Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 11

propizia, giovava pur tanto alla salute della madre, e la bellezza
del paese esercitava su Guido quel medesimo fàscino che già aveva
esercitato sul padre di lui, quando primamente era capitato in quei
luoghi, così che decisero dimorarvi un mesetto. Si allogarono nella
casetta antica della famiglia che presero per quel tempo in affitto,
quella casa dove erano trascorse l'infanzia e la prima giovinezza di
Anna; e Maria vi ebbe una camera dove furono raccolti tutti gli oggetti
che le aveva lasciati la nonna e che le dovevano esser cari.
Colla sua nuova famiglia, la giovinetta, poco più, poco meno, era
sempre quella che il primo giorno. Stava sola quanto più poteva,
fuggendo tanto l'Anna quanto il giovane; innanzi a loro di rado
alzava gli occhi a guardarli: si teneva impalata e immobile, come se
non osasse pure trarre il fiato: non rispondeva che a monosillabi:
e nè l'uno nè l'altro avevano potuto vederla piangere o sorridere o
dare un segno qualunque di sentimento. Un giorno che il tempo era più
freddiccio, Anna ritiratasi nel pian terreno e sedutasi sulla vecchia
poltrona di suo padre presso al fuoco, s'era abbandonata a ricercare
colla mente tutte le memorie del passato, e per farsi meglio sfilare
innanzi alla fantasia l'immagine delle cose trascorse, aveva chiuso
gli occhi e pareva dormisse. Maria entrò col suo passo felino che non
si faceva sentire, e s'accostò pian piano. La salute, che tornava ogni
dì meglio alla madre di Guido, le dava una leggiera tinta d'incarnato
alle guancie, l'interna emozione di quel momento si rifletteva sulla
fisonomia di lei in sì gentile maniera, che uno splendore di giovinezza
animava la beltà di quei tratti da disgradarne qualunque più leggiadra
nel fiore de' suoi anni, se non fossero stati que' fili bianchi ne'
capelli e quelle finissime rughe ai lati della fronte.
Maria stette un poco a contemplarla; poi s'accosciò pianamente ai piedi
di lei, appoggiò un gomito alle ginocchia e il mento sulla palma della
mano, e si diede a fissar l'Anna, come se non l'avesse vista mai e
volesse imprimersene i tratti nella memoria.
La madre di Guido udì un respiro più forte che pareva un sospiro,
e aprì gli occhi, vide Maria in quella positura che la mirava.
Acconciatasi senza soggezione in una mossa naturale, la giovinetta
aveva una certa grazia quale Anna non le aveva vista mai, e in quel
punto nello sguardo dell'orfana a lei rivolto, credette scorgere una
intelligenza, una tenerezza che le si mostravano per la prima volta. Ma
appena Maria ebbe veduto aperti gli occhi di Anna, sorse di scatto, e
tornando tosto in tutta la disavvenenza dei suoi movimenti, fece atto
di partirsene rossa in viso, come chi vien colto a far cosa che non
dovrebbe.
Anna fu tosto a trattenerla, pigliandole una mano.
“Perchè fuggi? Ti fo io paura?”
Maria, al solito, non rispose.
“Non mi vuoi dunque bene niente niente? A me che te ne voglio tanto?...
Non me ne vuoi?... Rispondi.”
“Non so:” disse con voce stentata la ragazza guardando da un'altra
parte.
La madre di Guido la tirò a sè con affetto, e la baciò in fronte; Maria
si era lasciata chinare verso la donna, nè riluttante, nè consenziente,
e riceveva i baci con una specie di rassegnazione passiva.
“Dimmi se non sei contenta di noi; dimmi se hai qualcosa di cui
dolerti, se desideri alcunchè. Io voglio che tu sii lieta e contenta.
Ma perchè taci sempre e non rispondi mai alle mie dimostrazioni
d'affetto? Tu non mi hai ancora restituito pure un bacio.”
La giovinetta si divincolò, e non con garbo, dalle braccia di Anna e
disse con un accento di espressione indefinibile, che non poteva dirsi
se fosse ammirazione, invidia, o ritrosia, o scioccaggine:
“Siete troppo bella, voi!”
