Ugo: Scene del secolo X - 6

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Oberto e Ildebrandino erano divenuti nemici, come si vide, e i
nemici in casa sono peggiori di quelli coll'armi alla mano.
Ildebrandino pensava:--L'ho colmato di benefizi, come se fosse mio
figlio, e speravo tanto d'Oberto! L'avevo bene cresciuto! "Voglio
Imilda!" Dopo ch'io gliela avevo concessa' Non doveva, non poteva
dire così.... Ma v'è un'offesa maggiore!--Sì, Ildebrandino aveva
udito amarissimamente rinfacciarsi la sua mala fortuna di un tempo,
e fu trafitto da quel dubbio villano: "Fate che, morendo voi, io
abbia un castello o la memoria...." E che aveva soggiunto Oberto?
Le esequie? Ildebrandino aveva capegli grigi: pensò e ripensò, e si
sentì come maledetto.... Quel giorno in cui Oberto tornò da Saluzzo
chiedendo d'Imilda, Ildebrandino rispose:--È _mia_ figlia!--e
veramente provò addoppiato l'amore per lei, già lontana, ma sicura.
Oberta domandò a tutti per sapere qualcosa, ma invano. Allora lodò
lo zio, finse di volersi pacificare con lui, forse per acconciargli
più traditora una certa sorpresa che meditava pel dimane, escì con
lui a cavallo per vedere dove fossero appiattati i nemici; si
rappattumarono un poco, ma sulle loro labbra c'era sempre un'ironia
velenosa, sempre quell'espressione--Lascia fare a me--che si
mostrava più e più, quand'essi volevano ricacciarla.
All'indomani entrò un frate nel castello e parlò con Oberto, perchè lo
zio era uscito coi balestrieri ad apparecchiare una offesa contro
Adalberto, che continuamente faceva scorrazzare della cavalleria.
Oberto parve assai dimesso, ricevette un rotolo di pergamena dal
frate, e lo accommiatò:--Che messere il vescovo ne faccia grazia!
Speriamo nella Vergine di Saluzzo. Sì, farò ancora limosina al
convento, copiosissima....--Poi tra sè:--Se il papa mi sapesse dire
dov'è Imilda?
Ad Ildebrandino nulla fu detto. E quel giorno il cavaliero volle
combattere, combattè fino a sera, cessò, e, meditando una certa
impresa per la notte, tornò al suo castello, e sembrò riconciliato con
Oberto, perchè questi gli fu allato sempre, come un prode.
Ildebrandino, cogliendo il momento che Oberto non vedesse, chiamò a
sè, in una torre, i figli del vecchio Federigo e di Agnese, e loro
disse:--Ritornate su alla montagna e portatemi per domani le nuove di
Imilda.
Oberto che era nella corte, da un pezzo meditabondo, vedendo partire i
due fratelli, credette che si recassero dai vassalli cogli ordini per
la notte: domandò loro:--Dove andate?
E quelli:--Dove vuole messere.
--Vuole lui? Non sempre si è obbligati a obbedire noi--istigò
Oberto:--Vuole?
--Come?
Oberto mostrò loro la pergamena che aveva in petto, parlò
sommessamente, rivelando una gran cosa accaduta, e concludendo:--Siete
sciolti da ogni giuramento verso lo zio. Obbedite a me che posso
salvar tutti! Ditelo ai soldati. Io voglio comandare a tutti loro, se
ad essi preme il nome di cristiani e la salute dell'anima.
--Che mistero!--disse uno dei fratelli, avviandosi.
E l'altro:--Non ditelo a mamma Agnese. E se stanotte il dimonio ci
gioca!--e fece l'atto di segnarsi colla croce, ma si arrestò
lamentando:--Non si può più, e mi trema la mano!
--Che cosa! Quando gli altri la sapranno!
I due uscirono dalla porticella di soccorso, e s'incamminarono, taciti
e compunti, alla montagna: e furono proprio quegli armati che Ugo
ascoltò con tanto amore.
Quella sera, appena Oberto vide Ildebrandino:--Zio--gli disse:--Ho da
parlarvi e da senno.
