Ugo: Scene del secolo X - 8

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l'amore! Perché? Imilda ha fatto un voto. E per quello sento d'amarvi
_sette volte sette_, come porta la mia scomunica! Ed ecco il mio
premio!
Imilda dall'orticello tornava colla capretta. Quali erano i suoi
pensieri? La capretta le era dinnanzi irrequieta di contentezza: lei
dietro tenendole fanciullescamente una funicella al collare e
canterellando, quasi per dire al suo Ugo:--Ho veduto quelle pareti:
senti, ma non soffro! Sii contento, Mio Ugo, ti voglio tanto bene!--e
quasi ancora per dire alla bimba:--Odi la mia canzone? Ti voglio tutto
il mio amore!--
Imilda giungeva al torrente. Ugo guardò sorridendo.... Imilda e la
bestiuola erano a mezzo del ponte: Imilda si fece il segno dì croce:
la capretta in quel momento, ravvisando la bimba, per molta gioia
diede un lancio all'innanzi, saltando sul ciglione diruto. La donna fu
trascinata da quella con troppa furia su quel tronco stretto e
vacillante. Ugo vide due braccia agitarsi, rinculare la capra, poi
sollevarsi un turbinìo di schiuma.... E il ponte era deserto!
In quell'attimo Ugo tese spaventosamente le mani, sforzo d'aiuto
inutile e pericolo per la bimba, la quale poco stette gli sfuggisse e
cadesse: poi s'avventò, rugghiando, al torrente.... La capra e la
donna erano scomparse per sempre!
Giù, giù, al basso, là dove le acque sbalzate a piombo si
travolgevano, diguazzandosi nella spuma occhiuta, là i massi
rattenevano come un fascio sanguinoso. L'ingorgo avvenuto in quella
orrenda chiusura faceva rigurgitare le nuove acque cadenti, finché
queste ebbero forza di spazzare: allora quel fascio, trafitto,
affondato, aggirato fu spinto sull'orlo, straziato, poi di nuovo giù
di balza in balza, di scheggione in scheggione, ora per diritto, ora
per traverso.... Avrà avuto la mollissima quiete del galleggiare
addormentata solo alla valle, dove il torrente si spiana e bisbiglia
d'amore prima di mescersi all'ondoso Chiusone. Imilda!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

L'immensa pietà fece sì che Ugo avesse l'immensa ferocia della belva.
Perché la capra con lei? Perché non la bimba? Non era sua madre
quella? Ugo fu per travoltolarsi furiosamente nella forra
imprecando--Sia con suo padre!--ma in quel momento il dimonio dello
scherno costrinse le pupille del tormentato a guardare la santissima
casetta dell'amore....
--Che mi resta?--domandò Ugo con disperazione atroce.
Ugo credeva d'avere in vita sua già sorriso e già sghignazzato! Ma
verissimamente allora per la prima volta sorrise e sghignazzò....
Sotto alle sue strette feroci la bimba vagì rabbiosamente. Erano due
mesi che Ugo e Imilda dalle labbra di lei aspettavano con ansia
d'amore quei primi suoni balbettati con cui s'invoca la mamma. In quel
momento, amorosissima tra i goccioloni di pianto che venivano giù per
le guance a pozzettine, la boccuccia farfogliò:--Mem.... mme....
Che minuto di paradiso per un padre! per uno sposo!--Bonello! Bonello!
vieni e uccidila sotto i miei occhi, e uccidi me!--supplicava il
cavaliero, più che pazzo, andando incontro a un invisibile supplizio,
e, più che indemoniato, retrocedendo, fuggendo, tentando divincolarsi
disperatamente e ruggendo contro i lividi dirupi e per le selve
desolate:--Imilda! Imilda!--e più supplicava:--Venite! O Bonello! o
Dio! o il dimenio!.. Datemi la mia donna!--e dieci volte lasciò la
bimba sugli scheggioni, e, come uno spettro, piombò di spaccatura in
spaccatura al torrente, ma invano, sdrucciolando sui fianchi gelati
dei massi e cadendo a precipizio: e di là dalle profondità sorde e
strepitanti, violastro, insanguinato, inzuppato, s'inerpicava con ogni
tormento a ricercare la bimba.... Non glie l'avevano rubata? Sì o
no?.. E perdendo le tracce della sua _via crucis_ nell'inestricabile
labirinto degli orridi ciglioni gemeva come una lupa trafitta lungi
dal covo, e s'aunghiava, s'inerpicava, s'inerpicava, e giù avventavasi
ancora....
