Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 12
stabilire la comune dimora? Alla città o al villaggio?
Guido in quel momento bramava andare al paesello; diceva quel soggiorno
essere più giovevole alla madre; egli stesso aver bisogno di riposo e
di quiete.
“Vivremo colà alcun tempo, solo da noi e per noi!” esclamava con calore.
La madre, al contrario, sosteneva che Guido colà presto si sarebbe
annoiato, che avrebbe negletto l'arte sua; e ciò non doveva fare a
nessun costo; affermava che a lei la più giovevol cosa di questo mondo
era star presso suo figlio in qualunque luogo poi si fosse; che quindi
Guido aveva da ripigliare senz'altro quella sua vita cittadinesca cui
erasi assuefatto prima di partire.
Anna fece appello al giudizio di Maria, la quale, seduta al suo lavoro
presso la finestra, non aveva pronunziato ancora una parola e non
mostrava aver prestato la menoma attenzione al discorso.
Maria sollevò lentamente la testa, e guardando il cugino con quella
medesima espressione con cui guardava il panno che stava cucendo,
disse coll'accento d'un umile personaggio che proclama, per mandato
d'un'autorità superiore, una sentenza inappellabile:
“Tu, Guido, ti devi a tua madre, è vero; ma all'arte tua eziandio. Al
villaggio quest'ultima sarebbe da te abbandonata; ed a tua madre, l'hai
sentito, basta per esser lieta, il viver teco.”
Anna si volse in aria di trionfo a suo figlio.
“Vedi che avevo ragione!”
Guido lanciò uno sguardo di fuoco sulla cugina, la quale, senza
scomporsi altrimenti, richinava la testa sul suo lavoro con una
graziosa curva di collo; e non ribattè parola.
Maria aveva parlato; la lite era finita. Si rimase a Torino.
VIII.
Guido abbandonava spesso il suo studio pel salotto in cui era solita
lavorare Maria. Una irrequietezza, qual forse egli non aveva provato
mai, lo travagliava di continuo; intorno al suo lavoro non aveva
pazienza di reggere lungo tempo; in mezzo a tutti i suoi concepimenti
artistici venivagli sempre un pensiero estraneo che lo sviava;
parecchie volte ei si trovava innanzi al masso di creta cui s'era
messo per plasmare, immobile, le braccia penzoloni, la fantasia lontana
lontana dal suo lavoro. Allora, indispettito gettava gli attrezzi e la
blusa, ed usciva, come se all'aria libera avesse da riacquistar tosto
l'idea e la volontà che gli erano fuggite.
Non v'era più donna che trovasse convenirgli per modello; in tutte
scopriva mille difetti: non la grazia, non la purezza delle linee,
non l'espressione ch'egli andava vagheggiando; e si raccomandava agli
artisti suoi compagni perchè gli procurassero quanto conoscevan di
meglio.
«Voglio fare una grande statua, un'opera da metterci l'amor mio, la
mia gloria;» diceva egli. «Sarà una Venere, sarà un'Ebe, sarà una
Psiche.... fors'anco una Madonna? Non so. Ma ne ho in capo delle forme
vaghe d'un'armoniosa bellezza, cui vorrei poter far concrete coll'aiuto
d'una realtà che s'accostasse un poco al tipo ch'io vagheggio; e
la sciupata beltà di queste vostre _modelle_, qualunque m'avvenga
d'incontrare, sta al mio sogno come la volgarità d'un becero alla
sublimità d'un poeta.»
Un giorno ch'egli ripeteva cotali sue parole, un allegro scapato de'
suoi compagni rispose ridendo:
“Se vuoi una figura veramente superiore in leggiadria, qualche cosa
d'angelico congiunto a tutto ciò che ha di bello la carne.... e la ne
ha, cospetto se ne ha di bello questa povera carne così maltrattata
dagli ascetici!... Se vuoi una simile meraviglia, te la posso additar
io.”
“Sì?” interrogò Guido con avida curiosità.
“Sicuro. E ce l'hai proprio, come si suol dire a gittata di mano.”
La fronte di Guido si corrugò.
“Chi?” interrogò egli con voce punto punto di scherzo.
“Piglia tua cugina.”
A Guido il sangue diede un rimescolo; sentì le sue guancie impallidire,
poi accendersi; un subito impeto lo assalse d'inveire contro chi aveva
così parlato, e se ne ritenne a stento.
“Taci;” gli disse con fiero cipiglio: “questi non sono scherzi, ma
sciocchezze.”
Per nascondere la sua emozione, si alzò e si diede a girare per lo
studio, toccando questo e quell'oggetto senza ragione, e in fatti
non sapendo quel che si facesse. Ma il peggio fu che quelle parole
del buontempone fecero sorgere fra tutti i presenti un vero concerto
di lodi e d'ammirazione alla ragazza. Guido stava come sui carboni
ardenti, e si faceva forza per trattenersi dall'insultare quegli
encomiatori di sua cugina, che pur si tenevano nei più stretti limiti
delle convenienze. Gli pareva quella poco meno che una profanazione.
Si svestì della veste da lavoro con moto che pareva di rabbia, e
infilando affrettatamente il soprabito, e piantandosi in testa il
cappello:
“Usciamo,” gridò; “ho da uscire io.... ho bisogno di respirare aria
libera.”
La verità era che il pensiero di pigliare Maria a modello della sua
statua gli andava spesso per la mente, e senza spiegarsene bene il
motivo, ne sentiva vergogna, e non osava confessarlo neppure a sè
stesso.
Soventi volte gli avveniva che, solo, nel suo studio, ripensando a quei
lineamenti che aveva impressi nel cuore e nel cervello, gli sembrasse
di non ricordarsene più esattamente, di non aver presente più qualche
minuta particolarità di quella fisonomia, precisamente come accade a
chi guardi troppo fisso e troppo lungamente un oggetto, che la vista
gli si confonde, e l'oggetto medesimo pare abbuiarglisi, e perdere la
precisione delle forme.
«Quando abbassa lentamente quelle sue lunghe ciglia di seta dorata,
la sua fisonomia piglia un _fare_ raffaellesco che non ho mai potuto
compiutamente afferrare; quando atteggia le labbra al suo superbo
sorriso, gli è più qua e più là che s'incava nelle sue guancie quella
cara pozzettina tutta grazia e avvenenza!»
Così dicevasi egli, e correva presso di lei a rivederla, col desio di
chi da lunghi giorni non ha più visto cosa che gli è carissima. E ad
ogni volta parevagli che una nuova bellezza gli si manifestasse.
«Eppure,» pensava altresì Guido tal fiata nella sua solitudine, «eppure
manca qualche cosa in quella perfezione! Vi è ancora un grado superiore
di bellezza a cui la potrebbe giungere. Che cos'è? Non so bene; ma
direi che una lieve nebbia avvolga e veli tanto splendore, rimossa la
quale, più viva e più eletta ne sarebbe la luce.»
Una volta che pensava appunto a codesto, mirando il fino e purissimo
profilo di Maria, questa alzò il capo con quella sua solita mossa
lenta e tranquilla, e volse verso Guido lo sguardo più freddo e più
indifferente del solito.
«Ah! quello sguardo non ha vita, non è l'espressione d'un'anima,»
disse il giovane fra sè. «È lo sguardo d'un automa, non rivela nè
l'intelletto nè il cuore.... Ecco ciò che le manca. La scintilla del
pensiero e dell'affetto. Oh! se un Prometeo venisse e infondesse in
quelle belle membra il fuoco celeste!... Come? Possibile! Quella non
sarebbe che una meraviglia di forma, e in essa non si conterrebbe il
_quid divinum_, l'essenza superiore, la bellezza ideale cui adombra la
corporea?... No, no: la sacra favilla è nascosta, ma vi è di sicuro.
