Ugo: Scene del secolo X - 1

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AMBROGIO BAZZERO

UGO
SCENE DEL SECOLO X

PARTE PRIMA

MILANO
1876


ALLA MIA PRIMA AMARISSIMA DELUSIONE


CAPITOLO I.

Sulla piazza della _curte_ di ***, di messer Ugo cavaliero, conte di
Lanciasalda, sui monti di Saluzzo, ad ora di vespro, Guidello,
trombetto e araldo dell'eccellentissimo signore Adalberto, conte di
Auriate, lesse il bando pasquale: e così:
"Avvicinandosi il giorno di Pasqua di Resurrezione, ed il nostro
illustre signore desiderando partecipare coi vassalli dell'inclita
signorìa la grazia, il gaudio, la letizia avuta e concessa
dall'onnipotente Signore Iddio, in questo dì per la solennità di
messer Jesù Salvatore, ha deliberato ed ordinato di ricevere l'omaggio
dalli gentiluomini predetti. Si gridano i nomi delli cavalieri:
Messere Gisalberto, di messere Ursulo, cavaliero d'_arme_, con
investitura _per lanceam et vexillum_.
Messere Aginaldo, di messere Luitardo, cavaliero _addobbato_, con
investitura per tradizione ed omaggio della coppa d'oro.
Messere Baldo, di messere Erimberto, cavaliero d'_arme_, con
investitura per tradizione ed omaggio delli sproni.
Messere Ildebrandino, di messere Sichelmo, cavaliero a _sprone d'oro_,
con investitura per tradizione ed omaggio del guanto.
Messere Ugo, di messere Oldrado, cavaliero a _sprone d'oro_, con
investitura per tradizione ed omaggio dello sparviero.
Il che per la presente ordinazione e mandamento di Sua Celsitudine si
fa manifesto, a gaudio e consolazione e per speciale partecipazione,
come è predetto, dell'allegrezza e festività, a laude e gloria
dell'altissimo Iddio e del nostro glorioso patrono e della celeste
curia in eterno trionfante.
Signat: _Warinus. Ingus_. Gridata da Guidello, _sono tubæ
præmisso_...."
Guidello, finita la lettura, prese la pergamena, colla sua funicella
rossa la assicurò spiegata al bastoncino d'araldo e la levò sopra la
testa, osservando:--Io dico. Se vi è qualcuno, il quale tacci di
mislealtà i miei occhi nel leggere, la mia lingua nel parlare, la mia
intenzione volta a vilipendio di messer Domineddio, del nostro
avvocato santissimo, della giustizia degli uomini, quello si faccia
avanti, e purchè sia tale che porti o possa portare speroni d'oro o
d'argento, alla presenza di un chierico che conosca l'arte della
lettura, comprovi quanto dica.
Ai piedi della scalea della chiesa, intorno a Guidello, v'erano
quattro cavalieri cogli scudieri. Ma nessuno parlò.
Per cui l'araldo:--Messeri, allora dichiaro.
Stette un poco, poi si rivolse a un chierico che gli era accanto,
come_ magister librarius_, e disse:--Recitate.
Fu recitata l'avemaria, e tutti risposero ad alta voce.
All'_amen_ Guidello aggiunse con solennità:--Dichiaro bandita la
volontà del molto magnifico nostro signore.
Poi, colla destra impugnata una lunghissima tromba, adorna di un
drappo quadro stemmato:--Messeri,--disse:--fate come di conformità
agli usi. Voi sapete: quando la tromba dell'araldo suona a festa si
suole dire _tromba d'argento_. Da valenti messeri adunque--e mise alle
labbra lo strumento, ne volse la bocca all'insù, e squillò tre volte.
Intanto i cavalieri diedero mano alle borsucce, e fecero come
d'usanza: poi se ne andarono.