Intorno c'era il deserto. Stette per più di un'ora avvinghiato a un
arbusto a spini, tormentando i piedi nel fondo scheggioso di un'acqua
ghiacciata, sporgendo il capo da una caverna nerissima su un abisso
senza misura e senza colore, e speculò giù la valle, le valli,
implorando da quell'ultimo lembo di cielo che vedeva all'orizzonte, e
diceva il cielo della sua patria, implorando il Dio tristissimo del
suo castello e la ferocia de' suoi nemici vivi.... Nessuno veniva, nè
Adalberto, nè Oberto, nè Baldo, nè i vili prezzolati!
Tornò su alla bimba. Intorno c'era il deserto. In quel cielo
caliginoso sentiva il vuoto e non osava guardare: dalla immensa natura
gli si stringeva intorno formidabile il regno del silenzio e della
morte.... Nessuno veniva. Chi doveva accorgersi di lui? Chi poteva
ascoltarlo da una vetta eccelsa? Ugo impugnò la scure, e volle
simulare il fragore della bufera, spaccando i massi, a trarne
scintille di sotto il ghiaccio, a farne volare le scheggie agli abissi
e al cielo, spaccando, indiavolando, ululando, rotolandosi e
piangendo....--Ho squarciato l'uscio della cappella! Così sono entrato
in paradiso! Così mi spalancassi il baratro!
Infine Ugo sghignazzò con un subito pensiero:--Ah! vedrò se i morti,
almanco i morti sono ancora in ispirito, e se hanno pietà, quanto
strazio essi ebbero dai vivi!--strinse la bimba, stette un pezzo
ancora aspettando dalla valle e dalle cime, poi d'improvviso scagliò
lungi la scure e il fardello, e s'inerpicò sulla montagna.... Per
dove?
Ugo camminò, e camminò, e camminò....
Al morire del giorno egli vagolava in mezzo alle nevi crepitanti sotto
i suoi passi incalzati, senza più sentiero, insanguinato e fradicio le
mille volte, lui e la bimba: a tratto gittandosi carpone, a tratto
balzando sulle rocce.... Ove c'era una vallicella, la appariva
squarciata e striata da una grande ruina di macigni rotolati: le
boscaglie divelte, il terreno sommosso, trascinato, franato: non un
filo d'erba: qua e là enormi solchi, nuovi torrenti deviati, fra gli
scheggioni e le zolle ferrigne. Nell'aria rombava sempre come il
fragore d'un diluvio, la nebbia a strappi turbinava sui picchi, il
cielo sembrava quello che i dannati debbono vedere dallo inferno.
Calava la sera. Ugo giungeva ove quella valle castigata s'addentrava
in una piegatura rocciosa del monte. Vide quelle mostruose tracce di
distruzione, respirò quell'aria, odorò quelle brume, e ritto,
stupendo, supplicatore e sfidatore, prese la bambina sotto le ascelle,
alzò le braccia quanto potè, come chi faccia offerta a un grande
altare.... Era venuto a luogo di salvamento, oh sì! Intese
dov'era.--Udite!--quasi cantò, sinistramente, come l'araldo di una
sfida a quel deserto portentoso:--Udite, udite il giullare che si
chiamò Ugo conte di Lanciasalda!... Laggiù alla valle il torrente
mette nel Chiusone, oltre ancora il Chiusone nel Pelice, oltre ancora
il Pelice nel Po. Verrai al Po nativo, o Imilda! Oh non scendi cullata
tra le foglie di rose! Non attorci le bionde trecce ai fiori
tremolanti alla superficie delle acque, nè sveli le bellissime membra
addormite di voluttà, come una dolce suicida!--e ai vagiti della
bimba, aspro come una tromba di guerra:--Chi vedendoti, o Imilda,
dica: "Questa è sventura" ascolti una voce d'uragano, così: "L'odio
dell'uomo prepara ben altre vendette che quelle del destino!" Chi,
vedendoti, si faccia segno di croce, preghi per sè e per i suoi, non
per te...! Verrai al Po nativo, o Imilda! Un giorno anch'io scenderò
per quelle valli e il boscaiuolo Silverio sarà ridiventato Ugo il
cavaliero! Ugo il cavaliero!--e squassò la testa, e si chinò al
destino che gli sghignazzava dalle punte dell'Assietta.
