Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1 - 01

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VIAGGI DI ALI BEY EL-ABBASSI
IN AFRICA ED IN ASIA
DALL'ANNO 1803 A TUTTO IL 1807

_TRADOTTI_
DAL DOTTORE STEFANO TICOZZI
con tavole in rame colorate

TOMO I

MILANO
Dalla Tipografia SONZOGNO e COMP.
1816.


_ALLA SIGNORA CONTESSA_ LUCREZIA COLLOREDO
_NATA_ BUSCA
DAMA DELLA CROCE STELLATA E DI PALAZZO.

_Sonzogno e Comp. Editori._

_Voi vi distingueste, Madama, per ogni genere di gentilezze, e di civili
studj. A Voi dunque con ragione presentiamo i VIAGGI di un uomo di tale
generazione e religione, che a molte Dame potrebbe forse a primo colpo
apparire troppo straniero per accordargli favore, ma che senza dubbio
otterrà il vostro._
_E ben nel riconoscere degno, e piaceravvi, perciocchè egli è di tanto
spirito e di tanta coltura, e nel tempo stesso si mostra di sì buona
indole, che passerebbe facilmente per uno de' più garbati gentiluomini
d'Europa, se in Europa fosse nato, e fosse stato educato._
_Nell'ornare del nome vostro rispettabile i VIAGGI di ALY-BEY, noi
intendiamo manifestare al Pubblico i sensi di altissima considerazione,
con cui riguardiamo la persona Vostra; e di fortificare la nostra
impresa col valido vostro patrocinio. Nè, mercè la bontà vostra, resterà
vana, o Madama, la nostra intenzione._


CENNI SULL'AUTORE DI QUESTI VIAGGI.