Maria aveva creduto di dover tornare a tutte le abitudini che aveva
prima della malattia della nonna; e il suo primo pensiero era stato
quello di andare di nuovo sulla montagna, colle capre alla pastura.
Guido aveva messo in pratica tutta la sua abilità persuasiva per farle
capire che quel genere di vita era affatto finito per lei e che ne
incominciava un altro tutto diverso.
La selvaggia fanciulla, sempre taciturna a suo modo, vi si acconciò
colla buona voglia di chi fa un sacrifizio che gli sia imposto. Il
giovane artista avvisò che non c'era tempo da perdere per cominciare
l'istruzione fin'allora troppo trascurata di questa fanciulla che
omai toccava l'adolescenza; e vi si applicò senza ritardo con tutto
l'animo, chiamando in soccorso del suo buon zelo tutta la pazienza di
cui poteva disporre. Ma per quanto fosse in lui quest'ultima, la mala
voglia e la cocciutaggine della ragazza erano ben maggiori. Ella non si
ribellava mai, ma si accostava allo studio come una vittima rassegnata
al supplizio; si rinserrava in un silenzio timoroso e selvaggio, e a
qualunque cosa le dicesse il giovane maestro, non dava risposta, ma
lo guardava collo sguardo attonito dei suoi occhi larghi, che diceva
chiaro ella non capir nulla. Guido provò di tutto per ismuoverla
da quella passività inintelligente: rimostranze ed amorevolezze,
incoraggiamenti e rampogne, anche preghiere, e, non potendone più, la
collera. Tutto si spuntava contro il mutismo caparbio della giovinetta.
“Non è una creatura umana quella lì:” esclamava Guido allo stremo
affatto di pazienza: “è un macigno. Affè che i marmi delle mie statue
hanno più sentimento e più intelligenza!”
Trascorso il mese, si dispose tutto per tornare in città. Maria
sapeva che stava per abbandonare quel paesello che doveva pur essere
l'unico amor suo; ma non fu mai che in presenza d'Anna o di suo
figlio manifestasse uno sfogo di dolore o solo un rimpianto. Rinchiusa
invariabilmente nella sua atonia, guardava tutti i preparativi che si
venivan facendo con quella sua aria balorda, di cui Guido aveva finito
per indispettirsi maledettamente, e la si faceva più taciturna che mai.
La vigilia della partenza, verso l'imbrunire, Maria sparì di casa:
e Anna inquieta, dopo due ore ch'ella mancava, mandò Guido e pregò
i vicini andassero a cercarla di qua e di là. Dopo aver girato assai
tempo, la trovarono finalmente a notte chiusa, che se ne usciva tutta
tranquilla dal cimitero, colle traccie nei panni, alle ginocchia, sulle
mani di chi si è prosteso sulla terra e vi è rimasto a lungo.
“Che cosa hai tu fatto?” le chiesero solleciti.
“Sono andata a dare un bacio alla nonna:” rispose ella con quella sua
aria di astrazione stordita.
Nè Anna, nè pur Guido medesimo, meno tollerante, ebbero coraggio di
farle una rampogna.
Alla partenza, quando le toccò salire in carrozza, Maria ebbe il
viso sconvolto da una di quelle contrazioni che rivelarono il suo
dolore alla morte della nonna; seduta a lato di Anna, la si tenne
sempre col capo sporgente in fuori a guardare il paese, le colline,
la montagna, i campi; e quando per la lontananza le si confusero alla
vista tutti questi oggetti, allora si ritrasse vivamente, si accasciò,
per così dire, nel fondo della carrozza, e mandò quella specie di
grido soffocato o di gemito inarticolato che pareva essere in lei
l'espressione suprema del sentimento.
E fu tutto.

V.
All'inverno, in città, le relazioni fra Guido e Maria, invece di farsi
più intime, erano venute diminuendo di famigliarità, come anche di
amorevolezza. A breve andare era sfumato affatto lo zelo di Guido
per istruire la cuginetta, e perchè egli era stanco della durezza
d'intendimento della ragazza, e perchè ritornato alle sue occupazioni
artistiche e agli spassi della vita cittadinesca. Con Maria e' non
si trovava più che all'ora del desinare, dove ella non parlava mai,
fuori che quelle poche e volgari parole che erano necessarie: e quando
Guido recavasi a stare un poco in compagnia della madre, per uno di
quei confidenziali, amorevolissimi colloqui, a cui erano avvezzi, e in
cui si trovavano tanto bene ambedue, la giovanetta, la quale di solito
non si staccava mai dall'Anna, sentendosi d'impaccio in tali momenti
e messa in gran suggezione dalla presenza del cugino, era lesta a
rizzarsi, pigliare il lavoro e ritirarsi nella sua camera.