Felice chi la susciterà! E allora anche l'avvenenza delle forme ne sarà
avvantaggiata e compiuta. Ah! se io....»
E non osò nemmeno formolare il pensiero che seguiva.
C'era poi delle volte che, mirando quell'inalterabile serenità dello
sguardo di lei, Guido ne provava quasi dispetto. Avrebbe voluto far
qualche cosa da scuoterla in un modo o in un altro, fosse pur anche
eccitandone lo sdegno; ma per quanto tentasse questo mezzo e quello, la
placidità contegnosa della ragazza non si alterava pur mai.
Un dì Guido era venuto a sedersi, come soleva spesso, vicino alla
fanciulla che lavorava al suo solito posto; la madre dello scultore non
era molto lontana, Anna e il figliuolo parlavano interrottamente; la
giovane, come l'usato, se non la s'interrogava, taceva. Guido ammirava,
come se non le avesse viste mai, le sempre più belle fattezze di Maria;
e in quel momento, fosse la sua intima emozione che lo illudesse, fosse
la realtà, credeva di scorgere nel volto di lei una traccia, non dirò
di tenerezza, ma di sentimento. Anzi, ad un punto ch'essa levò il viso,
per guardare traverso i vetri della finestra (che erano chiusi) o il
cielo, o la casa dirimpetto, o due rondini volanti, o forse nulla di
preciso, parve a Guido che un lampo di pietoso e di benigno affetto
passasse sui lineamenti di lei. Egli si sentì inondare il cuore da
una nuova commozione, come se gli fosse apparsa a sorridergli allora
lusinghevolmente la Dea della speranza.
Poco di poi Maria lasciò cadere le sue forbicine; e l'artista lesto a
chinarsi per raccoglierle. La ragazza si curvò anch'essa, e abbassò la
sua bianca mano a prenderle. I due giovani, chini ambedue, si toccarono
leggermente; e Guido con un lieve fremito dolcissimo nelle fibre,
sentì sulla guancia, sulla fronte, sul collo scorrere soave una ciocca
dei capelli di Maria. Fu per lui un istante di delizia ineffabile:
il cuore gli batteva ratto ratto e forte forte, sì che gli pareva
doversi rompere, dandogliene un tormento insieme e una gioia da non
potersi esprimere. Le destre d'ambedue trovarono le cercate forbici,
incontrandosi; Guido prese colla sua calda e fremente la fredda mano di
lei, che pareva di marmo, e la tenne un poco, e la strinse. Non la più
lieve pressione, non il menomo moto gli rispose, nè pure un tentativo
per isvincolarsi; ma, sollevando egli le pupille, incontrò quello
sguardo vitreo, in cui non c'era rimprovero, nè stupore, nè emozione di
sorta, ma la solita freddezza, che gli parve fatta più ingrata da una
fugace espressione d'ostilità.
Guido abbandonò quella mano, arrossì un poco, e si trasse in là,
imbarazzato e indispettito.
Maria, prima di ripigliare il suo lavoro, lasciò cascare quasi
sbadatamente lo sguardo sui vetri della finestra, e questa volta
visibilmente apparve sul suo volto un sentimento che avreste detto di
compassione.
Lo scultore sorse subito in piedi, e guardò ancor egli in quella
direzione; vide a una finestra di prospetto una tendina abbassarsi
prestamente sotto la mano d'un uomo che si ritraeva.
Fino allora, Guido non avea saputo rendersi un conto chiaro e preciso
del sentimento che gl'ispirava sua cugina. La subita gelosia che lo
morse al cuore a quel punto, gli aprì gli occhi. Egli amava Maria
disperatamente. Egli, che non aveva ancora amato mai, l'amava con tutta
la potenza dell'anima sua. L'amava di quell'amore dell'uomo maturo, che
ha ancora tutta la foga della prima giovinezza, e ha già la tenacità
della forza virile; quell'amore che è l'ultimo che occupi il cuore d'un
uomo, perchè vi s'incide profondo e incancellabile.
L'amava, così da non avere più bene che con lei e per lei, l'amava
da non poterla pensare nelle braccia d'un altro. L'amava ed era
ferocemente geloso.
A questa scoperta impallidì, provò ad un punto e vergogna di sè stesso
e dispetto contro quella creatura cinta di tanta freddezza che pure
aveva potuto accendere in lui un tanto ardore; ma poi, tosto, un impeto
misto di tenerezza e di gioia lo assalse, perocchè sentì essere un gran
fatto, una tremenda ventura nella vita dell'uomo quella che un vero,
profondo, appassionato amore ne invada l'anima.
Sua madre gli dirigeva giusto in quel punto una domanda. Guido,
oppresso dalla sua emozione, non seppe rispondere, balbettò alcune
parole, e per celare il suo turbamento, non trovò altro mezzo migliore
che quello di uscire dalla stanza.
Anna lo seguitò con uno sguardo pieno d'inquietudine materna.
“Hai tu osservato?” diss'ella poi a Maria con voce commossa. “Guido ha
qualche cosa che lo tormenta, forse un segreto dispiacere.”
E Maria levando il suo placido viso e coll'accento della più naturale
tranquillità:
“Non istate a mettervi in mente di queste cose, Anna, che vi farete
male senza una ragione al mondo. Il vostro occhio di madre è sempre
pronto a vedere alcun male e farvi impaurire sul conto di Guido; ma vi
dico io che l'ho osservato bene eziandio, ch'egli non ha nulla.”
E intanto l'artista era corso a chiudersi in camera, e passeggiandovi
in lungo e in largo a passi concitati, i pugni chiusi, la faccia
contratta, esclamava con impeto che metà era di sdegno, metà di
contentezza:
“L'amo, l'amo, l'amo come un pazzo.”
Si arrestò a mezzo la stanza, sopraccolto a un punto di bel nuovo
da quel sospetto che aveva destata così di subito la sua gelosia.
Accostossi alla finestra la quale guardava nella stessa strada in cui
quella del salotto dove lavorava Maria.
Al balcone di prospetto a cui aveva già visto muoversi una tendina,
Guido scorse dietro i cristalli la faccia d'un giovane che stava
assorto contemplando innanzi a sè. Lo scultore mandò una bestemmia e
lasciò cadere un pugno sul davanzale.
“Ed essa lo amerebbe?.... Potrebbe amarlo mai?” si domandò cacciandosi
le mani nei capelli. “Amarne un altro!... Essere d'un altro!...
Lei!.... Oh!”
E due calde lagrime gli spuntarono dagli occhi.
“Voglio sapere chi è colui.”
Nel fugace istante in che gli era apparsa la figura di quel cotale,
Guido aveva scorto delle chiome bionde, una faccia pallida e magra,
due occhi languidi, un sorriso pieno di mestizia, benchè su labbra di
venticinque anni.
L'artista si pose di nuovo a passeggiare per la camera parlando a sè
stesso nella concitazione della sua mente.
“Maria penserebbe a quell'uomo?... E potrebbe giungere ad amarlo?...
E lo amerebbe?... No, no; è impossibile.... Forse ella non è neppure
capace d'amare. La sorte, facendola di tanta perfezione esteriore non
volle che a questa corrispondesse l'interno! Ed è forse meglio così.
Sarebbe troppo se pari alla beltà del corpo fosse il valore dello
spirito. Non è che una meraviglia di forma cui bisogna contentarsi di
vagheggiare senza chieder di più. Ma questo diletto, non vorrei che
altri nemmeno lo avesse; non vorrei che occhio d'altri pur potesse
mirarla. Al pari di me nessuno nè può, nè sa capire la poesia di linee
che l'abbella....”
