Ugo: Scene del secolo X - 2

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--Sì: e giacchè avete parlato di sparviero, sia ad instituzione collo
sparviero.
--Collo sparviero.
--Giurate.
--Giuro a messere Domineiddio.
Poi spaventoso Adalberto corse per tutto il castello, e, ghignando,
entrò nella stanza di madonna Guidinga....
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il signore di Auriate, quando furono introdotti nella sua sala della
torre Guidello ed Ingo, si levò impazientissimo, interrogando:--E
così, araldo?
--Con la grazia somma--rispose Guidello:--io ho salve l'ossa, voi la
onoratezza di cavaliero.
--Come andò?
--Il sagrato ci parve una benedizione del cielo: spiegai il bando e
diedi l'avviso.
--Chi accorse? Venne Ugo?
--Messere sì, c'era Ugo.
--Dunque?
--Con Ugo, lo scudiero: c'erano messere Ildebrandino, messere
Aginaldo, messer Baldo, con certi uomini di facce così sinistre!... Il
chierico bisbigliò un esorcismo di tutto cuore, ed io di tutto cuore
risposi.
A questo punto anche mastro Ingo entrò interlocutore:--Cavaliero
potentissimo, mio padrone, vi dico che qui ai vostri comandi scrivo
quanti malefizi volete, ma quando tirano cert'arie ai quattro
venti....
Gridò il signore:--Dì su, Guidello.
E l'araldo:--Vi dico: vidi l'Aimone d'Oldrado, con quel ceffo di cane
rabbioso!
--Chi ti parla di scudieri?--interruppe sdegnosamente il signore:--E
chi ti dice che quelli siano a sproni d'argento?
--Messere, dico per dire.
--Parla di quei dappochi coi garzoni di falconerìa, e tieni le loro
imprese per narrare quando i miei servi stregghiano i somieri.
--Fatemi perdono.
--A un patto, Guidello: che la tua mano un dì o l'altro corregga la
scappata della lingua. Hai capito?
--Presto capito, e presto fatto con l'aiuto del mio santo protettore.
--Dunque c'era Ugo. E disse?
--Nessuno dei cavalieri parlò.
--IL bando fu pubblicato a tutte le castella?
--Messere sì.
--Senti, Guidello, tienti bene nutrito e conserva buon petto. Orvìa--e
messere prese una borsa dal tavolaccio:--La gola è asciutta: a voi.
--Ecco qui--disse l'araldo e cavò di petto alcune monete di rame, le
noverò, poi, dandone una metà al chierico che gli stava serrato alle
coste, cupido come un bracco alla ferma:--Che mi rimane?
--Ma c'è il padrone che pensa. Vanne, Guidello, chiedi a Filippuccio,
e quegli ti condurrà dove c'è mensa rizzata.
Si mosse con reverenza l'araldo, e si mosse anche il chierico.
--Ingo,--lo trattenne il cavaliero:--restate, chè ho da parlarvi.
Ingo, già stizzito per la paura, per il poco guadagno e per la tolta
speranza di una cena, fece visino sorridente, e piegò la persona a
un--V'obbedisco.
--Ho d'uopo--disse il messere:--della vostra saggezza e del vostro
buon volere.
--Se voi comandate così, mi compiaccio assai: la saggezza a pro di
ricco e nobilissimo conte, come voi, deve sempre essere accompagnata
dal buon volere di saperla così ben usata.
--L'astrologo m'è diventato un fanciullo.... Nella vostra camera voi
avete certi rotoli antichissimi di pergamene.
--Signore sì, certe disquisizioni dei latini.
--L'astrologo non sa suggerirmi.... Erano valenti questi latini?
--Oh pensate, messere, sono i maestri del mondo.
--Sta bene. Che cosa insegnarono?
--Messere, di tutto.
--E a petto di quello che dicono questi maestri nessuno sa schermirsi?