Nell'autunno scorso noi abbiamo conosciuto qui di persona un Principe
Mammelucco egiziano, di nome _Ali Bey_ di _Solimano_. Era egli uno de'
ventiquattro _Bey_, ossieno Principi, che formavano l'aristocrazia
militare straniera imperante in Egitto prima che alle invasioni francese
ed inglese succedesse in quella sì celebre ed importante Provincia lo
stabilimento del dominio assoluto del Gran Signore. Il nostro _Ali Bey_
dagli avvenimenti condotto in Europa, ha avuto campo d'apprenderne varie
lingue, di erudirsi negli elementi di varie scienze, e sopra tutto di
conoscere e ben meditare sui nostri costumi, sulle arti e leggi nostre.
Nè v'ha dubbio che se la fortuna avesse a restituirlo allo stato, in cui
trovossi quando l'ultima volta l'armata turca pose piede in Egitto, e fu
tra il Visire e i Mammelucchi stipulato accordo, essendo allora egli
capo de' Mammelucchi, e signore del Cairo, non adoperasse gli acquistati
lumi per introdurre in quel paese utili istituzioni, e fondare, com'egli
diceva, sulla base della civiltà de' Cofti, e della libertà pubblica, un
imperio benefico. Il nostro _Ali Bey_, nato in Tiflis di assai distinta
famiglia, rapito dai Lesghi, generazione barbara del monte Caucaso, ebbe
per due o tre anni a correre co' suoi rapitori, e co' mercanti di
schiavi, ai quali i suoi rapitori lo vendettero, per molti paesi
dell'Oriente, avendo in quella occasione vedute parecchie città poste
sul mar Caspio; poi la Persia, Bagdad, Bassora, Damasco, Gerusalemme,
Aleppo, Smirne, Costantinopoli, e il Cairo finalmente, ove fu venduto
per l'ultima volta, ed entrò fra i Mammelucchi della casa di
_Soliman-Bey_, imperante allora in Egitto.
La grazia, che trovò nel suo padrone, e più di tutto verosimilmente il
suo bel garbo, la vivacità del suo spirito, la facilità sua s'apprendere
le arti cavalleresche de' Mamelucchi, e il suo coraggio, di cui ebbe a
dar prove fin d'allora in parecchj incontri, lo portarono giovinetto
ancora di ventidue anni ad essere uno dei 24 _Bey_, ne' quali era
concentrata la signoria dell'Egitto; e in questa qualità gli toccò la
sua volta il comando della carovana della Mecca, e l'onor singolare di
entrare solo, come è di costume, nel Santuario della gran _Kaaba_, e
togliendone il vecchio padiglione, attaccarvi di nuovo; cerimonia presso
i Musulmani sacra e solennissima, che nella loro opinione costituisce
santo colui, il quale alla medesima è prescelto.
Il nostro _Ali Bey_ ci ha narrato non solo la serie di singolari
avvenimenti succedutigli in quel viaggio, ma di più la notabile
avventura, che ito egli alla Mecca con quell'interno senso di fede e di
religione, che conceputo aveva per la superstiziosa educazione datagli
dagl'Imani d'Egitto, musulmano a più prove, fu ad un tratto condotto a
dover conoscere l'impostura di que' dottori fanatici. Imperciocchè
avendogli essi detto prima della sua partenza dal Cairo, che quanto era
felicissimo per la sua destinazione di entrare nel secreto santuario
della _Kaaba_, altrettanto guardar si doveva, penetrato che fosse colà,
di volgere gli occhi in alto, perchè avrebbe subitamente veduta la
Maestà di Dio, e ne sarebbe restato abbacinato a pieno, egli, che in
cuor suo preferiva sì alta visione alla conservazione degli occhi, entro
sè medesimo ragionando, che se gli avvenisse di veder Dio, niuna voglia,
e niun bisogno avrebbe avuto più di vedere le cose del mondo; operando
secondo questo proposito finì col guardare quanto mai potè al lacunare
del sacrario della _Kaaba_, nè altro vide che travi di cedro. La Maestà
di Dio restò nascosta a' suoi occhi, come a quelli degli altri uomini;
nè d'altro restò certo che dell'insidia tesa al suo spirito da
quegl'Imani impostori, che come su quel punto, così non dubitò, che non
ingannassero i deboli sopra moltissimi altri.
Ora di tutti i suoi Viaggi, e di tutte le cose occorsegli in Egitto, e
fuori, e della sua venuta in Francia, e della parte presa nella guerra
del 1814, e di quanto in essa, e dopo gli è seguito, disse a noi avere
già stesa amplissima relazione, poichè e parla e scrive assai bene in
francese, e volerla pubblicare quanto prima per le stampe in Parigi,
verso dove allora s'incamminava dopo avere visitata l'Italia. Nè abbiamo
noi mancato di vivamente sollecitarlo a ciò fare, certi essendo, che
molte cose ci saranno fatte palesi per esso lui, che da niun Viaggiatore
europeo potremmo giammai sapere, ammenochè non foss'egli nelle
circostanze di quel _Battema_ bolognese, i cui Viaggi vengono riportati
dal _Ramusio_.
Ma nel mentre, che facevamo codeste considerazioni sui Viaggi del nostro
Principe Mammelucco egiziano, ci sono capitati sotto gli occhi quelli di
un altro _Ali Bey_ di più nobile stirpe, e più famosa, quale si è quella
degli _Abbassidi_, chiarissimi singolarmente per l'onore del Califfato
da essi tenuto parecchj secoli, e per la protezione, che accordarono
alle arti, e scienze, promotori risolutissimi di ogni maniera di civiltà
e di bel costume; e quantunque Pontefici sommi della Religione
Maomettana, sì fieramente, come è noto, propagata col ferro, e colla
strage, tollerantissimi di ogni altra contraria alla medesima; di modo
che nel vastissimo loro imperio, e in quella ammirabile città di Bagdad,
loro residenza, famosa per oltre ventimila moschee, una delle quali
dicesi essere stata capace di cento mila persone, niuno mai nè ebreo, nè
cristiano fu a motivo di Religione inquietato in alcuna maniera.
In qual luogo dell'Asia questo _Ali Bey_ sia nato, e come sia passato in
Europa, noi lo sapremo quando vengano pubblicati altri suoi scritti,
siccome l'Editore di questi _Viaggi_ ci fa sperare poter in breve
succedere. Basterà per ora prevenire i nostri Associati, che sicuramente
troveranno questi Viaggi e curiosissimi, ed importantissimi, perciocchè
sono appunto e fatti e scritti da uomo musulmano; il che è grande
singolarità, e da tale musulmano, che nulla fa vedere, che in alcun modo
sappia di prevenzione o nazionale, o settaria; che parla di cose, che un
musulmano solo poteva essere in istato di vedere e riferire con verità;
e che in fine parla di tutto da uomo nelle nostre lingue europee, come
nella sua nativa, istrutto, e pieno conoscitore delle nostre scienze, i
cui principj egli applica ad ogni opportunità in argomenti sia di
astronomia, e di geografia, sia di fisica, e di storia naturale.
Noi non intratterremo più a lungo su di ciò i nostri leggitori, non
dovendo noi diminuir loro il piacere della sorpresa, che avranno
scorrendo questi _Viaggi_; e del quale siamo certi che ci faranno merito
per la deliberazione in che siamo venuti di preferirli al momento ad
altri, che avevamo pur pronti.


