Ugo: Scene del secolo X - 4

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pensando:--Com'è il mare?--si rispose:--Dovrebb'esser come l'anima
quando è in tempesta! Come l'anima quando sorge il sole!
E veramente per la prima volta sorrise....


CAPITOLO V.

L'indomani mattina Ugo era capo di un drappelletto di lance in
vanguardia, moveva al castello di Adalberto, e così parlava ad Aroldo,
un capitano di Gisalberto, che gli era accosto:--Io vi dico che la
sorpresa deve riuscire benissimo. Sentite: lo spione che inviammo colà
all'alba ne tornò dicendo essere il portone guardato bensì, ma pure
aperto per dare accesso ai carri che vanno e vengono da' vassalli per
le provvisioni, perocché il messere teme l'assedio. Dunque i pochi
balestrieri di Aginaldo girano per di qua e si presentano sotto le
torri, alla facciata secondaria; là l'offesa, là pure si concentrerà
la difesa, e intanto non vorranno cessare i carri e le carrette di
passare col necessario, tanto più che essendo debole l'investimento
non darà luogo a soverchie precauzioni. Si penserà, state sicuro, al
pericolo avvenire; quello della fame. Quando noi lance avremo il segno
di sbucare dalla selvetta, di rovinare giù al portone...
--Sentite o non sentite?--l'interruppe Aroldo:--St, st. Fermate i
cavalli. Sentite?
--Per l'anima di Oldrado, se è tromba! E i balestrieri non sono ancora
a posto!--meravigliò Ugo.
S'udì ancora uno squillo venire dalla banda del castello, ed ecco poco
dopo, alla svolta della strada, di lontano, comparire un gruppo di
cavalieri, coi pennoncelli spiegati.
Ugo si drizzò sulle staffe e disse a Aroldo:--Guardate che colori sono
quelli.
--Azzurro e bianco.
--Colori amici. I pennoncelli d'Ildebrandino. Ma come...?
--Tre cavalieri e due paggi da piede... cioè tre cavalli e quattro
cavalieri. Oh come ci sta a disagio quel messere! Su un animale due
cavalcatori! Che quella fosse fuga?
--Ma chi diede ordini così? A chi si obbedisce? Suonò forse il mio
trombetto?--e Ugo tormentavasi e già malediva i nomi degli altri
capitani.
Avvicinandosi la compagnia, poterono meglio vedere. Aroldo notava e
riferiva:--Conosco il cavaliero: è Oberto.
--Oberto?--e Ugo diede una rabbiosa strappata di redini al cavallo:
poi, per non farsi scorgere, accarezzò la criniera dell'animale,
dicendo:--Con questa furia atterreresti un portone!
--È Oberto con Bonifacio ed Eustachio.
Venivano, venivano: erano a pochi passi: s'arrestarono. Oberto
trionfalmente scosse la lancia, dicendo ad Ugo:--S'incomincia bene.
Facciamo suonare la vittoria nostra dalla bocca del nemico! Bonifacio,
mostrate che caccia si è fatta.
Il nominato saltò d'arcioni, e fece grandi sforzi per trascinare giù
dalla groppa del suo cavallo quel secondo cavalcatore, un uomo a
sarcotta discinta, a capo scoperto, il quale colle braccia piegate
dinnanzi si celava la faccia per vergogna, ed aveva al collo una
tromba. E dalli e dalli, pesta e ricevi, a conti fatti, il prigioniero
rotolò giù e fu messo tra due cavalli, intanto che Eustachio dal sacco
della sella apparecchiava una fune gagliarda... Era Guidello l'araldo!
--Messere,--disse, Oberto ad Ugo coll'aria di chi finalmente parla da
pari a pari:--lo zio voleva ch'io mi rimanessi alla scorta degli
artífici militari. I trabuchi e le manganelle li ho anch'io!--e
diedesi a muovere le braccia, come se rotasse uno spadone.--Mettete i
tardi e i vecchi alla guardia, i giovani alla battaglia! Dunque mi
cacciai giù al castello con due cavalieri, venni al ponte: il portone
era spalancato, e mi spinsi dentro! Trovo l'araldo che voleva dare
l'avviso dell'agguato: eh!