Colla buona, dolce ed amorevole creatura, che era la madre di Guido,
Maria, a poco a poco era pur venuta, per così dire, addomesticandosi;
e se non con molte e aperte parole mai (chè la sua natura era e pareva
farsi ogni giorno più taciturna), cogli atti e coll'aspetto veniva
mostrandosi e riconoscente e benevola. Sempre strana del resto, la
vista della gente pareva farle paura: fuori che dell'Anna, incurante
d'ogni altro: salvo quelle cose che giovassero alla cugina, tutto il
resto ella faceva con isbadataggine e coll'apatia, si sarebbe detto,
d'un essere poco intelligente e meno sensibile. Di frequente la
giovanetta ricadeva in una specie d'astrazione, rimanendo immobile,
muta, collo sguardo fisso e senza luce, colla mossa e coll'aspetto
d'una statua di cera. A che pensava ella in quei momenti? Forse non lo
sapeva neppur essa e, di certo, a nessuno era disposta a dirlo.
In breve tempo Anna aveva sentito la compagnia della povera orfana
farlesi gradita ogni giorno più, infine quasi necessaria. Invero, senza
che paresse, non c'era cosa di cui la madre di Guido avesse desiderio
o bisogno, che la taciturna Maria, chetamente, con certe sue mosse
destre nella loro grossolanità non fosse lì tosto a procurargliela o
farla. Se Anna volgeva lo sguardo alla fanciulla non era mai che questa
le mostrasse, come si suol dire, il bianco degli occhi; ma se ella era
assorta in qualche pensiero, od occupata in alcun modo da non badar
più alla compagna, allora Maria alzava adagio adagio i suoi grandi
occhioni sulle belle fattezze della cugina, e stava lì con ammirazione,
con affetto, a contemplarla tutto quel tempo che a lei non si faceva
attenzione; ma appena la madre di Guido accennava accorgersi di essere
così guardata, la giovinetta s'affrettava a chinar il capo sul suo
lavoro, e non ne staccava più gli occhi.
Così, man mano erasi venuta avviando ed accrescendo una confidenza
affatto intima fra la donna e la ragazza, tale però che, non uscendo
mai quest'ultima dalla sua taciturnità, era la madre di Guido che
trovava in quella domestichezza lo sfogo dei più minuti e delicati
fra gl'interni affetti. E questi affetti quale scopo, quale argomento
avevano che non fosse Guido? Parlava adunque di lui quasi sempre
l'amorosa madre; poi veniva narrando a Maria del suo passato e la
mesta storia de' suoi amori tornava sovente del paro sulle labbra della
virtuosa donna, che tutta viveva e nelle memorie del tempo trascorso,
e nell'amore grandissimo all'unico suo figliuolo.
Questi aveva visto con piacere come la compagnia dell'orfana tornasse
di sollievo alla madre; e poichè ora una persona affettuosa e sommessa
era lì continuamente, in assenza di lui, a indagare, indovinare e
adempiere ogni desiderio e ogni bisogno di sua madre, Guido, forse
senza pur volerlo, s'era lasciato prendere maggiormente dagli svaghi
della vita mondana e dalle abitudini meno casalinghe della spensierata
allegria d'artista. Tutte quasi le ore delle sue giornate egli passava
nello studio, visitato spesso da amici e da compagni, e la sera qua e
colà nei convegni, ai teatri, alle feste.
Di Maria, Guido si dava poco pensiero; aveva rinunziato affatto
alla parte di maestro della giovinetta, nè si curava di domandare
se e come questa profittasse degli ammaestramenti della buona Anna e
degl'insegnanti che si erano chiamati per lei.