Tacque, poi, come aspettando una risposta, più alzò la bimba,
gridando:--O Guidinga, rotola la valanga per me! Come un giorno dallo
scalone hai rotolato il tuo corpo per te!
E camminò ancora, ancora:--O Guidinga, guardate per cui vi chiamo! Una
bambina che stride!
Ancora:--O _madonna perduta_, ho gli sproni d'oro!
Al passo dell'Assietta, erto, lugubre di vastissimo silenzio, desolato
da un cielo implacabile, irto di spettrali pinete, Ugo aspettò la
morte. Neve, deserto, immobilità: tanto ascoltano i vivi, come i
trapassati.
Ugo, gettatosi sul terreno, sdrucciolando sui ghiacci, senza più
pregare, si strinse furiosamente la bimba: strisciò: venne innanzi a
battere allo spiraglio di un gran masso spaccato e guardò giù per
quella balestriera.... Al di là vide l'altro versante del monte: giù
le capanne mostravano i tettucci di pietra allineati sul ciglio di un
torrentello: giù un paese, giù la valle con in fondo incertissimamente
due macchie di borgate sulla striscia fumosa di un fiume. Il paese era
Meana: e le borgate Susa e Bussoleno.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ugo stette senza più coscienza, percosso e rannicchiato contro il
macigno. Si svegliò e gemette: scosse la bimba: era morta? Ugo giacque
ancora, e sognò la ghiacciata requie dell'avello, sognò il regno
pallido dei morti, e vide come un grande cimitero coperto da un unico
lenzuolo funerario. Solo il cuore gli dava tormento: e si
diceva:--Ecco i vermi lo forano: i vermi? Questi che martellano così
sono avoltoi di rapina!--Sentiva un che di tepido sul volto; al petto
si stringeva qualcosa, e andava susurrando:--I morti almeno credono
all'angiolo della resurrezione! Ecco che coll'ala mi scalda la fronte!
Ma com'è penetrato nell'avello? Qui sono alla _curte_, con mio
padre.... Lui si sfa, ma è tutto freddo e orrendo.... Che cos'ho al
petto?... La mia fascia dell'armi?... Vorrei sapere che sarà scritto
su questa pietra.... Pietra? Ma io non giaccio sotto! io sono portato
dall'acque di un fiume che va alla valle, al mare. Chi mi scalda? Sono
quelle ciocche di capegli di donna che ho tanto baciate!...--Infine
provò un freddo solo: sparvero le visioni: e fu come sepolto....
Ugo si svegliò. Egli aveva ficcato la persona nella spaccatura della
rupe: nel togliersi di là, ancora guardò giù e alla prima luna, che
splendeva bugiarda di lontano, vide proprio Susa e Bussoleno....
Ma che? Santa Maria! lungo la Dora strisciavano sì e no nel vapore
denso e radente certi e certi fuochi.... Di sopra al suo capo il cielo
era sempre livido e brumoso e freddissimo.
--Se là ci fosse guerra!--ringhiò Ugo, e si rizzò, scosse la bimba,
con grand'ansia e con grande tormento vide ch'ella era viva: allora
prese a discendere dal colle dell'Assietta verso quella valle.
Cammina, e cammina.... Aveva fame. Se egli avesse avuto quello
sparviero stecchito presentato all'omaggio! Picchia a una capanna, è
deserta: a un'altra, è deserta: a un'altra, è deserta: tutte deserte.