--Ai nostri tempi, no certo. Nell'abbadìa io sentii dire da frate
Giocondo che noi siamo più rozzi degli ungari, e so che cinque frati
altro non facevano tutto l'anno che copiare certi e certi codici
sbiaditi di Cicerone che valevano un archivio e mezzo: e tanto mi
raccontò l'abbate, che appresi l'arte della lettura per desiderio, poi
quella della scrittura, ed ora vi dico che mi lagno d'avere soli due
occhi che bastano a leggere poco, e vorrei che ci fosse un inchiostro
d'oro fino stemperato per potere con quello scrivere certe sentenze
antiche, le quali sono la magnificenza istessa di Salomone.
--L'astrologo non sa suggerirmi.... Ingo, dite, e i greci?
--I greci furono popolo artistico e coltissimo.
--Avete rotoli vecchi di quelli?
--Messere, se vorrei averne! Ci fu Platone che scrisse degli Dei, come
se li vedesse, ci fu Aristotele che disse tanto dell'anima, quanto un
dottore di santa madre chiesa, ci fu Socrate che morì, bevendo il
veleno con tanta filosofia....
--E non sapeva farlo bere agli altri?--interruppe Adalberto, così
mostrando la sua intenzione.
--Socrate era filosofo stupendo. Se vorrei averne di quei rotoli! Ho
solo un discorso che è un pozzo di sapienza! Se lo vedeste! Un
manoscritto che mi costò un anno di lavoro nella cella, ma riuscì così
nitido, così corretto, a facciuole di santi e di beati, che sono cose
da mettere su un altare, se quel sommo non fosse pagano, e l'anima
dannata, com'è!
--Non sapevano farlo bere agli altri!--risolse Adalberto:--Ingo, io
vorrei un greco, un latino, o un dimonio che fosse diverso da quel
vostro filosofo stupendo.
--Ho capito.
--L'astrologo è diventato un fanciullo. E perchè non vi abbiate a
pentire, Ingo, d'avere due soli occhi, vi do di che allegrarli a
sazietà: queste le sono monete d'oro: ma l'oro non stemperatelo in
inchiostri per onorare di fregi le chiacchere disutili dei morti,
tenetelo per, voi che siete vivo. Avete capito?
--Ho capito!


CAPITOLO II.

Pel giorno di Pasqua di Resurrezíone, nella chiesa del castello
d'Adalberto, diceva la messa un frate, e ad ascoltarla vi era il
signore su un seggio, a destra dell'altare maggiore: a sinistra cinque
cavalieri, in piedi, con più di cinque paggi in seconda linea, e di
questi chi recava lancia, chi vessillo, chi coppa, e via, a seconda
dell'omaggio che doveva rendere il proprio padrone. Messer Adalberto,
perchè in quell'ora si gloriasse di tutta la sua dignità, vestiva una
maglia lucente, a maniche, cappuccio e falda assai lunga, portava
strisce di cuoio rinforzate da piastrelle di acciaio intorno alle
gambe a stringergli i panni ruvidissimi e attorcigliati, scarpe acute
pure di maglia, e speroni d'oro da combattimento. La spada a croce,
col cingolo d'arme, e un cerchio comitale di ferro, gli erano accosto
su un tavolaccio di faggio, sul quale anche si vedevano certe collane
disusate, gli emblemi della perfetta cavallerìa degli avi, da Brunone
suo a Sannuto, l'antichissimo fondatore dalla stirpe dei lupi
d'Auriate. I vassalli comparivano quali in quel dì dovevano, cioè
spogli di tutte le insegne che accennassero vita guerresca disgiunta
dalla obbedienza al signore: avevano tonache succinte, corte, aderenti
alle braccia e al busto, calze strette in gamba, di colore oscuro,
usatti neri, puntuti, senza calcagni e senza lacciuoli.