Guidello si chinò, dicendo:--Tromba di rame--perchè raccolse poche
monete: acconciò il cordone con un nodo alla militare, in guisa che
gli si attraversasse alla schiena la tromba e il drappo sventolasse
come un mantelletto, tolse la pergamena dal bastone, la fece a rotolo,
e la consegnò al chierico.
Questi interrogò:--Guidello?
L'araldo rispose:--Non si guadagna nemmeno il fiato.
E mossero giù dalla scalea della chiesa. La piazzuola della _curte_
era deserta. Essi presero ad uscire dalla viuzza fiancheggiata dalle
casucce dei montanari, oggi boscaiuoli, domani alle giornate d'armi,
sempre poveri e sempre irosi. Intorno all'edera frusciavano con volo
tortuoso le nottole; gli usci erano chiusi, gli arconcelli delle
finestre lucenti di strisce rosse dal sotto in su, che venivano dai
focolari posti in mezzo alle stanze; sullo sfondo si vedeva una
montagna già sfumata nella nebbia del crepuscolo.
I nostri due procedevano silenziosi, e, benchè sotto la protezione del
loro signore, pure affrettavano il passo e sulla punta dei piedi.
E l'uno calava il cappuccetto sulla testa tonsurata e nascondeva la
pergamena sotto la tonaca, e l'altro storceva una mano all'indietro ad
assicurarsi che la tromba non percuotesse coll'elsa della spada o col
pugnale: e quegli guardava sospettoso le pieghe del drappo ventilante
dallo strumento del compagno, come se da quelle dovesse uscirgli il
malanno: e questi imprecava il calzolaio che aveva fatto pel chierico
scarpe così disacconce per suolo sospettato.
Passavano e guardavano. Quelle tavolacce di quercia parevano fatte
apposta per spalancarsi ad un'insidia: da quegli arconcelli i tizzoni
che erano sui focolari con maledetta furia potevano essere
sbattacchiati nella strada. Basta! il santo patrono tenesse buoni i
_gloria_! Ma la preghiera era smezzata: e l'uno calcolava che con
quell'antacce si facevano tante aste, coi chiodi tante punte, colle
toppe tante scuri: e l'altro si ricordava, ai tempi che il padre
soffiava alla guerresca, e ch'egli giovinetto gli era accanto col
piffero per imparare a toccare il soldo e le graffiate, si ricordava
di una certa mistura diabolica che venne giù da una balestriera a
impegolare i baffi al vecchio trombettiere, e a conciare un povero
ribaldo come un torcione di resina acceso nelle gazzarre soldatesche.
Si continuava il _gloria_.... Ah! erano passati da quell'uscio, da
quelle finestre: si poteva fiatare. Di più: messere il chierico sapeva
leggere, sapeva pingere le _capitales litteras_ dei messali, cioè le
iniziali, sapeva a mente i canoni accetti al vescovo di Saluzzo;
d'armi credeva intendersi sin troppo, dicendo:--A chi le toccano, le
toccano le ferite e la morte!--Niente altro: pure in quel momento
nella sua fantasìa staccava tante maglie dall'armerìa del castello e
tante spade, trovava gagliardi che le vestivano, le impugnavano, e
moveva contro quelle case di rabbiosi: no, prima alla rôcca di Ugo.
Messere l'araldo sapeva suonare con voce dolcissima o squarciata:
Guidello proprio avrebbe voluto essere a fianco del padre, tra un'oste
poderosa, e dare alle trombe il fragore delle petriere, curve le travi
sotto ai pesantissimi massi. Ma sì, ma sì! Altro che il cappuccio
aguzzo a vece di pennacchio da cavaliero: altro che il bastone
d'araldo in luogo di un buon lanciotto!
Fuori della _curte_ di messer Ugo c'era una cappelletta: qui i due
fecero un inchino pieno di gratitudine, e da qui cominciarono a
mettersi l'uno a fianco dell'altro, e salirono per la stradetta, la
quale, grigiastra, lasciava vedere tante e tante pozzette d'acqua dai
melanconicissimi riflessi di cielo: erano le orme dei cavalli
passativi il dì innanzi, dalla _curte_ al castello di messere
Adalberto. E stradetta e cavalli menavano al sicuro.