Tornò alla finestra. Il giovane di prospetto più non compariva. Guido
appoggiò la sua fronte ardente ai vetri.
“Eppure” rispose egli dopo un poco, “è egli possibile che la natura
abbia lasciato imperfetto un simile capolavoro e manchi il cuore?....
Forse l'anima in lei non è posta al riparo, dietro tanta freddezza,
se non per conservarvi più intatte, più sublimi, più divine tutte
le potenze affettive, e felice chi giungerà sino a quell'anima per
ridestarvele! Chi sa quanti tesori d'amore si nascondono forse in quel
cuore addormentato!... E perchè non potrei essere io quello che?... E
perchè non mi amerebbe?...
«Amore.... a null'amato amar perdona.»
Oh! se mi amasse!...”
Corse allo specchio a guardarsi.
“Ah! la mia giovinezza è oramai ita!... Oh darei la mia parte di
paradiso per essere ancora a venticinque anni.”
Si ravviò la chioma, si lisciò la folta barba, e poi sorrise di scherno
a quegli atti come vergognandosi di sè stesso.
“Chi me l'avesse detto!... Ma torno io forse peggio d'un fanciullo?...
Eh via! Non è colle grazie d'un ganimede da _figurino_ che si conquista
il cuore d'una donna dabbene. E se Maria fosse tale da pigliarsi con
quelle arti e con quei meriti? È così strano, è così piccolo l'animo
della maggior parte delle donne! Quello là di faccia è giovane, ed è
biondo al pari di lei.... Ella non sa, non può supporre nemmeno qual
vulcano d'amore frema nell'anima d'un uomo come son io....”
Uscì per prendere informazioni sul giovane che abitava dirimpetto.
IX.
Era figlio unico di un ricco signore. Amato ciecamente come tutti i
figli unici e per essere egli cagionevole di salute, otteneva sempre
dal padre tutto quanto gli potesse venire in mente di desiderare. Il
sospetto geloso di Guido aveva indovinato il vero. Quel giovane era
stato preso della bellezza di Maria, vedendola ogni giorno al lavoro
presso alla finestra. La fanciulla, per lungo tempo non s'era neppure
accorta di quel volto d'uomo, che stava con tanto d'occhi ardenti
a contemplarla; avvistasene poi una volta, senza affettazione, come
senza turbamento, aveva tirate le tendine per mettersi al riparo dalla
curiosità di quegli sguardi, e per un poco aveva continuato a far
così, sempre che vedesse comparire la faccia di quel giovane. Ma un dì,
guardandolo ella per caso un po' più attentamente, vide sulla faccia
di quello sconosciuto tanto cordoglio e sì modesta e calda preghiera,
che la ne sentì una viva pietà, e senza darvi nè importanza, nè pure
un pensiero, finse d'allora in poi non avvedersi più della presenza
di colui, e lasciò che il giovane la contemplasse a suo bell'agio. Ed
egli, forse temendo che tanta ventura gli venisse nuovamente ritolta,
se ne abusasse o troppo scopertamente ne usasse, prese il costume di
stare nascosto dietro la tenda e non apparire alla scoperta che di
tratto in tratto, beatissimo allora quando lo sguardo della ragazza,
alzandosi dal lavoro e andando sbadatamente in giro, veniva a cadere
su di lui. Un giorno finalmente quel giovane disse a suo padre che
se non isposava quella ragazza, sarebbe infelice per tutta la vita.
Il padre, sapendo che la fanciulla era povera e di umil nascita,
dapprima contrastò e volle tentare ogni possibil mezzo per isviare il
figliuolo da tale idea; ma il giovane, che era innamorato assai più
che non si credesse, sempre stette fermo al suo proposito, tanto che
i suoi, entrati in timore per la salute di lui, decisero finalmente di
contentarlo.
“Quella ragazza sarà tua sposa;” gli disse il padre. “Sta' di buon
animo e Dio te la mandi buona.”
Il giovane fu per isvenire dalla contentezza, e buttandosi al collo del
genitore, lo ringraziò vivamente più coi baci e con le lacrime che con
le parole.
Codesto intimo dramma aveva avuto luogo senza che dalla famiglia di
Maria nulla se ne sapesse, eccetto la muta contemplazione del giovane,
della quale da ultimo erasi accorto Guido. Ed ecco che pochi giorni
dopo quell'ora di spasimo e di esaltazione, mercè cui lo scultore aveva
conosciuto tutta l'estensione e la profondità dell'amor suo, rientrando
in casa il nostro protagonista incontrò un vecchio signore affatto a
lui sconosciuto, che usciva: Guido si affrettò ad entrare nel salotto,
dove trovò sola sua madre, evidentemente sopra pensiero.
“E Maria?” domandò egli.
“È nella sua stanza:” rispose la madre. “Ho avuto adess'adesso un
colloquio a cui non era conveniente che ella assistesse.”
Guido sentì stringersi il cuore da un doloroso presentimento.
“Un colloquio?” balbettò egli. “Con chi? E a qual proposito?”
“Anzi t'aspettavo con molto desiderio per discorrerne teco,” seguitava
la madre. “Non hai visto, entrando, un signore che si partiva di qui?”
“Sì, ebbene?”
“È il signor X....; ed è venuto a domandarmi per suo figlio, un unico
figliuolo, la mano di Maria.”
“Ah!”
Guido si appoggiò sul marmo del caminetto, e per caso alzò gli occhi
allo specchio ond'era sormontato; egli si vide così pallido che non osò
più voltarsi, per timore che la madre s'accorgesse del suo turbamento.
Dopo un poco, chiese con voce che si sforzò a tutto suo potere di
render ferma:
“E tu, che cosa gli hai risposto?”
“Che avrei consultato Maria, e che noi non avremmo fatto che quanto
ella volesse.”
“Hai risposto eccellentemente:” sussurrò Guido, a cui pareva mancare la
voce; e poi, sedendo presso il camino, si curvò sopra i tizzoni ardenti
che si mise a tormentare con le molle.
Anna continuava:
“A dir vero, le convenienze ci sono tutte. Lo sposo è ricco, giovine,
amatissimo da suo padre, e questi me lo affermò innamorato alla follia
della nostra Maria....”
Le molle caddero dalle mani di Guido.
“Innamorato! Innamorato!” diss'egli con voce stizzita, smozzicando
le parole fra i denti. “Bel merito! bel merito!... E chi sa che razza
d'amore!... Una fiammata che la possessione estingue, non una di quelle
passioni....”
S'accorse che s'avviava per una strada inopportuna e s'interruppe.
Riprese le molle e ricominciò a battere con rabbia sopra i tizzoni.
“Ricco!” soggiunse. “La gente quando ha detta questa parola, crede
aver detto tutto. Eh!... in un matrimonio, c'è ben altro eziandio a cui
badare.”
“Hai ragione,” disse Anna, “ma nel nostro caso la famiglia è affatto
onorevole, e sul conto del giovane credo che non si possa dire che
bene.”
“Uhm!”
“Come! Avresti udito qualche cosa non buona di lui?”
“No, no,” s'affrettò a risponder Guido, che sentì subito una gran
vergogna de' fatti suoi.
Anna ripigliava:
“Del resto ne possiamo discorrere a bell'agio tutti insieme. Se tu
credi, sveleremo subito la cosa a Maria.”
“Sì, sì, come vuoi:” disse Guido con una nascosta agitazione. “Anzi tu
dici bene, è meglio parlargliene al più presto.”
Fu mandata a chiamare la ragazza.
Ella venne tosto col suo passo leggero e l'andatura graziosamente
spigliata in una noncuranza piena di garbo.