Finita la messa, Adalberto si alzò, e fece cenno al maestro Ingo, il
quale spiegò una pergamena: Guidello, divisato coi colori del suo
signore, entrò, recando bastone e tromba, e su quello legò il bando
pubblicato la settimana prima: poi si pose dietro il seggio di
Adalberto. E questi, appoggiandosi con fierezza ai bracciuoli, si
drizzò in piedi, come per degnazione, levò la destra all'altezza delle
teste, quasi per deprimerle, e--Cavalieri,--disse:--quello che lesse
il nostro araldo è quanto noi pensammo e pensiamo. La festa fu
celebrata nella chiesa a maggior lode di Dio, il quale ci diede il
potere.--Queste le parole, ma il pensiero ben diverso.
Il signore sedette, comandò a Guidello, e Guidello gridò i nomi,
giusta l'ordine della nobiltà più antica. Venne innanzi Gisalberto,
conducendosi allato due paggi, uno che reggeva la lancia, l'altro il
vessillo su un'asta ferrata. Poi il cavaliero Ugo....
Questi aveva vesti nere, affatto nere, lo scudo coi propri colori
ricamato sul petto, gli sproni d'oro ai piedi: chi l'avesse osservato
bene, come certo notarono i baroni che stavano con lui, avrebbe scorto
che il suo ampio giustacuore era stretto fìn sotto alla gola, e non
lasciava vedere la striscia bianca del collare, sì bene una gorgera a
fìtti anelli d'acciaio, i primi giri della maglia del giaco. Il suo
volto aveva certe rughe sulla fronte che di sicuro non vi avevano
impresso gli anni, i quali erano pochissimi; capegli rabbuffati, come
quelli che di recente si fossero sprigionati di sotto il ferro di un
elmo; gli occhi che pareva guardassero innanzi l'adempimento di un
disegno, e chi sa quale, a giudicare dalla pertinace contrazione delle
labbra. Aveva Ugo uno scudiero, vestito pure di panni neri, un uomo
dall'aria più spavalda che irata, il quale, porgendo le braccia in
avanti, recava un cuscino coperto da un drappo colore di lutto.
Messere Adalberto, durante la messa, aveva bensì cercato di fìggere
gli occhi sopra Ugo, e di avvezzarsi tanto alla vista di esso, che,
quando colui gli fosso per comparire innanzi, il sospetto e l'ira non
trapelassero dalla sua persona, e così potesse accogliere l'omaggio
colla stessa autorità con cui voleva ricevere gli altri: ma Ugo col
suo scudiero ad arte tenevasi prima dietro ai cavalieri, poi anche
dietro ai paggi, nel canto più oscuro, nella posa più dimessa. Aveva
pensato Adalberto:--E dov'è il maledetto figlio di Oldrado? Forse che
abbia sdegnato di presentarsi all'invito? O che tema qualche agguato?
O che invece lo tenda?--e guardava sul tavolaccio la spada,
rassicurandosi:--Il filo ne è liscio e lucente, messeri, e pare da
gioco? Verrà giorno in cui sarà dentato come una sega, e insanguinato
come quello che mi scuoteva innanzi il padre, quando mi disse che le
merlature delle rôcche vassalle irridono da beffarde!--e qui Adalberto
procellosamente risognava un assedio, come voleva!... O Dio! nel
castello di Ugo non c'era più madonna Guidinga!... E messere,
soffogando gli antichi strazi dell'amore orrendo nella sua ambizione
infrangibile, saettava d'uno sguardo i cavalieri lì soggetti,
e--Questo me lo diede il vecchio, e questo, e questo... Oh lasciate
fare anche a me!--e si tormentava:--E quell'Ugo?--Guarda, guarda:
l'aveva veduto finalmente! Era là, volto all'altare, appoggiato, come
stanco, la spalla destra alla parete, tutto in ombra: la quale
posizione non permetteva che si svelassero i distintivi che aveva sui
talloni e sul petto. Pure lo sguardo acuto, reso acutissimo dall'odio,
fece sì che messer Adalberto potesse dal profilo risoluto di Ugo
leggere, e tanto e così rabbiosamente, che egli si dicesse:--Tal e
quale il padre suo, quando mi invitò all'instituzione!