VIAGGI in AFFRICA ed in ASIA
FATTI DAL 1803 AL 1807.

«Sia lode a Dio, a lui che è altissimo ed immenso, a lui che ne
ammaestra coll'uso della penna ad uscire dall'ignoranza! Lode a Dio che
ci guida alla vera fede d'Islam, fino al termine del pellegrinaggio, e
fino alla Santa Terra.»
«Questo libro è del religioso, principe, dottore, sapiente, scheriff
pellegrino, _Ali Bey_ figlio d'Othman principe degli Abassidi, servitore
della casa di Dio.»
Dopo molt'anni passati ne' paesi cristiani per apprendere nelle loro
scuole le scienze della natura, e le arti utili all'uomo nello stato di
società, risolsi infine di tornare ne' paesi musulmani, e nell'atto di
soddisfare al sacro dovere del pellegrinaggio alla Mecca, determinai di
osservare le costumanze, gli usi e la natura delle contrade che dovrò
attraversare, onde ricavare profitto dai travagli di così lungo viaggio,
e renderli utili ai miei concittadini ne' paesi che dopo tante fatiche,
sceglierò per mia patria.


CAPITOLO PRIMO
_Arrivo a Tanger. — Interrogatorio. — Presentazione al
governatore. — Stabilimento d'Ali Bey nella sua casa. —
Preparativi per andare alla moschea. — Festa natale del
profeta. — Marabout. — Visita al Kadi. — Congedo del suo
introduttore._