Anna sedeva sopra una poltrona in faccia alla finestra; Guido su una
seggiola bassa, accosto accosto al camino. Guardò egli di sottecchi la
fanciulla che s'avanzava, e poi curvandosi, sul focolare si rimise a
percuotere con più violenza i tizzoni.
“Maria,” disse la madre di Guido, facendole cenno che sedesse, “abbiamo
da parlarti di cose importanti che ti riguardano.”
“Me?” interrogò la ragazza stupita; e poi tosto, vedendo il mal
governo che Guido stava facendo del fuoco, si rivolse a lui con piglio
graziosamente autorevole: “Guarda se questo è modo di assettare il
fuoco!... Hai mandato la cenere fin qui sul tappeto!”
Guido gettò via le molle e appoggiate le gomita sulle ginocchia, con
le mani si reggeva la faccia; Maria prese la spazzola del cammino e
levò via con tutta cura la cenere sparsa; poi andò a sedersi sopra
uno sgabello ai piedi di Anna, pigliò fra le sue e ritenne la mano
che questa le tendeva, e guardandola con que' suoi occhi limpidi e
sgranati, le disse:
“Parlate pure; vi ascolto.”
“Si tratta della cosa più importante per una ragazza:” cominciò Anna
sorridendo: “d'un matrimonio per te; e noi dobbiamo chiederti la tua
volontà a tale riguardo.”
Maria non manifestò la menoma commozione; dopo il suo solito glaciale
sorriso, metà superbo, metà incredulo disse pacata:
“Un matrimonio per me? È un'idea che mi riesce affatto nuova, a cui non
ho vòlto mai la mente.... Perchè un matrimonio?... Uscire da questa
casa io, per entrare in un'altra del tutto estranea, in mezzo ad
estranei?... Voi mi domandate intorno a ciò la mia volontà quale sia?
Che cosa posso io volere, io che non conosco nulla della vita e non so
nulla del mondo?”
Anna le spiegò in breve come realmente fosse nel destino della donna
il farsi sposa e madre; le rivelò qual fosse il partito proposto, quali
vantaggi avesse, quali fossero le buone qualità del giovane e le felici
condizioni del casato, e concluse con le seguenti parole:
“Io t'ho posto innanzi tutta la verità delle cose perchè tu ti potessi
decidere con piena conoscenza di causa. Certo a noi dorrà grandemente
il perderti, mentre, tu lo vedi, t'amiamo come figlia e sorella e sei
tanta parte della nostra famigliuola; ma tu non hai da consultare che
il tuo interesse e il tuo bene, e quando noi ti vedremo felice saremo
lieti, per quanto ci abbia a costare il separarci da te.”
Maria aveva ascoltato il discorso della cugina, immobile e
indifferente, come se le si parlasse di cose risguardanti tutt'altri
che lei. Quando Anna ebbe finito, ella chinò il capo, quasi per
raccogliersi in sè, e lasciò andare la mano della cugina che teneva
ancora fra le sue.
Guido, che fino allora era stato colla faccia chiusa fra le palme,
sollevò la testa e volse uno sguardo ansioso verso la ragazza, di cui
attendeva la risposta.
“E così,” cominciò poi Maria a dire lentamente, “voi mi consigliate ad
acconsentire?”
Guido diè un balzo e parve voler prorompere con vivaci parole, ma si
contenne.
“Noi non vogliamo influire sulla tua decisione, nè in un verso, nè
nell'altro,” disse Anna, “ma è nostro obbligo il metterti sott'occhio
le cose come stanno.”
“Bene,” disse Maria; e stata ancora un poco sopra sè, soggiunse poscia
con accento d'espansione più che non avesse avuto ancora mai:
“Non voglio dividermi da voi, Anna. Io non ho bisogno affatto di nuove
affezioni; anzi ne sono schiva.... Quando morì la mia povera nonna....
(vi dirò con tutta schiettezza cosa che non vi ho mai detta, solo
perchè non me ne venne l'occasione) quando morì quella santa donna, io
non era che una bambina; eppure v'era già qualche cosa in me che, non
dirò ragionasse, ma sentiva in un modo tutto suo particolare; ebbene,
allora, io mi dissi che non avrei amato più, che non avrei potuto amar
più nessuno al mondo come quella povera morta.”
Fece pausa un istante. Ella non aveva ancora parlato mai sì a lungo di
cosa che la riguardasse; e forse per la prima volta, dacchè Guido la
udiva, la voce metallica di lei aveva una vibrazione d'affetto.
Maria ripigliava:
“Perchè, vedete, io bisogna che ami a tutto mio modo, e sia amata
secondo un mio modo.... Quella povera vecchia nonna come sapeva amarmi!
Come mi pareva che sapessero amarmi le gole e il vento, i castagni e
gli abeti, i fiori selvaggi e i freddi ruscelli delle mie montagne!
Come le mie capre vagolanti sui ciglioni dei dirupi ed accorrenti alla
mia voce!”
Negli occhi suoi s'era acceso uno di quei lampi di sensitiva
intelligenza che accennai darle talvolta, quand'essa era bambina,
un'espressione ammirabile, lampi che s'erano fatti sempre più radi; le
ciglia le tremolavano, come sotto la pressione di lagrime ch'ella si
sforzasse di ricacciare indietro.
Quanto era bella in quel momento! Guido fu a un punto di gettarsele in
ginocchio dinanzi ed esclamare:
«Maria, t'amo a mille doppi, io; e saprò amarti più di tutto e di
tutti, e per tutta la vita!»
Fu la madre di lui che disse con accento di tenera rampogna e di
amoroso rimpianto:
“Oh che dunque noi non abbiamo saputo amarti, Maria?”
La fanciulla aveva già vinto quel po' d'emozione per tornare alla sua
calma abituale.
“Ah! non dico questo” esclamò, “anzi!... Statemi a sentir con pazienza,
e vedrete.”
Prese la mano di Anna, la baciò, e poi seguitò tranquillamente il suo
discorso.
“Dunque alla morte della nonna, io non credeva di poter rivoler bene
a qualcuno, e venni a star con voi (come forse ve ne sarete accorti)
con la malavoglia di chi soggiace ad una necessità. Non ci voleva
che la vostra bontà infinita, Anna, per vincere quella mia permalosa
rustichezza. Voi avete addomesticata questa creatura selvaggia, a
forza di benevolenza e di generosi riguardi. A mano a mano io mi sono
assuefatta a voi; senza volerlo, sorse in me per voi una parte di
quell'affetto che nutrivo per quella mia buona vecchierella che dorme
laggiù nel cimitero del nostro villaggio: e ora, Anna, vi voglio bene.”
Non aveva mai detto cotanto. Benchè la sua voce non fosse punto
commossa, pure c'era un non so che, leggiero, leggiero, ma
apprensibile, un'aura direi, un profumo di sentimento che Anna ne fu
tocca. Prese la testa della ragazza, che le sedeva sempre ai piedi, la
strinse a sè, e chinatasele sopra, la baciò, come avrebbe potuto fare
una madre. Maria si prestò a quelle carezze con passivo abbandono,
senza restituirle, sorridendo a suo modo, e lasciò il suo capo con muta
compiacenza riposare in grembo della cugina.
Di Guido ella non aveva parlato, nè pur fatto cenno, nè voltogli
uno sguardo, nè mostrato pure di ricordarsi che esistesse: eppure
l'innamorato artista, a due passi da lei, contemplandola rapito, le
mani giunte, sentivasi per quelle parole scorrere un fluido di soave
voluttà per tutte le vene.
Stata così un poco, Maria raddrizzava compostamente la persona, e
continuava:
“Ora abbandonarvi e vivere in nuovo ambiente, in nuove condizioni,
sarebbe per me una sventura. Ora sono certa che non amerò più altri che
Guido in quel momento bramava andare al paesello; diceva quel soggiorno
essere più giovevole alla madre; egli stesso aver bisogno di riposo e
di quiete.