Ugo non lo lasciò finire è domandò:--Dov'è vostro zio?
--Dunque, Guidello lo afferro alla gola...
--Andate da vostro zio e ditegli che, facendo come fate voi, non si
guadagnano più gli speroni d'oro. Croce di Dio! chi diede ordini così?
A chi si obbedisce?
Oberto sbuffò tra i denti:--E messere Ildebrandino non sapeva e non
doveva essere capo?--e in cuor suo diede tante bestemmie ad Ugo che a
volersi questi redimere non bastavano le limosine di tutta cristianità
al santo sepolcro. L'irrequietudine dell'età, la baldanza di
affrettare quel giorno in cui comandasse a vece d'Ildebrandino, la
brama di cose nuove, l'inferiorità sua in confronto di Ugo, erano
dardi fitti nell'anima di Oberto. E l'amore! Messeri sì, l'amore per
Imilda! E ad Imilda doveva comparire innanzi come uno scudiere
frustato! allo zio come un traditore dell'impresa! ai duci come
indegno di cavallerìa! Oh messere Ugo! Ma Ildebrandino non sapeva e
non doveva essere capo!
--Conducete il prigioniero a Rupemala--aggiunse Ugo:--e fatelo
guardare.
Il quale Ugo, dopo che ebbe detto ad Aroldo e alle lance che lo
seguivano:--Corriamo ad avvisare i balestrieri--stringendosi
fieramente sul cavallo, alla tempesta della corsa per la montagna
associò una furia di pensieri giù per il precipizio della gelosìa. Se
un indovino gli avesse detto:--Messere, c'è una donna!--Ugo avrebbe
risposto:--Quante tratte di corda vuoi per metterti a luogo la
testaccia?--Eppure! Così bolliva sordamente:--E dire, o giovinettino,
ch'io ti facevo solo buono a toccare il salterio e a startene sul
cuscino ai piedi del seggiolone! E mi giuochi di quelle imprese
arrischiate! Rompi i comandi, ti cacci a dirotta sul terreno nemico,
con due lance!... Eh se t'avessero chiuso dentro al castello e
squartato come un traditore? Il tuo coraggio deve piacere! Con due
lance? E non ti acconci ad ungere le ruote delle manganelle? Altro che
leuto! Ma sei bello, e suonavi bene lo strumento e t'atteggiavi ai
piedi del seggiolone! Morte dell'anima mia!--Fremeva Ugo, sentendosi
addoppiare il cuore da un nuovo tormento:--Madonna Imilda ti guarda e
canta al tuo suono.... Galoppa, galoppa, o mio morello: stringetemi a
sangue, o maglie! Perché non si combatte?... Che voglio dirmi? Che
voglio scoprire in me? Ugo non deve saperlo!... Padre, Guidinga,
supplicate voi ch'io sia ferito a morte! Suona, Aimone!... Ci sarà
fragore, pugna, sangue, ma in me sempre una colpa, un rimorso, un
tristo serpente!... Ugo non deve saperlo! O solo quando Ugo ne rida!
L'audacia di Oberto danneggiò le operazioni militari divisate. I
balestrieri, i quali con Guelardo s'incamminavano a disporsi, vedute
le lance con Ugo che movevano verso di loro, credendo che quelle
avessero dei nemici alle spalle, si diedero alla fuga, precedendole
nella direzione che quelle avevano preso nel corso, e così
oltrepassarono la facciata secondaria del castello, poi, trovato il
terreno scosceso, mutarono cammino e presero a salire la montagna per
nascondersi nelle macchie, e per quanto le lance gridassero ad
avvertire Guelardo di ritornare, continuarono scompigliati. Dal rumore
delle trombe e dalla voce tremenda di Ugo avvisati gli arcieri di
Adalberto, salirono sulle torri o incominciarono un formidabile
saettamento.
--È così!--diceva Ugo:--A chi dobbiamo gratitudine per questo
cominciamento di pessimo augurio?--E fu contento di
rispondersi:--Vituperato le mille volte quell'Oberto!


