarono questo
trionfo come una cosa non mai più udita; il mio nome si rese famoso; ed
io spiegai tutto l'apparato che si conveniva al mio grado. Non vi fu
alcuna persona di qualche distinzione a Fez, che non si desse premura di
visitarmi, onde la mia casa rifluiva di gente mattina e sera.
Non si tardò molto ad annunciare il vicino arrivo del Sultano. Io sortii
accompagnato da alcuni domestici e molti dei più principali della città
tutti a cavallo per incontrarlo ad una ragguardevole distanza. Tosto che
lo vedemmo, gli facemmo i nostri saluti, ai quali egli corrispose
affettuosamente; indi frammischiandoci ai signori del suo seguito
l'accompagnammo al palazzo. Il Sultano si ritirò nei suoi appartamenti,
ed il suo seguito, e la truppa ritiraronsi col popolo.
L'accompagnamento del Sultano era composto di un distaccamento di
quindici in venti uomini a cavallo: cento passi a dietro veniva il
Sultano sopra un mulo, ed al suo fianco, montato pure sopra un mulo,
stava l'ufficiale che gli portava l'ombrello, che a Marocco è il segno
distintivo del sovrano, non potendo farne uso ch'egli, i suoi figli e
fratelli; onore straordinario, ch'io per altro ottenni. Otto o dieci
domestici venivano dopo il Sultano, indi il ministro _Salaoui_ con un
domestico a piedi, e chiudevano la marcia alcuni impiegati, ed un
migliajo di soldati bianchi e neri a cavallo, con lunghi fucili in mano
formanti una specie di linea di battaglia, che aveva nel suo centro
dieci in dodici uomini di fondo, e le di cui estremità andavano a
terminare in un solo uomo; ma tutti senz'ordine di gradi, di file, o di
distanze. Nel centro della linea eranvi in sul davanti tredici grandi
stendardi, ciascuno d'un solo colore, altri rossi, altri verdi, bianchi,
gialli. Questo gruppo di bandiere serve alla truppa di punto di vista
per marciare, per fermarsi, o per cambiare di fronte; movimenti tutti
che si fauno in disordine e tumultuariamente. Quattro o sei tamburri
rauchi con alcune cattive cornamuse stanno dietro agli stendardi; ma non
si fecero sentire che dopo che il Sultano entrò in palazzo.
Lo stesso giorno mi recai da _Muley Abdsulem_, e gli chiesi consiglio
sul modo che doveva tenere per essere presentato al Sultano. Egli mi
rispose che se ne sarebbe occupato all'istante egli medesimo.
_Muley Abdsulem_ andò subito a corte, ed al suo ritorno mi disse che il
Sultano mi riceverebbe tutti i venerdì, e che non mi chiedeva ogni
giorno per non incomodarmi, nè privarmi della mia libertà; che mi
manderebbe uno de' suoi letterali per accompagnarmi ogni volta al
palazzo.
Effettivamente all'indomani, mentre trovavansi presso di me circa venti
persone, mi venne annunziato un messo del Sultano: lo feci entrare: egli
era il primo astrologo di corte. Presentandosi mi diede segni del più
profondo rispetto, e ponendomi sulle mani da parte del Sultano un
magnifico _hhaïk_, mi disse, ch'egli, _Sidi Ginnàm_, avea l'onore
d'essere stato scelto da sua maestà per accompagnarmi al palazzo ogni
venerdì.
Dopo avere baciato il _hhaïk_, ed avermelo posto sul capo secondo l'uso,
lo lasciai sul mio cuscino, e ricevetti i complimenti di tutte le
persone presenti.
Fu portato il tè, e dopo una mezz'ora di conversazione _Sidi Ginnàm_ mi
chiese se poteva dirmi una parola in segreto. Lo condussi in un'altra
sala con uno scrivano o segretario, che aveva seco condotto. Appena
fummo seduti incominciò a farmi varie interrogazioni. Mi chiese nome,
età, patria, ed il luogo de' miei studj; indi mi pregò di sciogliergli
alcuni problemi astronomici, come la longitudine, e la declinazione del
sole dello stesso giorno, la periodica sua rivoluzione, la precessione
dell'equinozio, la longitudine e latitudine della mia patria, quella del
mio alloggio a Londra, ec. Tale trattenimento non poteva in verun modo
piacermi, perchè ne ignorava lo scopo. Risposi con qualche durezza, ma
non per questo lo scrivano lasciò di scrivere. V'aggiunsi le predizioni
di due vicini ecclissi del sole e della luna, de' quali lo scrivano ne
marcò la data e le ore. Dopo ciò io li congedai, regalandoli amendue.
