Una Donna - 12

Total number of words is 4433
Total number of unique words is 1787
34.1 of words are in the 2000 most common words
49.1 of words are in the 5000 most common words
57.1 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
essere amore; io non desideravo nulla per me da lui, sentivo anzi che
una dedizione da parte sua me l’avrebbe menomato dinanzi agli occhi.
Non potevo sentirmi felice sotto il suo bacio.
Ma inginocchiarmi davanti a lui, adorare la sua anima misteriosa....
servirlo, dargli il mio ingegno, la mia penna, la mia vita, questo
avrebbe potuto avvenire, s’egli avesse voluto.... E mio figlio non si
sarebbe tenuto defraudato.
* * * * *
Bruscamente, in capo ad una settimana, la mia ammalata peggiorò di
nuovo. Il fidanzato questa volta non mi disse nulla: mi aveva guardata
come invocando lui da me una parola di conforto; e io compresi: la
cara era perduta, perduta.... il povero cuore si sarebbe da un momento
all’altro, domani o tra qualche giorno, arrestato di botto....
Perchè allora continuare quella lotta d’ogni minuto, tutti quei rimedi,
tutte quelle cure, dirette non soltanto a sollevare l’inferma, ma a
colpire il male?
Ah, gli è che è impossibile credere veramente alla scienza che
preannunzia la morte in un corpo nel quale la vita vibra! Si crede
piuttosto al miracolo, a un intervento ignoto. Si spera, sino alla fine.
E noi speravamo. Egli colla persona giovanile ed austera, gli occhi
incavati e ardenti dietro gli occhiali, io più attempata in apparenza
della morente, stanca e bianca sotto la ferrea volontà di resistere; in
piedi ai due lati del capezzale, per ore e ore, speravamo.
Ella ci confondeva quasi in una sola persona, come in un’atmosfera
protettiva e fedele. Durante le crisi ci serrava le dita come fra
tenaglie. Poveri occhi azzurri dolenti, povero viso roseo tra i capelli
color di spiga! Nelle tregue cercava strapparci il segreto della sua
sorte per prepararvisi. Ma non credeva di morire, non poteva crederci:
continuava ad intervalli a far progetti e progetti. Parlava d’un paese
lontano, tutto bianco di neve. Quanto tempo dacchè non avea veduto la
neve! Andrebbero insieme, verso i fiordi! Presto, alla prima estate! E
io spiavo l’avviso tremendo sul volto del giovane quando si rialzava
dall’avere ascoltato sul povero petto bianco il battito simile a quello
d’uno stantuffo enorme. Il volto suo si irrigidiva per celare lo
spasimo.
Per quanto tempo?... Non so più; mi parve interminabile; dovette essere
assai breve, invece.
Un mattino la donna mi portò in casa della malata una cartolina di
mio marito, quasi insultante verso di me, indirizzata al bimbo. Tutte
le sue lettere erano ora fredde e pungenti, con allusioni amare sul
«profeta»; non mi domandava più neppure dell’amica.
Questa mi vide impallidire. «È di tuo marito?...» E con un ardito moto
del capo quale le vedevo di frequente a’ suoi bei giorni: «A qualunque
costo, non tornare laggiù....»
La baciai con silenziosa tenerezza. «Se ti prendessero il
bimbo?...»—aggiunse quasi con un soffio. E i suoi occhi erano intensi
come per trasfondermi una volontà.
Il dottore m’aveva consigliato di riposarmi qualche ora e poi di far
una passeggiata col bambino al sole, per esser temprata a passar
un’altra notte in piedi.
Appena a casa afferrai tra le braccia mio figlio, lo tenni a lungo.
Non riposai. Non potevo. Uscii con lui, presi la tramvia di San
Pietro. Volevo vedere la mia vecchia amica, tornata da poco. Nella
piazza, quasi deserta, il colonnato colla sua corona di statue
ondeggianti pareva fremere tutto nell’aria vivida e nel gran silenzio.
