Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1 - 02

informi tronchi con tre o quattro traversi, un debolissimo asse e due
ruote formate di grosse tavole quasi prive di ferramenti compongono il
carro: è tutto coperto di color nero, ma lo credo di legno di quercia.
Nella parte orientale della spiaggia sonovi tre altre batterie.
Le maggiori navi ch'io vedessi entrare in porto non eccedevano la
portata di 250 tonnellate, ma quantunque la baja sia alquanto esposta ai
venti di levante, la sua situazione è molto bella; e sono di sentimento
che vi si potrebbe formare con piccolissima spesa un eccellente porto.
Dalla banda di terra Tanger non ha altra difesa che il muro e la fossa
rovinati, senza cannoni. Al nord il muro della città si riunisce a
quello del vecchio castello _alcassaba_, posto sopra un'eminenza, e dove
trovasi un sobborgo ed una moschea.
E perchè i Mori non conoscono affatto il servizio militare, lasciano
d'ordinario le loro batterie senza guardia. Soltanto presso alla porta
del Kaïh trovasi un piccolo corpo di guardia, ed un altro corpo di
guardia viene rappresentato, quantunque effettivamente non esista, da
alcuni fucili posti a porta a mare, ove al più alcune volte si vedono
due o tre soldati. Ogni giorno in sul far della sera, mentre il Kaïh
passeggia o sta seduto sulla spiaggia, alcuni soldati fanno la ceremonia
di mutar la guardia; ma poco dopo tutti ritornano alle loro case.
L'avviso della ritirata vien dato alle dieci della sera con un colpo di
fucile tirato in su la piazza; ove nello stesso tempo viene collocata
una sentinella, la quale ogni cinque minuti dà la parola ad un'altra
posta alla porta a mare, gridando _assassa_, cui l'altra risponde
_alabata_. I Mori fanno le loro _fazioni_ sempre seduti, e d'ordinario
disarmati, lo che è comodo assai.
Nelle guerre d'Affrica il fantaccino non ha veruna considerazione, di
modo che le forze d'ogni potentato viene calcolata sul numero de' loro
cavalli, e per tale ragione i Mori si esercitano principalmente nel
cavalcare. A Tanger fannosi tali esercizj lungo la spiaggia, facendo
correre i cavalli sull'arena ancor bagnata dalla bassa marea. Con questi
continuati esercizj si rendono eccellenti cavalieri. Adoperano selle
assai pesanti, con arcioni altissimi assicurati sul cavallo da due
cinghie che serrano il cavallo, una passandogli sotto le coste, e
l'altra obbliquamente per i fianchi sotto il basso ventre. Hanno
cortissime staffe per montare, ed i loro speroni sono formati da due
ferri appuntati lunghi circa otto pollici. Con questo equipaggio, e con
un morso durissimo martirizzano talmente i poveri cavalli, che
frequentemente spargono sangue dai fianchi e dalla bocca.
Essi non conoscono che una sola manovra: tre o quattro cavalieri, e
talvolta anche più, partono assieme mettendo altissime grida, e presso
alla metà della corsa scaricano il loro fucile senza unione di tempo o
di luogo. Talvolta l'uno corre dietro l'altro sempre gridando, e
nell'atto di raggiungerlo scarica il suo colpo tra le gambe del cavallo.
Nè solo trattano duramente adoperandoli i loro cavalli, ma non curansi
pure di metterli al coperto; lasciandoli per lo più in aperta campagna,
in un cortile con i piedi d'avanti assicurati ad una corda tirata
orizzontalmente tra due pivoli, senza testiera, e senza cavezza. Gettano
loro della paglia in terra, e danno un poco d'orzo in un piccolo sacco
che viene sospeso alla loro testa. Per lo più danno la paglia al cavallo
due o tre volte al giorno, e soltanto una volta la biada verso sera.
Quando viaggiano non sogliono fermarsi finchè non giungano al luogo
destinato a passarvi la notte; e non mangiano prima di sera. Avvezzati
ugualmente all'ardente sole della state, ed alle continue pioggie
dell'inverno, si conservano grassi e sani, lo che mi persuaderebbe che
il reggime degli Affricani debba preferirsi a quello degli Europei, che
rende i cavalli soverchiamente dilicati, e poco destri ne' grandi
movimenti militari; se altronde non si dovesse aver riguardo alla
diversità dei climi.