Trascorsi così l'inverno e la primavera, sopraggiunse l'estate. La
salute di Anna veniva raffermandosi assai bene; non così quella della
povera Maria. Fosse il nuovo genere di vita fatta sedentaria in città,
da libera e vagabonda in campagna ch'ella era prima; fosse l'effetto
di quanto la poverina aveva sofferto di stenti e di privazioni
durante l'anno di malattia della nonna; fosse soltanto la crisi
dell'adolescenza, il vero è che di giorno in giorno la giovinetta
dimagrava e impallidiva, le si affondavano le occhiaie, la fronte
e le guancie le si colorivano di tinte livide, smorta le si faceva
sempre più la luce degli occhi, il petto le veniva affannato da certi
soffocamenti per cui le era quasi tolto il respiro, e i polmoni aveva
scossi da una tosse irritata e profonda.
Anna più volte aveva con premura interrogata la ragazza e pregatala
dicesse se e che male si sentisse; ma ad ogni volta Maria, assalita
da una fiamma di rossore fino sulla fronte, a cui tosto succedeva un
pallore di morte, aveva risposto ratto non aver male di sorta, e s'era
allontanata; fino a tanto che aumentando sempre cosiffatti sintomi, la
madre di Guido, che n'era inquieta dimolto, aveva mandato pel medico di
casa e senza dir nulla alla giovinetta, avevala fatta trovare un bel dì
faccia a faccia col dottore preavvisato di tutto.
Esaminandola attentamente, il medico fece con amorevolezza alla
giovinetta le volute interrogazioni, a cui ella rispose, come soleva
colla cugina, mal vogliosa e passando dal rossore alla pallidezza: e
sarebbe scappata via, se il dottore non l'avesse trattenuta per una
delle mani lunghe, magre, umidiccie d'un freddo sudore.
Appena il medico ebbe lasciata andare quella mano, Maria guizzò verso
l'uscio per fuggire.
“Senti Maria:” disse il medico.
La ragazza si fermò di mala voglia.
“Vieni qui.”
Ed ella si accostò a rilento.
“Dimmi un poco:” riprese il dottore, fissandola bene in volto:
“Andresti volentieri a fare un giro al tuo paese?”
Maria diede una scossa, come colpita da una botta in mezzo al petto;
tremò da capo a piedi; una più vivace vampa di rossore le salì alla
faccia, e gli occhi le si imbambolarono, mandò fuori quella sua voce
confusa che pareva un grido soffocato, che pareva un gemito, indizio in
lei della massima emozione, poi, senza dir pure una parola, fuggì ratta
come il baleno.
Il medico si volse ad Anna, e così le disse:
“Sa che cosa? È la donna che stenta a sbocciare dall'inviluppo di
bambina; la qual crisi viene ancora complicata da quel misterioso male,
per cui le spezierie non hanno farmaci, e che si chiama nostalgia.
Se questa ragazza vivesse per due o tre mesi nel suo villaggio,
attingerebbe nell'aere natio tanta forza da vincere ben tosto la
lotta ed entrare in una fiorente gioventù. La è una strana creatura
costei, fisiologicamente parlando, e fors'anche psicologicamente,
la quale nella sua passività probabilmente contiene qualche cosa di
più originale e di superiore alla comune. Ma codesta personalità, o
impedita da qualche condizione vuoi morbosa, vuoi d'abitudini, o tarda
per natura e per ragione stessa della sua indole, stenta a svilupparsi,
tanto fisicamente quanto moralmente e intellettualmente eziandio, e sta
assopita, costretta, per così dire, nel suo germe, finchè una benigna
concorrenza di casi favorevoli non venga a destarla e promuoverla. Se
io fossi in lei, signora Anna, la vorrei condurre per un po' di tempo
al suo paese.”
Anna ripetè appuntino ogni cosa al figliuolo.
“Come s'ha da fare?” disse Guido. “A chi affidarla colà? E come
separartene, mamma, ora che le hai posto tanta affezione?”
Fu colto in questo mentre da una subita idea.
“Ma forse tu stessa ci anderesti con piacere al tuo paese per un po'
di tempo. E codesto gioverebbe eziandio alla tua salute. L'anno scorso
ti fece tanto di buon sangue quella poca dimora colassù! Lascia che io
provveda all'uopo, mamma, ti prego.”
Pochi giorni dopo, Guido entrava improvviso nella stanza dove erano ai
loro lavori domestici Anna e Maria.