--Senti chi vuol parlare da senno!--interruppe lo zio, egli stesso
suonando un corno:--Dobbiamo fare una sorpresa, devo farla. So che una
congrega di demonii deve passare non lontano di qui, colle fiaccole,
per tentare un tradimento al castello di Ugo, so.... Che hai? Orvia,
parla.
Oberto voleva che maggiore solennità accompagnasse la rivelazione che
aveva a fare, perciò si morse la lingua, dicendo:--A tempo migliore
parleremo. L'auguro per me e per voi.
Uscirono, trovarono i nemici e combatterono: nullameno i traditori
proseguirono il loro viaggio. Ildebrandino guadagnò una ferita alla
gola, leggera, lo credette, una graffiatura, ma con un certo
bruciore.... Oberto pensò:--Quella proprio che ci voleva per tenermelo
quieto--accompagnò lo zio al castello, lo sdraiò sul suo letto e lo
guardò. Quegli si smarriva negli occhi, borbogliava sordamente,
dicendo:--Niente!--e cominciava però a contorcersi.
--Messer Ildebrandino,--prese a dire il nipote:--debbo annunziarvi che
il vescovo di Saluzzo.... Non mi ascoltate?
Non lo ascoltava davvero.
--Debbo annunziarvi che il vescovo di Saluzzo.... Svegliatevi!... Ma,
ma, zio! Che avete?... Non posso pregare per voi, mi spiace....
Svegliatevi! Ah, ma com'è questa scalfittura? Che ei si vada
addormentando come un ghiro?... Zio, ditemi, ov'è Imilda?--finì per
comandare:--Ditemi!
Ildebrandino era assopito: la ferita, d'arma avvelenata, si faceva
livida e gonfia.
Oberto prorompeva:--Ah la mia vendetta! Perchè cadrà a vuoto? Zio,
zio! Ho tanto fatto, e sì bene!... Ascoltatemi! per poco.... Che mala
fortuna!... S'egli morisse?... Zio!
Per tutta la notte Oberto trepidò, senza chiamare aiuto d'uomo.
All'alba tolse su lo zio, lo denudò, lo portò nel corritoio, nella
corte, lo pose a terra dinnanzi alle finestre della cappella, e lo
coperse del drappo nero dei morti, ma senza croce, senza un
ramoscello d'olivo, senza una goccia d'acqua, lasciandogli sporgere
i piedi unghiuti e i capegli irti. Poi prese una mazza, e tra una
finestra e l'altra inchiodò la pergamena che aveva avuto il giorno
prima, gettò sullo zio un po' di cenere, e dicendo:--Almeno è morto
scomunicato!--lo stette a guardare un pezzo.
Ad un tratto il drappo nero si mosse, e dalle pieghe sporse una mano
che ne ghermì la frangia, la strappò, la strappò: apparì fuori il
volto di Ildebrandino, paonazzo, furente, soffogato: gli occhi si
ficcarono sulla pergamena segnata di croci e di grossi caratteri: si
spalancarono, ma furono accecati dalla cenere che vi cadeva dal drappo
sempre più scosso dalle mani febbrili.
--Zio!--disse Oberto:--è inutile che chiamiate il becchino. Gli
scomunicati come noi giacciono insepolti.
--Ah sei tu? Oberto!--incominciò Ildebrandino, svegliandosi per poco
dal lungo sopore:--Perchè non so leggere, come un frate? La vedo lì la
condanna, la vedo! Ma nemmeno tu sai leggere: sono contento!
Oberto si piantò sotto la pergamena, esultando:--Non so leggere, ma io
l'ho dettata al vescovo di Saluzzo. Ugo è scomunicato sette volte
sette: noi una sola: sarà levato il peso all'anime nostre solo quando
un cristiano leale sarà padrone di questo castello.
Ildebrandino si contorse tutto, gettò il drappo, e fece per rizzarsi:
ma ricadde:--Perchè sono qui?--domandò, e tacque.
--Voi morite così?
--Ah Oberto!
--Morite scomunicato, insepolto? Pensate qual castigo orrendo!
Scomunicato, insepolto!