Allorché adunque Guidello chiamò messer Ugo di Oldrado da Lanciasalda,
il cavaliero, tenendosi allato lo scudiere, si fece avanti con un
certo passo violento che e' pareva movesse incontro al suo cavallo
sellato per la zuffa, s'arrestò davanti al seggio del signore, come se
aspettasse clamore di sfida, poi si chinò, e, chinandosi, diede a
divedere tutt'altra intenzione che quella per cui era stato chiamato,
toccò con rustica noncuranza le corregge degli sproni, quasi ad
assicurarsi ch'elle fossero affibbiate. Messer Adalberto intese troppo
bene, e, seduto com'era, colla persona appoggiata tutta sul bracciuolo
destro, si storse tutto sul sinistro; ebbe un movimento verso il
tavolaccio su cui gravava la spada, e guardò lo scudiero. Questi si
stette ritto dietro il proprio padrone, e per verità tanto alzava il
cuscino che si sarebbe detto scambiava l'atto della offerta con quello
consueto di porre l'elmo al cavaliero.
Messer Ugo gli disse:--Offrite, o Bonello.
Adalberto vide il garzonaccio in volto. Ah chi era? Lo sapeva ora! Il
giovanetto s'era fatto un uomo. Ecco il paggio stesso che recava lo
stesso cuscino nero, colla stessa aria ribalda, con cui gli aveva
detto vent'anni prima:--Messer Oldrado è pronto a darvi
l'omaggio!--Adalberto fissò il garzonaccio. Costui, come se fosse
ufficio suo l'operare sempre con tristizia, buttò giù dal cuscino il
drappo, e sporse l'offerta. Intanto Ugo diceva:--Messere, instituzione
collo sparviero.
Adalberto, prima di ricevere, guardò. Sul cuscino giaceva uno
sparviero stecchito.
--Messere!--ripetè Ugo.
Il signore allungò la mano, ma la trattenne dal percuotere sul capo di
Ugo, o dal venire dal sotto in su a gettare il cuscino ed ammaccare la
faccia dello scudiero: contrasse i pugni ed urlò--Messere, pei
falconieri disattenti ci sono le verghe dei servi!
--Oh conte, no!--rise allora Ugo colla sicurezza la più aizzante:--Non
ti apponi bene. Lo sparviero era montano: si trovò di becco forte e
volle divorarsi un cerbiatto: un ossicino se gli pose attraverso la
gola, e tanto gli fece male che dovette morirne. Ti ho reso l'omaggio
mio!--e si levò animoso.
Quando l'araldo chiamò messer Ildebrandino, messer Aginaldo, messer
Baldo, nè Ildebrandino, nè Aginaldo, nè Baldo, si mossero: si
strinsero accanto ad Ugo: e davvero fu ventura che essi dovevano
presentare solo un guanto da astori, una coppa d'oro e gli sproni,
perchè se si fosse trattato di spada, lancia e vessillo, attesto che
quelle avrebbero lavorato come il loro uso comporta, e questa avrebbe
potuto servire di ultima coltre per messere l'infeudante. Pure
qualcosa di gagliardo, si vide: il guanto cadde sfidatore sulle gambe
di Adalberto: questi si drizzò come una biscia, l'araldo suonò dalla
porta nel cortile. Allora i cavalieri non badarono all'altare, e si
urtarono verso quello per toglierne le due armi già presentate
all'omaggio: gli scudieri si rimescolarono urlando. Si sarebbe potuto
fare, ma non si fece, perchè autorevolmente messer Ugo gridò:--Il
segno è dato da noi: ma l'araldo avvertì di chiuder il portone e di
chiamare le azze mercenarie!--E Gisalberto e Ildebrandino
affermarono:--Qui ne vieta di colpire l'onore della cavalleria!--e
uscirono tutti, frettolosi e tumultuanti, cercando scampo...
E, colle due armi e col pugnale d'Ugo, l'ebbero.


CAPITOLO III.