CAPITOLO VI.

Due dì dopo, di buonissima ora, era incominciato il combattimento
sotto le mura di Adalberto. Si erano mandati innanzi i balestrieri, i
valentissimi di messer Aginaldo, con Irnando, coll'ordine di
principiare l'offesa su un lato per ingannare il nemico, facendogli su
quello concentrare la difesa: poi venivano le torri e le macchine
balistiche con robuste travi, e queste dovevano investire dai fianchi
più deboli: poi cento saluzzesi, forniti di scale e armati di scuri,
con Eleardo, i quali avevano comando di starsi appiattati nelle
boscaglie per correre ad un segnale al ponte e al portone: poi i
cavalli e i fanti: c'erano Ildebrandino con Oberto, Ugo, Aginaldo,
Gisalberto, Baldo.
Ildebrandino e Oberto stavano colle macchine da un lato verso la
valle. Ugo dal lato seguente, in direzione del castello
d'Ildebrandino, e con lui c'erano Gisalberto e Aginaldo. Baldo doveva
guidare le lance e i fanti.
Ugo, legato il cavallo a un troncone delle moltissime piante, tenevasi
dietro ad una torre di legno, e badava a rotolare i massi che si
spaccavano dalla montagna sotto la tempesta di certe azze montanare:
li rotolava verso la maggiore petriera, e dava loro l'augurio:--Tu
pari fatto apposta per piombare sull'elmo di Adalberto. Tu se colpisci
come so io, vali tant'oro quanto pesi!--E via, e via, aiutava, più
come fante, gli armati d'Ildebrandino, che come capitano della
spedizione, faceva cuore ad essi:--Da valenti, assestate la trave,
tirate la fune! Da valenti, giù, giù, giù!--E il colpo partiva. Dopo
messere levava il volto su ai battifredi, si toglieva l'elmo e lo
buttava a terra, dicendo:--Sbalestrate anche questo, chè io non temo
le frecciate!--rialzava la faccia e chiamava:--Vedeste? Più a dritta o
più a mancina? Quando siamo a tempo! Voglio balzare con voi sul
battuto! Dite, Aginaldo!
E quelli dall'alto:--La muraglia cede. Dalle balestriere vien giù
l'inferno, ma i nostri arcieri non indietreggiano di un passo. Santa
Maria! Seguitate! Su una torre è sbucato Adalberto! Fate avanzare le
macchine!--E gli armati che erano sul battifredo, si precipitarono giù
dalle interne scale di esso, perchè fosse più leggiero; e,
attaccatigli cavalli dai lati, e dietro spinto da Ugo, Aginaldo,
Gisalberto e da molti fanti, quello si avanzò, tentennando
maestosamente, fino a dieci passi dal fossato. Arrestatosi, gli armati
s'incalzarono per salirlo, gridando:-Calate il ponte!--Era il ponte
una lunghissima tavola, sostenuta da catenoni, la quale si abbassava,
precisamente come i levatoi, a mettere in comunicazione la piattaforma
del battifredo colle mura nemiche.
--Calate il ponte!--gridavano ancora Gisalberto e Aginaldo, correndo
sulle strette scale.
--Maestro Sega, mettete i contrappesi!--comandava Ugo con poderosa
voce:--Girate le ruote e tendete le corde!--Ma non vedeva il maestro.
Gli armati nell'ardore dell'assalto udirono quel comando, e credendo
fosse ubbidito, o, a meglio dire, fremendo unicamente per menare le
mani, erano giunti all'alto. Aginaldo liberò un catenone, poi l'altro,
nè tenne la fune del ponte perché abbassasse a poco a poco, ma lasciò
andare. Gisalberto esultava:--Investiamo con impeto!
Al basso Ugo ancora affannosamente minacciava:--I contrappesi o la
dannazione eterna!--ed ecco ficcando intorno gli occhi, gli venne
veduto il maestro orrendamente schiacciato nel terreno e dimezzato il
corpo da una rotaia sanguinosa: una freccia gli era confitta al petto.