Nemmanco la provvidenza ha pietà, perchè sul monte comincia la neve a
cadere a fiocca a fiocca, e s'addensa il nebbione: di lontano sparisce
la luna.
Ugo si precipita giù, giù, giù....
Giunge a Meana. Là vi è una cappelletta dei poveri morti, un arcuccio
soffogato in un pattume con cinque o sei crani grotteschi. Ugo, per la
nessuna pietà che i morti ebbero per lui, insulta quegli avanzi,
imbrattandoli coll'istessa poltiglia che loro serve di guanciale:
raschia la terra e trova una mano ricisa di fresco. La mano ha le dita
volte al basso, verso Susa.
--Accetto l'augurio!--dice Ugo, inconscio di ciò che lo aspetti, e si
leva: svoltando dietro la cappella con troppa furia poco sta che non
ischiacci la bambina: ed ecco trova raccosciati sulla roccia
consacrata un uomo e una donna. Sono vivi? sono morti? Che fanno?...
L'aria è buia.
--Chi siete?-domanda Ugo.
I due sobbalzano spaventati, lo guardano, poi sembrano rassicurarsi,
piangendo.
--Chi siete?
E l'uomo:--Fuggite, o cristiano, se avete lena! Fuggite! Non cercate
di nessuno! Noi abbiamo fallato il cammino.... e ci siamo rassegnati a
morire qui!
--Come? Che vi accadde?--ridomanda Ugo, già fiutando l'odore del
combattimento. Ma con chi c'era guerra? perchè? Qual rumore era giunto
agli alti picchi del suo nascondiglio?
E la donna:--Ah! voi siete di quelli scampati già da ieri e non
sapete! Ben faceste. O Signore!--e col massimo affanno, ripiombando e
facendosi segno di croce:--Oggi Alzor è alla Dora!
--Alzor?--meraviglia spaventosamente Ugo. Ugo sapeva che da tempo il
padre gli aveva detto che quel Saracino era calato di Provenza per
ghermire la lontana, lontanissìma Genova: poi i casi di Ugo e il
rumore della guerra contro Adalberto avevano fatto tacere nelle valli
ogni altra novella d'armi. In due anni, da due o tre boscaiuoli,
romiti come lui che non varcavano le loro selve, Ugo aveva udito che
Casale era minacciata, e suonava un gran nome di dimonio, Alzor: ma
Casale era lontano, eh! Poi più nulla. Solamente il giorno prima,
quando aveva passato celeremente il Chiusone, spinto da un sogno
inquieto che aveva fatto, quando aveva chiesto:--C'è forse un signore
potente, il quale abbisogni di braccia per apparecchiare le travi alle
macchine di guerra?--aveva saputo che Adalberto s'armava. Aveva
sfuggito ogni casa, pure aveva chiesto, tormentosamente simulando, ad
alcuni valligiani le novelle della sua rocca e di quella di Imilda,
ma, ingozzandole amare, nulla più aveva potuto né chiedere troppo
attento, né ascoltare da quei disattenti. Solo per caso udì, sul
piazzaletto di una tavernaccia, un ribaldo bandire una nuova taglia di
sei in sei mesi sulla testa di Ugo, per comando di Oberto, promettendo
i tre mucchietti d'oro di prammatica. La gente quasi rideva. Ugo?
Andatelo a prendere! Dove sarà? Solo il banditore aveva
detto:--Bonello ci penserà: sa tutto: domani Bonello giura che
guadagna la taglia. Ai monti!--e tant'altre cose.--Ugo era fuggito,
aveva rivalicato il Chiusone, s'arrampicava alla capanna. Adalberto
s'armava ancora? Contro chi? Certo contro i vassalli ancora. Ugo nulla
sapeva: quindi quasi domandò a se stesso:--Alzor? il saraceno? Come?
Egli già qui?
E l'uomo alla cappelletta:--Mi difesi! Ho sette ferite! All'ultimo
m'ebbi mozza la mano. Venni qui a seppellirla in luogo consacrato.
Laggiù in oggi ogni misfatto è permesso: è divenuta terra di saracini
la nostra. Perché siete fuggito voi, ieri, al momento del supremo
pericolo?