“Vivremo colà alcun tempo, solo da noi e per noi!” esclamava con calore.
La madre, al contrario, sosteneva che Guido colà presto si sarebbe
annoiato, che avrebbe negletto l'arte sua; e ciò non doveva fare a
nessun costo; affermava che a lei la più giovevol cosa di questo mondo
era star presso suo figlio in qualunque luogo poi si fosse; che quindi
Guido aveva da ripigliare senz'altro quella sua vita cittadinesca cui
erasi assuefatto prima di partire.
Anna fece appello al giudizio di Maria, la quale, seduta al suo lavoro
presso la finestra, non aveva pronunziato ancora una parola e non
mostrava aver prestato la menoma attenzione al discorso.
Maria sollevò lentamente la testa, e guardando il cugino con quella
medesima espressione con cui guardava il panno che stava cucendo,
disse coll'accento d'un umile personaggio che proclama, per mandato
d'un'autorità superiore, una sentenza inappellabile:
“Tu, Guido, ti devi a tua madre, è vero; ma all'arte tua eziandio. Al
villaggio quest'ultima sarebbe da te abbandonata; ed a tua madre, l'hai
sentito, basta per esser lieta, il viver teco.”
Anna si volse in aria di trionfo a suo figlio.
“Vedi che avevo ragione!”
Guido lanciò uno sguardo di fuoco sulla cugina, la quale, senza
scomporsi altrimenti, richinava la testa sul suo lavoro con una
graziosa curva di collo; e non ribattè parola.
Maria aveva parlato; la lite era finita. Si rimase a Torino.
VIII.
Guido abbandonava spesso il suo studio pel salotto in cui era solita
lavorare Maria. Una irrequietezza, qual forse egli non aveva provato
mai, lo travagliava di continuo; intorno al suo lavoro non aveva
pazienza di reggere lungo tempo; in mezzo a tutti i suoi concepimenti
artistici venivagli sempre un pensiero estraneo che lo sviava;
parecchie volte ei si trovava innanzi al masso di creta cui s'era
messo per plasmare, immobile, le braccia penzoloni, la fantasia lontana
lontana dal suo lavoro. Allora, indispettito gettava gli attrezzi e la
blusa, ed usciva, come se all'aria libera avesse da riacquistar tosto
l'idea e la volontà che gli erano fuggite.
Non v'era più donna che trovasse convenirgli per modello; in tutte
scopriva mille difetti: non la grazia, non la purezza delle linee,
non l'espressione ch'egli andava vagheggiando; e si raccomandava agli
artisti suoi compagni perchè gli procurassero quanto conoscevan di
meglio.
«Voglio fare una grande statua, un'opera da metterci l'amor mio, la
mia gloria;» diceva egli. «Sarà una Venere, sarà un'Ebe, sarà una
Psiche.... fors'anco una Madonna? Non so. Ma ne ho in capo delle forme
vaghe d'un'armoniosa bellezza, cui vorrei poter far concrete coll'aiuto
d'una realtà che s'accostasse un poco al tipo ch'io vagheggio; e
la sciupata beltà di queste vostre _modelle_, qualunque m'avvenga
d'incontrare, sta al mio sogno come la volgarità d'un becero alla
sublimità d'un poeta.»
Un giorno ch'egli ripeteva cotali sue parole, un allegro scapato de'
suoi compagni rispose ridendo:
“Se vuoi una figura veramente superiore in leggiadria, qualche cosa
d'angelico congiunto a tutto ciò che ha di bello la carne.... e la ne
ha, cospetto se ne ha di bello questa povera carne così maltrattata
dagli ascetici!... Se vuoi una simile meraviglia, te la posso additar
io.”
“Sì?” interrogò Guido con avida curiosità.
“Sicuro. E ce l'hai proprio, come si suol dire a gittata di mano.”
La fronte di Guido si corrugò.
“Chi?” interrogò egli con voce punto punto di scherzo.
“Piglia tua cugina.”
A Guido il sangue diede un rimescolo; sentì le sue guancie impallidire,
poi accendersi; un subito impeto lo assalse d'inveire contro chi aveva
così parlato, e se ne ritenne a stento.
“Taci;” gli disse con fiero cipiglio: “questi non sono scherzi, ma
sciocchezze.”
Per nascondere la sua emozione, si alzò e si diede a girare per lo
studio, toccando questo e quell'oggetto senza ragione, e in fatti
non sapendo quel che si facesse. Ma il peggio fu che quelle parole
del buontempone fecero sorgere fra tutti i presenti un vero concerto
di lodi e d'ammirazione alla ragazza. Guido stava come sui carboni
ardenti, e si faceva forza per trattenersi dall'insultare quegli
encomiatori di sua cugina, che pur si tenevano nei più stretti limiti
delle convenienze. Gli pareva quella poco meno che una profanazione.
Si svestì della veste da lavoro con moto che pareva di rabbia, e
infilando affrettatamente il soprabito, e piantandosi in testa il
cappello:
“Usciamo,” gridò; “ho da uscire io.... ho bisogno di respirare aria
libera.”
La verità era che il pensiero di pigliare Maria a modello della sua
statua gli andava spesso per la mente, e senza spiegarsene bene il
motivo, ne sentiva vergogna, e non osava confessarlo neppure a sè
stesso.
Soventi volte gli avveniva che, solo, nel suo studio, ripensando a quei
lineamenti che aveva impressi nel cuore e nel cervello, gli sembrasse
di non ricordarsene più esattamente, di non aver presente più qualche
minuta particolarità di quella fisonomia, precisamente come accade a
chi guardi troppo fisso e troppo lungamente un oggetto, che la vista
gli si confonde, e l'oggetto medesimo pare abbuiarglisi, e perdere la
precisione delle forme.
«Quando abbassa lentamente quelle sue lunghe ciglia di seta dorata,
la sua fisonomia piglia un _fare_ raffaellesco che non ho mai potuto
compiutamente afferrare; quando atteggia le labbra al suo superbo
sorriso, gli è più qua e più là che s'incava nelle sue guancie quella
cara pozzettina tutta grazia e avvenenza!»
Così dicevasi egli, e correva presso di lei a rivederla, col desio di
chi da lunghi giorni non ha più visto cosa che gli è carissima. E ad
ogni volta parevagli che una nuova bellezza gli si manifestasse.
«Eppure,» pensava altresì Guido tal fiata nella sua solitudine, «eppure
manca qualche cosa in quella perfezione! Vi è ancora un grado superiore
di bellezza a cui la potrebbe giungere. Che cos'è? Non so bene; ma
direi che una lieve nebbia avvolga e veli tanto splendore, rimossa la
quale, più viva e più eletta ne sarebbe la luce.»
Una volta che pensava appunto a codesto, mirando il fino e purissimo
profilo di Maria, questa alzò il capo con quella sua solita mossa
lenta e tranquilla, e volse verso Guido lo sguardo più freddo e più
indifferente del solito.
«Ah! quello sguardo non ha vita, non è l'espressione d'un'anima,»
disse il giovane fra sè. «È lo sguardo d'un automa, non rivela nè
l'intelletto nè il cuore.... Ecco ciò che le manca. La scintilla del
pensiero e dell'affetto. Oh! se un Prometeo venisse e infondesse in
quelle belle membra il fuoco celeste!... Come? Possibile! Quella non
sarebbe che una meraviglia di forma, e in essa non si conterrebbe il
_quid divinum_, l'essenza superiore, la bellezza ideale cui adombra la
corporea?... No, no: la sacra favilla è nascosta, ma vi è di sicuro.