--Cavalieri!--ebbe ancora cuore di urlare Ugo:--tenete i catenoni!--ma
non aveva ancora detto, che ecco la torre barcollò verso la fossa....
Egli che si stava attaccato ai congegni delle ruote posteriori fu
balzato a cinque passi sul terreno: la torre con fragore di ruina
schiantò il ponte contro le mura nemiche, e precipitò nel fossato
Gisalberto, Aginaldo e quanti armati v'aveva. Nel castello suonarono i
pifferi a scorno e dalle feritoie i balestrieri levarono grida di
vittoria... Si scosse Ugo, dolorosissimo, e ancora incerto di quanto
era accaduto, ancora imprecava:--Maestro, v'hanno pagato per
tradirci?--Si volse su un fianco e vide gli uomini che, abbandonate le
petriere e le manganelle, accorrevano animosissimi, giungevano alla
torre, vi s'arrampicavano come gatti, tentavano di unghiarsi alla
muraglia: ma la muraglia restava troppo alta e non dava appicco;
piovevano gli olii e la pece, guizzavano d'alto in basso le punte: e
chi degli assalitori rifaceva il cammino: chi era incalzato: chi
incontrato: e chi piombava nella fossa: e chi, avvinghiato al legname,
si spenzolava!... Intanto sopraggiunsero i fanti e i cavalli che erano
indietro.
--Avanzate le manganelle! Se il ponte c'è, per Dio! fate la
breccia!--tuonava Ugo, tentando di rizzarsi dal terreno sul quale lo
inchiodavano le doglie.
Cominciarono poco più di dodici uomini, incontro alle frecce nemiche,
a trascinare le macchine e a caricarle di sassi, e a porle da
assestare i colpi. Presero a farle giuocare: un proietto percuoteva
nelle mura, l'altro nella torre, sconquassandola e facendola sempre
più piegare, e i nemici ridacchiavano e ululavano i troppo presti
assalitori così sfracellati dagli amici.
Ugo, non sapendosi persuadere che fosse desto, così com'era senza
l'elmo, si tormentò fortemente la faccia, poi si rotolò davanti a una
pozza d'acqua, e in essa tuffò il capo per averne refrigerio.
Accorrevano in quella Oberto ed Ildebrandino, e venivano dall'altro
lato del castello, investito dalle petriere e dai trabuchi, a portare
la trista notizia che troppo deboli erano le macchine, nulla si era
potuto fare, dalla porta deretana avevano dato il passo ad una banda
di nemici, combattendoli sì, ma non sperdendoli. Tutti credevano che
questa masnada fosse venuta alle spalle di Ugo per distruggere le
torri di legno.
Oberto incominciò a meravigliare:--Come? Qui non ci sono i nemici?--e
vedendo, alla lontana, Ugo disteso bocconi:--Messere,--disse allo
zio:--è morto!
--Chi?
--Ugo. Si storce nell'agonìa. Guardate!
Ildebrandino per dolore volse via la faccia esclamando:--Oh la libertà
delle nostre castella!--e vivamente:--Ma i nemici non sono venuti per
di qua?
--Tutto non è perduto, messere. Fate lavorare le scuri al ponte!
--Ugo è morto!
--Fate in vostro nome!
E tutti e due galopparono oltre, per un pezzo, verso le macchie: ad un
tratto ecco sul cammino loro incontro il trombetto di Ugo.
--Che avete?--domandò Ildebrandino.
--Lasciatemi, chè ho grandissima furia!
--Che avete?
--Devo parlare a lui!
--Ugo è morto! Mi riconoscete?
--Morto?
--Morto di punta--confermò energicamente Oberto.
--Santa Madre di Dio!--proruppe il trombetto:--Torno dall'inseguire un
traditore accorso di lontano, che poco stette mi mettesse lo
scompiglio nei saluzzesi! "Messere! dov'è Ildebrandino?" gridava egli
per farci abbandonare l'assalto: "L'ho difeso quanto ho potuto! ho
difeso madonna! ma il castello d'Ildebrandino è in mano dei nemici!"