--E che a me?--delirò il moribondo:--Vedi tu questo drappo? Nera è la
morte e senza speranza. Nulla sento, nulla ricordo più!
--Voi dunque morite così?
--Solo i frati veggono i demoni, solo le donne veggono gli angioli.
--Le donne? Pensate che Imilda è scomunicata! Dice la pergamena: sarà
levato il peso dell'anime appena ch'ella possa sposare un cristiano
leale che faccia molta limosina.
--Imilda?--A quel nome Ildebrandino si tirò addosso la coltre col
massimo rispetto: e comandò:--Lasciami, Oberto!... Mi manca la
lena.... Non gettarmi nel pattume!
--Che bel momento per cercarvi la sposa! È venuto!...
--Lasciami!... Mia figlia non è qui?... Come si muore senza fede!--e
il vecchio quasi pianse:--Imilda!... Nulla sentivo, nulla ricordavo
più!
--Desiderereste che Imilda fosse qui?
--Tu la vuoi sposa?... Ma no!
--Imilda che dirà di suo padre, che tutti ci volle dannati! Dannati
per lui che moriva! Imilda deve vivere.
--E volevo vivesse felice!--Ildebrandino era straziato in modo
ineffabile: e pregava:--Dammi la mazza sul capo! No? Dio, fammi
morire!... Morire?... Nella morte c'è un mistero che mi pesa! Sento
adesso: no, no...! Oberto, lasciami: tristo, vituperato,
ingratissimo....
--_De profundis clamavi ad te, Domine_.
Infine Ildebrandino disse:--Va alla casa di Agnese e di Federigo: là è
Imilda.... Affrettati, affrettala!... Prima ch'io muoia!... Fa
limosina coi gioielli di Adelasia mia, prega, fa pregare! Affrettati!
Sposa Imilda, prima ch'io muoia, ah!... O Signore, dammi un po' d'ore
di vita, a costo di qualunque spasimo! Carità! Credo nel Signore!...
Affrettati!
Oberto corse al monte.
D'Ildebrandino parliamo per l'ultima volta. Prima che Oberto giungesse
alla casetta di Agnese, egli moriva supplicando:--Carità!
carità!--raggomitolandosi nel drappo, e trascinandosi fino a toccare
una pietra della cappella. Come nel castello si svegliarono gli armati
e come le sentinelle calarono dalle torri, la novella trista passò di
bocca in bocca; tutti si spaventarono orrendamente. Pare che Adalberto
tosto sapesse qualcosa, perchè investì il portone, con pochi fanti, e
s'impadronì del castello.
Oberto che andava cercando la sposa, perdeva in pochi momenti gli
averi. Pure si sentiva contento, e chiamava:--Imilda!
Giunto alla casetta potè chiamarla per un bel pezzo:--Imilda, Imilda!
Dov'è Imilda? Voglio!
Nessuno rispondeva. Che nuovo mistero.


CAPITOLO IX.

Come abbiamo detto, Ugo, smarrita ogni traccia di sentiero, errò tutta
la notte.
Appena l'alba imbiancò i colmi dei tettucci alle capanne inerpicate su
per le saluzzie Alpi, Ugo si trovò, spossatissimo e irrigidito,
buttato sotto una grotta formata da una rupe stillante.
Com'egli si era ricovrato là? Non sapeva. Sapeva che intorno c'era una
pace, un silenzio, una tranquillità! Che Dio sia benedetto, sulle alte
cime, lontano dagli uomini, Dio padre della natura!... A venti passi
vedevasi sorgere su uno sfondo di vapori perlacei l'assito posteriore
di una casetta dalle gronde ospitali, dalla povera finestra, dal fumo
lentissimo sfuggente, quasi incenso mattiniero alla crocetta guardiana
del colmo. Chi abitava là dentro?... O gente fortunata, che non
conosci i tormenti dell'anima, vivi lieta, e fai che le tue fanciulle
si levino sempre, cantando, dai giacigli innocenti! Qual pace, sì,
quale silenzio, quale tranquillità!