Nel tempo di questa specie di interrogatorio _Hadj Edris_ non cessava
d'andare e venire d'una in altra sala con molta inquietudine; e quando
ebbi congedato il mio astrologo, entrando nella sala ov'era la società,
viddi tutti i miei amici divisi in gruppi di quattro persone che
pregavano per me. Io rimasi commosso dall'interesse che quest'onesta
gente prendeva al mio ben essere, il buon _Hadj Edris_ si tranquillizzò,
e tutti mi replicarono i più affettuosi complimenti.
Il susseguente giorno si andò per divertimento ad un giardino di
campagna di _Hadj Edris_: ma essendo tutti uomini, e non permettendoci
la gravità musulmana d'intrattenerci in qualche giuoco, o colla musica,
o colla danza; privi dell'uso de' liquori proibiti dalla legge; ed
altronde non essendo la società composta di persone abbastanza dotte per
potersi universalmente occupare delle scienze; e per ultimo mancanti
affatto di notizie politiche, che sogliono somministrare largo
trattenimento alle società europee, come potevasi ingannare
piacevolmente il tempo?... A mangiare cinque o sei volte al giorno come
tanti Eliogabali, a bere tè, e a far preghiere comuni, a giuocare come
fanciulli, ed a nominare fra di noi i _pascià_, i _califfi_, i _kaid_, i
quali avessero impero sul rimanente della società ad ogni pranzo, ad
ogni tè, ad ogni passeggiata? Con tali e somiglianti altri divagamenti
restammo colà tre giorni, e due notti. L'ultimo giorno era giovedì, e
siccome avevo annunciato al Sultano che in tal giorno vedrebbesi la
nuova luna, se le nubi non la nascondevano, il Sultano fece proclamare
il cominciamento del Ramadan pel venerdì, quantunque la luna rimanesse
coperta.
In esecuzione degli ordini sovrani questo venerdì _Sidi Ginnàn_ venne a
prendermi per condurmi al palazzo. Montai a cavallo ed andai seco alla
moschea del palazzo, ove, dopo avermi fatto sedere, mi lasciò solo.
Un'ora dopo il Sultano venne nella tribuna, ove suole recitare la
preghiera del venerdì senz'essere veduto dal popolo. Dopo la preghiera
il Sultano partì subito, senza che io potessi vederlo.
Appena era egli sortito, _Sidi Ginnàn_ aprì la porta della tribuna, mi
chiamò, e mi fece entrare; e dopo aver chiusa la porta, facendomi molte
carezze, mi mostrò il luogo in cui il Sultano aveva costume di fare la
preghiera, e m'assicurò; _che gli aveva detto ogni cosa; che lo aveva
informato della mia predizione delle ecclissi; che il Sultano avevagli
risposto, essere soddisfatto, e che ordinava di condurmi ogni venerdì
alla moschea, come aveva fatto al presente_.
Conobbi all'istante la mala fede di quest'uomo, e gli risposi
seccamente: _benissimo; ma mi riesce affatto indifferente il venir qui
per la mia preghiera, o l'andar altrove_. Il mio uomo imbarrazzato da
tale risposta cercava di nascondere il suo turbamento. Mi condusse sulla
strada per una porta interna del palazzo, dicendomi misteriosamente:
_usciamo da questa banda, perchè siccome tutto il mondo sa che il
Sultano vi ha chiamato, si saprà più presto ch'egli vi accorda simili
distinzioni_. Sdegnato degl'intrighi di costui, gli replicai
bruscamente: _per me è lo stesso l'uscire per di qui, o per tutt'altra
porta_, e montando subito a cavallo, partii con i miei domestici. Montò
egli pure sul suo mulo, sforzandosi di raggiungermi, e venne a porsi al
mio fianco, chiedendomi se volevo far una passeggiata, al che mi
rifiutai di mal garbo. Mi accompagnò fino a casa, e si ritirò.
Gli amici che m'aspettavano vedendomi entrare come un furibondo,
s'affrettarono di chiedermi se avevo veduto il Sultano. Gli contai
l'accaduto, e rimasero storditi.