Incominciò Guidello:--Dacchè suono la maledetta, vi dico, Ingo, che
non mi parve mai mi tormentasse le labbra come stassera, sulla scalea.
Sapete: ieri a mattina, abbiamo pubblicato il bando al castello
d'Ildebrandino; a dì basso, al ponte levatoio di Baldo; l'altro ieri a
vespro, alla piazza di Aginaldo. Che si è raccolto? Tanto da poter
proclamare solennemente, al primo armeggiamento festoso, che il
cavaliero di Rupemala, quello di Roccanera, e messere della _curte_ di
santo Uperto, sono fregiati di cortesìa cavalieresca. Dico vero?
--Verissimo, Guidello.
--E sapete: tra voi che avete appreso l'arte della lettura e me che la
professo a obbedienza del nostro padrone, lasciando da parte la
cavallerìa, e discorrendo della tascuccia che ogni cristiano ha allato
se deve camparla, tra noi si è spartito un bel mucchietto.
--E di quelli d'argento.
--Così si dà e si riceve a gloria di messere Domineddio; e così si fa
differenza tra il vento che buffa alla foresta e il fiato dei
battezzati.
--Verissimo, Guidello.
--Mi diceva il padre mio, il valente Guidaccio....
--A cui Dio conceda la verace gloria!
---Mi diceva così, nè più, nè manco. E il suo fiato da battezzato, eh!
Ingo, fu come l'uragano nella tromba, contro ai dannati nella Spagna e
contro ai miscredenti in Terrasanta, a fianco del padre di messere
Adalberto, il cavaliero Brunone.
--_Requiem_ in pace!
--A fianco del cavaliero Brunone, lo dicevano della stirpe di
Tubalcain.
--Santa Maria!
--Quella era voce del padre mio! Quella ci voleva adesso là sulla
scalea della _curte_ di Ugo, ma ad un patto.
--Tromba d'argento.
--Messere, no: lo strumento suonasse come quelli, dicono, del dì del
finimondo.
--E le mura di quella rôcca fossero come quelle di Jerico, per virtù
soprannaturale, che noi possiamo chiedere colla preghiera.
--Così fosse!
--L'altro dubitò, e riprese:--Ed io avrei voluto che la pergamena
parlasse come la condanna che appiccammo alla porta di Lamberto, il
ribello a messere il vescovo di Saluzzo. Vi ricordate?
--Voi non ci eravate.
--C'era Gausprando; ma so. A Gambazza sulla destra del Po.
--Chi ci appose il _vidit_ e dichiarò bandita la pergamena? Il nostro
signore Adalberto istesso, piantando poderosamente un pugnale al luogo
del suggello. Quella la fu impresa! Di lì a un mese, del castello non
rimase in piedi che un arco e quello per dire:--Di qui passarono i
prigionieri!--So che il padre mio ghignava burlescamente e fieramente,
e so che mi disse:--Figliuolo, quando suoni, ricordati che hai in mano
tutt'altra cosa che un'azza. Guarda che, stringendo troppo, il rame si
ammacca, e le ammaccature tra noi soldati le cerchiamo soltanto sul
petto nudo e non sull'arme e sui bagagli--mi disse. Tant'altre cose mi
raccomandò, finchè s'ebbe quella seconda impegolata a scuoiargli la
faccia, e allora mi fece cenno che le labbra arsicce erano buone
all'avemaria e ai paternostri, lasciò il castello e cercò un
monistero.
--Se lo conobbi, quel valente Guidaccio!
--E Guidaccio anche lui suonò su quella scalea di Ugo, quando c'era
ancora, più arcigno di questi, il suo padre Oldrado, che fu quello,
sapete, il quale aizzò i suoi servi contro l'araldo che bandiva le
giornate d'armi, sì che quelli a vespero spalancarono usci e finestre,
e mostrarono scuri da boscaiuoli fra certe manacce rabbiose!