Oberto e lo zio furono lì lì per rovesciarlo d'arcioni.
E quegli seguitava:--Ma dite! Il capitano è morto?
--Pensiamo ai vivi--rispose irosamente Oberto.
Lamentò Ildebrandino:--Che si è fatto da Aginaldo? Da Gisalberto?
Baldo ancora aspetta coi cavalli! Che aspetta?
In quella quattro uomini, gittando l'armi, venivano per la montagna,
abbandonate le macchine e lasciati vilmente i compagni. Come videro i
cavalieri e il trombetto Aimone, certo si sentirono a mal punto, il
perchè due ad alta voce dissero a giustificazione:--Aginaldo e
Gisalberto sono morti! Aldigero, Ugonello, Oddone, sono fuggiti alla
valle!--e con artifìcio:--Voi che avete tromba, dove siete stato? Il
capitano ci mandò in cerca di voi. Presto, suonate! ad avvisare i
saluzzesi!--e si dispersero nel bosco.
--Dio volesse che fosse come voi dite!--lamentò Aimone.
--Pensiamo ai vivi--replicò Oberto con ambizione:--Due dì fa l'impresa
fu cominciata da tale che aveva sproni d'argento!
--E con quel tale io la compirò!--comandò lo zio:--Vi faccio cavaliere
d'arme! Voi sarete tanto valente che sbatterete la testa di Adalberto
sul ponte di Rupemala a orrendo giuoco dei mastini!--e così
proclamando in atto di solenne promessa volse il capo nella direzione
del suo castello. Una nube nerissima, a vortici rigurgitanti, dal
sotto in su insanguinata da riflessi guizzanti, si levò dal basso del
monte, roteando nella valle.
--Oberto!--gridò Ildebrandino, afferrando il nipote per un braccio sì
fortemente che quasi lo fece staffeggiare:--E non diemmo le mazze sul
capo al malaugurato! Guarda! La masnada era corsa la!
Oberto guardò e non riuscì che a dire:--E potemmo lasciare sola
Imilda!
Il trombetto si toccò la spada, dicendo, come ad ammansarli col
pensiero di vendetta:--E affermava dunque il vero quel traditore! Ma
gli ho pagato l'ambascerìa quanto valeva: tre stoccate sulla testa
tanto vecchia e tanto pelata! E ancora parlava! "Ho difeso!" E voleva
dirmi il suo nonme, e lo disse, ed io lo bandirò per vitupero dei
traditori: Federigo saluzzese.
--Il mio fedelissimo servo!--urlò lldebrandino: e Oberto spronava al
suo castello.
--Tu l'hai ucciso! Vitupero a te, figlio di bifolchi! Non conosci i
forti e i fedeli?... Oberto! Oberto! attendimi al tuo fianco!... Tu
l'hai uccìso? E tu mi tradisci?... Oberto! Oberto! Noi due soli? E i
nemici quanti saranno? Ah! quelli cui diemmo il passo! E Federigo
perchè lasciò Imilda? Forse che tutto era già perduto? Ma quelli che
appiccarono il fuoco, non sono nemici di tutti! Dunque su tutti!...
Suona la ritirata, o araldo, suona poi a raccolta e muoviamo al
castello!... Oberto! Oberto! attendici! Saremo più di cento lance!...
Suonate la ritirata, suonate, messer l'araldo! Suonate, per
pietà!--Così finiva a supplicare il cavaliere, quasi impazzato, e
pregava, alzando la mazza, e minacciava a mani giunte, e strappava le
redini al cavallo per raggiungere Oberto e le strappava per accostarsi
al trombetto.
Aimone avrebbe le mille volte voluto una freccia a forargli le
orecchie, piuttosto che quelle parole a straziargli l'anima, e
chiamava il capitano che lo conducesse al furore di una zuffa,
così:--Messer Ugo! Ditemi che non è morto! Perchè mi partii dal suo
fianco? No, fu lui che mi mandò ad Eleardo! Messer Ugo!...
--Suonate, la ritirata!
E l'araldo dolorosissimo:--Oldrado non mi diede mai questo comando!