Ci avviammo a piedi verso il borgo Santo Spirito, costeggiammo il
muro dell’ospedale; dall’altro lato della strada fanciulli e donne
in cenci interrompevano giochi e chiacchiere per guardarmi nella mia
apparenza di forestiera e tendermi la mano. Cenci appesi lungo i muri,
tanfo nell’aria. Per la salita di Sant’Onofrio ancora cenci, ancora
bimbi ruzzolanti, ancora finestre d’ospizi, graticolate. Un gruppo
di educande con alcune monache discendeva. In alto, al sommo del
Gianicolo, ci fermammo un po’ affannati. Garibaldi, figura di leggenda,
campato nell’azzurro, guardava tranquillo la cupola enorme alla sua
sinistra.
Lo sfavillìo della massa compatta di case, di torri, di alberi che mi
si stendeva sotto gli occhi era intenso, quasi insostenibile. In fondo
i monti si staccavano turchini sul cielo, e lungo i declivi le macchie
candide dei Castelli mandavano anch’esse barbagli. Tra i monti e Roma
la campagna, l’immensità.
Roma! Forse ogni giorno lì in cima al colle qualche anima sentiva
affluire in sè le più possenti energie, vedeva lucidamente segnate le
opere da compiere nell’ammasso meraviglioso di pietre così diverse
per età e tutte ugualmente scintillanti e significative; ogni giorno
forse qualche anima aveva la visione d’una Roma dalla quale, nel
tempo, scomparirebbero ogni violenza e ogni laidezza, nella quale le
linee armoniose del suolo e del cielo non sarebbero più turbate da un
incomposto agitarsi d’uomini fra loro estranei, incompresi, ostili....
Mio figlio parlava, parlava, felice d’avermi per sè, e mi indicava gli
alberi pieni di cinguettii, e stendeva la manina verso certi punti
dell’orizzonte, come mi aveva vista fare tante volte; diceva: «Guarda,
guarda, mamma, che bella nuvola sopra la pineta! E là, là che cos’è
quella terra?»
La vecchia rivoluzionaria era in casa, ma v’erano altri visitatori,
tra i quali la direttrice di _Mulier_ colla figliuola maggiore, e un
giovane archeologo a cui la fanciulla s’era fidanzata da poco: la
bella coppia raggiava di gioia e di fiducia; la sposa, mi disse la
romanziera, avrebbe potuto aiutare il marito nelle pubblicazioni dei
suoi lavori: l’impresa le sarebbe facilitata, oltre che per virtù
d’amore, per il soffio di poesia con cui egli animava le proprie
indagini fra i ruderi e le tombe....
I due giovani ascoltavano sorridendo: gli occhi azzurri dell’una si
fissavano su quelli neri dell’altro: mai, mai io avevo visto così due
vite offrirsi, incrociarsi!
Per un momento il loro calore mi avvolse, soave. Poi pensai al giovane
scienziato chino sulla sua moribonda e il bisogno di tornar presso di
loro m’incalzò.
Sul portone di casa mia trovai una donna che mi cercava: «Da due ore,
signora....»
Era morta. La vedova l’avea vista piegare sul petto del giovane, mentre
questi le aveva dato un cucchiaio di medicina; con la bocca semiaperta,
a metà d’un «grazie».
«Grazie!» Non sapeva la povera donna la profonda bellezza di quella
parola! Non rimpiansi d’essermi allontanata e d’averla lasciata morire
in braccio dell’amato.
Lassù, ella era già composta sul letto, non era già più lei. Qualche
vicina, qualche mia collega erano accorse. Ora si succedevano le
visitatrici. Non potei restare nello studio, fuggii nella stanzetta;
il professore mi raggiunse. Dimenticai la mia sofferenza, gli stesi
la mano. Sì, il suo dolore poteva espandersi dinanzi al mio: noi soli
l’avevamo amata.
E noi soli la vegliammo, per due notti, parlando di lei, di quello
ch’ella era stata. Il bel viso roseo era diventato d’avorio tra i
capelli d’oro stinto, si trasformava d’ora in ora, diveniva più
rigido, più ombrato.... Finito, finito!... Pensavo a _lui_ che credeva
conoscere il Mistero: perchè in quell’ora non me lo svelava? Perchè,
sopratutto, sapendo che la mia amica era condannata, non era venuto a
portare la parola di luce?