Felice chi la susciterà! E allora anche l'avvenenza delle forme ne sarà
avvantaggiata e compiuta. Ah! se io....»
E non osò nemmeno formolare il pensiero che seguiva.
C'era poi delle volte che, mirando quell'inalterabile serenità dello
sguardo di lei, Guido ne provava quasi dispetto. Avrebbe voluto far
qualche cosa da scuoterla in un modo o in un altro, fosse pur anche
eccitandone lo sdegno; ma per quanto tentasse questo mezzo e quello, la
placidità contegnosa della ragazza non si alterava pur mai.
Un dì Guido era venuto a sedersi, come soleva spesso, vicino alla
fanciulla che lavorava al suo solito posto; la madre dello scultore non
era molto lontana, Anna e il figliuolo parlavano interrottamente; la
giovane, come l'usato, se non la s'interrogava, taceva. Guido ammirava,
come se non le avesse viste mai, le sempre più belle fattezze di Maria;
e in quel momento, fosse la sua intima emozione che lo illudesse, fosse
la realtà, credeva di scorgere nel volto di lei una traccia, non dirò
di tenerezza, ma di sentimento. Anzi, ad un punto ch'essa levò il viso,
per guardare traverso i vetri della finestra (che erano chiusi) o il
cielo, o la casa dirimpetto, o due rondini volanti, o forse nulla di
preciso, parve a Guido che un lampo di pietoso e di benigno affetto
passasse sui lineamenti di lei. Egli si sentì inondare il cuore da
una nuova commozione, come se gli fosse apparsa a sorridergli allora
lusinghevolmente la Dea della speranza.
Poco di poi Maria lasciò cadere le sue forbicine; e l'artista lesto a
chinarsi per raccoglierle. La ragazza si curvò anch'essa, e abbassò la
sua bianca mano a prenderle. I due giovani, chini ambedue, si toccarono
leggermente; e Guido con un lieve fremito dolcissimo nelle fibre,
sentì sulla guancia, sulla fronte, sul collo scorrere soave una ciocca
dei capelli di Maria. Fu per lui un istante di delizia ineffabile:
il cuore gli batteva ratto ratto e forte forte, sì che gli pareva
doversi rompere, dandogliene un tormento insieme e una gioia da non
potersi esprimere. Le destre d'ambedue trovarono le cercate forbici,
incontrandosi; Guido prese colla sua calda e fremente la fredda mano di
lei, che pareva di marmo, e la tenne un poco, e la strinse. Non la più
lieve pressione, non il menomo moto gli rispose, nè pure un tentativo
per isvincolarsi; ma, sollevando egli le pupille, incontrò quello
sguardo vitreo, in cui non c'era rimprovero, nè stupore, nè emozione di
sorta, ma la solita freddezza, che gli parve fatta più ingrata da una
fugace espressione d'ostilità.
Guido abbandonò quella mano, arrossì un poco, e si trasse in là,
imbarazzato e indispettito.
Maria, prima di ripigliare il suo lavoro, lasciò cascare quasi
sbadatamente lo sguardo sui vetri della finestra, e questa volta
visibilmente apparve sul suo volto un sentimento che avreste detto di
compassione.
Lo scultore sorse subito in piedi, e guardò ancor egli in quella
direzione; vide a una finestra di prospetto una tendina abbassarsi
prestamente sotto la mano d'un uomo che si ritraeva.
Fino allora, Guido non avea saputo rendersi un conto chiaro e preciso
del sentimento che gl'ispirava sua cugina. La subita gelosia che lo
morse al cuore a quel punto, gli aprì gli occhi. Egli amava Maria
disperatamente. Egli, che non aveva ancora amato mai, l'amava con tutta
la potenza dell'anima sua. L'amava di quell'amore dell'uomo maturo, che
ha ancora tutta la foga della prima giovinezza, e ha già la tenacità
della forza virile; quell'amore che è l'ultimo che occupi il cuore d'un
uomo, perchè vi s'incide profondo e incancellabile.
L'amava, così da non avere più bene che con lei e per lei, l'amava
da non poterla pensare nelle braccia d'un altro. L'amava ed era
ferocemente geloso.
A questa scoperta impallidì, provò ad un punto e vergogna di sè stesso
e dispetto contro quella creatura cinta di tanta freddezza che pure
aveva potuto accendere in lui un tanto ardore; ma poi, tosto, un impeto
misto di tenerezza e di gioia lo assalse, perocchè sentì essere un gran
fatto, una tremenda ventura nella vita dell'uomo quella che un vero,
profondo, appassionato amore ne invada l'anima.
Sua madre gli dirigeva giusto in quel punto una domanda. Guido,
oppresso dalla sua emozione, non seppe rispondere, balbettò alcune
parole, e per celare il suo turbamento, non trovò altro mezzo migliore
che quello di uscire dalla stanza.
Anna lo seguitò con uno sguardo pieno d'inquietudine materna.
“Hai tu osservato?” diss'ella poi a Maria con voce commossa. “Guido ha
qualche cosa che lo tormenta, forse un segreto dispiacere.”
E Maria levando il suo placido viso e coll'accento della più naturale
tranquillità:
“Non istate a mettervi in mente di queste cose, Anna, che vi farete
male senza una ragione al mondo. Il vostro occhio di madre è sempre
pronto a vedere alcun male e farvi impaurire sul conto di Guido; ma vi
dico io che l'ho osservato bene eziandio, ch'egli non ha nulla.”
E intanto l'artista era corso a chiudersi in camera, e passeggiandovi
in lungo e in largo a passi concitati, i pugni chiusi, la faccia
contratta, esclamava con impeto che metà era di sdegno, metà di
contentezza:
“L'amo, l'amo, l'amo come un pazzo.”
Si arrestò a mezzo la stanza, sopraccolto a un punto di bel nuovo
da quel sospetto che aveva destata così di subito la sua gelosia.
Accostossi alla finestra la quale guardava nella stessa strada in cui
quella del salotto dove lavorava Maria.
Al balcone di prospetto a cui aveva già visto muoversi una tendina,
Guido scorse dietro i cristalli la faccia d'un giovane che stava
assorto contemplando innanzi a sè. Lo scultore mandò una bestemmia e
lasciò cadere un pugno sul davanzale.
“Ed essa lo amerebbe?.... Potrebbe amarlo mai?” si domandò cacciandosi
le mani nei capelli. “Amarne un altro!... Essere d'un altro!...
Lei!.... Oh!”
E due calde lagrime gli spuntarono dagli occhi.
“Voglio sapere chi è colui.”
Nel fugace istante in che gli era apparsa la figura di quel cotale,
Guido aveva scorto delle chiome bionde, una faccia pallida e magra,
due occhi languidi, un sorriso pieno di mestizia, benchè su labbra di
venticinque anni.
L'artista si pose di nuovo a passeggiare per la camera parlando a sè
stesso nella concitazione della sua mente.
“Maria penserebbe a quell'uomo?... E potrebbe giungere ad amarlo?...
E lo amerebbe?... No, no; è impossibile.... Forse ella non è neppure
capace d'amare. La sorte, facendola di tanta perfezione esteriore non
volle che a questa corrispondesse l'interno! Ed è forse meglio così.
Sarebbe troppo se pari alla beltà del corpo fosse il valore dello
spirito. Non è che una meraviglia di forma cui bisogna contentarsi di
vagheggiare senza chieder di più. Ma questo diletto, non vorrei che
altri nemmeno lo avesse; non vorrei che occhio d'altri pur potesse
mirarla. Al pari di me nessuno nè può, nè sa capire la poesia di linee
che l'abbella....”
Tornò alla finestra. Il giovane di prospetto più non compariva. Guido
appoggiò la sua fronte ardente ai vetri.