--Dove sono?--si domandò Ugo, ma non potè rispondersi. Egli non
conosceva quel luogo: guardò ancora attorno, e sospirò con invidia
quasi religiosa: vide sulla grotta vicino a lui una rozza statuina di
Madonna, vide un abbeveratoio coll'acqua traboccante, vide sette od
otto agnellini. Da un uscio che si aperse nel fianco della casetta
venne sulla gradinata di ciottoloni rotondi una figura di fanciulla,
colla foggia montanara, il volto coperto da un panno: guardò giù la
montagna, poi, non col passo della massaia che solerte si dà alle
bisogne del mattino, andò all'abbeveratoio, cautissima nella rugiada e
fastidiosa. Un agnello venne, ritroso e saltellante, bebbe e
s'allontanò con graziose tresche: ella si diede ad inseguirlo, corse,
venne quasi sotto alla rupe, senza veder Ugo.
Ugo in quel momento proprio pensava:--Che vita incomincia per me?
La montanina guardò ancora giù dalla montagna, stette un pezzo come
pensierosa, e, piegando le ginocchia, disse:--Perdonami, madre! Io
devo fuggire!--e stava per muovere il piede: si lasciò scappare questo
lamento:--Non ho ancora pregato stamattina!--e si volse in due passi
alla grotta, verso la statuetta.
Vide Ugo, si avventò su di lui, supplicando ansiosissima e
dolorosa:--Siete ferito? Siete salvo?--e buttò via il panno dal capo,
lo raccolse per farne una fascia, sollevò la faccia a Dio. Era madonna
Imilda! Quella lì vicino la casa di Agnese.
Ugo non credette e lanciò innanzi le mani, come per stracciare una
nebbia, gridando:--No! È crudeltà questa illusione! Lasciatemi morire!
--Morire? morire voi!--ruggì Imilda. Così in lei, straziata sul subito
la gioia affannosa del riabbraccio dalle parole deliranti di lui,
l'amore cupido dell'infinito volle vincere il tempo, soperchiandolo
colla intensità dell'anima. Non si può amare tutta una vita? Si
impazzisce un'ora nella ebbrezza più prepotente e si muore. L'amore
diventa furore.--Ugo! Ugo!--e la vergine se gli gettò in braccio,
ammaliandolo con un modo procacissimo che sfidava Dio e gli
uomini:--Se sapeste che tormento! E vi trovo quassù! Chi ve lo disse
ch'ero qui? E voi volete morire! Ugo mio, io non credevo che tu avessi
a dirmi così!
--Ma sei proprio tu?--Ugo si storceva come sotto un incubo.
--Sono io! Non mi senti? Ti bacio, ti mordo, ti voglio!
--Imilda, la tua faccia è fiamma!
--E voglio che bruci la tua. Ti discaccio la morte!
--Io ti strappai al fuoco: tu al fuoco mi rigetti!--E poi, come se Ugo
acquistasse coscienza:--Imilda, fuggimi, per carità! Perchè
incominciare un nuovo tormento? Va!
--Io fuggivo alla valle--sorrise Imilda:--per te!
--Che ti dissi? Non dobbiamo vederci più! Se muoio, tu non devi
saperlo: se vivo, ho un giuramento a compiere! Ti supplico:
fuggimi!--Ed Ugo, rizzatosi, spingeva Imilda su quella stessa
stradicciuola per cui Oberto doveva venire, e veniva, per condurre a
Rupemala la sposa a vedere il padre per l'ultima volta:--Fuggimi! Tu
non sai che cosa ho pensato di te!
Ella trepidò.
Ed egli:--Affrettati!
--Non m'ami?
--.... T'amo, sì! Ma tu qui vedresti un grande tormento! Oldrado e
Guidinga verranno a ghermirmi tra poco!--ed Ugo barcollò.
--Ugo!--gridò Imilda.
E fu così potente la voce di lei, che il cavaliere si scosse,
rattenendola e lamentando:--Questa è voce di paradiso! Imilda, non
fuggirmi! Sono nell'affanno immenso! Non fuggirmi dalla terra!
--Ugo, sono qui avvinghiata a te! Nessuno può rompere questo nodo
fatale!
--Nessuno? E chi ti dicesse chi io sono?
--Nessuno! E nessuno lo può dire perchè tu sei Ugo!