Ah, come di fronte alla Fine cade ogni speranza di sfidare e vincere
l’Ignoto!... Come si sente che l’umanità è impropria all’impresa,
destinata a passar sulla terra senza spiegarsi la ragione del suo
passaggio! Ma contemporaneamente la nostra intima sostanza attinge la
massima coscienza del suo valore: la Vita che si sofferma a guardar la
Morte comprende la nobiltà eroica del proprio ostinarsi ad ascendere e
a perpetuarsi nel buio.... E la creatura dell’oggi ascolta un appello
confuso: è forse la creatura del remoto domani che la chiama così, che
la conforta a proseguire, la creatura nella quale raggierà tutto ciò
che oggi è oscuro, e con la quale si inizierà una nuova epoca, l’epoca
dello spirito liberato?...
* * * * *
Le ore passate accanto alla spoglia di chi amammo non ci fanno
veggenti; ma neppure ci prostrano, nè ci tolgono il senso
dell’esistenza che in noi continua. Sembra in quel punto di ereditare,
coi doveri, anche le qualità dì chi ci ha lasciati; ci si trova più
ricchi, o di energia o di idealità o di amore. Ci si sente solidali coi
vivi oltre che coi morti.
Il pensiero d’aver fatto tutto quello ch’era in mio potere per
alleviare alla diletta le sofferenze estreme mi dava una specie di
pacato conforto. La breve e agitata vita di lei s’era chiusa sotto la
protezione dell’amore: ella aveva portato con sè, morendo, la certezza
di esser compresa e di rivivere nel rimpianto.
E io mi sorprendevo a dirmi che con ogni probabilità sarei stata meno
fortunata.... Laggiù, consunta in pochi anni dall’arida esistenza, chi
mi avrebbe chiusi gli occhi dopo avermi sorriso? Accanto al mio letto,
nelle ore ultime, non avrei avuto che mio figlio, inconsapevole...
solo... solo.
Questo dissi, o piuttosto lasciai indovinare, il mattino dei funerali,
alla vecchia amica che era venuta a portare il suo saluto alla cara
dormiente già tutta ricoperta di fiori. Eravamo accanto alla finestra,
un istante isolate dalla lunga sfilata delle conoscenti; e ambedue
volgevamo sguardi di serenità verso la forma indecisa avvolta di
bianco, verso le immagini vivaci ch’ella con vena inesauribile aveva
sparse sulle pareti, verso la campagna e il Soratte lontano. Ah il buon
riposo! La dolce creatura l’aveva ottenuto....
E la voce della vecchia donna mi ripeteva sommessa e vibrante: «Ma
perchè parti? Sai pure che la rassegnazione non è una virtù!»
Mormorai il nome di mio figlio, e quella tacque, passandomi una mano
sulla fronte, lieve, più volte.
«Non tornare laggiù!»
Anche la dormiente me l’aveva detto, prima di chiudere gli occhi.
* * * * *
Ai funerali, dietro il carro carico di fiori, tra molte signore e i
giornalisti, avevo visto fuggevolmente il «profeta». Qualche giorno
dopo, passando presso la sua abitazione, fui assalita dall’improvviso
desiderio di sorprenderlo, là dove egli viveva la sua vita deserta, di
dargli là il mio addio, poi che presto sarei partita.
Salii in fretta l’oscura scala della vecchia umida casa.
Imbruniva: nella stanza era già accesa una candela: si vedeva un letto
in un angolo, bassissimo, quasi un giaciglio. Su una stufa di terra
due mele eran posate, cotte sulla brace. Presso una finestra, una
tavola ingombra di carte e delle seggiole con qualche libro; una severa
effigie di vecchia sulla parete: sua madre? E in fondo alla stanza la
scarna persona, in attitudine un po’ incerta, che allungava un braccio
per pregarmi di sedere.
Che cosa dicemmo? Non riesco bene a ricordare. Egli si scusava del
freddo dell’ambiente, mi chiedeva del piccino, della partenza.... Gli
guardavo le labbra: non avevano un tremito. Accennai al cassetto del
tavolino. Lì stava la sua opera? Ebbe un gesto vago di assenso. E, non
so come, dovetti far travedere la mia incredulità.... Più che le mie
parole, rotte come singhiozzi, i miei occhi gli dicevano, certo, la
disfatta del mio fervore e l’amarezza della mia anima nuovamente libera.