“Domani,” diss'egli con allegra vivacità e senza preamboli “domani
partiamo per ***. Ho preso a pigione la casa, rifornitala di quanto
occorre, e tutto è pronto per ricevervi. Potrete passarvi colà, alla
freschezza di quell'aria, tutta la state.”
“Davvero!” esclamò con gioia la madre, battendo le mani in atto quasi
infantile: “Oh bravo! Oh che tu sia benedetto!”
Poi tosto la sua contentezza fu temperata da una paura.
“E tu, Guido,” richiese ella dubbiosamente: “ci verrai tu pure?”
“Verrò ad accompagnarvi,” rispose il giovane, “ed a vedervi tutte le
settimane una volta, o poco meno. Quanto allo starci anch'io di piè
fermo, sai, mamma, che non si può. Ho da finire quel gran lavoro, nè
posso assolutamente smetterlo o interromperlo.”
Maria, a quell'inaspettato annunzio, era rimasta là immobile, come
sovraccolta dal massimo stupore, la mano levata sul suo lavoro, la
bocca aperta, senza parola, quasi senza fiato.
“Hai udito, Maria?” le disse la madre di Guido. “Si va di nuovo al
villaggio.”
La ragazza, cogli occhi sbarrati, guardava attonita, ora Anna, ora il
giovane, come se non capisse punto.
Anna si chinò verso di lei, la prese per una mano e la trasse a sè,
ripetendole soavemente:
“Si torna al nostro caro paesetto, hai capito?”
Maria si abbandonò a quell'attrazione, e forse per la prima volta cadde
sul seno della cugina, mandando un gran sospiro e lasciando cascar di
mano l'ago, la tela e l'anello da cucire.
“Ne sei contenta?” domandò Anna abbracciandola.
E la povera fanciulla rispose due o tre _sì_ a bassa voce; poi
nascondendo il volto nel seno della donna, ruppe in singhiozzi che
certo non erano espressione di dolore.

VI.
Guido, da principio, fu fedele alla data promessa: ogni settimana
faceva una corsa a quel villaggio e vi rimaneva un giorno con sua
madre; poi rassicurato compiutamente sulla salute di lei, la quale
erasi del tutto ristabilita, cominciò a diradare i suoi viaggi, cui
la lontananza rendevagli troppo disagiati e troppo pregiudicevoli
alle sue artistiche occupazioni. Tanto più che svanendo i suoi timori
intorno alla madre, il suo amore per l'arte aveva presa nuova e
maggiore esaltazione e potenza. La madre se ne accorse e avutolo a sè,
gli strappò la rivelazione ch'egli non sarebbe stato felice finchè
non avesse potuto ammirare i capolavori artistici di Firenze e di
Roma, e immergersi tutto, per così dire, in quell'ambiente di bellezza
e di gusto che li circonda, nelle due gloriose metropoli dell'arte
italiana. Non c'è amore meno egoista di quello materno; e Anna volle
che suo figlio partisse. Si stabilì che Anna e Maria sarebbero rimaste
al villaggio, e Guido sarebbesi recato, per dimorarvi alcuni anni, a
Firenze ed a Roma; e così fu fatto.
Il giovane scultore, rapito dalle bellezze artistiche di quelle
ammirabili città, allettato dai suoi successi, da qualche avventura
amorosa, dalle vicende d'una vita libera e piena di sollazzi insieme
e d'emozioni, stette fuori assai più tempo di quanto avesse voluto
dapprima, e sei anni passarono prima che tornasse a rivedere il suo
Piemonte e riabbracciare la madre sua.
A Maria, Guido aveva rivolto così poco il pensiero, che quasi può
dirsi niente affatto. Sua madre però glie ne aveva scritto di quando
in quando, e sempre le più belle e lusinghiere cose: che nel mentre
la veniva rimettendosi in salute e vantaggiando di fisico, progrediva
pure di cuore e d'intelletto; che essa, Anna, applicatasi ad insegnare
a quella poveretta tutto quanto era in suo potere e sapere, cominciava
a ricever lusinghiero compenso della sua pazienza e de' suoi sforzi;
che quell'astrattaggine e quasi assenza temporanea d'intelletto, di cui
Guido l'aveva vista afflitta, diminuiva sensibilmente, lasciando luogo
soltanto a una freddezza e ad un riserbo che ora parevano orgoglio,
ora indifferenza; ma che questa stranezza di modi proveniva nella
fanciulla dall'indole speciale del carattere, non già da mancanza di
cuore, perchè verso di lei Anna, la beneficata, tuttochè non uscendo
da quel suo riserbato contegno, sapeva pur dimostrare un vero affetto
e una vera gratitudine, e non ometteva cura e riguardo che si potessero
immaginare.