Dietro la presa risoluzione essendo tornato in Ispagna nell'aprile del
1803, m'imbarcai a Tariffa sopra un piccolo battello; ed attraversato in
quattr'ore lo stretto di Gibilterra, entrai nel porto di _Tanja_ o
Tanger alle dieci ore del mattino, il giorno 29 giugno dello stesso
anno, mercoledì 9 del mese _vabiul-anal_ dell'anno 1218 dell'egira.
La sensazione che prova colui che fa la prima volta questo tragitto
brevissimo con può paragonarsi che all'effetto d'un sogno. Passando in
così corto spazio di tempo in un mondo affatto nuovo, e che non ha
veruna rassomiglianza con quello che si è lasciato; si trova come
trasportati in un altro pianeta.
In tutte le contrade del mondo gli abitanti de' paesi limitrofi più o
meno uniti da reciproche relazioni, amalgamano, per così dire, e
confondono i loro idiomi, le usanze, i costumi, talchè si passa
gradatamente dagli uni agli altri, e quasi senz'avvedersene; ma questa
costante legge della natura non è comune agli abitanti delle due coste
dello stretto di Gibilterra, i quali, malgrado la vicinanza loro, sono
gli uni agli altri così stranieri quanto un francese lo sarebbe ad un
chinese. Nelle nostre contrade del Levante, se noi osserviamo
progressivamente l'abitante dell'Arabia, della Siria, della Turchia,
della Valacchia, dell'Allemagna, una lunga serie di transizioni ne
indica in qualche modo tutti i gradi che separano l'uomo barbaro
dall'uomo civilizzato: ma qui l'osservatore tocca in un solo mattino gli
estremi della catena della civilizzazione, e nella piccola distanza di
due leghe e due terzi, che è la più breve tra le due coste[1], trova la
differenza di venti secoli.
[1] _Ali Bey parla sempre di venti leghe per grado._ (Nota
dell'Editore)
Avvicinandoci a terra si presentarono a noi alcuni Mori; uno de' quali,
che mi si disse essere il capitano del porto, avvilupato in una specie
di sacco grossolano con cappuccio, colle gambe ed i piedi ignudi,
tenendo una gran canna in mano, entrò nell'acqua chiedendo il
certificato di sanità, che gli fu dato dal mio padrone; indi rivoltosi a
me, fecemi le seguenti interrogazioni.
_Capitano_. Di dove venite?
_Ali Bey_. Da Londra, per Cadice.
_C_. Non parlate voi il moresco?[2]
[2] _Il capitano parlava il linguaggio mogrebino._ (N. dell'E.)
_A_. No.
_C_. Qual è adunque la vostra patria?
_A_. Aleppo.
_C_. E dove trovasi Aleppo?
_A_. Nello _Scham_ (la Siria).
_C_. Che paese è Scham?
_A_. È a levante presso la Turchia.
_C_. Voi dunque siete Turco?
_A_. Non sono Turco, ma il mio paese è sotto il dominio del Gran
Signore.
_C_. Ma voi siete musulmano?
_A_. Sì.
_C_. Avete passaporti?
_A_. Sì, ne tengo uno di Cadice.
_C_. E perchè non è di Londra?
_A_. Perchè il governatore di Cadice lo ritenne, rilasciandomi questo.
_C_. Datemelo.
Io lo passai al capitano, il quale, dando ordine di non permettere ad
alcuno di sbarcare, partì per mostrare il mio passaporto al Kaïd ossia
governatore. Questi lo mandò al console di Spagna perchè lo
riconoscesse; il quale avendolo dichiarato autentico, me lo rimise per
mezzo del vice-console, che venne al mio battello con un Turco chiamato
Sid Mohamed, capo dei cannonieri della piazza, che il governatore aveva
incaricato di farmi nuove interrogazioni.
Mi furono rinnovate quelle del capitano del porto, dopo di che partirono
per farne rapporto al Kaïd.
Ricomparve in appresso il capitano coll'ordine del governatore per il
mio sbarco. Scesi tosto a terra facendomi condurre al Kaïd appoggiato a
due mori, perchè quando attraversai la Spagna avevo riportata una grave
ferita alla gamba, rovesciandosi la mia vettura.
Il Kaïd mi accolse gentilmente: e dopo avermi fatte press'a poco le
medesime interpellazìoni, diede ordine di allestirmi una casa, e mi
congedò complimentandomi ed offrendomi i suoi servigi.