Nel silenzio che seguì, vidi per la prima e l’ultima volta quel viso
sempre illuminato come da una visione interna, oscurarsi, alterarsi,
esprimere il più umano dei dolori, la semplice profonda sofferenza
di chi si sente abbandonato.... Ma furono pochi istanti. La calma
ridiscese sulla sua fronte con il segno ostinato d’una sovranità
intangibile.
Per due giorni le piccole stanze furon di nuovo ingombre di casse,
tante bare nelle quali seppellivo, cogli oggetti e coi libri, i miei
sogni e i miei palpiti. Mio marito protestava per lettera di volermi
con lui: la povera morta era rinnegata: egli aveva sospettato il suo
amore pel giovane scienziato, e l’orgoglio soffocava in lui ogni
residuo di sentimento. Un attimo avevo tentato ancora di strappargli la
mia libertà, e non avevo che ribadito la catena.


PARTE TERZA.

XX.

Per la prima volta sentivo intera la mia indipendenza morale,
mentre a Roma avevo sempre conservato, in fondo, qualche scrupolo
nell’affermarmi libera, sciolta d’ogni obbligo verso colui al quale
la legge mi legava: temevo, allora, che qualche altro sentimento vi
contribuisse. Ora mi sentivo completamente calma. La mattina del mio
arrivo osservai che mio marito aveva avuto certe piccole attenzioni
nell’allestimento del nostro provvisorio alloggio. Sulla scrivania
erano riviste e libri nuovi; un sorriso quasi timido pareva esprimere
il desiderio di riconquistarmi. Era in lui un miscuglio di sentimenti
oscuri: una sorta di dispetto per avermi lasciato trapelare la sua
debolezza verso la mia amica, dandomi così motivo di riaffermare la
libertà del cuore, e insieme il desiderio sollecito di dimenticare
tutto nel mio tranquillo possesso. Impacciato, inabile, non aveva la
forza di attendere l’opera del tempo. E subito sentii il peso dei suoi
buoni propositi quanto quello della primitiva tirannia.
Ma i doveri del suo impiego mi salvavano in parte, preoccupandolo e
affaticandolo. Decisi di mostrarmi del tutto estranea al suo campo di
lavoro. Il primo sguardo da vicino m’aveva confermato ciò che avevo
supposto da lontano: mio marito era più rozzo nella prepotenza che
mio padre, suscitava intorno a sè un’antipatia tanto più malevola in
quanto, per la sua origine, egli non incuteva agli operai l’istintivo
timore che nutrivano verso il signore forestiero. Il ridicolo è il
maggior dissolvente d’ogni spirito di obbedienza, e io lo vedevo
luccicare negli occhi di quei ragazzi dal viso risoluto quando li
incontravo nei pressi della loro Lega di resistenza.
Una cosa mi feriva sordamente; ch’io venissi coinvolta nelle ostilità.
E non potevo pensare a rimediarvi. Lavorare, lì.... creare qualche
scuola, qualche insegnamento per le madri che lasciavano morire due
terzi dei loro bambini, diffondere libri.... Ahimè! Non avrei avuto
l’energia di imporre la cosa a mio marito, e nessuno, nessuno poteva e
voleva aiutarmi.
Il matrimonio di mia sorella segnò la prima crisi di dolore nella nuova
fase della mia esistenza. Negli ultimi mesi, non so perchè, avevo
accarezzata l’idea d’una possibile rottura tra lei e il fidanzato.
Diffidenza contro l’amore, gelosia dell’altrui felicità? Temevo che
in lei, come già in me, fosse un’illusione, un’autosuggestione? Poi,
nelle settimane precedenti lo sposalizio, avevo visto la fanciulla
felice, avida di accogliere il destino foggiatosi colle proprie
piani. La trovavo intenta ad ultimare il suo corredo, aiutata dalla
sorella minore che appariva altrettanto lieta. E pensavo a nostra
madre: così era stata forse anche lei? Anch’ella s’era così abbandonata
fiduciosamente alla lusinga dell’amore perenne?