--Rammentate la storia di Guidinga.
--Gesummaria!
Tacquero, perchè vicino era il castello del loro signore, e quel
discorso, spiato o frainteso, poteva far scricchiolare alla sera
istessa i cavalletti di tortura.
I due, alla parola del saluzzese che era di guardia, risposero come il
motto d'ordine portava quel dì: entrarono, salirono una scala, e,
trovato in capo a un corritoio un paggetto, il quale sonnecchiava su
un archipanco, Guidello domandò:--Filippuccio, ne attende il nostro
signore?
Il fanciullo, come se d'intorno agli occhi si togliesse le ragnatele,
affaccendandosi colle manine, rispose:--Io non credevo che foste per
ritornare dalla guerra sì tosto.... Ero lontano assai, sulle ginocchia
della madre mia... là giù.... Ah siete? Il sonno coglie, e si va, si
va.... Chiedete?
--Ne attende messere Adalberto, e dove?
--Sì, Guidello araldo, e voi, maestro: nella sala della torre.--E li
precedette nel corritoio fino in fondo, s'arrestò a destra, alzò un
usciale, e disse:--Sono tornati: a vostra obbedienza, messere.
Al comando:--Siano messi dentro e vattene, Filippuccio--i tre
atteggiarono la persona alle linee marcatissime della loro
professione: l'araldo si drizzò dignitoso, come se gridasse un bando,
l'altro si piegò, come se sfogliasse un messale nella cappella, il
paggetto si storse, sollevando l'usciale con sforzo per verità degno
di compassione. Entrarono.
La sala era triste: e, a dire quello che si poteva scorgere alla poca
luce delle tozze finestre, presentava le muraglie saldissime e nude:
solo ornamento una statuina di un beato protettore con lancia e
pastorale, male allogata in una nicchia che pareva una balestriera; e,
sotto quella, due drappi, tutti a polvere e sudiciume, forse due
stendardi, forse due coltri mortuarie: v'erano dei seggioloni a masse
d'ombre così nere da far richiamare alla fantasìa il frate bianco che
sopra vi stesse nel coro, e un macchinoso tavolaccio, adatto a
sostenere quello che sosteneva, la potentissima persona di un
cavaliero.
Messer Adalberto era un uomo nel vigore pieno della età virile:
mostravasi vestito di panni oscuri: volto verso la porta: e dalla sua
posizione, da sedere tanto irrequieto, chiaramente può dirsene
l'indole ruvida e l'attesa impaziente. Nè più, nè manco: erano quelli
i tempi in cui un cavaliere noverava, come un sellaio, le fibbie e i
chiodi della sua sella da battaglia e neppure sbagliava in un
sopranome a quegli arnesi, e forse forse moriva senza tutto avere
appreso il _paternoster_ dalla bocca della madre o del chierico: tempi
in cui, io credo, che la natura non si sarebbe messa su via fallata,
se avesse ai priminati delle famiglie baronali dato a vece di cranio
addirittura un elmo, a vece di lingua una lama, e per cervello
qualcosa di bollente che fuori uscisse e fosse mostruoso cimiero. Io
non so se anche allora i bambinelli si tormentassero colle fasce se
così fosse stato, non mi sarebbe punto di maraviglia se ancora
trovassi nelle cronache che la madre di Garmario saluzzese, madonna
Sandra, torturasse le membra del suo figliuolo, serrandole in una
bandiera insanguinata, o che il padre di Forcone da Ivrea recasse al
castello per la bisogna materna della sua moglie Ageltruda la
soprasberga dell'inimico bucata e ribucata a colpi di spada: l'avo
Attone da Susa legò con sacramento ai nascituri dal suo Rogerio il
lembo stracciato a morsi della sozza camicia che vestiva nella _torre
della fame_. Messer Adalberto era primogenito, ed aveva avuto madre
come l'ebbe Garmario, padre come quello di Forcone, ed avo della
taglia di Atto. Finchè vissero i suoi, imparò che nelle sale feudali
l'agnello santo del perdono ci sta figurato solo per spasso di qualche