Dopo averlo ringraziato uscj accompagnato dalle stesse persone, e fui
condotto alla bottega d'un barbiere. Il turco che mi aveva interrogato
nel battello andò e tornò più volte senza poter procurarsi la chiave
della casa destinatami, il di cui proprietario trovavasi in campagna.
Sopraggiunta la notte il mio turco recò del pesce da mangiarsi con lui;
e quando, dopo avere leggiermente cenato, mi disponevo a coricarmi sopra
una specie di banca da letto, alcuni soldati della guardia del Kaïd
entrarono bruscamente, ordinandomi di ripassare dal Kaïd.
Io mi alzai e mi lasciai condurre dal Kaïd, il quale aspettavami con
impazienza alcuni passi fuori della porta, e mi fece salire in una
camera, ove trovavasi il suo segretario, ed il suo kiàhia, ossia
luogotenente governatore. Dopo essersi scusato perchè non mi ritenne la
mattina, soggiunse gentilmente, che voleva essermi ospite finchè fosse
preparata la mia casa. Fummo serviti di caffè senza zuccaro, e più volte
ripetute le interrogazioni, e le risposte sul conto mio; e finalmente
dopo un'abbondante cena, di cui ne gustai pochissimo, mi coricai come
gli altri sullo stesso tappeto.
Nel dopo pranzo dello stesso giorno aveva sbarcata la mia valigia ov'era
tutto il mio equipaggio. Ne offrj la chiave alla dogana; dove non si
volle nè visitarla, nè ricevere alcuna mancia. Questa valigia mi
accompagnò costantemente finchè fui collocato nella mia casa.
All'indomani dopo merenda il padrone del battello mi pregò di chiedere
al Kaïd il permesso di caricare alcune vittovaglie: al che mi rifiutai,
non credendomi entrato così avanti nell'amicizia del governatore, per
azzardare tali inchieste. Si pranzò a mezzogiorno; durante il quale
chiesi spesso notizie della mia casa, e non ebbi in risposta che dei sì;
ma verso sera mi fu dato avviso ch'era allestita. Presi allora congedo
da Kaïd che mi offrì di nuovo i suoi servigi, e fui condotto al nuovo
mio domicilio.
Vidi entrando ch'erasi consumato l'antecedente giorno ad imbiancarne i
muri, ed a coprire il palco di tutte le camere d'uno strato di due in
tre pollici di argilla, che non era peranco perfettamente asciutta. Feci
molti ringraziamenti per la cura presa nell'abbellire la mia abitazione;
ed ammirai nello stesso tempo la rara semplicità dei costumi di un
popolo, che s'accontenta di simili case, e che nè pure conosce
probabilmente l'uso delle finestre nelle fabbriche delle case; di modo
che le camere non ricevono aria e luce che dalla porta d'un andatojo,
che mette sul cortile. A fronte di tali inconvenienti, era tale il mio
desiderio, o dirò meglio l'estremo bisogno ch'io avevo di trovarmi
finalmente solo e pienamente libero, che ricevetti questo cattivo
alloggio come un singolare beneficio, e ne approfittai in sul momento.
Per questa prima notte mi coricai sopra una stuoja, valendomi della
valigia per guanciale, e d'un drappo di lana per ricoprirmi.
All'indomani, venerdì primo luglio, feci comperare quanto strettamente
occorrevami per gli usi domestici della casa, stuoje per coprire il
suolo e parte delle pareti, alcuni tappeti, un materasso, cuscini ed
altri utensiglj.
Le usanze de' Marocchini sono in Europa pochissimo conosciute, perchè
coloro che vi vengono, sogliono d'ordinario adottare i costumi dei
Turchi delle reggenze. Il Marocchino non copre mai le gambe; ha
pantoffole gialle assai grossolane, ove non entra il tallone; la veste
principale consiste in una specie di grandissimo drappo bianco di lana
chiamato hhaïk, entro il quale s'avviluppa dal capo fino ai piedi.
Perchè desiderando ancor io di vestire come gli altri, sacrificai le mie
calze e le mie gentili pantoffole turche, avvolgendomi in un immenso
hhaïk, e lasciando le gambe ed i piedi ignudi, ad eccezione della punta
che entrava nelle mie enormi e pesanti papuzze.