Veggonsi a Tanger molti cavalli, alcuni muli, e pochissimi asini; e
questi ultimi sono generalmente assai piccoli, come anco i muli. Di
cavalli se ne trovano d'ogni grandezza, ma non già della maggiore: sono
vivaci, e ben disposti, benchè male ammaestrati per colpa de' cavalieri
che non conoscono l'arte. Il pelo bianco e cenericcio è il più comune,
ed è quello de' cavalli più robusti; i più belli per altro sono quelli
di color bajo-oscuro, o balzano.
La popolazione di Tanger ammonta a circa dieci mille uomini, soldati,
mercanti spicciolati, cattivi artigiani, poche famiglie agiate, e pochi
ebrei.
L'infingardaggine è il distintivo carattere di questi abitanti, i quali
sogliono rimanersi quasi tutto il giorno seduti o stesi al suolo nelle
strade, e nei luoghi pubblici. Sono loquaci assai, e ceremoniosi in
modo, che a stento ne' primi giorni potevo sbarazzarmene: ma avendo in
seguito appreso a rispettarmi, si ritiravano al primo segno che loro ne
facessi, e mi lasciavano attendere alle mie faccende.
L'abito degli abitanti riducesi ad una camicia con maniche estremamente
larghe, un enorme pajo di mutande di tela bianca, un giubboncello di
lana, o corto sopr'abito di seta, ed una berretta rossa appuntata.
Sogliono i più avvolgersi intorno alla berretta una mussola o tela
bianca, e formarne il turbante; il hhaïk li avviluppa interamente e gli
cuopre ancora il capo con una specie di grande cappuccio; hanno talvolta
un cappotto bianco sopra il hhaïk, e le pappuzze o pantoffole gialle.
Altri ancora invece del giubboncello portano un _caftan_, o lunga veste
abbottonata sul davanti da cima a fondo, con maniche assai larghe, ma
meno lunghe di quelle dei _caftan_ turchi. Tutti poi adoperano una
cintura di lana o di seta.
Le donne escono di casa sempre coperte in modo, che a stento si vede un
occhio in fondo ad una enorme piega del loro hhaïk: calzano grandi
pappuzze rosse, e, come gli uomini, non usano calze. Se portano un
fanciullo, o qualche altra cosa, la tengono sulle spalle, onde le si
vedono le mani.
I fanciulli non hanno che una semplice tonaca, ed una cintura.
Il _bournous_ sopra il hhaïk è l'abito di cerimonia per i _tables_ ossia
letterati, gl'_iman_ o capi di Moschea, ed i _fakihs_ dottori della
legge.


CAPITOLO III.
_Udienze del governatore. — Del Kadi. — Viveri. — Matrimonj. —
Funerali. — Bagni pubblici._

Il kaïd o governatore suole dar udienza al pubblico ogni giorno, e rende
quasi sempre giustizia con sentenze verbali. Talvolta le due parti si
presentano assieme, e talvolta soltanto la parte riclamante: in tal caso
il kaïd l'autorizza a condurre il suo avversario; lo che viene eseguito
senza incontrare opposizione, perchè la menoma resistenza verrebbe
severamente castigata.
Il kaïd, adagiato sopra un tappeto ed alcuni cuscini, ascolta le parti
rannicchiate presso alla porta della sala. La discussione incomincia, e
si prosiegue talvolta parlando tutti assieme, il kaïd, ed i litiganti,
un quarto d'ora o più, senza potersi intendere, finchè i soldati che
stanno sempre in piedi dietro alle parti impongono loro il silenzio a
forza di pugni: allora il kaïd pronuncia la sentenza, e nell'istante
medesimo i litiganti vengono cacciati dalla presenza del giudice a
replicati colpi dai soldati, e la sentenza qualunque siasi s'eseguisce
irrevocabilmente. La è una circostanza veramente notabile, che chiunque
presentasi al kaïd per essere giudicato, debba dopo il giudizio essere
rimandato dai soldati che vanno gridando _Sirr_, _Sirr_, corri, corri.
Talvolta il kaïd dà udienza sulla porta della casa, seduto sopra una
seggiola, in mezzo al popolo affollato.