--Io devo dirlo. Sono vinto e vituperato.
--T'amo!
--Scomunicato e fuggente.
--T'amo, e sono tutta tua!
--Perchè m'ami? Che t'ho fatto per condannarmi così?
--Ed io che t'ho fatto?
--Ricordati Guidinga.
--È così disperato l'amore! Chi ci resiste?
Imilda nascose Ugo nella grotta, andò nella casetta e fu lietissima
che mamma Agnese non ci fosse, perchè la stava stendendo dei pannilini
in un pratello: i figli di Federigo dormivano ancora, colle membra
rotte dal combattimento: Imilda tolse su del pane, dei cibi, delle
vesti, e con gran cura involò da un pancone un suo cofanetto prezioso.
Ritornò da Ugo, lo fece rifocillare, lo animò tutto, gli
domandò:--Ugo, sei pronto?
--A tutto, purchè tu mi baci!--rispose Ugo.
--Ancora e sempre.
--Ora mi trovo saldissimo.
--Dunque decidi di me.
--Dai morti non ebbi che strazio. Da te viva voglio la felicità! E
qual'è? quella degli agi, dell'ambizione, del potere? Tu non sai com'è
l'anima mia! come amore, memorie, gelosia, impotenza, strapotenza,
come tremendi uragani l'abbiano squassata! Dammi un poco di pace! Io
non so dirti...! Prima di tutto, per la salvazione nostra! andiamo dal
romito di Malandaggio che non ci conosce....
--E quegli benedica le nostre nozze.
--Poi.... O Imilda, ci abbiamo pensato?--Ugo fu come ghermito da un
pensiero.
--E di che temi dopo? Dio sa che tu sei mio, ch'io sono tua. Se così
volle per tormentarci, questi istanti audacissimi di vita vincono
tutti gli anni!
--Imilda--dubitava fieramente Ugo:--non posso! non devo!
--Come mi ami poco! Ma non vedi? Io fuggo anche da mio padre per te!
--Se vuoi ch'io comandi, comando: fuggiamo!--esultò Ugo.
--Sì, andremo lontano da Adalberto....
--Da Oberto!
--Da tutti! Senti: ho pregato tanto. Oh lo sa la madre mia. Ugo, in
questo cofanetto ho i suoi gioielli, fuggiamo lontano.... "Chi siete?"
domanderanno. "Siamo esuli." "Di che terra?" E diremo: "Il saracino
Alzor disertò le nostre castella sulla riviera ligure." Fuggiamo
lontano. O mio Ugo, vivremo lontano da tutti! Ci benedica il romito.
--Affermano i boscaiuoli ch'egli è profeta: ci predirà l'avvenire.
--Ma chi più profeta del mio cuore? Ascolti, Ugo? Morremo d'amore!
Tra le vesti Imilda aveva trafugato anche quelle dei figli di Agnese:
Ugo si coperse con quei rozzi panni: Imilda si strinse a lui,
dicendo:--Tu hai pane nella bisaccia? Quando sarà finito, lo
domanderemo ai boscaiuoli, per pietà d'Iddio.--E s'incamminarono sulla
montagna: nel primo torrente in cui s'abbatterono Ugo gettò il suo
saio da cavaliero, e le calze, e gli usatti, esclamando:--Mi sento
buono!
E montanaro e montanara s'arrampicarono sempre più, sempre più
obliando che c'era un mondo basso nel quale la gente viveva in tanta
guerra, inconsci affatto che c'era un castello con un morto maledetto
e vituperato dai nemici, che c'era una strada sulla quale camminava
Oberto, ringhiando:--Che vita sarà la mia con Imilda?
Quella di Imilda con Ugo doveva essere.... felice?


CAPITOLO X.

Dal dì che Imilda è fuggita con Ugo è passato un anno, due.... Nulla
più nelle valli, nè a Saluzzo, si seppe di loro....
Solo il romito di Malandaggio ci tramandò su certi foglietti certe
notizie, che mi venne fatto rintracciare nell'archivio di Saluzzo. Ma
a che pro? Voi non ci credereste. Ebbene?