“Eppure” rispose egli dopo un poco, “è egli possibile che la natura
abbia lasciato imperfetto un simile capolavoro e manchi il cuore?....
Forse l'anima in lei non è posta al riparo, dietro tanta freddezza,
se non per conservarvi più intatte, più sublimi, più divine tutte
le potenze affettive, e felice chi giungerà sino a quell'anima per
ridestarvele! Chi sa quanti tesori d'amore si nascondono forse in quel
cuore addormentato!... E perchè non potrei essere io quello che?... E
perchè non mi amerebbe?...
«Amore.... a null'amato amar perdona.»
Oh! se mi amasse!...”
Corse allo specchio a guardarsi.
“Ah! la mia giovinezza è oramai ita!... Oh darei la mia parte di
paradiso per essere ancora a venticinque anni.”
Si ravviò la chioma, si lisciò la folta barba, e poi sorrise di scherno
a quegli atti come vergognandosi di sè stesso.
“Chi me l'avesse detto!... Ma torno io forse peggio d'un fanciullo?...
Eh via! Non è colle grazie d'un ganimede da _figurino_ che si conquista
il cuore d'una donna dabbene. E se Maria fosse tale da pigliarsi con
quelle arti e con quei meriti? È così strano, è così piccolo l'animo
della maggior parte delle donne! Quello là di faccia è giovane, ed è
biondo al pari di lei.... Ella non sa, non può supporre nemmeno qual
vulcano d'amore frema nell'anima d'un uomo come son io....”
Uscì per prendere informazioni sul giovane che abitava dirimpetto.
IX.
Era figlio unico di un ricco signore. Amato ciecamente come tutti i
figli unici e per essere egli cagionevole di salute, otteneva sempre
dal padre tutto quanto gli potesse venire in mente di desiderare. Il
sospetto geloso di Guido aveva indovinato il vero. Quel giovane era
stato preso della bellezza di Maria, vedendola ogni giorno al lavoro
presso alla finestra. La fanciulla, per lungo tempo non s'era neppure
accorta di quel volto d'uomo, che stava con tanto d'occhi ardenti
a contemplarla; avvistasene poi una volta, senza affettazione, come
senza turbamento, aveva tirate le tendine per mettersi al riparo dalla
curiosità di quegli sguardi, e per un poco aveva continuato a far
così, sempre che vedesse comparire la faccia di quel giovane. Ma un dì,
guardandolo ella per caso un po' più attentamente, vide sulla faccia
di quello sconosciuto tanto cordoglio e sì modesta e calda preghiera,
che la ne sentì una viva pietà, e senza darvi nè importanza, nè pure
un pensiero, finse d'allora in poi non avvedersi più della presenza
di colui, e lasciò che il giovane la contemplasse a suo bell'agio. Ed
egli, forse temendo che tanta ventura gli venisse nuovamente ritolta,
se ne abusasse o troppo scopertamente ne usasse, prese il costume di
stare nascosto dietro la tenda e non apparire alla scoperta che di
tratto in tratto, beatissimo allora quando lo sguardo della ragazza,
alzandosi dal lavoro e andando sbadatamente in giro, veniva a cadere
su di lui. Un giorno finalmente quel giovane disse a suo padre che
se non isposava quella ragazza, sarebbe infelice per tutta la vita.
Il padre, sapendo che la fanciulla era povera e di umil nascita,
dapprima contrastò e volle tentare ogni possibil mezzo per isviare il
figliuolo da tale idea; ma il giovane, che era innamorato assai più
che non si credesse, sempre stette fermo al suo proposito, tanto che
i suoi, entrati in timore per la salute di lui, decisero finalmente di
contentarlo.
“Quella ragazza sarà tua sposa;” gli disse il padre. “Sta' di buon
animo e Dio te la mandi buona.”
Il giovane fu per isvenire dalla contentezza, e buttandosi al collo del
genitore, lo ringraziò vivamente più coi baci e con le lacrime che con
le parole.
Codesto intimo dramma aveva avuto luogo senza che dalla famiglia di
Maria nulla se ne sapesse, eccetto la muta contemplazione del giovane,
della quale da ultimo erasi accorto Guido. Ed ecco che pochi giorni
dopo quell'ora di spasimo e di esaltazione, mercè cui lo scultore aveva
conosciuto tutta l'estensione e la profondità dell'amor suo, rientrando
in casa il nostro protagonista incontrò un vecchio signore affatto a
lui sconosciuto, che usciva: Guido si affrettò ad entrare nel salotto,
dove trovò sola sua madre, evidentemente sopra pensiero.
“E Maria?” domandò egli.
“È nella sua stanza:” rispose la madre. “Ho avuto adess'adesso un
colloquio a cui non era conveniente che ella assistesse.”
Guido sentì stringersi il cuore da un doloroso presentimento.
“Un colloquio?” balbettò egli. “Con chi? E a qual proposito?”
“Anzi t'aspettavo con molto desiderio per discorrerne teco,” seguitava
la madre. “Non hai visto, entrando, un signore che si partiva di qui?”
“Sì, ebbene?”
“È il signor X....; ed è venuto a domandarmi per suo figlio, un unico
figliuolo, la mano di Maria.”
“Ah!”
Guido si appoggiò sul marmo del caminetto, e per caso alzò gli occhi
allo specchio ond'era sormontato; egli si vide così pallido che non osò
più voltarsi, per timore che la madre s'accorgesse del suo turbamento.
Dopo un poco, chiese con voce che si sforzò a tutto suo potere di
render ferma:
“E tu, che cosa gli hai risposto?”
“Che avrei consultato Maria, e che noi non avremmo fatto che quanto
ella volesse.”
“Hai risposto eccellentemente:” sussurrò Guido, a cui pareva mancare la
voce; e poi, sedendo presso il camino, si curvò sopra i tizzoni ardenti
che si mise a tormentare con le molle.
Anna continuava:
“A dir vero, le convenienze ci sono tutte. Lo sposo è ricco, giovine,
amatissimo da suo padre, e questi me lo affermò innamorato alla follia
della nostra Maria....”
Le molle caddero dalle mani di Guido.
“Innamorato! Innamorato!” diss'egli con voce stizzita, smozzicando
le parole fra i denti. “Bel merito! bel merito!... E chi sa che razza
d'amore!... Una fiammata che la possessione estingue, non una di quelle
passioni....”
S'accorse che s'avviava per una strada inopportuna e s'interruppe.
Riprese le molle e ricominciò a battere con rabbia sopra i tizzoni.
“Ricco!” soggiunse. “La gente quando ha detta questa parola, crede
aver detto tutto. Eh!... in un matrimonio, c'è ben altro eziandio a cui
badare.”
“Hai ragione,” disse Anna, “ma nel nostro caso la famiglia è affatto
onorevole, e sul conto del giovane credo che non si possa dire che
bene.”
“Uhm!”
“Come! Avresti udito qualche cosa non buona di lui?”
“No, no,” s'affrettò a risponder Guido, che sentì subito una gran
vergogna de' fatti suoi.
Anna ripigliava:
“Del resto ne possiamo discorrere a bell'agio tutti insieme. Se tu
credi, sveleremo subito la cosa a Maria.”
“Sì, sì, come vuoi:” disse Guido con una nascosta agitazione. “Anzi tu
dici bene, è meglio parlargliene al più presto.”
Fu mandata a chiamare la ragazza.
Ella venne tosto col suo passo leggero e l'andatura graziosamente
spigliata in una noncuranza piena di garbo.
Anna sedeva sopra una poltrona in faccia alla finestra; Guido su una
seggiola bassa, accosto accosto al camino. Guardò egli di sottecchi la
fanciulla che s'avanzava, e poi curvandosi, sul focolare si rimise a
percuotere con più violenza i tizzoni.