frate dipintore, il quale fa il mestiero, è pagato, e se ne va dal
ponte: imparò che negli steccati dei giuochi d'arme, se le cadute da
cavallo v'incarnano gli anelli di maglia nelle membra, perchè la
lancia dell'avversario vi coglie, è meglio che quelli vadano fino al
cuore a condensarvi dentro tutto l'odio, e questa vi avesse passato
fuor fuora, senza accorgervi di provare vergogna! Imparò che le dita
ci furono date da natura per contare le vendette da farsi: segnar
croce colla penna è da monaco, tagliare colla spada da cavaliero: si
vive collo usbergo maledetto, si muore coll'abito immacolato di
qualche monistero. Insomma tanto e tanto: sicchè, quando dallo
stanzone dell'armi uscì un feretro, e un altro, e un altro, all'ultimo
messere Adalberto schiuse la portaccia colle sue mani stesse. Partì,
per sempre suo padre, messer Brunone: ma venne dentro subito un ospite
aspettato e vagheggiato: l'orgoglio del comandare! Adalberto se gli
abbracciò siffattamente, che si trovò tolta la requie di giorno e il
sonno di notte.
Il cavaliere, divenuto signore, sentì tutta la potenza del suo volere
e s'ingagliardì tristamente ne' suoi disegni d'impero e di conquisto.
Si trovò forte per un vastissimo patrimonio. Dal suo castello, sui
monti di Saluzzo, poteva fino alle cime di Monviso spingere i segugi,
inseguendo camozzi su terreni suoi: da oriente a Po se sorgevano torri
di cavalieri, stavano a condizione di ubbidienza a lui; alzavano i
pennoni degli avi a seconda della investitura dei feudi, a patto
fastoso dell'omaggio, e a patto più valido di bei mucchi d'oro e di
giornate d'armi. Su quello adunque che c'era non so chi osasse
scuotere una lancia adorna di una banderuola di ribellione: a quei
tempi le idee manco sottomesse di un valentuomo si pagavano a
slogature di membra, a flagellazioni da ebrei, a carezze d'aguzzino: e
dico poco; lascio le scuri, le forche, e i quattro cavalli per gli
squartamenti.
Messer Adalberto fece atto da padrone, riconfermando i feudi e
ricevendo con bieca superbia l'omaggio. Se non che, siccome da
desiderio nasce cupidigia, comandare su quello che si ha è molto,
poter comandare su quello che si vorrebbe avere è moltissimo: il
cavaliero guardò le armi del padre sepolto, e disse:--Quello scudo
egli adoperò quando mosse al castello di Baldo. Quel petto ebbe le
falde smagliate dalla lancia di Aginaldo. Su questa sella messere
passò vittorioso sui ponti dei nemici!
Guardò le sue armi: lucentissime nei giuochi di guerra e nel giorno
della festa, quelle non erano da cavaliero: buone solo per chi avesse
speroni d'argento. L'armatura che si sogna nelle cupide veglie
dell'ambizione è quella ammaccata, schiodata, fatta nera dalla pece e
dagli olii bollenti, quella che si sveste la sera dopo il
combattimento furioso, esclamando:--Datela da riassettare alle mani
del vinto!
Duri erano i tempi; e così avvenne di Adalberto, come di tutti. Ho
detto: indole ruvida e attesa impaziente. Comandava: e, per vero dire,
nessuna differenza metteva tra il ringhiare a un soggetto
signore:--Messere, mi obbedirete!--e al suo cavallo:--Torci a
diritta.--Sorrise alla sua spada:--Se vuoi fodero, cercala alla pelle
di un mio nemico.--Acquetò gli scrupoli di suo fratello
monaco:--Pensateci: voglio la mia eterna salvazione: pregate o vi
faccio baciare una medaglia arroventata.--Voleva comandare: e sapeva
che c'era una rôcca da cui non poteva passare, se non guardandosi alle
terga, e nel fossato della quale giacevano con poco convenevole
sepoltura, insaccati nelle ferraglie rose dal tempo, gli avanzi di un
suo avo Adalberto, il quale v'era andato a conquisto e non a morte da
stoccate traditore. Sapeva che c'era un altro castello in cui gemeva
una donna! Per Adalberto non era amore, era furore!