Oldrado di Lanciasalda è conte sconosciuto nelle istorie. Solo qualche
poeta solitario, il quale si abbia posto tra mano il bordone e in
testa il cappellaccio da pellegrino, e su per la valle di Po siasi
arrampicato ad un mestissimo santuario dell'alpi, può aver letto
quell'unico nome _Oldradus_, su un avello di granito: solo i bimbi del
sagrestano, innanzi a quella chiesetta, s'inginocchiano vicino al
luogo della requie... fra le poche ruine di un castello! Il poeta
nell'impeto della fantasìa avrà interrogato quello squallore, avrà
evocato la vita, e la polvere giacente inerte si sarà levata a
potentissimo corpo, e l'anima sarà scesa in quello, come vento
d'uragano!... Oh recate l'armatura, portate la lancia! Venite,
vassalli, e inchinatevi all'omaggio, siate corteo alle mense giulive,
fate ala per le uscite fragorosissime alla caccia! Arrendetevi, o
nemici: le vostre bandiere serviranno di gualdrappe ai ronzini, i
vostri nomi suoneranno infimi tra quelli de' servi... Che?... Porgete
il salterio e cantatemi, o paggi, l'amore del cavaliero!... Era bella?
Era fastosa? Era tripudiante nella vita delle castella?... Silenzio...
I puttini del sacrestano s'inginocchiano davanti quell'avello. Perchè
ancora il mesto e pietoso pensiero?... O bimbi, perchè il suolo è
erboso lì davanti, perchè l'attenzione al vostro giuochetto infantile
vuole che stiate sui ginocchi a spiare se la pietruzza, che uno di voi
getta in alto, cade nelle manine o cade sul terreno... Forse a te,
fanciulla, a te, maschietto, a voi che apprendeste l'alfabeto sul
grembo della mamma, forse in quei giorni d'autunno in cui la scuola
del paese è chiusa, e voi tutto il dì su vi state all'ozio, forse
capitò sott'occhio quell'_Oldradus_, e voi raccoglieste a stizza ed a
cattivo augurio, perchè vi rammentò una lettera dimenticata del
libricciuolo, e un inverno che verrà, e una bacchetta minacciante,
sempre a stizza ed a cattivo augurio!...
Oldrado fu cavaliero a sperone d'oro. Io non so quando nascesse, nè
come crescesse. Me lo presento al suo castello, appoggiato ad una
colonna nella stalla dei cavalli, rivolto ad Ugo, il quale fa porre la
sella d'arme al suo puledro membruto.
--Tu sai quanto abbisogna ad un conte.
--Messere sì. Conoscere la propria lancia, conoscere il cavallo, non
conoscere una cosa sola, la paura.
--Ad un cavaliero per farsi con onore porre la propria spada accanto,
quando venga calato nella buca dei maggiori?
--Avere molti nemici, come diceste voi.
--Basta?
--Averli vinti, come voglio fare io.
--Ricordati che sei di messere Oldrado!--e il padre si strinse con
amore guerriero il giovane, ed io affermo che vi ponesse la istessa
forza e la istessa intenzione, che usava, serrandosi al suo cavallo,
per inseguire un nemico.
Ugo moveva ad un armeggiamento ad armi cortesi, per il che il padre lo
domandò con scienza sperimentata:--Sai come si chiama il rischio a cui
tu corri?
--Giuoco.
--Si chiama giuoco, perchè, per quanto tu faccia, non potrai mai
forare da banda a banda il tuo avversario. Conosci la tua lancia?
--O messer sì. L'asta è fatta col legno folto sulle nostre rupi, e il
ferro si chiama _da passafuora_: quella è tre volte di lunghezza la
persona, per attestare che tre virtù sono necessarie a chi la
maneggia, fortezza nel pensare, fortezza nel fare, perseveranza
sempre: quello è assicurato da quattro chiovi, per dichiarare che
quattro sono i nemici da vincere, quelli dell'onore, quelli del nome,
quelli del potere, quelli della religione.
--Conosci il tuo cavallo?
--Meglio che se fosse mio fratello: è baio sanguigno, balzano della
staffa, sulla testa segnato di cometa.
--Conosci la paura?
--Voi pure non me la dipingeste, conte, ed io dico che ho troppo bene
appreso alla scuola vostra.