--Dopo fate a raccolta!... Oberto! Oberto!
--E se messer Ugo tornasse?
--Anche là al mio castello sono i nemici di tutti!
Il trombetto si disse con risoluzione guerresca:--La voce del capitano
è la tromba: udite la voce--e squillò, verso il monte.
--Che segno è questo?--domandò trepidante il cavaliere.
--Quello che avvisa i saluzzesi di accorrere al portone!--disse
superbamente l'araldo, e suonò verso la valle, e vide che dopo lo
squillo si muoveva un drappelletto di cavalieri... Che? Un'insegna?
Un'insegna quadra di comando. Fosse...?--Era l'insegna dì Ugo. Aimone
staccò la tromba dalle labbra e guardò. Per una via Ugo veniva. E per
un'altra Ildebrandino cacciavasi a rovinosa corsa dietro ad Oberto....
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Alla mattina di quel giorno, nel castello d'Ildebrandino, partiti i
cavalieri, lasciandovi poca scorta, madonna Imilda era scesa nella
cappella. Oh sì eh'ella aveva grandissimo bisogno di conforto!
--O Signore, o Vergine santissima! Fate che il padre mio mi torni salvo
dall'armi! Almeno il padre! Oh come vi prego! Tu che sei interceditrice
potente, e tu che tutto ascolti!... Se ci fosse anche la madre mia a
pregarvi! Come la vorrei accanto a me!--E Imilda piangeva
dirottamente:--Ella m'avrebbe salvata da questo tumulto! Vedi, anch'io
vorrei esser tra l'armi, per udire quel grido:--vittoria!... Vergine
dolcissima, tu sorridi a me che piango? E tu che sei Dio hai voluto per
immenso gaudio avere in eterno la madre! A me l'hai tolta! Salvatemi il
padre, che mi protegga!... Che sarebbe d'Imilda deserta nel castello
degli avi?... Deserta?... O Signore, per un'altra persona io ti prego,
per Oberto... Oh ma sarei deserta senza padre, sola nei lunghissimi
giorni dell'abbandono! Oberto, povero Oberto, da tre notti non ho più
cucito la tua fascia... Qual tormento, quale dolcezza novissima in me!
Tu non sai! E se sapessi!... Ma che ho fatto? Che ha detto? Perché basta
uno sguardo, una compassione, una lagrima?... Una vita infelice!--E
Imilda fremeva tutta: e taceva, non osando nemmeno a sè stessa
confessare il grido dell'anima combattuta: poi--A Oberto m'aveva
promessa il padre: ed ero contenta, e sarei stata tranquilla... O
Madonna, che voglio dirti? Che vuoi ascoltare? Non so... voglio...
vorrei... devo, oh sì devo! come cristiana, pregarti per un altro
cavaliero: devo, come nata da liberi castellani, pregarti per il capo
dell'impresa! Egli ci rende tutto! Ed è valente, e cortesissimo....
Perchè sorridi, Vergine santissima? Non so, ma mi sorridi, come mai non
facesti. Ah perchè anche tu lo scorgi benigna? E fai bene perchè mi fu
detto ch'egli è infelice. Io sento che è infelicissimo! Non conobbe la
mamma sua. Tu che sei la mamma di lassù fagli conoscere almanco... una
sorella del suo dolore! E fammi grazia: disponi sì che ci sia un'altra
giovinetta, bella e religiosa più di me, la quale preghi per Oberto.
Così tu potrai esaudirla... Io sono... Io non so!.... Mi trovo
irrequieta.... Ah tu sai ed esaudisci! Mi trovo tormentata! Amo messer
Ugo! "Chi siete?" "Sono il figlio di Guidinga"... Ugo!
Imilda era nella cappella da un pezzo e così pregava, quando nella
corte ecco un grido spaventato, e un altro! Imilda si fa in piedi
tremante, corre sotto un finestrone aperto.--I nemici!--ascolta la
voce del vecchio Federigo:--Salvate madonna!--ed ecco ancora:--Fuoco!
fuoco!