Sulle cime che dominano le valli di Fenestrelle, in cui si sbalza il
torrente Chiusone, il rovaio, spezzandosi nelle forre dagli acuti
ciglioni, dalle frementi profondità, stride cogli spiriti della
mezzanotte, abbattendo, indiavolando, storcendo. È nero il tempo....
Una donna appare! Chi è?... Ella rompe il lenzuolo nei vepri: ecco
svolazzano i brandelli sibilando. Si squarcia i piedi nei radiconi:
vaporano le pozzette di sangue col verde fumoso delle meteore. Cade:
ghignano le cortecce degli abeti colle boccacce rugose. Si lamenta
collo strido della lupa trafitta: l'alito suo, uscendo dalle labbra,
fuma come torcia di funerale notturno. Fanno tresca allo spettacolo
spirti glauchi, spirti bigi, spirti scialbi. I brandelli sono
lacerati, il vapore turbinato, le cortecce agghiacciate, l'alito
diffuso in nebbia inargentata. Ecco la tormenta!
Ecco la valanga! La donna ancora rompe il lenzuolo e si scopre
l'oscenissimo fianco.... Chi è? È Guidinga, la morta senza croce fra
le mani. Guidinga rotola le valanghe al Monviso, sghignazza al
Meidassa, le rotola al Glaisa, sghignazza al Genèvre, le rotola al
Chalierton, sghignazza al colle dell'Assietta.... Fanno tresca gli
spirti.
Prega il buon romito di Malandaggio che veglia tutte le notti e tutte,
perchè sono l'ultime di sua vita, ed a ogni parola di lui ecco un
castigo inflitto da Dio agli spiriti del male: quello colle aliuzze
crepitanti fu impegolato alla resina gocciante da un troncono, quello
punzecchiato colle foglie aghiformi di un pino, l'altro legato colla
coda ad un roveto, l'altro propagginato in una buca di calabroni.... O
Guidinga, o _madonna perduta_, se tu fischi verso qualche casetta di
montanari, è indizio di sventura!
Su, su, su: là nell'opaca foresta, che si distende a falde scendenti,
come un calderotto di pece riversato dalla montagna su si vede un
lumicino. Pare una favilla minutissima addormentata sull'immensa
fuliggine di una cappa ne' castelli. Può essere un fuoco acceso dai
folletti colle pergamene rubate al vecchio di Malandaggio, o un voto
fatto alla Madonna santissima, da qualche pastore: lume di finestretta
no, perchè le cime dei monti già sono nevose e i boscaiuoli già sono
calati nelle valli: eppure!
Giù tra i dirupi d'una frana s'ode una voce che dice:--Com'è lontano!
È voce d'uomo: non è grido di fiera, nè fragore d'acqua travolta, nè
rotta, nè corsìa di vento.
Chi può essere?... Oh vedi, un pellegrino!
O pellegrino della notte nera, ove t'inerpichi? Quegli cammina,
cammina. O pellegrino che cammini, perchè t'inerpichi e dove? Forre,
di qua, spaccate boscaglie di là, sentieri taglienti, tempo da lupi,
ora da spiriti: ritorna alla valle. O pellegrino che non ritorni alla
valle, dimmi chi sei?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .


Cammina e cammina. Il pellegrino è arrivato ad una capanna, su,
nell'opaca foresta.
La finestretta quadra gli sbatte addosso un po' di luce e lo mostra
qual'è, un alpigiano inferraiolato: la portella si apre
sollecitamente: ma oh! questa che spinge la robusta tavola di quercia
non è mano di montanara!... Qua nella stanzuccia di legno ecco appese
le scuri del boscaiuolo, qua due giacigli, una culla di poverissime
lane e nella culla un bambolino, qua entro quattro lastre di pietra
ecco un focolare vampeggiante.
L'uomo e la donna sfogano nei cupidissimi baci e negli abbracci
potenti la desolazione delle lunghe ore già deserte.
--Lodato Pio e i santi! O Silverio!
--Sono qui, o Maria!
--Tu non venivi mai!
Egli, pigliando a ciocche i capegli della donna e con quelli facendo
fascia maliarda d'amore al volto irrigidito, egli esclama:--Perchè
così sorridi?