Ugo, afferrata la criniera dell'animale, stava per saltare in arcioni,
se non che Oldrado:--Sei pure impaziente! Non vedi che tu, uscendo a
cavallo di qui, ti romperesti la fronte nell'arco della porta? Chi
t'ha insegnato a metterti in sella come un indiavolato?
Il giovane superbissimo di questo rimproccio che tornava a tanta sua
esaltazione, ripose il piede in terra, si fece portare la sua maglia e
il piastrone del petto, indossò l'una, si affibbiò l'altro, cinse la
spada che era appiccata alla colonna, e, come si provò saldo,
disse:--Avete ragione, padre, messer Adalberto non ci viene incontro
di certo.
E il padre:--Conviene esser leali: neppure fuggo.
L'armeggiamento fu vinto con assai gloria da Ugo, e, quando questi,
alla sera, stava nello stanzone dell'arme, Oldrado, ruvidamente
passandogli la mano tra i capegli per disbrogliargli certe ciocche
grommate di sangue, Oldrado gli parlava:--Ti ho avvertito: figliuolo,
andavi a giuoco: pure se da quello che tu hai operato devo presagire
di te e del mio casato, fatti cuore e pensa che il giuoco fu buono.
Dimmi: chi ti diede questa?--e il padre gli toccava la scalfittura del
capo.
--Oberto, nipote d'Ildebrandino!
--Oberto, mi dicono lavori assai bene di spada.
--Ed io di lancia! Lo pagai a mille doppi, facendolo staffeggiare al
primo incontro, ruinandolo giù dalla sella al secondo, schiodandogli
il piastrone al terzo.
--In oggi sei degno di tuo padre! Ed oggi è deciso che io ti parli
assai gravemente, e tu mi ascolti con quella reverenza che si conviene
a chi si accinge a prestare un giuramento. Ti ripeto: figliuolo,
andavi a giuoco, ma fatti cuore, e pensa che fra poco devi cambiare
gli speroni d'argento in altri d'oro, e saranno quelli del padre.
Ugo, che per sentirsi dire tali parole avrebbe voluto ritornare dalla
lizza anche col petto squarciato o la testa fessa, si toccò la
scalfittura, con atto così rozzo e spietato, che il padre gli
domandò:--Ugo, che fai?
--Voi mi concedete troppo onore: io ho sofferto poco e non lo merito!
--Oh pensa! pensa, figliuolo mio: non darti cura se l'operato ti pare
così inferiore al guiderdone: questo, sta sicuro, ti offrirà da fare
più che tu non creda e più che non comporti il tuo debito. Io condanno
il tuo capo ad ogni sorta d'affanno, e tu, pronunciando il giuramento,
avvelenerai le tue labbra con tutta l'amarezza della maledizione e ti
dilanierai il cuore con lo strazio della vendetta!--lamentò Oldrado.
--Accetto il tormento del corpo e dell'anima, se voi mi credete capace
di fortissimi fatti!--esultò Ugo.
--Figliuolo, sì, ti saranno cinti... Ma ricordati: non è solo la mano
scabra del padre che ti porgerà gli sproni: un'altra manina, lenta,
dilicata, bellissima... La destra di tua madre!--e Oldrado rise con
tetra ironìa.
--Requie a lei!... Come? Voi non me ne parlaste mai?
Oggi...?--maravigliò Ugo.
--Perchè sia requie ai morti, vuolsi guerra tra i vivi!
--Padre mio, ditemi! Ed io vi affermo, per la promessa che mi avete
fatta, che questa sera medesima mostrerò ai vostri nemici ch' io so
reggere l'armi di messer Oldrado!
--Io ti dirò!
Il figliuolo con piglio militare tolse da un trofeo la spada del
padre, se la pose innanzi, appoggiò le mani sopramesse al pomo, e levò
la persona così gagliardamente, che e' parve già cavaliero. Messere
Oldrado se gli allontanò d'alcuni passi, fece scricchiolare il dossale
di un seggiolone, poi si alzò e tremendo nella posa, e colla tempesta
nella voce, incominciò:--Figliuolo, quanti anni hai?