La vergine, come a luogo di rifugio, si butta ai piedi dello altare,
scongiurando con fiero rimorso:--O Signore, salvate mio padre! Come vi
ho pregato? È il mio castigo dunque così pronto?--ed ode ancora un
rumore di pugna, e uno sbattersi fragoroso di porte, e un correre
affrettato su nelle stanze, e voci diverse, e tra tutte una irosissima
che comandava:--Balestrate fuoco nelle finestre!--e un'altra:--Se
tutto arde che ci rimane di bottino?
--Combattete!--gridava Federigo agli uomini del castello:--Giuratemi!
Alla fantasìa della fanciulla si presentò tutto il castello invaso da
una turba di lupi e da un torrente di fuoco: e qua sotto alle scuri si
sfasciavano gli usci: e qua si massacravano i servi: qua si sforzavano
gli scrigni: dappertutto si portava ruina: e le fiamme divampavano più
e più, alimentate dai cadaveri friggenti: e il fumo soffogava
assalitori e assaliti. Chi precipitava dalle finestre: e chi dalle
finestre entrava: chi si trascinava a morire sulla soglia, per avere
fiato: chi impedito nella fuga o nella corsa di conquisto da qualche
ferito pregante, gli faceva somma grazia o di una stoccata o di una
maledizione... Venivano, venivano i furibondi! La camera del padre era
deserta: lo scalone, il corritoio, lo stanzone dell'arme...--O
Signore! la fanciulla se li imaginò al lume delle torce incendiarie
nell'andito lunghissimo che conduceva alla cappella! Venivano,
venivano!... Almanco le fossero già alle spalle, l'avessero già
afferrata: ella si sarebbe trascinata all'altare, chiamando la
Madonna! Ma oh come invece erano lenti e terribili! E che portava quel
mostro? Dio! la non vedesse! Portava una testa sanguinosa!... O padre!
O Ugo!...
La povera vergine, esterrefatta dall'atrocissima visione, si rinversò
con abbandono ai piedi dell'altare.--Non sia vero!--Fu scossa. Di
nuovo la voce:--Balestrate fuoco nelle finestre!--E un'altra:--Sulle
vetriere c'è su dipinta la croce: lì è la cappella.--Ancora la
prima:--Sconficcate le inferriate!
Imilda non ascoltò più, ed aggrappandosi ai gradini, discinse le
chiome, le scompose, con quelle si velò il volto per pudicizia, poi
ancora, ma più rassegnata, scongiurò:--E se vuoi mandarmi la morte! fa
che non sia vergognosa!
In quella al di là della porta del sacro luogo s'udirono due pedate
affrettatissime e caute, e queste voci, diverse da quelle
prime:--Capitano, qui c'è la cappella. Gli ori e gli argenti sono
nostri. Non fate chiasso. Io provvederò--e fu chiusa la porta per di
fuori e tolta la chiave.
--Voi, Ingo, guarderete le finestre, e l'impresa avrà fruttato
qualcosa, vi pare?--Dopo più nulla.
Poi nella corte:--Oibò! guardate dal porre mano sulle cose sacre! C'è
su scomunica di pontefici sommi. Via, dalle inferriate, marmaglia!
Ma più poderosa gridava la voce:--Balestrate fuoco nelle finestre!
dappertutto!
Madonna Imilda per somma grazia della Vergine santa aveva perduto i
sensi.
Quando dopo un pezzo risentì l'angoscia della vita, si trovò
avvinghiata fra le braccia di un cavaliero. Era suo padre? Era Oberto?
Era un nemico?... Il primo pensiero che le si affacciò fu questo
tremendo:--Quanto castigo! Almeno Ugo sia morto nella pugna! Ugo
tristissimo!
La vergine spossata levò la faccia... Oh sì l'angoscia della
vita!--Sei tu!
Era Ugo il cavaliero.
La cappella ardeva tutta: la porta infiammata vedevasi parte
cadente, parte squarciata, parte a terra. Al di là ecco la voce
d'Ildebrandino:--È qui! È salva! Oberto la tua sposa è salva!--Con
queste parole il vecchio credeva aggiungere maggiore gloria al
fatto di Ugo: ed adempiva ad una promessa tra la sua donna morta e
il morto padre di Oberto.