Adalberto bandì a' suoi vassalli le giornate d'armi, poi si fece
predire la ventura dall'astrologo, e perchè questi sapeva che nel suo
mestiero bisognava vedere le stelle, come voleva il padrone, per non
vederle da stare sul cavalletto della tortura, come voleva il
tormentatore, gliela predisse buona, e così:--Egli è opinione degli
astrologhi che quando l'animo dell'uomo è spinto al desiderio di
sapere alcuna cosa in un subito, ciò nasca non da elezione o
consiglio, ma dall'influsso della costellazione, che in quell'ora si
ritrova nel cielo. E però se costui domanderà consiglio all'astrologo,
esso potrà dirgli il vero della cosa che gli domanderà dalla figura
del cielo fatta in quell'ora della interrogazione, cioè: se l'amico
assente sia vivo o morto, se l'ambasciatore mandato ritornerà salvo,
se ritroverà ovvero spedirà prosperamente la cosa per la quale egli è
stato mandato, se il tempo sarà buono per seminare, tagliare legni per
le fabbriche, acciocchè non siano mangiati dai tarli e corrotti dalla
tarma, per cavare il sangue, per tagliare membri, per risanare, per
prendere medicine, per fondare case, per menare moglie, per comperare,
per vendere, per vestire nuovi vestimenti, per vendemmiare, per bere
il vino in pace, per incominciare opera di alchimìa, per mettere putti
a' maestri, per mutare luogo, per accingersi a viaggio per terra od
acqua, per far compagnìa, per parlare con uomini di qualunque stato e
dignità, per trattare negozii, per entrare nei bagni, per torre servi,
per mandare messi, per andare a caccia nelle selve o nei fiumi. Vostra
Celsitudine domanda se avrà vittoria nella intrapresa guerresca.
Questa richiesta non nasce da elezione o consiglio, ma dall'influsso
della costellazione che in quest'ora si ritrova nel cielo. Ho
interrogato gli astri: ho interrogato la sorte. La sorte si fa sicura,
tirando i punti di numero incerto, avendo voltata la faccia nella
luna, con altre osservanze, dal raccogliere i quali punti si fanno
quattro figure che si chiamano _matri_, dalle quali si cavano altre
non poche, e i loro aspetti si nominano con nome dei pianeti, e così
il rispetto, che hanno fra loro, come li considerano nel cielo.
Perocchè mentre l'uomo dal desiderio di ricercare le cose future segna
i punti, egli è venuto a questo per la costellazione della sua
natività, talchè la forza del cielo guidi la sua mano, talchè non
faccia nè più nè meno punti di quello che basta al giudicio delle cose
che ricerchiamo: la quale divinazione si chiama Geomanzìa. Mio
signore, gli astri e la sorte hanno risposto: vittoria!
Adalberto, prima che l'astrologo fosse a metà della noiosa
chiaccherata, sbuffando, fece trarre le torri di legno e le macchine
guerresche, i trabuchi, le manganelle, le petriere; si pose a capo dei
cavalieri, e colla somma ragione del più forte e del più ladro, mosse
al castello d'Ildebrandino. Mandò Guidaccio con quaranta lance al
cavaliero, dicendo: messer Adalberto l'aspettava per la prossima
Pasqua di Resurrezione all'omaggio: da cavaliero non mancasse: era
istituito vassallo col guanto da volare gli astori, con molto onore,
con giuramento.