E la donna:--Fuggite nella valle del Chiusone! Fuggite, se avete un
bambino, e se quello è ancora vivo tra le vostre braccia. Io fui
madre!
Ugo ridomanda:--Ma come?
E l'uomo:--Che giorno d'estrema ruina! Ma il sire di Saluzzo e quello
di Susa resisteranno ancora! Io sarò con essi! Donna, lasciami! Io
voglio essere con essi!
E la donna:--O Signore, perchè non mi avete uccisa insieme al mio
bambino?
Ugo, ancora chiedendo:--Ma come?--e non avendo risposta da quegli
impazzati dal dolore, che continuavano a crederlo un fuggitivo, Ugo
muove il passo innanzi, dicendo:--V'è battaglia dunque?
E l'uomo:--Alzor ci piombò con un lancio da liopardo! O Signore nostro
Jesù, per la fede sacratissima del tuo vangelo, ti supplico, ti
supplichiamo! Ora ti veggo, o montanaro. Sei pronto tu? Ma non hai la
scure neanche tu? Su, istessamente: adopreremo scheggioni di rupi! Su!
su, su, tutti alla riscossa, da Susa con messer Oberto capitano e con
Adalberto!--e l'uomo si alzò, barcollando.
--Oberto? Adalberto? Ancora sono vivi? Non li straziò oggi il
saracino?--imprecò terribilmente Ugo.
--La Iddio mercè, tanta sventura non è ancora avvenuta!--lamentò
l'uomo, e fraintendendolo, s'accese nel furore di Ugo:--Da Susa a
Saluzzo cogli altri migliori duci, Taizzone, Agobardo, Fulberto,
insomma da Susa a Saluzzo si vuol resistere, per la gloria di Maria
santissima! Su, su, su! Una spada!... Se non avessi mozza la destra!
Se non avessi la donna che mi trascina alla viltà!
E la donna:--Non eravamo rassegnati a morire qui?
--E Oberto, Adalberto?--ridomanda Ugo potentemente.
E l'uomo:--Sapranno resistere! Oh se sapranno!...--e dopo una tremenda
pausa:--Se pure un traditore non schiude al saracino i passi delle
valli, girando dietro l'alpi e abbattendo ad una ad una le castella
vassalle a quei valorosi!
--Ah!--geme Ugo con suono ineffabile.
L'uomo si caccia a piangere, lasciandosi andar giù sul terreno fino ad
insozzarsi di mota la fronte.
Ugo fatale invidia quella posizione di massimo avvilimento, ma i suoi
muscoli s'inturgidano, la persona si leva audace: egli è invaso da un
tremito spaventoso e inciocca i denti pel ribrezzo della febbre.
Succede un momento di terribile ansia.
Poi Ugo, guardando giù, oltre la valle, quei fuochi di guerra,
interroga cupamente:--Messere, o barone o boscaiuolo, che cercate voi?
--Io la vendetta!--esulta l'uomo e rizza la testa.
--E la vorreste?
--A qualunque costo!--ma l'uomo ricade agonizzando. Ed Ugo con spasimo
satanico di gioia:--Sono straziato io più di voi! Io voglio la
vendetta, a qualunque costo! Diceste che laggiù in oggi è terra di
pagani ed ogni misfatto è permesso? Vi auguro di morire! Morite, qui,
subito! Non ascolterete l'atrocissimo delitto!
Ugo precipita dalla montagna, e alla bambina famelica dà a suggere le
proprie labbra lorde di sangue e di bava....


CAPITOLO XII.

Alzor, nato dalla stirpe di Maometto, fremebondo di sterminata
ambizione di conquista, audace per giovanissima anima e crudele e
insaziato, era uscito profeticamente da' suoi deserti di sabbia e di
sole, aveva predato l'Egitto, la Numidia, il regno de' Mauri, e,
tragittato il mare, co' suoi tigri di soldati aveva rotti i Goti e i
confratelli Arabi di Spagna. Dalla Spagna era piombato in Provenza, di
Provenza, per sommo castigo di Dio, in Italia. Qui giurò nel nome di
Maometto di piantare il suo seggio fatale.