Io conoscevo l'ascendente della mia influenza, come i motivi della
condotta di _Sidi Ginnàn_, ed il bisogno di fare un colpo assai
clamoroso. Presi dunque all'istante la penna e stesi una memoria divisa
in dodici articoli. Dimostrai geometricamente l'ingiustizia di questa
specie di disprezzo, poichè io non avea chiesto nulla, ed il sultano
all'opposto non avevami chiamato che per avvilirmi. Terminavo l'ultimo
articolo con queste parole: _in conseguenza io parto alla volta
d'Algeri._ Feci sapere agli amici la presa risoluzione, e pregai _Hadj
Edris_ di disporre subito quanto mi abbisognava pel viaggio, incaricando
un individuo della società di portare la mia lettera a _Muley Abdsulem_.
Dopo aver udito quanto scriveva, e vedendo la mia ferma risoluzione, i
miei amici tremarono, e fecero ogni possibile per ritenermi; ma io non
ascoltai ragione finchè non mi fu fatto osservare che senza estremo
bisogno un musulmano non deve viaggiare in tempo del Ramadan. A ciò mi
acquietai, e promisi di passare il Ramadan a Fez, dichiarando in pari
tempo che partirei subito dopo.
All'indomani _Muley Abdsulem_ mi fece dire d'andare da lui. Mi arresi al
suo invito. _Io ho parlato, mi disse, del vostro affare al Sultano, che
gravemente si adirò contro Ginnàn, dicendo che quest'uomo aveva un cuore
malvagio: quando il Sultano ordinò di condurvi tutti i venerdì al
palazzo non era già per lasciarvi nella moschea, ma per introdurvi
innanzi a lui a fine di vedervi e di parlarvi: che in tal modo doveva
fare ogni venerdì; ma che poteva ben essere che Ginnàn, e qualcun altro
avessero motivo di pentirsi....._ Terminò dicendomi, che ordinava allora
l'arresto di quel miserabile. Allora presi a parlare a favore di
_Ginnàn_, dichiarando ch'io ero soddisfatto, e che desideravo che questo
disgustoso affare non avesse ulteriori conseguenze.
I miei amici festeggiarono il mio trionfo; ma non molto dopo ritornò uno
di loro assai triste, e mi disse: voi per soverchia bontà commetteste un
errore — quale? Avete comunicati al traditore _Ginnàn_ i giorni e le ore
in cui succederanno gli eclissi del sole e della luna; or bene, non solo
nulla disse di esserne a voi debitore, ma presentò il vostro lavoro, e
se ne fece egli stesso autore — pover'uomo, soggiunsi io all'istante, mi
fa pietà — ma perchè? — perchè nè egli, nè altra persona conosce a Fez i
giorni o le ore delle vicine eclissi. — Come non gli avete voi detta
ogni cosa? e non scrisse egli quanto voi gli diceste? — No; io conobbi
subito il carattere dell'uomo, e rispetto alle cose astronomiche non gli
dissi la verità, e per conseguenza egli ha spacciati dei falsi
pronostici..... A questo tratto tutti slanciaronsi verso di me,
baciandomi le mani, abbracciandomi, alzandomi sulle loro braccia, e
proclamandomi uomo superiore agli altri.
Il seguente venerdì, fingendo d'ignorare tutto il passato, _Sidi Ginnàn_
venne a prendermi per condurmi al palazzo. Lo feci aspettare più di
mezz'ora, e montando a cavallo, gli ordinai di seguirmi. Entrammo in una
cappella interna del palazzo, ove venne subito un figlio del Sultano per
tenermi compagnia, e pochi momenti dopo il Sultano mi fece chiamare.
Andai, come porta l'etichetta, accompagnato da due ufficiali, i quali mi
presentarono al Sultano, che trovavasi nella casetta di legno della
terza corte. Appena entrato, mi fece sedere sopra un piccolo matterasso.
Fra molt'altre cose mi domandò se piacevami il paese: se non mi era
contrario il clima; quindi chiamandomi _suo figlio_ e dandomi altri
soprannomi onorevoli, mi replicò più volte, ch'_egli era mio padre_.