Il presidio della rôcca era inferiore assai alla scorta dell'araldo:
per il che messere Ildebrandino, sporgendo il capo tra un merlo e
l'altro a guardar giù, dovette dirsi:--Sono spacciato!--e tanto
dovette mordersi le labbra a sangue, che fosse lì lì per scagliare, a
vece di risposta, il trombetto a gambe levate: pure pensò alla ruina
di Lamberto, l'oppositore del vescovo di Saluzzo, e, serrato tra le
quaranta lance, lui stesso sentì il bisogno di guardarsi alle spalle.
Domandò a Guidaccio:--Messere l'araldo, avete altro a dire?
--Messere sì.
--Vi ascolto.
--Le nostre torri d'assedio e i nostri trabuchi sono fatti colle legna
dei ribelli vinti: il cavaliero Lamberto, lo rammentate?
--Chi vi disse?
--Il mio signore.
--Il nostro signore è potentissimo--e Ildebrandino, amarissimo, fece
una reverenza di sommessione, e aggiunse:--È ventura l'essere sotto le
bandiere del signore, quando si hanno sproni d'oro e fortuna nemica,
ma anima sempre libera. Suonate la tromba per noi: i nostri figli, ove
Dio li conceda, spero ricorderanno questi squilli!
Così s'arrese Ildebrandino. Messere Adalberto, quando Guidaccio gli
ricomparve innanzi, per poco non gli dette la mazza sul capo. Egli
desiderava l'araldo insultato o peggio, le lance catturate, il ponte
levatoio alzato a precipizio, inalberato sulle torri lo stendardo,
tumultuosamente bandita l'oste: invece l'impresa si racconciava, come
una briga da' frati, con un inchino e un--_Fiat voluntas tua_.
Con tempestoso desiderio Adalberto si fece capo della vanguardia
delle lance, e, mandato Guidaccio in coda alla torma a fare compagnìa
all'arnese più disutile, l'astrologo, corse al castello di
Oldrado.... In quello c'era madonna Guidinga!... Ad Adalberto
scoppiava il cuore al fragorosissimo segno dell'arme! Fu calato il
ponte, s'aperse il portone, e venne innanzi un garzonotto tutto in
bianco, con un bastoncello alzato, il quale proclamò:--Quelle non
essere le regole delle castella, doversi procedere come l'uso fra
onorati cavalieri comporta. Passate tre ore da questa dichiarazione,
mandate pure l'araldo, e noi risponderemo, e mandatelo suonando le
campanelle dalle torri di legno, noi risponderemo suonando i pifferi
dalle torri di sasso.--E il garzonotto tanto tenne levato il
bastoncello bianco, a segno di inviolabilità, sicchè nessuno potè
coglierlo in fallo, e nessuno per tema di essere tacciato misleale
alzò la mano su di lui. Ch'ei fosse venuto, insultando, non c'era
dubbio: ch'ei si partisse sano e salvo, era stizza di tutti, ma norma
di guerra, la quale tanto più feriva messer Adalberto che aveva
voluto solo procedere colla forza e senza lealtà.--O Guidinga! o
schiava di messer Oldrado!--smaniava, tormentandosi, Adalberto.... Ma
per consiglio dei capitani aspettò... Tre ore sulle brage
dell'inferno, tre eternità!
Si schiuse tutto il portone, segno d'arresa, e comparve il garzonotto
in nero, e lesse il bando, per cui--al molto glorioso signore di
Auriate si calavano le bandiere.--Messere Adalberto galoppò dritto
nella rôcca, e ambiziosissimo s'impose:--Prima regoliamo la bisogna
del marito! Venga Oldrado, ed oggi stesso riceverò da lui l'omaggio.