Il luogo di Frassineto serba incerte e guerresche tradizioni intorno a
queste orde di miscredenti. Negli _Annali d'Italia_ il Muratori cita
all'anno DCCCXXXIII Frodoardo cronista (in Ch. T. II Rer. Franc.
Du-Chesne): i Saraceni abitanti in Frassineto _meatus Alpium occupant,
atque vicina quaeque depraedantur_. All'anno DCCCCXL Frodoardo ancora
dice che "una gran brigata d'Inglesi e Franzesi, incamminata per
devozione a Roma, fu costretta a tornarsene indietro, _occisis corum
nonnullis a Saracenis. Nec potuti Alpes transire propter Saracenos,
qui Vicum Monasterii Sancti Mauritii occupaverunt_. Se qui è indicato
il Monastero Agaunense di S. Maurizio ne' Vallesi, avevano dilatato
ben lungi quegli Infedeli assassini di strada il loro potere". Segue
ancora il Muratori, all'anno DCCCCXLI: "Circa questi tempi più che mai
infierivano i Saraceni abitanti in Frassineto ai confini dell'Italia e
della Provenza (Liut., lib. 5, n. 4). Studiava il Re Ugo la maniera di
snidare quei crudeli masnadieri, e conoscendo di mancargli le forze
per mare, giacchè in quei tempi gli Imperatori e Re d'Italia poco
attendevano ad avere armate navali, prese la risoluzione d'inviare
ambasciatori a Costantino e Romano Imperadori de' Greci, per pregarli
di volere a lui somministrare una competente flotta di navi con fuoco
greco, acciocché mentr'egli per terra andasse ad assalir quei barbari
ne' loro siti alpestri, esse incendiassero i legni dei mori, ed
impedissero, che non venisse loro soccorso dalla Spagna." E Frodoardo
ancora, all'anno DCCCCXLII: _Idem vero Rex Hugo Saracenos de Fraxinedo
eorum munitione desperdere conabatur_. Osserva il Muratori: "Pertanto
dovrebbe appartenere all'anno presente ciò che scrive Liutprando (lib.
50, n. 5). Cioè che avendo Romano Imperadore inviato uno stuolo di
navi a requisizione del Re Ugo, questi le incamminò per mare a
Frassineto. L'arrivo d'esse colà, e il dare alle fiamme tutte le
barche dei Saraceni che quivi si trovarono, fu quasi un punto stesso.
Ugo nel medesimo tempo arrivò per terra a Frassineto colla sua armata.
Pertanto non si fidando i Barbari di quella lor fortezza,
l'abbandonarono e tutti si ridussero sul Monte Moro, dove il Re li
assediò. Avrebbe potuto prenderli vivi, o trucidarli tutti: ma per un
esecrabil tiro di politica se ne astenne. Tremava egli di paura, che
Berengario, già marchese d'Ivrea, fuggito in Germania, non
sopravenisse in Italia con qualche ammasso di Tedeschi e Franzesi.
Però licenziata la flotta dei Greci, capitolò con gli assediati
Saraceni di metterli nelle montagne che dividono l'Italia dalla
Suevia, acciocchè gli servissero di antemurale, caso mai che
Berengario tentasse di calare con gente armata in Italia. Non è a noi
facile l'indicare il sito, dove a costoro fu assegnata l'abitazione.
Solamente sappiamo, che a moltissimi cristiani, i quali incautamente
vollero passare per quelle parti, tolta fu la vita da quei malandrini:
iì che accrebbe l'odio e la mormorazione degli Italiani contro di
questo Re Ugo, il quale lasciò la vita a tanti scellerati, affinchè
potessero levarla a tanti altri innocenti...."