Non molto dopo il mio arrivo a Tanger assistetti ad una di queste
udienze. Un giovanetto si fece innanzi al kaïd mostrando una leggier
graffiatura al corpo, e chiedendo giustizia: fu condotto il colpevole
che venne condannato a trentun colpi. Pronunciata appena la sentenza, fu
steso a terra da quattro soldati, e gli furono passati i piedi entro un
laccio a nodo corrente attaccato ad un bastone, indi un soldato gli
scaricò sulla pianta dei piedi trentun colpi con una doppia corda
incatramata: finita l'operazione venne cacciato fuori dall'udienza il
reclamante con replicati colpi. Io desideravo di chieder grazia pel
condannato, ma non osai di farlo per timore che la mia domanda venisse
mal accolta. Seppi poscia, che in ogni caso simile avrei potuto ottener
grazia a favor del reo dopo aver ricevuto dieci o dodici colpi.
D'ordinario il paziente suole gridare ad ogni colpo _Allah_! Dio; ma
taluni invece di gridare _Allah_, contano con fierezza i colpi l'un dopo
l'altro.
Rarissime volte si presentano istanze al kaïd di quattro o sei linee; e
perciò tutti gli attrezzi del suo segretario riduconsi ad un piccolo
calamajo di osso con una penna di canna, e pochi pezzettini di carta
piegati per mezzo, e preparati per ricevere qualche ordine, ciò che pure
accade rarissime volte. Il segretario non ha nè registro nè archivio;
cosicchè le carte che gli si consegnano vanno subito a male, non tenendo
verun registro degli ordini che riceve.
Il buono o il cattivo senso del kaïd è l'unica norma de' suoi giudizj, e
tutt'al più qualche precetto del Corano. Suole pure alcuna rarissima
volta accadere ch'egli consulti i fakihs, o rimetta le parti al kadi,
ossia giudice civile.
L'attuale governatore di Tanger chiamasi Sid Abderrahman Aschasch; era
semplice mulattiere; non sa nè leggere, nè scrivere, e ne pure far il
suo nome; ma non è privo di naturali talenti, e di certa quale ardita
vivacità. Non trovandosi a portata di sentire quanto l'istruzione sia
utile all'uomo, non la procura per sistema ai suoi figliuoli, che, come
il padre non sanno leggere nè scrivere. Al presente egli possiede molti
averi a Tetovan, città subordinata al suo governo, ove dimora la sua
famiglia, risiedendo egli alternativamente quando in una e quando
nell'altra città, avendo un luogotenente che ne fa le veci in sua
assenza.
Alquanto meno tumultosi sono i giudizj del kadi, comechè si emanino
press'a poco colle stesse formalità. Le decisioni appoggiansi ai
precetti del Corano, ed alla tradizione in tutto ciò che non è contrario
alla volontà del sovrano. Dopo il giudizio pronunciato dal kaïd o dal
kadi non rimane alle parti che il ricorso al Sultano medesimo, non
essendovi tribunale intermedio.
I viveri sono a Tanger assai abbondanti, ed a vil prezzo, e specialmente
la carne, che è molto pingue. Vi si fa del pane bellissimo, e non è pur
cattivo il più comune. A fronte della poca cura con cui conservansi gli
acquedotti, l'acqua si mantiene buona. Non vi si trova alcuna osteria, e
altro venditore di vino; ed i consoli sono costretti di provvederlo in
Europa.
Il terreno produce eccellenti frutti, ed in ispecie fichi, popponi, uve
ed aranci di Tetovan.
Il principal cibo degli abitanti di tutto il regno di Marocco è il
couscoussou, pasta composta di sola farina ed acqua, che si va
impastando finchè sia resa durissima; ed allora viene divisa in pezzi
cilindrici della grossezza d'un dito, che poi riduconsi in grani
assotigliando successivamente questi pezzetti, e dividendoli con molta
destrezza colle mani. Questa pasta per ultimo così divisa si secca
esponendola sopra le salviette al sole, od anche semplicemente all'aria.
Il couscoussou si fa poi cuocere col burro in una specie di pentola col
fondo pertugiato a piccoli pertugi, e posta entro una altra pentola
alquanto più grande, in cui i poveri non pongono che acqua, ed i ricchi
carni e polli. Posta a fuoco la doppia pentola, il vapore che s'alza
dalla inferiore entra pei pertugi, e fa cuocere il couscoussou posto nel
pentolino. La carne cotta nella maggior pentola viene posta in un
piatto, circondata e coperta di couscoussou, formando così una specie di
piramide senza salsa, o brodo. I grani del couscoussou sono sciolti: se
ne fanno d'ogni genere dal più fino, come un granello d'orzo macinato,
fino al più grosso come un grano di riso. Io risguardo quest'alimento
come il migliore di tutti per il popolo, perchè facile ad aversi, ed a
trasportarsi, perchè è sostanzioso assai, sano ed aggradevole al palato.