Andò in municipio una sera, tardi, accompagnata solo dal fratello, poi
che lo sposo aveva evitato la compagnia di mio marito e per conseguenza
la mia. Il babbo, ch’era stato saldo nel non voler dare il suo consenso
e aveva negato anche il più piccolo assegno dotale, vedendo partire
quella che aveva per tanti anni surrogata la madre nella casa, la
bella bimba tenace e poco espansiva che serbava alcuni tratti del
suo carattere, si lasciò sfuggire una lacrima. Io, a letto, al buio,
piangevo pure, nell’istessa ora, su quell’atto irrevocabile che si
compieva, sulla catena di errori che si svolgeva fatale senza che gli
esempî atroci servissero.... Credevo di piangere su questo: ma nel
profondo dell’anima doveva essere invece il lamento desolato della mia
solitudine, del mio destino che mi teneva lontana da quella piccola
sorella nell’ora della massima sua gioia, che mi dichiarava impotente
a partecipare a tal festa, che mi radiava dal novero delle creature
fidenti, volenti, amanti....
Qualcosa in me veramente si agitava di nuovo e di inesprimibile. Una
commozione sorda, senza cagione fissa mi teneva di continuo. Un
bisogno di dolcezza, di tenerezza; una brama indistinta di poesia, di
colori, di suoni; un languore per cui il mio essere veniva a momenti
rapito nel sogno di estasi ignote.... Quando mi scotevo, non riuscivo
subito a riguardar intera la realtà. Mi stringevo al petto con frenesia
il bambino, il quale non mostrava sorpresa, e mi si abbandonava con
tutto lo slancio del suo cuore desioso di vedermi sorridere. Allentando
l’abbraccio, scorgevo nei dolci occhioni fissi su me l’interrogazione
ansiosa.... Perchè comunicavo così alla piccola creatura il mio male,
chiedendole ciò che essa non poteva darmi? Perchè domandavo follemente
a lui tutto l’amore che mancava alla mia vita? Mia madre, le sorelle,
altre ombre d’uomini e di donne m’eran passate accanto ed erano andate
oltre, senza conoscermi, senza destare in me ciò che di profondo e di
più vero contenevo. Nessuno mi aveva dato nulla per accrescere la mia
sostanza: nessuno aveva pianto per me, su di me; e, dal mio canto, io
non avevo fatto nulla per nessuno, non avevo portato un sorriso, non
avevo aiutata una vittoria, non avevo asciugata una lagrima.
....E talora mi sembrava che tutti i tesori non effusi dalla mia
anima premessero su di essa, la soffocassero.... Ah, come sentiva di
possederle ancora, tutte queste forze intatte, e come tremavo che il
grido insorgente della mia natura esasperata salisse, e riempisse di
sè il silenzio ignaro dei giorni e delle notti! Poichè la rivolta non
era possibile, perchè lamentarmi? Perchè nella dolce primavera, accanto
all’umano flore della mia vita, all’unico bene mio, fra il verde
canoro del grande giardino, io cedevo ad inviti nostalgici, rievocavo
i visi perduti, ne disegnavo altri mai visti, dando loro voci frementi
e fraterne che mi facevano sobbalzare il cuore? Perchè, alla sera,
attendendo d’esser raggiunta da mio marito nel letto che tante miserie
ricordava, e allontanandone col pensiero il giungere, sentivo nel mio
sangue penetrare la persuasione d’un diritto mai soddisfatto, e con
essa un impeto formidabile di conquista, lo spasimo di raggiungere,
di conoscere quella gioia dei sensi che fa nobile e bella la materia
umana; quella fusione di due corpi in un sospiro di felicità dal quale
il nuovo essere prenda l’impulso alla vita trionfante?
Come mi pareva lontana ed incomprensibile, in tali momenti, la donna
tranquilla, senza brame, ch’io ero stata sino a pochi mesi innanzi!
Altrettanto sciolta da me di quel che era l’altra, la quale in tempi
remoti aveva lasciato che uomini informi tentassero significarle
l’essenza dell’umanità. Lucidamente, inesorabilmente, per la prima
volta, nel gran deserto spirituale che mi si era fatto intorno, il
senso della vita mi si svelava: Armonia.... non altro; un appagamento
di tutte le energie associate, sensi e ragione, cuore e spirito....