Abbiamo voluto citare questo fatto di Ugo per soggiungere che un altro
Ugo, non re certamente, ma una figura bieca che la tradizione ci dice
senza certezza cavaliere e boscaiuolo, un altro Ugo, non nelle grandi
pagine del Muratori, ma sulle cartapecore sibilline del romito di
Malandaggio, appare di nefastissimo nome ai cristiani e agli abitanti
delle valli intorno a Saluzzo. Quando è morto il romito? Quando
veramente è vissuto quell'Ugo? Nessuna data è certa. Anche la
tradizione è morta da un pezzo. Frassineto ebbe delle leggende, e sono
svanite: Malandaggio ebbe un romito vecchio che scrisse e che morì, e
un altro che misteriosamente gli successe, che non aveva scritto,
perché aveva operato, e non scrisse perché ancora operò prima di
morire....
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Non ci intrichiamo nella storia a stabilire date o a fissare il
progresso di questi Saraceni, ma pel romanzo accettiamo la tradizione.
Più breve d'ogni cronista, e senza mettere date, eloquentissimo, il
romito che scrisse lasciò questa memoria:--Cadde Genova, cadde Casale,
cadde Torino. Alzor è alla Dora!
Alzor era alla Dora. Una sera di un giorno vittorioso egli aveva posto
l'alloggiamento in un Santuario della Vergine. Fulgente di gioia,
gloriosissimo e temuto, sontuosamente vestito, colla spada ricurva e
con un pennacchio di diamanti, egli sedeva sui gradini dell'altare
maggiore: gli incensi cristiani e e gli aromi insidiosissimi degli
_harem_ intorno a lui spandevano tepori e profumi: uno schiavo di
Provenza suonava l'organo da flato: vampeggiavano per scherno sulle
fredde lastre dei morti due grandi cataste di pino olente: danzavano
seminude, procaci e velenose, o si raccosciavano sui sacri paramenti,
afflosciate dalla voluttà, venti schiave diverse, dalla nerissima alla
bronzina, alla candida rosata. Alzor banchettava: servivano a lui e
alle femmine i vasi d'oro e d'argento, che aveva predato nella sua
corsa di conquista, e per abiti si buttavano indosso le _planetas de
coco e toalias cum frixio_, opere plumarie, e _crysoclava et vela
holoserica, de basilisci, fundatum de alithinum_, della Soria, di
Costantinopoli, della Persia, dell'Egitto, le cose insomma che
troviamo nelle cronache dell'evo medio, e gli ornamenti, come
_inaures, anulos, dextralia et perselides, monilia olfactoria, acus,
specula_. Dall'Africa e dalla Spagna aveva rubato cortinaggi, addobbi,
_tapetia belluata_, che Sempre trascinava con sé, profumandoli coi
nettari e insozzandoli col sangue, letti di voluttà e coltri pei
moribondi.
Alzor, dice il romito, calpestava una veste della santa Madonna di
Provenza, _vestem chrysoclavam ex auro gemmisque confectam, habentem
historiam Virginis cum facibus accensis mirifice comtam_. Alzor
giaceva trionfalmente sui cuscini palpitanti di otto o dieci
ardentissime more: Alzor, al principio dell'orgia, s'era circondato di
cento armati fedeli: aveva il carnefice al fianco, e pure a fianco un
bardo ispirato della sua razza che cantava le vittorie di quel giorno
e la somma protezione di Maometto:--O felice, o potente, o caldo, o
amato, o pasciuto, o protetto dal profeta, Alzor! Tu hai Dio, il
denaro, la donna, la spada, la vittoria. Preghi coll'ardore del nostro
sole adorato: getti le gioie e gli ori come il villano getta la
semente: le donne si sdraiano su tuoi tappeti e muoiono di voluttà,
felici se il loro ultimo sospiro ti rinfocola un nuovo tripudio: la
tua spada è più possente e più curva del grand'arco dei cieli;
insanguinata, si gemma: nè sul tuo acciaio s'annubila il riflesso
mesto del tramonto.... Il tramonto? Chi dirà questa parola?
Alzor aveva già fatto un cenno al carnefice.
Continuava il bardo:--La vittoria, la gloria, il regno! Esulta, o
Alzor!... Esulta!... Noi ti adoriamo!
Ricominciava l'orgia, e Alzor era felice. Sì, aveva Dio, il denaro, la
donna, la spada, la vittoria! Felicissimo!