--Voi sapete: venti.
--No, io non so, perchè i tuoi li misurai dall'angoscia, e questa
degli anni fa secoli! Dici venti, e sarà bene: da venti anni è morta
tua madre, madonna Guidinga! Ascolti?
--Ascolto.
--E fremi! Qual ricordo hai tu della tua infanzia?
--Rammento una sala deserta, oscura, vastissima e in quella una donna.
--Non era tua madre!--interruppe irosamente Oldrado.
--Sulle sue ginocchia, mi pare... Ma se stavo su quel grembo, ricordo
che ci stavo piangendo, e se piangevo, lì vicino... schiacciante e
formidabile, al solo mio agitarmi, una mano guantata di ferro, mi
sembra mi sorreggesse, dondolandomi, e con aspra cantilena una bocca
m'invocasse il sonno.
--Tuo padre non sapeva più che fosse carità!
--Rammento i portici paurosi, una cappella sempre parata a lutto, e,
sotto gli archi, fra i neri drappi, io so di certe strisce
candidissime, fumose, che mi apparivano innanzi gli occhi... le dita
come di una larva...
--La _madonna perduta_!--gemette Oldrado, e si fece segno di croce.
--Padre mio, sì, nell'aria c'era qualcosa che mi ammaliava... Io non
so... Ero fanciullo, e sempre, sempre solo! Amavo il silenzio, la
notte, la vasta oscurità: tacevo, mi rannicchiavo, affranto sotto il
peso di un mistero, ficcavo gli occhi nella tenebra... Qualcuno era
con me!... Chiamavo, spiavo, salutavo!... Perchè fuggi? Ma chi
fuggiva? Fuggiva per ritornare: ritornava per fuggire... Chi era?
--Ascolta, figliuolo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

--Come l'amai! Oh madonna Guidinga! Ella fu dell'invitto Eude, il
quale, conducendola sposa a questo castello, con lieto seguito di
baroni, annunziò il suo gaudio nel proclamare che la diletta usciva
dal portone degli avi per entrare grande signora in quello di un
cavaliere di Lanciasalda. Eude dall'anima altera e fatta audace colle
lotte sostenute per conservare la sua indipendenza dalla rapacità dei
castellani più forti. Guidinga pose il piede in queste sale, e
sorrise! Ma oh la gioia si andò, come suono di salterio nella
bufera!... Sorrise! Mi parve bella, immacolata, come le nevi delle
nostre cime, promettitrice di pace, come un'alba rosata: colle manine
che dovevano spargere fiori! Aveva diciassett'anni o poco meno. Chi
era Oldrado? Ella nol conosceva.
Messer Eude le aveva detto:--Lo sposerai--ed ella aveva
risposto:--Sì,--mestissima, come all'ancella, che sedevale da' piedi,
toccando l'arpa nei crepuscoli, e che le rimproverava:--Madonna, non
cantate più le laudi?--come all'ancella rispondeva:--No,
cara.--Inconscia di tutto, melanconica o gaia, cupida di fantasìe
ultraterrene, Guidinga conosceva non l'amore, ma l'irrequietudine, e
questa la sospingeva, la sospingeva nei voli del desiderio... Dove
aleggiava, sorradendo giardini dalla eterna primavera, la sua mente
desiosa?
--Chi è il mio sposo?--domandava la gentile al padre, varcando il mio
ponte.
--Figliuola: i cavalieri della stirpe di Oldrado e le fanciulle della
mia usarono sempre di darsi la mano, quelli togliendo la destra
dall'elsa della spada adoperata nel combattimento, queste offrendo la
ciarpa d'onore al vittorioso. Così si conoscono la prima volta.
--Perchè si ritarda adunque dall'armi? Chi sarà il mio sposo?