Invece.... Entrava, nella stanza buia, l’uomo stanco o infastidito,
accendeva il lume, si moveva senza guardare s’io dormissi. Poi, i
miei occhi erano serrati, e io sentivo una massa pesante stendermisi
accanto; nel silenzio, qualche parola, che voleva esprimere passione,
ebbrezza; ed ero in suo potere.... Sprofondavo nel guanciale il
viso.... Oh la rivolta e l’esasperazione di tutto il mio essere!
Una nausea, un odio per colui e per me stessa, e in fine, un lampo
sinistro: «La pazzia!»
L’uomo si addormentava a lato. Ascoltando il suo respiro pesante, io
restavo insonne, per ore. La mente, intanto, continuava il lavoro
intricato e straziante; e al sommo del cervello qualcosa si dilatava,
pareva scoppiasse.
Questa la mia vita. Essere adoprata come una cosa di piacere, sentir
avvilita l’intima mia sostanza. E vedere i giorni seguir le notti, un
dopo l’altro, senza fine.
Passavano, infatti, le settimane, i mesi. Mio padre era partito
definitivamente dal paese per Milano, seguìto dai due figli minori. Gli
sposi s’erano andati a stabilire nel Veneto. Nessuno della mia famiglia
restava in paese. A Pasqua ci eravamo insediati nell’abitazione
lasciata dal babbo, gaia e comoda, circondata dal grandissimo
giardino. Povero papà! Un poco della sua anima era rimasto qui; fra
quell’arruffio verde, in quel trionfo un po’ selvaggio di vegetazioni
disparate, egli aveva impiegato ciò che non poteva dare altrove: il
suo bisogno di bellezza, la sua ricerca di originalità, di semplicità,
di verità. Quante confuse meditazioni solitarie e orgogliose dinanzi a
quel muto popolo fiorente! E il tempo era scorso anche per lui, aveva
irrugginito il baldo organismo di pensiero e d’energia, col quale aveva
trasformato tutta una popolazione, scotendola da una inerzia secolare
e avviandola su un nuovo cammino. Solo, senza una voce fraterna che
rispondesse alle sue idee o le contrastasse, invano egli aveva chiesto
al culto della natura i benefici che non sapeva desumere dall’amore de’
suoi simili!
Ora mio figlio regnava felice in luogo del nonno. Colla tunica di tela
greggia che gli arrivava ai ginocchi, rosso in viso, gli occhi turchini
splendenti sotto le ciocche di capelli a riflessi dorati, sembrava un
Sigfrido in miniatura, quando irrompeva col sole nello stanzone ove io
leggevo o fantasticavo per la maggior parte della giornata. Egli era
il mio solo compagno. Null’altro mi compensava del contatto frequente
e penoso con la famiglia di mio marito: la suocera, molto invecchiata,
si faceva appena perdonare le irritanti esclamazioni di meraviglia
che ogni volta le suscitava la vista della casa, del giardino, del
frutteto: «Il paradiso! State qui come una regina! Ah figlio mio,
alfine la giustizia è fatta!» In quanto a mia cognata, ancora più aspra
e maligna dopo la morte del dottore, doveva intuire che soffrivo, e
naturalmente goderne; ma mostrava di credermi felice, anche lei.
Mio marito non celava la sua compiacenza nel trovarsi oggetto di
ammirazione, di venerazione anzi, pei suoi. Tutto in lui, con costante,
incredibile progressione, mi dava fastidio, ora; a tavola, in giardino,
per istrada, mi pareva di notargli per la prima volta questo o
quell’atto insopportabile.
La monotonia dei giorni era interrotta talvolta dal passaggio di
qualche importante cliente o corrispondente della fabbrica. Bisognava
invitarli alla nostra tavola, e se ne andavano meravigliati della
distinzione del nostro ambiente famigliare. Mio marito tentava allora
di mostrarmi che m’era grato: l’arrestavo al primo accenno. Ferito,
egli si rinchiudeva in sè, e non n’usciva che per ferire a sua volta,
con motti, sarcasmi, derisioni su tutto quel che mi stava a cuore.