Ogni musulmano mangia colle dite della destra, non adoperando nè
forchetta nè coltello, perchè anche il Profeta mangiava così. Tale
costumanza che ributta i cristiani, non ha per altro nulla d'incomodo, o
di disgustoso. Dopo tante legali abluzioni che il musulmano deve fare
ogni giorno, nelle quali, come vedremo ben tosto, si lava le mani; egli
le lava altresì qualunque volta vuol mangiare, e dopo aver mangiato,
talmente che esclude perfino il sospetto d'ogni sozzurra. Altronde poi
niente è più comodo del prendere i cibi colle proprie dita. Rispetto al
couscoussou suol pigliarsi riunendolo in grumi, che s'accostano alla
bocca.
A Marocco per altro non mancano cucinieri molto esperti, che sanno fare
varie squisite vivande di carne, di polli, di uccelli, di pesci, di
legumi e di erbaggi. Ma perchè la legge non permette di mangiar sangue,
conviene adoperare molta circospezione. Rispetto ai volatili ed al pesce
non si mangiano che dopo avere avuta la precauzione di scannarli ancora
vivi, affinchè tutto il sangue sorta loro dal corpo. I ricchi abitanti
sogliono avere delle schiave negre, che hanno opinione d'essere
eccellenti cuciniere.
Per mangiare si ripone il piatto sopra una piccola tavola rotonda senza
piedi, di venti a trenta pollici di diametro, con un bordo alto cinque
in sei pollici: la tavola vien coperta da una specie di paniere conico
fatto di vinchi, oppure di foglie di palma, talvolta di varj colori. A
Marocco tutti i piatti hanno la figura di cono rovesciato o troncato,
sicchè la base del piatto viene ad essere strettissima. Talvolta
pongonsi sulla medesima tavola intorno al piatto alcuni piccoli pani
assai teneri, e ciascuno piglia a pezzetti il pane che gli sta innanzi.
Ogni piatto viene servito sopra una diversa tavola sempre coperta, onde
sonovi tante tavole quanti sono i piatti. Costumasi ancora di presentare
talvolta una grande tazza piena di latte agro con molti cucchiai di
legno assai grossolani lunghi e profondi, coi quali i convitati prendono
di quando in quando, e taluno ancora ad ogni boccone di carne o di
couscoussou, un poco di questo latte. Siedono in terra, o sopra tappeti
intorno alla tavola prendendo tutti la vivanda dallo stesso piatto; ma
quando i convitati sono molti, vengono servite più tavole, in modo che
ogni tavola abbia intorno cinque o sei persone sedute e colle gambe
incrocicchiate.
I musulmani avanti di porsi a tavola invocano la divinità dicendo
_Bism-Illah_, in nome del Signore; e terminato il pranzo, lo ringraziano
coll'espressione _Alhmado-Liliahi_, sia lode al Signore! Le stesse
invocazioni sogliono farsi prima e dopo di bevere; e le ripetono
qualunque volta intraprendono qualunque affare. Ma se hanno sempre sulla
bocca il nome di Dio; non sempre ne hanno il rispetto in fondo al cuore.
Uscendo di tavola si lavano le mani, la bocca, e la barba. Al quale
oggetto si fa loro innanzi un domestico, od uno schiavo, con un piatto
di rame o di majolica nella mano sinistra, una brocca nella destra, ed
un asciugatojo sulla spalla sinistra. Il domestico passa successivamente
dall'uno all'altro convitato; questi stende la mano sopra la brocca
senza toccarla, ed il domestico gli versa l'acqua con cui si lava le
mani, indi la bocca e la barba; e termina asciugandosi col drappo che
sta sulla spalla del domestico. In casa delle persone più ricche un
domestico versa l'acqua, ed un altro presenta l'asciugatojo. Il costume
di asciugarsi col tovagliolo in tempo del pranzo non è molto comune. Il
pranzo termina sempre con una tazza di caffè.