Volli baciargli la mano, ma egli la rivolse e mi presentò da baciare la
palma, come ai suoi figliuoli. _Essendosi poi spogliato del suo
bournous, me lo pose in dosso colle sue mani_, ripetendo ch'io potevo
presentarmi a lui qualunque volta lo desiderassi, ch'egli non mi fissava
verun tempo, perchè non voleva altrimenti incomodarmi. La conferenza
durava da molto tempo quando il Sultano mi domandò l'ora: guardai
l'orologio, e gli dissi essere quella della preghiera. Allora
ripetendomi di nuovo più volte che io ero suo figlio, si levò, ed
andammo alla moschea.
Questo intrattenimento ebbe luogo alla presenza di molte persone, e tra
le altre del _Muftì_, o principale Imano del Sultano. Questi prendendomi
per la mano mi condusse nella moschea, ch'era affollata di gente, e non
mi lasciò finchè non fui seduto. Quest'ingresso nella moschea con il mio
seguito, e col _bournous_ del Sultano sovrapposto al mio, chiamò sopra
di me gli sguardi di tutta l'assemblea. Io sortj di mezzo alla folla;
tutti quelli che trovavansi sul mio passaggio baciavanmi la spalla, o il
lembo della veste. Chiesi dov'era _Ginnàn_; ed il _Muftì_ facendo un
atto di disprezzo; _non prendetevi cura_, mi rispose, _di questo
miserabile, cui non devesi più verun riguardo_. Feci qualche elemosina
alla porta della moschea, secondo la mia costumanza, e ben tosto
s'invocarono le bendizioni del cielo sopra _Muley Solimano_, e sopra di
me. Montai in seguito a cavallo e mi restituj a casa compiutamente
soddisfatto, poichè pubblico era stato il soddisfacimento della ricevuta
ingiuria, e così luminoso. Fui complimentato da tutti; e più non si
parlò di andare ad Algeri, e proseguj a frequentare il Sultano, ed a
fare con lui la preghiera alla tribuna.
Un musulmano senza donne vedesi generalmente di mal occhio. I piaceri
dello spirito occupandomi più di quelli del corpo, non avevo fin ora
pensato a quest'articolo. I miei amici me ne parlarono tanto, che mi
convenne cedere alle loro istanze. Sapendo che non volevo ammogliarmi
che dopo aver fatto il pellegrinaggio alla casa di Dio, mi fu posta
innanzi una schiava negra, ch'io presi senza pure osservarla. Le donne
d'_Hadj Edris_ avendola riconosciuta nella qualità di mia concubina, la
bagnarono, la purificarono, la profumarono diversi giorni; gli fu poi
fatto il suo corredo; indi mi fu condotta a casa. A fronte degli
abbigliamenti, de' profumi, delle purificazioni, rimase isolata in
un'abitazione separata dalla mia, ove venne ben servita e trattata; ma
io, non saprei dirne il motivo, non ho mai potuto vincere la mia
ripugnanza per una negra colle labbra grosse, e col naso schiacciato:
quindi la sventurata donna dovette trovarsi ben delusa della sua
aspettazione.
Aveva promesso a _Muley Abdsulem_ un calendario per i quattro ultimi
mesi dell'anno arabo. Io lo feci indicando la corrispondenza delle date
coll'anno solare, i giorni della settimana, del mese e della luna, la
longitudine e la declinazione del sole nell'istante del mezzogiorno a
Fez, l'ora del levarsi e del tramontare nello stesso luogo; l'ora del
passaggio della luna al meridiano, la differenza dal tempo medio al
tempo vero, le fasi ed altri punti lunari, ed i più notabili fenomeni
degli altri pianeti.
Siccome in quest'epoca dovevano precisamente accadere le due eclissi del
sole e della luna, l'almanacco diventò più interessante assai pel
pronostico di questi fenomeni da me descritti interamente: aggiungendovi
inoltre le figure ch'essi dovevano presentare. Posi in fine due altri
disegni che mostravano, uno la grandezza dei pianeti relativamente al
sole, l'altro il sistema solare con tutte le nuove scoperte. Quando
presentai quest'almanacco, _Muley Abdsulem_ ed il Sultano ne furono in
modo sorpresi, che predissero la rovina di tutti coloro che senza saper
nulla godevano in Fez opinione d'uomini scienziati.