Ed ella:--Perchè sospiri così?
--Mia Imilda!
--Ugo, ti aspettavo tanto!
Ecco adunque, come racconta il vecchio di Malandaggio, uniti il
cavaliero ardente e la promessa sposa di Oberto, un boscaiuolo e una
montanara, Silverio e Maria.
Ugo in due anni era cresciuto di corpo, dimagrato di volto, ma sempre
contento, come marito, come padre, senza più gli ardentissimi tormenti
pei deliri d'amante e di figlio. Ugo si volgeva al suo passato, come
tentava di specchiarsi nei rapidi torrenti dell'Alpi: un gran tumulto
che si perdeva, ecco il passato. Imilda a tutte l'ore ringraziava
Iddio: dalla cappella ardente era venuta alla placidissima casetta
della massaia! Imilda attendeva alla sua creaturina, alla capretta,
alla bisogna del pranzo e della cena, cantava sempre fissando il
cielo: e alla sera aspettava il suo Ugo che tornasse dai boschi. Due
anni erano scorsi in pace'.
--Ugo--dice Imilda, cambiando tutta quella, festa in una scena
placidamente dolorosa:--Dio sa come, anche oggi, fu affannato il tuo
viaggio, con questo gelo, sulle scoscese rive del torrente, senza di
me! Ma la mia solitudine! Oh sei qui: non voglio saper altro, tra le
mie braccia tenaci! Ugo!--E ad un tratto:--Perché dunque stasera
sospiri così? E perché non mi domandi della bimba?
--Perché non me ne parli?--Ugo tenta quasi schermirsi da tanto amore.
Ugo è triste e combatte per infingersi.
--Oh come io ti aspettavo, e come t'aspettava anche lei! Non voleva
chiudere gli occhi senza il bacio del babbo.--Imilda, gentile e sagace
interprete, vuole snebbiar la fronte del suo Ugo colle sante labbra
dell'angiolo custode.
--Dorme?
--Meglio che se posasse in culla d'oro. Non dici il tuo scherzo d'ogni
sera?
--Sì....--Ugo sorride, beato e tormentato da quella soave
violenza:--Lascia ch'io la baci, la mia castellanina.
--Messere, non siate scortese colle belle. Voi la svegliereste a
bacioni....--dice Imilda col tono di una gran dama, regina di venti
damigelle e cento paggetti, sporgendo il labbro inferiore, facendo un
inchino alla culla di legno e porgendo al cavaliero, perchè lo baci,
un lembo della sua gonna di pelli cucite: gioca fanciullescamente e
amorosissamente deridendo il passato: ma poi, fissando Ugo che non
l'asseconda, o l'asseconda come smemorato, poi con dispiacere e quasi
offesa:--A bacioni? No: è lo scherzo d'ogni sera, ma non l'abbiamo
detto.... Tu non l'hai detto celiando, come sempre....--Infine
incertissima:--Che cos'hai, Ugo?
Ugo con voce addolorata:--Baciala tu per me!
--Ugo?
--Imilda, prega il tuo angiolo che nel sonno dica a Dio una parola per
me!--Ugo, pentito di quel lamento che gli è prorotto, piomba in un
silenzio desolato.
E Imilda meravigliata e trepidante:--Ugo, che c'è? Tu guardi la cuna e
non sorridi? Tu sei pensieroso? Tu m'hai stretto a te, celandomi un
dolore--E con stringicore ineffabile, quasi a scongiurare un
pericolo:--Non sono la tua sposa? E perché l'angiolo nostro preghi per
noi, forse vuoi dire che le nostre orazioni non sono più quelle?
Ed Ugo affannato, ma sempre più facendosi forza, quasi per non tradire
un segreto:--Le tue sì, le mie....
--Che vuoi nascondermi?
--Lo sai.... Da un pezzo.... Sempre: c'è nelle mie orazioni un
rimorso!
--C'è nelle mie una dolcezza ineffabile!
--Imilda, rammenti quel giorno, dopo quello in cui ci sposò il romito?
--E non ci vedeva Iddio?