Questo suo vitupero sarà la più bella gioia per Guidinga!--E,
scavalcato, passando per la porticina stretta che da un corritoio
dava nella chiesa solitaria, udì dietro le spalle sbattersi
irremissibilmente l'antaccia di quercia, si trovò a un tratto
separato da' suoi capitani, si volse all'indietro e scorse tutto
buio, si volse all'innanzi, ed ecco in capo al corritoio il paggio
nero, il quale recava un cuscino nero e s'inchinava rispettoso,
dicendo:--Messere Oldrado è pronto a prestarvi l'omaggio.--Adalberto
si contorse molto iroso, irosissimo più che del pericolo, d'avere
avuto per un momento paura, s'avanzò, e, sotto l'usciale sollevato
dal paggio, entrò nella chiesa. Quivi trovò Oldrado solo e ritto, in
aria così beffarda che pareva gli dicesse:--Sono il marito di
Guidinga: lasciate fare a me! Avete saputo fare voi?--Che in quei
tempi non si trovasse neppure schermo alle vendette ai piedi degli
altari, si sa, e si sa che gli accorgimenti per condurre allo scopo i
giuochi insidiosissimi avevano tutto lo studio delle faccende
scrupolose. Adalberto doveva ascoltare quell'araldo bianco, vipera
forse del tradimento? Doveva sgozzarlo! Doveva aspettare le tre ore?
E rivederlo ancora? Doveva sgozzarlo! E il pronte s'era messo giù, il
secondo portone spalancato, i porticati apparivano deserti. I
traditori tutti! Ed egli si era lasciato cogliere! Oh il suo furioso
amore per Guidinga era di quelli che si spaventano dei mezzi? Ma se
lo scopo era già per sè stesso tremendo e ineluttabile!... E
quell'arcone che menava al corritoio, e il coirritoio che menata alla
chiesa! Che c'era nel corritoio? Una porta inchiovata che valse una
muraglia: i suoi cavalieri al di là forse erano scannati: egli al di
qua forse con tutta la irrisione di una vendetta pensata e ripensata
era tratto all'inganno, e dall'inganno alla morte! O Guidinga!
Guidinga!
Messere Oldrado era là nella chiesa solo e ritto. Aveva faccia di
quelle che anche nel sonno mostrano aggrottate le sopraciglia, rugosa
tenacemente la fronte, aperta la bocca al grido di battaglia, collo da
far disperare quelli che, per amore di qualche taglia bandita da
alcuno prepotentaccio vicino, dessero ascolto all'inferno, e
arrotassero la coltellazza e già preparassero il sacco, come Giuditta
la gagliarda; torace che portava tre usberghi e poi chiedeva anche il
quarto, braccia da armaiuolo milanese, gambe le quali se inforcavano
gli arcioni vi si serravano con tanta saldezza, sì che non ci fosse
lancia da cavaliero poderoso da allentarle o farle staffeggiare.
--O conte,--disse per il primo Oldrado:--mi accorgo che la cerimonia
poco soddisfa il vostro amor proprio.
E l'altro:--Messere neppure è da scudiero la insidia.
--Voi sbagliate: non sono armato e mi dichiaro vassallo vostro.
--Consento--con questa risoluzione Adalberto richiamò tutto il suo
odio;
E Oldrado:--Ed io consento. Udite: un debole cerbiatto tanto fa che un
giorno o l'altro debba essere dilaniato da uno sparviero: ma gli può
ficcare attraverso la gola un ossicino da mettergli tanto strozzamento
da far maledire il pasto.
--Messere, Oldrado, che le azioni vostre mi permettano di chiamarvi
cavaliere!
--Vi dissi: non sono armato e mi dichiaro vassallo vostro. Volete
ricevere l'omaggio? O fuggite le pompe?
--Voglio.
--Io pure. Bonello, fatti avanti--comandò Oldrado; e il paggio che si
era fermato sulla porta, entrò nella chiesa e recò il cuscino. Il
padrone lo prese, lo depose ai piedi di uno scanno larghissimo, a
seggio baronale, e invitò Adalberto. Il quale con grande dignità
s'assise, e le parole furono poche.
--Cavaliero, riconoscete vostro signore Adalberto, conte di Auriate?
--Riconosco.
--A quale istituzione?
--Questo tocca a voi.
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