Udite strano contrasto. Quella sera, in quell'ora di beatitudine
smodata, a un tratto entrò nella chiesa un montanaro.
Egli era lacero e scarmigliato, insozzato, puzzolente e sinistro. Cupo
come una belva famelica, livido pel freddo, custode rabbiosissimo di
un fardelletto di pelli, si drizzò, camminando sui tappeti, le sete,
le coppe rovesciate e gli ori, fra le donne nude, al riverbero del
fuoco, fra il fumo degli incensi e delle dapi, fra il canto del bardo,
si drizzò verso Alzor.
Cessò l'orgia.
--Chi sei tu?--domanda l'audacissimo Saracino. Le sue guardie gli si
stringono appresso: il carnefice ghigna: ma più maledette ghignano le
femmine insaziate....
Il montanaro pare nè vegga nè ascolti.
--Chi sei tu?--ridomanda Alzor:--Non temo l'insidia! Si scuote allora
l'uomo e grida profondamente:--E tu chi sei?
--Io un eletto del profeta.
--Io un castigato da Dio.
E Alzor già infastidito:--Ebbene? Che cerchi qui?
--La mia vendetta!
Vieppiù si stringono le guardie: e le donne ancora, svegliandosi
briache, superano in protervia crudele il carnefice. E Alzor
discacciandolo:--Vanne!
Ma il montanaro ruggisce:--No!
--No! no!--supplicano intorno le schiave, avide di sangue,
--Ebbene parla--comanda Alzor.
--Io parlerò! Tu sei potente, o Alzor! Osanna! Ma tu hai fallato se
credi di resistere nel piano alla colleganza dei signori da Saluzzo a
Susa.
--Parla.
--Io parlerò!... Tu sarai vittorioso, o Alzor!--esulta il montanaro,
stringendo il suo fardelletto come se fossevi correlazione tra la sua
mente e quello:--Si. Io ti apro i passi delle valli: lungo la Dora ti
conduco in valle del Chiusone, là sorprendi quelle rocche che sono
vassalle al sire di Susa: poi ti slanci improvviso dai monti sopra
Saluzzo, senza che dalla Dora Taizzone, Agobardo, Fulberto, possano
mandare aiuto ai collegati.--Poi, sfavillante orrendamente in volto,
colla gioia di un profeta:--Nella valle del Po vi sono le castella di
un Adalberto, di un Oberto, di un Baldo. Se vinci, come ti giuro che
vincerai, mi dai que' tre prigionieri? Alzor fece circondare l'uomo
dagli armati: credette sì e no: e disse:--Vuoi altri patti?.
--Hai tu ancelle?--sospirò il montanaro, quasi emettendo un alito di
fuoco.
--Il sorriso dell'amore è più bello fra l'armi. Vedi le mie conquiste!
Ho egiziane, numide, maure e gote, arabe, spagnuole, provenzali,
serpenti contìnui di continue voluttà. Uomo, non guardarle! Ti
comando. Sei tu, cristiano, che aspiri al mio paradiso? Ascolta: ho
anche l'aguzzino.
--Non ascolto! Ma supplico!--gemette il montanaro:--Tu hai ancelle:
cerca il seno più ardente, e, fammi somma carità, lascia che il latte
sia succiato da chi muore di fame! Ho qui una bambina morente!
--Che? i vagiti fra l'armi?
Allora il montanaro, facendosi pensoso e sciogliendo il fardelletto,
mostrò una creaturina già quasi paonazza, un piccolo mostro di dolore:
e disse:--Su questa bambina, nata da conti illustri, c'è su
copiosissima taglia ove sia consegnata ancora viva in valle di Po, a
Lanciasalda. Se vuoi, là ti aspetterò, e la ventura è tua.
--Cristiano, quante castella vale?--domandò Alzor che intendeva sotto
quelle poche parole nascondersi un gran mistero di fatti.
--Tre castella. Ma mi darai i tre prigionieri.
--Ho da pagare Almor, Zanata, Zullik, rapacissimi. I soldati vogliono
posa, i duci oro.
--T'offro guerra breve e tesori.
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