Pubblicatisi una volta i giorni e le circostanze delle eclissi, n'ebbe
ben tosto notizia tutta la città, e perchè ognuno voleva aggiungere alla
notizia qualche cosa del proprio, si spacciarono mille stranezze: e gli
astrologhi predissero sventure, che dovevano essere precedute da tre
giorni di dense tenebre. Non è credibile la pena ch'io mi diedi per
distruggere l'impressione di tali ridicole predizioni.
Terminato il Ramadan, si celebrò la pasqua nel modo solito, e poco dopo
il Sultano partì alla volta di Marocco, invitandomi a seguirlo: glielo
promisi.
L'eclissi della luna fu dal popolo poco notata perchè il cielo era
ingombro di nubi, e pioveva: ma gran Dio! quale spaventoso rumore non
produsse l'eclissi del sole! Il cielo era affatto sgombro, ed era verso
mezzogiorno: il sole oscurossi quasi interamente, non rimanendo che un
mezzo dito del disco scoperto. Gli abitanti correvano per le strade
gridando come insensati; i tetti ed i terrazzi erano coperti di gente;
ed il mio alloggio era così affollato, ch'era impossibile il fare un
passo dalla porta fino al luogo più elevato.
L'eclissi finì poco dopo mezzogiorno. Stavo pranzando quando mi fu
annunciato che il figlio del kadi desiderava di parlarmi. Fattolo
introdurre, mi disse, colle lagrime agli occhi, e nel più compassionevol
modo, che la malattia di suo padre attratto non permettendogli di
sortire, veniva egli in sua vece a pregarmi, poichè il buon Dio li aveva
felicemente salvati dell'eclissi[16], d'avere la bontà di dirgli, _se
doveva ancora temersi di altra cosa_. Io lo rassicurai, come seppi
meglio, e lo rimandai soddisfatto.
[16] _Un'eclissi riguardasi nel regno di Marocco come una grande
sventura._ (N. dell'E.)
Non è possibile persuadere a queste genti, che si possono saper fare
osservazioni e calcoli astronomici, senza essere astrologo, e senza
saper dire a ciascuno la sua buona o cattiva sorte. Io mi abbattevo ogni
giorno in taluno che mi pregava a dargli indizio delle cose perdute o
rubate, altri a chiedermi la guarigione di un'ostinata malattia; i più
discreti si limitavano a domandarmi una preghiera per loro, o un
_Flous_, o piccola moneta per conservarla come un prezioso regalo. Tanta
è la costoro ignoranza che io mi affaticavo, ma con poco profitto, di
guarirli da sì grande semplicità.
Determinai il giorno della partenza alla volta di Marocco. I miei amici
tentarono ogni mezzo per ritenermi; le preghiere, le offerte, le cabale,
gl'intrighi, tutto fu posto in opera: ma finalmente io diedi i miei
ordini, presi commiato da tutti, e mi disposi a mantenere la promessa
fatta al Sultano.


CAPITOLO XII.
_Partenza da Fez. — Viaggio a Rabat. — Descrizione di questa
città._

Avendo preventivamente fatta sortire dalla città la mia caravana, io
sortii di casa mia a piedi il 27 febbrajo del 1804 accompagnato dai
principali _scheriffi_, e dal venerabile _Emkaddem Hadj Edris_; ed
attraversando la folla che mi circondava, ed ingombrava i cortili della
mia casa, e le vicine strade, ci recammo alla moschea di _Muley Edris_,
ove dopo aver recitata la preghiera, ci separammo colle lagrime agli
occhi. Io montai a cavallo innanzi alla porta della moschea, e seguito
soltanto da due domestici, da due soldati a cavallo, e da un domestico a
piedi; attraversai lentamente la folla ch'era immensa, lo che diede
tempo ai _scheriffi_, e ad altri considerabili personaggi di montare a
cavallo, e di seguirmi. Questo corteggio mi seguì fino ad una lega fuori
della città, ove assolutamente volli che si ritirassero; lo che si
eseguì dopo nuovi reiterati abbracciamenti, e nuove lagrime.
Ero sortito da Fez ad un'ora dopo mezzo giorno, prendendo la strada di
Mequinez, che poscia abbandonai per volgermi all'O. avvicinandomi alle
montagne. Alle tre arrivai presso alcuni laghi d'acque salse da cui
ricavasi molta quantità di sale. Moltissime truppe di anitre selvatiche
coprivano quelle acque e specialmente presso le rive. Lasciate a
sinistra queste lagune, e tenendo sempre la medesima direzione, alle
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