Anticamente facevasi a Marocco grandissimo uso di caffè prendendosi in
qualunque ora come costumasi in Levante; ma avendo gl'Inglesi regalato
del te ai Sultani, e questi ai loro cortigiani, in breve tempo questa
nuova bevanda si comunicò dagli uni agli altri fino alle ultime classi
della società: di modo che, proporzionatamente consumasi più te a
Marocco che in Inghilterra, non essendovi musulmano per povero ch'egli
sia che non abbia te da offrirne in qualunque ora a coloro che vengono a
fargli visita. Suole prendersi assai carico, pochissime volte col latte;
e lo zuccaro si pone nel vaso. I Marocchini ricevono questi generi
dagl'Inglesi, e ne importano altresì molto essi medesimi da Gibilterra.
La legge permette ai Mussulmani d'avere quattro mogli, e quante
concubine possono mantenere; le ultime devono essere comperate o prese
in guerra, o avute in dono. Le altre si hanno in forza d'un contratto
stipulato tra il pretendente o i suoi parenti, ed i parenti della
pretesa, in presenza del kadi e dei testimonj; e l'unione si fa senza
alcuna ceremonia religiosa, onde il matrimonio è puramente civile. È per
altro cosa notabile che malgrado la mancanza della sanzione religiosa,
che altre sette religiose danno a questo contratto, le leggi della
castità conjugale, e la pace domestica, trovinsi d'ordinario meglio
mantenute nelle famiglie musulmane, che in quelle delle altre religioni.
Dopo la stipulazione del contratto la famiglia dello sposo manda
d'ordinario a quella della sposa alcuni regali. Questa ceremonia si
eseguisce con molta pompa in tempo di notte accompagnando i regali con
molti lampioni, candele, fanali, con una compagnia di quei cattivi
musici di cui si è già parlato, e da molte donne che mandano acutissime
voci.
La novella sposa si conduce alla casa dello spose con molta ceremonia, e
con un corteggio press'a poco uguale a quello che accompagna i fanciulli
alla circoncisione. La prima volta che m'avvenni a Tanger in questo
spettacolo fu una mattina alle sei ore. La sposa era portata sulle
spalle da quattro uomini in una specie di paniere cilindrico coperto al
di fuori da una tela bianca, e con sovrapposto un coperchio di figura
conica dipinto a varj colori, come quelli del panierino di cui cuopresi
la tavola da mangiare: ogni cosa era così piccola che non pareva
possibile che potesse contenere una donna; e questo paniere aveva
perfettamente l'apparenza d'un piatto di vivande che si mandasse allo
sposo. Questi, ricevendola, alza il coperchio, e vede la prima volta la
futura compagna.
Quando muore un musulmano è posto sopra una barella, e ricoperto col suo
hhaïk, e talvolta con fronde d'alberi, indi viene portato sulle spalle
da quattro uomini, ed accompagnato da molte persone che camminano a gran
passi senza alcun ordine, e senza verun segno di cordoglio. Il convoglio
nell'ora della preghiera del mezzogiorno si reca alla porta d'una
moschea; e terminata la preghiera l'imam avvisa che trovasi un morto
alla porta: allora tutti si alzano per pregare in comune riposo
all'anima del fedele credente; ma il corpo non viene introdotto nella
moschea.
[Illustrazione: CIMITERO DI TANGER.]
Terminata questa preghiera il convoglio riprende la strada, ed il
corteggio cammina precipitosamente perchè l'angelo della morte aspetta
l'individuo nel sepolcro per sottoporlo ad un interrogatorio, e per
pronunciare il giudizio che deve decidere della sua sorte: ad ogni
istante i portatori si cambiano desiderando tutti di prendere parte a
quest'opera di misericordia. Lungo il cammino cantano tutti alcuni
versetti del Corano sull'aria rè, ut, rè, ut.
Arrivati al cimitero depongono, dopo una breve preghiera, il cadavere
nella fossa senza cassa, e steso col volto alquanto rivolto verso la
Mecca, gli fanno portare la mano destra all'orecchio dello stesso lato,
poscia gettando della terra sul corpo, il corteggio ritorna alla casa
del defunto per complimentarne la famiglia. In questo tempo, come pure
all'istante dell'agonia, e per otto giorni consecutivi, le donne della
casa riunisconsi per fare urli spaventosi, che durano gran parte del
giorno.
Schifosi sono i pubblici bagni di Tanger, e d'un aspetto assai meschino.