Il bambino ascoltava con un’ombra di stupore negli occhi profondi;
certe volte con una pressione delle manine m’offriva tacitamente
aiuto. Notavo con gioia e dolore insieme ch’egli non dimostrava alcuna
confidenza per quel padre sempre accigliato, sempre di diversa opinione
della mamma.
Certe sere, tutti se n’andavano lasciandomi sola: portavo il bimbo
a letto e poi mi affondavo in un seggiolone di paglia nel giardino.
La cupa vôlta cosparsa di mondi silenziosi attraeva il mio sguardo
magneticamente; ma il mistero dell’universo non mi tentava, in
quell’ore: un’angoscia umana, precisa, incalzante, mi possedeva intera;
l’amarezza senza nome della mia solitudine, il vago timore di una morte
possibile, prossima, lì, tra quella gente ostile e straniera, senza
aver lasciato traccia della mia anima.... Tanto spazio di cielo, ed io
incatenata, curva sotto un giogo spietato, non capace più che di un
lento pianto....
Mi scotevo, rientravo nella stanza del bimbo addormentato. Così
placido, così fidente, nella notte piena per sua madre di brividi!...
Fosse egli almeno salvo, l’unico mio tesoro! Avessi potuto almeno
pensare ch’egli avrebbe sempre sorriso così alla vita come nel suo
sonno di bimbo!
Pareva, nel sonno, chiedermi perdono. Mi portavo alle labbra la
piccola mano. Oh, nulla avevo da perdonare alla creatura che un giorno
mi avrebbe detto forse: «Povera mamma, ti sei sacrificata per me!»
Piuttosto, un vago rimorso mi tormentava la coscienza, di continuo.
Come cresceva egli, tra me e suo padre? Nella casa era il solo che
sorridesse spontaneamente: ma così di rado! Venerava i libri che mi
vedeva tra le mani, aveva il senso di una vita ideale ch’io sola
intorno personificavo. Ma forse era già cosciente delle frodi che
il destino gli faceva. Troppo spesso, nelle ore più tetre, io lo
malmenavo, in uno sfogo selvaggio della natura tormentata, esigendo
da lui più del dovere, costringendolo sul quaderno, vietandogli un
passatempo legittimo; troppo spesso lo trascuravo, lasciandolo giocare
da solo in giardino, o correre alla fabbrica, o annoiarsi su un tappeto
acquerellando vecchie incisioni di giornali, senza ascoltare i suoi
richiami. Mancava a me la volontà continua della vera educatrice,
la serenità di spirito per guidare la piccola esistenza; non potevo
assorbirmi intera nella considerazione dei suoi bisogni, prevenirli,
soddisfarli. In certi istanti per questa consapevolezza mi odiavo.
Che miserabile ero dunque, se non riuscivo, una volta accettato
il sacrificio della mia individualità, a dimenticare me stessa, a
riportare integre le mie energie su quella individualità che mi si
formava a lato?
....Così era stata mia madre coi suoi bambini.... Un giorno trassi
da una cassetta alcune vecchie carte di lei, consegnatemi dalla mia
sorellina prima della sua partenza dal paese, mesi avanti. Non avevo
mai avuto il coraggio di scorrerle. Eran lettere di parenti, note di
spese, appunti disparati, abbozzi di ciò ch’ella scriveva ai genitori,
alla sorella, al marito; qualche poesia sua, anche, degli anni
giovanili, sentimentale, romantica, e tuttavia vibrante d’una tragica
sincerità. Lo spirito materno mi si mostrava in quei fogli sparsi,
quale l’avevo ricostituito penosamente colla sola intuizione nei giorni
della sua rovina.
E una lettera mi fermò il respiro. Datava da Milano: era scritta a
matita, in modo quasi illeggibile, di notte. La mamma annunziava a suo
padre il suo arrivo pel dì dopo; diceva di aver già pronto il baule
colle poche cose sue, di essere già stata nella camera dei figlioli a
baciarli per l’ultima volta....
«Debbo partire.... qui impazzisco.... egli non mi ama più.... Ed io
soffro tanto che non so più voler bene ai bambini.... debbo andarmene,
andarmene.... Poveri figli miei, forse è meglio per loro!...»