--Senti: quel giorno io spiai i tuoi piedi insanguinati nella corsa
ruinosa, il delicatissimo petto ansante di fatica, gli occhi spossati,
più che d'amore, di travaglio! Io ero vinto, vituperato, scomunicato,
fuggente, e potevo io dirti mia? Ecco il mio rimorso!
--E sapevo io resistere? Ecco la mia gioia!
Ed Ugo, titubando:--Ahi da quel giorno ad oggi!--e combattuto:--Non
posso dirti, e come! Mi tormento!--Poi ad una stretta di lei:--T'ho
detto.... il mio rimorso!
Ma Imilda:--No, no! Tu mi celi qualcosa! È un altro il segreto. E lo
so: stamane sei partito più presto, con un pensiero....--e
pregando:--Dimmi! Fu tanta la pace, che anche il dolore ci giunge
benedetto!
Ed Ugo risoluto e tremante:--Ebbene ti dirò. Sì, stamane sono partito
prestissimo, sì con un pensiero, una febbre, che mi tormentavano da
due notti. In questi mesi ho obliato, lo sai, ma l'anima talora mi
rigurgitava in petto, e volevo sapere qualcosa! Ressi a lungo, penai,
penai, poi non ressi più. Stamane, scendendo giù per le valli coi
boscaiuoli, boscaiuolo io pure, volli richiedere novelle di coloro che
abbiamo lasciato giù... Dopo due anni!
--Ah! perchè?--freme Imilda con rimprovero grave:--Perchè? Non ti
bastava il mio amore?
--O mia donna! passai il Chiusone, venni a Inverso, a san Germano, a
Torre di Luserna.--Ed Ugo rimane, palpitando dolorosamente.
Sospira Imilda:--La valle del Pelice ov'è il castello di mia madre!--e
china la testa, come pronta a subire il castigo della disubbidienza
del suo Ugo.
--A Luserna. Più oltre non osai! E come un rozzo villano,
indifferente, per il solo amore di un po' di pane, feci questa
domanda: "O buona gente, volete braccia? Vi è un signore potente, non
lontano di qui, il quale abbisogni di scuri per apparecchiare le travi
alle macchine di guerra? C'è forse quel signore? E come si chiama?" Oh
lo strazio di quella simulazione!
A questo punto gli accenti divengono procellosi,
--Hai saputo dunque d'Adalberto? di mio padre!
--Adalberto è vinto: Oberto è vincitore: Ildebrandino è morto.
--Morto?--così domandando, Imilda rompe in uno scoppio di pianto.
--Di altri non seppi. So che il mio tormento è grande, e tu piangi. E
so che Oberto....--Ugo ripete astiosamente, quasi aizzato dalle
memorie:--Oberto!
--Ebbene?
--Rizzi il capo a sentire il nome di colui? Oberto è nel mio
castello.... signore potentissimo!--Ed Ugo è straziato dalle sante
lagrime d'Imilda:--E la sposa? mi domandai. Non ha sposa. O Imilda,
s'io non ero il tuo dimonio, tu ora saresti madonna di grande stato,
moglie di Oberto, in belle sale, fra gentile corteo di damigelle. Ma
sei qui, con me!... Perche ho valicato oggi il Chiusone?--e con forza
gioiosa:--Ugo ritorna in me!
--Ugo!--rimprovera solennemente la donna:.--Dovevi lasciarmi nel fuoco
quel giorno! Non avrei oggi ascoltato questo!... Ugo!... Mio padre!
--Questo ti grava?--minaccia tristamente Ugo: poi sogghignando:--E sei
serbata ad ascoltare di più! Sappi dunque: che i traditori giungono
dappertutto: e Bonello che un dì fu pagato da Adalberto contro di me,
contro di noi può essere pagato da Oberto....
--Oh quel valente, no! Voi che dite così non siete cavaliere!--Imilda
pavida e sdegnosa dell'immenso pericolo ribatte il dubbio col
cuore:--No, no, Ugo!
E a quest'altro punto la procella si scatena tremenda, e Ugo si
percuote il petto, si rizza furiosissimo, immenso nell'amore e
nell'odio. Imilda si spaventa, e più è spaventata, più subisce il
fascino di lui.
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