Entrando per una piccola porta si scende per un'angusta scala, al di cui
sinistro lato vedesi un pozzo dal quale si attinge l'acqua per servigio
dello stabilimento: dall'altra banda presso ad una specie di vestibolo
avvi una piccola camera. In questi due luoghi si depongono e si
ripigliano gli abiti. Alla diritta del vestibolo trovasi una camera che
ha l'aspetto di cantina così poco illuminata, che all'entrarvi si
crederebbe affatto oscura; e su quel suolo sempre coperto d'acqua si
sdrucciola con molta facilità. I più vi prendono i bagni con un secchio
d'acqua calda, ed un altro di fredda, che riducono alla temperatura che
loro piace, e che gettansi poc'a poco sul corpo colle mani, dopo aver
adempiute le ceremonie dell'abluzione.
Coloro, che vogliono prendere i bagni a vapore, entrano in una camera
posta alla sinistra, lastricata a scacchi di pezzi quadrati di marmo
bianco e nero: il palco a volta ha tre lucerne circolari del diametro di
quasi tre pollici coperte di vetro di diversi colori, lo che produce un
buon effetto per la luce. La porta di questa camera sta sempre chiusa, e
dicontro alla medesima avvi un piccolo recipiente che riceve l'acqua
calda da un tubo; la fredda trovasi ne' secchi. Entrando in questa
camera s'incontra un'aria soffocante che difficulta la respirazione, ed
in meno d'un minuto il corpo trovasi ricoperto d'acqua, che riunendosi
in grosse gocciole, scorre lungo la cute, ed un abbondante sudore tutto
vi ricuopre da capo ai piedi. Si siede nel lastricato talmente caldo,
che da principio sembra insopportabile, ma che presto si dissipa: si
resta in questa camera seduti finchè ognun vuole; ed in appresso si
fanno le abluzioni, e si lava, o si bagna il corpo. L'uscita riesce
incomodissima perchè non avvi alcuna camera ove trattenersi alcun tempo
prima d'esporsi all'aria libera.
Quando entrai la prima volta in questo bagno soffersi assai per
l'eccessivo calore che vi si conserva; ma non tardai ad avvezzarmi, e ne
riconobbi la salubrità: pure avrei desiderato maggior comodo, e meno
calore. Qualunque volta v'andai, ho sempre trovato otto, dieci, ed anche
più persone ignude, cosa poco decente.
Il prezzo di questi bagni monta ad una _mouzouna_, che gli Europei del
paese chiamano _blanquille_, e che può rispondere press'a poco a due
soldi di Francia.
Per conservare il caldo, ed il vapore del bagno, vi è un forno sotto la
camera, che riscalda il pavimento; indi una caldaja dalla quale per
mezzo d'un tubo che con una chiave s'apre e si chiude, a piacere si
attinge l'acqua: avvi pure un altro tubo che conduce il vapore
dell'acqua della caldaja. Questo vapore cresce a dismisura quando
versandosi l'acqua sul pavimento caldo, ed alzandosi in vapori, carica
l'atmosfera d'assai maggiore umidità, e produce sulle persone che
entrano i già descritti effetti.


CAPITOLO IV.
_Architettura. — Moschea. — Musica. — Divertimenti. — Grida
delle donne. — Scienze. — Santi._

L'attuale architettura araba mogrebina, o occidentale, non ha veruna
rassomiglianza coll'architettura antica o moderna. Lungi dal trovare
nell'attuale architettura mogrebina l'eleganza e l'ardire dell'antica
architettura araba, si riconosce in tutte le sue opere il carattere
della più grossolana ignoranza. Gli edifici sono fabbricati senza alcun
piano preventivo, e quasi all'azzardo, con tanta ignoranza delle regole
elementari dell'arte, che in alcune ragguardevoli case ho trovato la
scala senza lume affatto; per cui dovevano tenersi sempre accesi alcuni
fanali. Generalmente i vestiboli, gli atrj, le scale, sono meschinissimi
anche nelle case della più grande estensione.
Ogni casa ha sempre la medesima forma, una corte quadrata con un
andatojo da due, tre, ed anche da quattro lati. Avvi una camera assai
stretta paralella all'andatojo, e lunga ugualmente; le camere non hanno
d'ordinario alcuna apertura o fenestra, fuorchè la porta di mezzo che
comunica coll'andatojo; e da ciò procede che le abitazioni sono poco
ariose. I tetti sono piani, e coperti di uno strato d'argilla, come il
suolo delle camere.