--È Oldrado.--Così diceva messer Eude. Lo sposo doveva essere
vincitore: se vinto, supplicava l'avversario di misericordia, e
misericordia somma era l'essere ucciso con un solo colpo. Allora la
sposa dallo steccato funesto passava diritta al monistero, ove
dichiarava all'abbadessa:--Dio Sapiente ben provvide: piuttostochè
essere donna di marito fiacco e madre di figli che un dì possano
seguire l'esempio del padre col vitupero di mia schiatta, piuttosto
consento ad essere sposa del Signore e madre dei poverelli. Ciò a
salvazione dell'anima e a soddisfacimento dell'onore. Voglio prendere
il velo.
Guidinga sorrise ai giovinetti cantori che la salutavano regina della
beltà, fiore della gentilezza virginea, speranza del signore e dei
vassalli! Sorrise e fece doni, e si ammantò di bianco, e, a mano del
padre, attraversando le corti del castello, affollate e rumorose, uscì
alla spianata, entrò nello steccato, e s'assise al posto eminente.
--Chi è lo sposo?--ridomandò la giovinetta ad Eude.
--Ti dissi.
--Fate cominciare l'armeggiamento.
Figliuolo, in quell'istante io non potei togliere gli sguardi dalla
sua bellezza delicatissima. Ero tutto serrato nell'armi, e mi sentivo
soffogare dall'ardore di mostrarmi degno di lei, dalla brama
perigliosa di cimentarmi con qualunque avversario, dalla preghiera
sfidatrice che io lanciavo al cielo:--Mandami il piu formidabile
cavaliere! Io ti giuro che ella, non ravvisandomi dall'armi, mi
ravviserà dall'imprese superbissime. Ella deve esser mia! Moglie di
gagliardo guerriero, madre di figli i cui vagiti si mescoleranno agli
squilli vittoriosi delle trombe paterne!... Vengano, vengano i forti!
Vennero: arnesati, io non li riconobbi: però il mio scudiero Unfrido
mi disse:--Là è Baldo, questo è Aginaldo, quell'altro il Montanaro.
Messere, per amore del nostro santo protettore, state saldissimo
contro Baldo! Messere, l'altro è debole sulle staffe. Il Montanaro
vien sotto, come un toro inferocito, ma nella furia... Ed io:--Lo
so.--E pensavo, guardando la bellissima:--O Guidinga, tu attendi! Qui
vi sono i cavalieri, nessuno ha distintivo nell'armi, e tu non
conosci! Oh il tuo cuore ti dice: "Vedi! eccolo!" Non lo sai?...
Vittoria! vittoria! Fra brev'ora lo saprai! Alzerà l'elmo! Lui!
eccolo! eccolo il trionfante Oldrado!
L'araldo del primo campione gridò:--A cavallo!
Lo scudiero mi susurrò:--Messere, ascoltate un fedele: fate il giro
dello steccato e fermatevi di là: così non avrete il sole negli occhi.
Corsi lo steccato: trovai il cavallo, mi serrai su quello. Ad un
tratto mi soccorse un pensiero:--Mi riconoscerà dall'animale
bianco!-ma dai pertugi dell'elmo vidi che Unfrido, il quale ancora mi
era accanto, faceva un certo viso da traditore che mi sapeva
maladettamente, vidi che io non avevo sotto il mio bianco, sibbene un
morello!
Con l'aiuto d'Iddio, abbattei il primo avversario e il secondo, e lo
steccato così suonò d'applausi.
Dopo udii che si diceva, non so da chi:--Ma come? Messer Oldrado non
si muove?--È sempre là ritto accanto al suo cavallo bianco.--Era lui
che doveva fare tante prodezze!--Come sapete che è Oldrado? Non si
deve conoscere alcuno nell'armi.--Sì, non conosce chi non vuole. Chi
dei castellani a venti miglia tutt'ingiro ha un bianco come quello? E
poi rispondetemi se quell'armato là non è Oldrado, se dal cavallo si
fa ragione del cavaliero.--Ma vedrete!
Io mi tormentavo:--Oh perché mi fu cambiato l'animale? Che giuoco c'è
sotto? Ed io non dovevo accorgermi?... Ma Unfrido mi avrebbe dato
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