Era venerdì, onde dovendo andare alla moschea per le preghiere del
mezzogiorno, il mio turco m'istruì intorno al rito del paese alquanto
diverso da quello dei turchi. Ma ciò non bastava: mi dovetti far radere
nuovamente il capo, quantunque già raso pochi dì prima a Cadice: e
quest'operazione fu ancora eseguita dallo stesso turco, la di cui
inesorabil mano mi rese la cute tutta rossa ad eccezione d'una ciocca di
capelli nel mezzo. Dalla testa passò a radere tutte le altre parti del
corpo, non lasciando indizio di quanto il nostro santo profeta
proscrisse nella sua legge quale orribile impurità. Mi condusse poi al
bagno pubblico ove facemmo il nostro lavacro legale. Ma di ciò più
diffusamente altrove, come pure delle cerimonie della preghiera alla
moschea ove s'andò a mezzodì, chiudendosi in tal modo le pie opere di
questo giorno.
Nella susseguente mattina di sabbato ebbe principio la solennità
d'_Elmouloud_, o natività del nostro Santo profeta, che dura otto
giorni; ne' quali vengono circoncisi i fanciulli. Ogni giorno mattina e
sera alcuni musici eseguiscono con grossolani e sconcertati stromenti
varie suonate innanzi alla porta del Kaïd.
In questi giorni festivi ci siamo recati a fare le nostre divozioni in
un eremitaggio, o luogo sacro posto a duecento tese dalla città, ove si
venerano le spoglie mortali d'un santo; e serve ad un tempo d'abitazione
ad un altro santo vivo, fratello del defunto, che riceve le offerte per
l'uno e per l'altro. Vedesi da questo lato della città il cimitero dei
musulmani.
Il sepolcro del santo situato nel centro della cappella era ricoperto di
varj pezzi di stoffa assai sdruscita tessuta di seta, cotone, oro ed
argento. Stavano in un angolo alcuni Mori, che cantavano a coro pochi
versetti del Corano[3].
[3] Kour'ann _è il vero nome del Corano quale viene pronunciato
dagli Arabi_. (N. dell'E. F.)
Poi ch'ebbimo fatte le nostre preghiere al sepolcro si passò a visitare
il santo vivo, che vidimo in mezzo ad altri Mori nell'orto vicino alla
cappella. Egli ci accolse di buon garbo, ed il mio Turco, dopo esserci
seduti, gli raccontò la mia storia. Il santo ringraziava Dio d'ogni
cosa, ma in particolare d'avermi ricondotto nella terra de' fedeli
credenti. Mi prese per mano, e fatta un'orazione sotto voce, mi pose la
sua sul petto, e ne recitò un'altra; dopo di che ci separammo.
Quest'uomo vestiva come gli altri abitanti.
Di là si andò a trovare il _Fakih Sidi Abderrahmam-Mfarrasch_ capo dei
_fakih_ ossia dottori della legge, _imam_ o capo della principale
moschea di Tanger, e _Kadi_, val a dire giudice del cantone. Questo
venerabil vecchio rispettato da tutto il paese, è in grandissima
riputazione presso lo stesso Re di Marocco. Ascoltò con molta attenzione
il racconto delle mie avventare fattogli dal Turco, e mi accertò del suo
parziale attaccamento. Poi ch'ebbi soddisfatto a queste convenienze,
desideravo di potermi liberamente occupare intorno ai miei affari, ma
l'incessante compagnia del mio Turco riuscivami infinitamente molesta,
perchè non poteva travagliare nè giorno nè notte. Avrei voluto tenerlo
alcun poco lontano, ma non m'arrischiavo di farlo, temendo che avesse
avuto commissione dal Kaïd di osservare da vicino tutti i miei
andamenti, nel qual caso i miei tentativi potevano avere disgustose
conseguenze. Pure siccome s'incaricava ogni giorno de' miei piccoli
affari, e dell'economia domestica, non senza qualche suo profitto, non
fu difficile trovare veri o falsi pretesti di mostrarmi scontento di
lui; in seguito ai quali essendo venute in chiaro, che non aveva verun
appoggio presso il Kaïd, l'allontanai interamente, dopo averlo per altro
generosamente regalato, onde compensarlo de' servigi resimi ne' primi
giorni, e non inimicarmelo.
Ricuperata in tal modo la mia libertà, ripresi le mie favorite
occupazioni.