I muri sono fatti di sassi con cemento di calce, o di argilla, ma il più
delle volte non sono che di terra grassa battuta e bagnata. Per
fabbricare in questa maniera alzano delle tavole perpendicolari da ogni
lato per contenere le due superficie del muro, e gettano nel centro
delle medesime terra impastata coll'acqua, cui vien data la consistenza
della pasta; e due uomini la battono colla _mazza_. Mentre lavorano
cantano ordinariamente accompagnando il fracasso del loro stromento. E
perchè riesce difficile il trovare grandi travi, sono costretti di far
le camere ristrette onde poter costruire il tetto col piccolo legname
del paese. Su questa cavriata piana si pone da prima uno strato di
canna, indi un piede di terra coperta di argilla; pesante coperto che
schiaccia la fabbrica, e dura pochissimo.
Le porte sono fatte assai goffamente. La maggior parte delle serrature
di Tanger sono di legno; ed io le descriverò minutamente in una memoria
che pubblicherò su quest'argomento.
L'uso delle latrine è quasi sconosciuto, e vi si supplisce con un
recipiente posto nel cortile rustico.
Nè l'architettura delle moschee è più elegante di quella delle case. La
principale è composta d'un cortile circondato da archi, di cui la sola
linea paralella trovasi in faccia alla porta. La facciata è interamente
unita, e la torre è posta in un angolo a sinistra. Bassissimi sono gli
archi ed il tetto, e tutto il lavoro di legname assai mal fatto resta
allo scoperto. Nel totale la costruzione di quest'edificio è
meschinissima. Avendo osservato che nella moschea non eravi acqua, feci
costruire a lato alla porta una gran vasca solidamente attaccata, ed un
vaso per bere; e lasciai allo stabilimento una dotazione pel
mantenimento della fontana.
In una camera posta sopra la moschea alloggia un figliuolo del Kadi
incaricato della custodia di un gran pendolo, e di un altro assai più
piccolo, che servono ad indicare le ore della preghiera; ma perchè a
regolare la loro marcia col sole quest'uomo non aveva che un quadrante
inesatto, così non poteva saper l'ora che per approssimazione, quindi
finchè io rimasi a Tanger gli davo l'ora per i penduli, e per
conseguenza l'istante delle preghiere, e le chiamate dalla torre
venivano regolate dal mio orologio.
La moschea chiamasi in arabico _El-jamaa_, ossia luogo dell'assemblea.
In fondo alla moschea vedesi una nicchia quasi nella direzione della
linea che guarda la Mecca, entro la quale si pone l'_imam_, cioè il
direttore della pubblica preghiera. Dalla banda sinistra avvi una specie
di tribuna formata da una scala di legno su cui sale l'imam ogni venerdì
avanti la preghiera del mezzogiorno per fare la predica al popolo. Nella
grande moschea trovasi un cassone chiuso a chiave, entro al quale si
custodiscono il Corano, e gli altri libri religiosi. Sonovi ancora due
scranne di legno ove sedevano i fakihs quando facevano la lettura al
popolo. Alla sommità di molti archi stanno sospese alcune lumiere, ed
alcune lampade di cattivo vetro verde, disposte senz'ordine e senza
simmetria. La maggior parte del suolo è coperto di stuoje, ed in un
cortile dietro la moschea vedesi un pozzo d'acqua assai cattiva, che
serve alle abluzioni. Ma io ritornerò più opportunamente a parlare della
religione o del culto quando descriverò la città di Fez.
La musica di Tanger ha ben poche cose soffribili anche dalle meno
delicate orecchie: due suonatori con una piva ancora più discorde delle
loro orecchie, che volendo suonare all'unissono con istrumenti che non
s'accordano, non hanno nè tempo nè movimento uguale, nè nota scritta che
li contenga, e che tutto hanno imparato a memoria; sono il vero ritratto
dei musici di Tanger.
Accade spesse volte che uno dei musici strascini l'altro a suo
capriccio, obbligandolo di tenergli dietro alla meglio; lo che produce
un effetto precisamente somigliante a quello d'un cattivo organo che si
sta accordando. Malgrado così spaventosa melodia, tale è la forza
dell'abitudine, che poc'a poco quasi m'avvezzai a questo _carivari_, e
feci anzi sì fatti progressi in questa musica, che giunsi a scifrare
alcune delle arie più accreditate, ed a poterle notare coi segui della