Ugo lanciò uno sguardo alla porta, e parvegli vedere il volto di
Oberto, lo vide, e parvegli che le fiamme gli fischiassero il pensiero
di quello:--Imilda nelle braccia di Ugo!
--Sì!--esultò, come Lucifero, il cavaliero tormentato e tormentatore,
in un minuto solo di trionfale passione e di vendetta! La salvata gli
avvelenava la faccia coll'alito scottante, e la persona coll'abbandono
delle membra, insidioso e annuente.
Oberto mosse un passo, ma arretrò soffogato. A quel solo movimento di
lui, Ugo addoppiò la stretta al corpo d'Imilda, e fu ventura ch'egli
non inciampasse, ubbriacato dalla malìa di quel peso: poi la spinse
verso le fiamme, con atroce disegno....
--Di qui passerete un giorno sposa!--lamentò Ugo.
--Può essere la porta che conduca al paradiso o all'inferno!--susurrò
Imilda.
Oberto mosse un secondo passo.
--Pietà!--stridette Imilda.
--Non sai morire?--tempestò Ugo nell'anima, scagliò a terra l'azza, e
rise.
E veramente per la prima volta sghignazzò.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Come Ugo era accorso nella cappella?
Rifacciamo un po' di cammino, tornando al luogo della battaglia.
Lasciammo Ugo, sbalestrato a terra, vicino alla pozza d'acqua,
stordito ed ammaccato. Quand'egli ebbe levata la persona e guardato
intorno nel bosco folto ed altissimo, vide fanti e cavalli fuggenti
per ogni direzione. Non scorse però nè Ildebrandino nè Oberto che
volavano a Rupemala per un cammino assai basso e nascosto. Il dolore
dell'anima in Ugo la vinse sui dolori del corpo, perch'egli
disperatissimo si diede per riannodare tutta quella gente
scompigliata, ma invano. Gridavano in cento:--Oh quanti morti! Sarà
gran ventura se domani avremo le gole salve dal capestro. Fummo
traditi! Messer Baldo e Ildebrandino già lo dissero. Fummo traditi!
--E chi il traditore?
--Traditrice la poca esperienza degli anni in voi.
--Morire domani? Oh non è meglio cercare oggi un ultimo sforzo di
vittoria e gloriosa vittoria?
Ma i dispersi erano troppo spaurati dalla gravità del fatto commesso e
dai casi della mattina... Ugo gridava... A un tratto ode uno squillo
di tromba.--Il segnale ai saluzzesi! Suono come questo non può uscire
che dalla tromba di Aimone! Demonio! che suoni di là, dall'altra vita?
Non è più tornato! E chi mi disse ch'è morto?--sclama Ugo, e sorge sul
suo cavallo e rizza l'insegna, e, mostrando la faccia audacissima e
disarmata, chiama intorno a se tre o quattro lance accorrenti, Aroldo,
Bonifacio, Eustachio, trova Aimone, muove alle macchie, scavalca,
solleva i saluzzesi, e solo si precipita al castello.... Che? Nessuno
vorrebbe credere, ma è così! il ponte levatoio calato. Ugo, strappata
la scure a un tardo soldato e datagliela sul capo, si mette a lavorare
contro il portone, con braccia poderosissime, tanto più quanto più
dolorose. Accorrono a lui fanti. L'insidia tremenda! ad un tratto si
scuotono i catenoni e il ponte si solleva. Ugo, perduto l'equilibrio,
piomba all'indietro e per somma sua ventura, siccome non vi era
sbarra, rotola nel fossato.
I fanti volsero le spalle per fuggire, ma il legno inclinantesi
all'insù li fece sdrucciolare giù al portone, ove tutti in un fascio
si maledirono orrendamente schiacciati. Ugo si abbranca ad uno dei
ritti che sostengono il ponte quando sia calato, e quivi, chiamando e
richiamando, giunge a farsi porgere una lancia da Bonifacio. Appena in
salvo alla riva, non trovando più il suo cavallo, stramazza d'arcione
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