La lettera non era finita: certo non era stata rifatta nè spedita.
La sventurata non aveva avuto il coraggio di compiere il proposito
impostosi in un’ora di lucida disperazione. Aveva forse pensato che
suo padre non avrebbe voluto o potuto accoglierla; che la miseria
l’attendeva; che il suo cuore si sarebbe spezzato lungi dalle sue
creature e da colui che aveva avuta tutta la sua gioventù. Ella l’aveva
amato! L’amava ancora? Per noi sopratutto era rimasta: per dovere, per
il timore di sentirsi dire un giorno: «Ci hai abbandonati!...»
Non avevo mai sospettato che mia madre si fosse trovata un momento in
una simile situazione. La mia intelligenza precoce non aveva potuto,
a Milano, penetrar nulla. Avessi avuto qualche anno di più, mentre
ella era in possesso di tutta la sua ragione, e ancora in lei la vita
reclamava i suoi diritti contro la fatale seduzione del sacrificio!
Avessi potuto sorprenderla in quella notte, sentire dalla sua bocca la
domanda: «Che devo fare, figlia mia?» e risponderle anche a nome dei
fratelli: «Va, mamma, va!»
Sì, questo le avrei risposto; le avrei detto: «Ubbidisci al comando
della tua coscienza, rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii
forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando. Consèrvati da
lontano a noi; sapremo valutare il tuo strazio d’oggi: risparmiaci lo
spettacolo della tua lenta disfatta qui, di questa agonia che senti
inevitabile!»
Ahimè! Eravamo noi, suoi figli, noi inconsci che l’avevamo lasciata
impazzire. S’ella fosse andata via, se nostro padre non ci avesse
permesso di raggiungerla, ebbene, noi l’avremmo nondimeno saputa viva,
e dopo dieci, vent’anni, ancora avremmo potuto ricevere da lei i
benefizi del suo spirito liberato e temprato....
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Una Donna - 13
  • Parts
  • Una Donna - 01
    Total number of words is 4186
    Total number of unique words is 1741
    32.6 of words are in the 2000 most common words
    47.2 of words are in the 5000 most common words
    55.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 02
    Total number of words is 4485
    Total number of unique words is 1794
    33.0 of words are in the 2000 most common words
    46.3 of words are in the 5000 most common words
    54.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 03
    Total number of words is 4429
    Total number of unique words is 1758
    31.9 of words are in the 2000 most common words
    45.8 of words are in the 5000 most common words
    55.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 04
    Total number of words is 4446
    Total number of unique words is 1752
    33.5 of words are in the 2000 most common words
    48.0 of words are in the 5000 most common words
    56.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 05
    Total number of words is 4456
    Total number of unique words is 1782
    31.6 of words are in the 2000 most common words
    43.9 of words are in the 5000 most common words
    52.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 06
    Total number of words is 4464
    Total number of unique words is 1761
    32.7 of words are in the 2000 most common words
    47.8 of words are in the 5000 most common words
    56.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 07
    Total number of words is 4391
    Total number of unique words is 1856
    30.6 of words are in the 2000 most common words
    45.4 of words are in the 5000 most common words
    53.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 08
    Total number of words is 4338
    Total number of unique words is 1820
    31.8 of words are in the 2000 most common words
    45.1 of words are in the 5000 most common words
    54.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 09
    Total number of words is 4375
    Total number of unique words is 1884
    31.4 of words are in the 2000 most common words
    46.3 of words are in the 5000 most common words
    54.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 10
    Total number of words is 4358
    Total number of unique words is 1868
    33.2 of words are in the 2000 most common words
    46.8 of words are in the 5000 most common words
    54.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 11
    Total number of words is 4425
    Total number of unique words is 1727
    33.2 of words are in the 2000 most common words
    47.9 of words are in the 5000 most common words
    56.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 12
    Total number of words is 4433
    Total number of unique words is 1787
    34.1 of words are in the 2000 most common words
    49.1 of words are in the 5000 most common words
    57.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 13
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1786
    33.1 of words are in the 2000 most common words
    47.6 of words are in the 5000 most common words
    54.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Una Donna - 14
    Total number of words is 2962
    Total number of unique words is 1222
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    58.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.