CAPITOLO II.
_Circoncisione. — Descrizione di Tanger. — Fortificazioni. —
Servizio militare. — Corsa de' cavalli. — Popolazione. —
Carattere degli abitanti. — Costumi._

Dissi che nella festa del _Mouloud_ i Mori fanno circoncidere i loro
fanciulli: operazione che si eseguisce fuori di città nella cappella
sopra accennata, operazione solennizzata dalla famiglia del neofito. Per
andare al luogo del sacrificio riunisconsi alcuni giovanetti che portano
fazzoletti, cinture, ed ancor de' cenci sospesi a canne o bastoni a
guisa di stendardi. Tengono dietro a questo gruppo due suonatori di
cornamuse, e due o più tamburri, lo che forma una musica insoffribile
per chiunque avvezzò l'orecchio alla musica europea. S'avvanza dietro ai
suonatori il padre, o il parente più prossimo colle persone invitate,
che circondano il fanciullo, montato sopra un cavallo colla sella
ricoperta d'una stoffa rossa: ma se il neofito è troppo piccolo vien
portato in collo da un uomo a cavallo. Tutti gli altri camminano a
piedi. D'ordinario il neofito è vestito di una specie di mantello dì
tela bianca, cui viene sovrapposta un'altra tela di color rosso, ornata
di varj nastri; ed ha coperto il capo da una fascia di seta. Ai due lati
del cavallo vedonsi due uomini con un fazzoletto di seta in mano, con
cui scacciano le mosche dal fanciullo e dal cavallo. Chiudono la
processione alcune femmine avviluppate negli enormi loro hhaïks.
Quantunque in ogni giorno della festa del Mouloud si circoncidessero dei
bambini, aspettai l'ultimo, perchè mi fu detto, che ve n'erano assai più
che ne' precedenti; ed in fatti quel giorno tutte le strade erano
affollate di popolo e di soldati coi loro fucili.
Io sortj di casa a dieci ore del mattino, ed attraversando la folla per
recarmi alla cappella, mi scontrai in accompagnamenti di tre, di
quattro, ed ancora di più fanciulli, che venivano condotti assieme alla
circoncisione. La campagna vedevasi coperta di cavalli, di soldati, di
abitanti, di Arabi, di crocchj, di donne affatto coperte, sedute
all'ombra degli alberi, e in certe cavità del terreno, le quali
nell'atto che i fanciulli passavano presso di loro mandavano acute
strida, indizio presso questa gente d'allegrezza, e d'incoraggiamento.
Arrivato che fui all'eremitaggio, attraversai il cortile in mezzo ad
infinito popolo, ed entrato nella cappella, trovai ciò che ardisco
chiamare un vero macello. Stavano presso al sepolcro del santo cinque
uomini coperti della sola camicia, e d'un pajo di mutande, colle maniche
rimboccate fino alle spalle. Quattro di costoro sedevano in faccia alla
porta della cappella, il quinto era in piedi presso alla porta per
ricevere le vittime. Due de' seduti tenevano in mano gli stromenti del
sacrificio, e gli altri due una borsa o piccolo sacco pieno di una
polvere astringente.
Dietro ai quattro ministri eran collocati circa venti fanciulli di età e
di colore diverso, i quali, come vedremo ben tosto, avevano pure le loro
incombenze: al di là dei fanciulli, ed a non molta distanza,
un'orchestra uguale alla già descritta, eseguiva suonate affatto
discordi.
Allorchè arrivava un neofito, il padre o la persona che ne faceva le
veci, lo precedeva: entrava nella cappella, baciava il capo al ministro
principale, e gli faceva alcuni complimenti. Si conduceva dopo il
fanciullo, il quale era preso all'istante da un uomo vigoroso, che
rimboccatogli l'abito, lo presentava all'esecutore per il sacrificio. In
quell'istante la musica suonava con strepito, ed i venti fanciulli
seduti dietro ai ministri mandando alte grida, richiamavano lo sguardo