“Maria,” disse la madre di Guido, facendole cenno che sedesse, “abbiamo
da parlarti di cose importanti che ti riguardano.”
“Me?” interrogò la ragazza stupita; e poi tosto, vedendo il mal
governo che Guido stava facendo del fuoco, si rivolse a lui con piglio
graziosamente autorevole: “Guarda se questo è modo di assettare il
fuoco!... Hai mandato la cenere fin qui sul tappeto!”
Guido gettò via le molle e appoggiate le gomita sulle ginocchia, con
le mani si reggeva la faccia; Maria prese la spazzola del cammino e
levò via con tutta cura la cenere sparsa; poi andò a sedersi sopra
uno sgabello ai piedi di Anna, pigliò fra le sue e ritenne la mano
che questa le tendeva, e guardandola con que' suoi occhi limpidi e
sgranati, le disse:
“Parlate pure; vi ascolto.”
“Si tratta della cosa più importante per una ragazza:” cominciò Anna
sorridendo: “d'un matrimonio per te; e noi dobbiamo chiederti la tua
volontà a tale riguardo.”
Maria non manifestò la menoma commozione; dopo il suo solito glaciale
sorriso, metà superbo, metà incredulo disse pacata:
“Un matrimonio per me? È un'idea che mi riesce affatto nuova, a cui non
ho vòlto mai la mente.... Perchè un matrimonio?... Uscire da questa
casa io, per entrare in un'altra del tutto estranea, in mezzo ad
estranei?... Voi mi domandate intorno a ciò la mia volontà quale sia?
Che cosa posso io volere, io che non conosco nulla della vita e non so
nulla del mondo?”
Anna le spiegò in breve come realmente fosse nel destino della donna
il farsi sposa e madre; le rivelò qual fosse il partito proposto, quali
vantaggi avesse, quali fossero le buone qualità del giovane e le felici
condizioni del casato, e concluse con le seguenti parole:
“Io t'ho posto innanzi tutta la verità delle cose perchè tu ti potessi
decidere con piena conoscenza di causa. Certo a noi dorrà grandemente
il perderti, mentre, tu lo vedi, t'amiamo come figlia e sorella e sei
tanta parte della nostra famigliuola; ma tu non hai da consultare che
il tuo interesse e il tuo bene, e quando noi ti vedremo felice saremo
lieti, per quanto ci abbia a costare il separarci da te.”
Maria aveva ascoltato il discorso della cugina, immobile e
indifferente, come se le si parlasse di cose risguardanti tutt'altri
che lei. Quando Anna ebbe finito, ella chinò il capo, quasi per
raccogliersi in sè, e lasciò andare la mano della cugina che teneva
ancora fra le sue.
Guido, che fino allora era stato colla faccia chiusa fra le palme,
sollevò la testa e volse uno sguardo ansioso verso la ragazza, di cui
attendeva la risposta.
“E così,” cominciò poi Maria a dire lentamente, “voi mi consigliate ad
acconsentire?”
Guido diè un balzo e parve voler prorompere con vivaci parole, ma si
contenne.
“Noi non vogliamo influire sulla tua decisione, nè in un verso, nè
nell'altro,” disse Anna, “ma è nostro obbligo il metterti sott'occhio
le cose come stanno.”
“Bene,” disse Maria; e stata ancora un poco sopra sè, soggiunse poscia
con accento d'espansione più che non avesse avuto ancora mai:
“Non voglio dividermi da voi, Anna. Io non ho bisogno affatto di nuove
affezioni; anzi ne sono schiva.... Quando morì la mia povera nonna....
(vi dirò con tutta schiettezza cosa che non vi ho mai detta, solo
perchè non me ne venne l'occasione) quando morì quella santa donna, io
non era che una bambina; eppure v'era già qualche cosa in me che, non
dirò ragionasse, ma sentiva in un modo tutto suo particolare; ebbene,
allora, io mi dissi che non avrei amato più, che non avrei potuto amar
più nessuno al mondo come quella povera morta.”
Fece pausa un istante. Ella non aveva ancora parlato mai sì a lungo di
cosa che la riguardasse; e forse per la prima volta, dacchè Guido la
udiva, la voce metallica di lei aveva una vibrazione d'affetto.
Maria ripigliava:
“Perchè, vedete, io bisogna che ami a tutto mio modo, e sia amata
secondo un mio modo.... Quella povera vecchia nonna come sapeva amarmi!
Come mi pareva che sapessero amarmi le gole e il vento, i castagni e
gli abeti, i fiori selvaggi e i freddi ruscelli delle mie montagne!
Come le mie capre vagolanti sui ciglioni dei dirupi ed accorrenti alla
mia voce!”
Negli occhi suoi s'era acceso uno di quei lampi di sensitiva
intelligenza che accennai darle talvolta, quand'essa era bambina,
un'espressione ammirabile, lampi che s'erano fatti sempre più radi; le
ciglia le tremolavano, come sotto la pressione di lagrime ch'ella si
sforzasse di ricacciare indietro.
Quanto era bella in quel momento! Guido fu a un punto di gettarsele in
ginocchio dinanzi ed esclamare:
«Maria, t'amo a mille doppi, io; e saprò amarti più di tutto e di
tutti, e per tutta la vita!»
Fu la madre di lui che disse con accento di tenera rampogna e di
amoroso rimpianto:
“Oh che dunque noi non abbiamo saputo amarti, Maria?”
La fanciulla aveva già vinto quel po' d'emozione per tornare alla sua
calma abituale.
“Ah! non dico questo” esclamò, “anzi!... Statemi a sentir con pazienza,
e vedrete.”
Prese la mano di Anna, la baciò, e poi seguitò tranquillamente il suo
discorso.
“Dunque alla morte della nonna, io non credeva di poter rivoler bene
a qualcuno, e venni a star con voi (come forse ve ne sarete accorti)
con la malavoglia di chi soggiace ad una necessità. Non ci voleva
che la vostra bontà infinita, Anna, per vincere quella mia permalosa
rustichezza. Voi avete addomesticata questa creatura selvaggia, a
forza di benevolenza e di generosi riguardi. A mano a mano io mi sono
assuefatta a voi; senza volerlo, sorse in me per voi una parte di
quell'affetto che nutrivo per quella mia buona vecchierella che dorme
laggiù nel cimitero del nostro villaggio: e ora, Anna, vi voglio bene.”
Non aveva mai detto cotanto. Benchè la sua voce non fosse punto
commossa, pure c'era un non so che, leggiero, leggiero, ma
apprensibile, un'aura direi, un profumo di sentimento che Anna ne fu
tocca. Prese la testa della ragazza, che le sedeva sempre ai piedi, la
strinse a sè, e chinatasele sopra, la baciò, come avrebbe potuto fare
una madre. Maria si prestò a quelle carezze con passivo abbandono,
senza restituirle, sorridendo a suo modo, e lasciò il suo capo con muta
compiacenza riposare in grembo della cugina.
Di Guido ella non aveva parlato, nè pur fatto cenno, nè voltogli
uno sguardo, nè mostrato pure di ricordarsi che esistesse: eppure
l'innamorato artista, a due passi da lei, contemplandola rapito, le
mani giunte, sentivasi per quelle parole scorrere un fluido di soave
voluttà per tutte le vene.
Stata così un poco, Maria raddrizzava compostamente la persona, e
continuava:
“Ora abbandonarvi e vivere in nuovo ambiente, in nuove condizioni,
sarebbe per me una sventura. Ora sono certa che non amerò più altri che
- Parts
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 01
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 02
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 03
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 04
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 05
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 06
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 07
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 08
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 09
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 10
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 11
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 12
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 13
- Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 14