della vittima alla volta della cappella, che indicavano coll'alzar
l'indice. Stordito da tanto romore, il fanciullo alzava il capo, ed
allora il ministro prendendo la pelle del prepuzio tirava assai forte e
con un colpo di forbici la tagliava. In pari tempo un altro gettava la
polvere astringente sulla ferita, ed un terzo la copriva di filaccie
assicurandole con una benda, indi si portava fuori il fanciullo sulle
braccia. Quantunque fatta assai grossolanamente, l'operazione non durava
più di mezzo minuto. Lo schiamazzar de' giovanetti, ed il frastuono
della musica m'impedivano d'udire le grida delle vittime, le quali
esprimevano coi loro gesti l'acuto dolore che soffrivano. Ogni fanciullo
veniva posto in appresso sul dorso di una femmina; che lo riportava a
casa coperto del suo hhaïk, ed accompagnato dal corteggio di prima.
Presso ai neofiti campagnuoli vidi molti militari e beduini maneggiare
con mirabile destrezza i lunghissimi loro fucili, che tiravano nelle
gambe gli uni degli altri in segno d'amicizia.
Udj raccontare da alcuni cristiani, che taluno di loro visitando i paesi
Mussulmani, fecero i loro viaggi con piena sicurezza, coll'addottare le
loro costumanze; ciò che io non posso credere, a meno che non siansi
preventivamente assoggettati alla circoncisione, della qual cosa
sogliono informarsi tosto che vedono uno straniero; e quando io giunsi a
Tanger, ne fecero inchiesta ai miei domestici ed a me medesimo.
[Illustrazione: L'ALCASSABA, O CASTELLO DI TANGER.]
La città di Tanger offre dalla banda del mare una prospettiva abbastanza
vaga. La sua figura d'anfiteatro, le case bianche, quelle de' consoli
regolarmente fabbricate, le mura della città, l'_alcassaba_, ossia
castello, che la signoreggia dall'alto d'un colle, la baja vasta e
circondata di ridenti colline, formano tutt'insieme un complesso di cose
che illudono il viaggiatore: illusione che sparisce all'istante che
entra nell'interno della medesima, ove si vede circondato da tutto
quanto può riunire assieme la più ributtante meschinità.
Tranne la strada principale passabilmente larga, e che attraversa
alquanto tortuosamente la città da levante a ponente, tutte le altre
sono in modo anguste ed irregolari, che tre persone di fronte vi passano
a stento. Bassissime sono quasi tutte le case, talchè il passaggiero può
toccarne colla mano il tetto affatto piano, e coperto d'argilla. Le case
dei consoli sono abbastanza ben fatte, ma quelle degli abitanti hanno
appena qualche finestra, o piuttosto pertugio d'un piede quadrato al
più, e moltissime uno spiraglio largo uno o due pollici, ed alto un
piede. La principale strada vedesi in alcuni luoghi mal selciata,
altrove abbandonata alla semplice natura ed ingombrata d'enormi sassi,
che niuno si prende la cura di appianare.
Le mura della città sono ridotte ad un estremo stato di deperimento.
Sono qua e là interrotte di torri rotonde o quadrate, e dalla banda di
terra circondate da larga fossa ugualmente in rovina, e ridotta a
coltura.
Sulla diritta della porta a mare sonovi due batterie l'una quasi a fior
d'acqua di quindici pezzi di cannone, l'altra più alta di undici. La
seconda batte il mare di fronte, ed ha pure una piccola piattaforma con
due cannoni per difesa della porta, l'altra batte ugualmente il mare e
la spiaggia. Altri dodici cannoni trovansi sopra la più elevata parte
delle mura. Tutti questi cannoni di vario calibro sono di fabbrica
europea, ma i carri sono del paese, e tanto malfatti, che quelli dei
cannoni da 12 a 24 non reggerebbero ad un quarto d'ora di fuoco. Due
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