Quest'ultima cosa era quella che interessava solamente a Guido di
sapere; e quando la madre gli scriveva a tal proposito i più caldi
elogi di Maria, egli ricordavasi di mettere nella risposta un motto
amichevole di saluto per la cuginetta.
Quando Guido annunziò il suo ritorno, le due donne vennero a Torino ad
aspettare l'arrivo del reduce. La buona Anna nel riabbracciare dopo
tanto tempo suo figlio provò la maggiore dolcezza che sentir possa
cuore amoroso di madre.
Guido non era più un giovanetto. I sei anni trascorsi e gli studi e
le lotte della vita ne avevano fatto un uomo. Aveva trentun anno, la
fronte un po' più ampia pel cader de' capelli, e nelle nerissime chiome
già alcun filo d'argento. Ma il suo sguardo aveva lo stesso fuoco e
la stessa animazione di prima; e la sua bellezza, fatta più virile,
lo rendeva ancora meglio osservabile a chi ne mirasse la nobile ed
espressiva fisonomia.
Poichè furono iterati parecchie volte gli appassionati abbracciamenti
colla madre, e dato un primo sfogo a quell'ardore affettuoso di domande
reciproche, Guido si guardò intorno, si meravigliò di non vedere presso
sua madre la cugina Maria e ne domandò novelle.
“Non siamo giunte dal villaggio che ieri,” Anna rispose. “C'è tutto da
mettere in ordine nella casa; e Maria, che s'è fatta la miglior massaia
del mondo, è tutta occupata in queste faccende.”
“Bene bene,” rispose Guido. “E pare che i suoi uffizi da massaia le
stieno più a cuore che il veder me, tanto poca premura ci mette a venir
a salutarmi. Andrò io a cercare di lei.”
“Eccola qui,” disse la madre, mentre l'uscio si apriva pian piano, e
una forma di donna che pareva sorvolare sul pavimento, non camminare,
sì leggiera e graziosa aveva l'andatura, s'avanzava tranquillamente
verso Guido.
Questi mandò un'esclamazione di meraviglia.
“Che?” esclamò egli. “Sarebbe questa la Maria?”
“Essa stessa:” rispose la madre sorridendo lietamente.
Guido fece ratto due passi verso la fanciulla che lo guardava
calma, senza pure un'ombra di emozione, e ripetè la sua esclamazione
ammirativa.
Aveva dinanzi un tipo perfetto di bellezza, una meraviglia di figura di
donna.

VII.
Il medico aveva avuto ragione, e il tornare all'aria nativa e, se
non a tutte, a una gran parte delle prime abitudini della sua vita,
aveva giovato assai alla salute di Maria e allo sviluppo della sua
giovinezza. Quelle forme angolose e rigide s'erano venute a poco a
poco rimpinguando e ingentilendo; le ricche e splendide chiome d'oro
con più attenzione e con più intelligenza raccolte e curate, facevano
una smagliante corona alla fronte di lei purissimamente modellata,
piana, candida, veramente virginea; col formarsi della persona avevano
cominciato a perdere la loro disavvenenza, poi avevano preso una
certa acconcezza, da ultimo una grazia squisita le mosse, gli atti
della fanciulla oramai giovine donna; dall'informe e rozza crisalide
era venuta sprigionandosi e ora svolazzava trionfalmente la brillante
farfalla dall'ali d'oro.
Al mutamento fisico tenne dietro altresì un mutamento morale. Studiò
con attenzione e imparò; cessò dalla selvaggia soggezione e quasi
diffidenza che aveva di tutto e di tutti. Fu detto come Anna, da sua
madre, figlia d'un maestro di scuola, avesse ricevuta una istruzione
più ricca e compiuta di quel che si sarebbe pensato potesse avere
una povera ragazza d'un piccolo villaggio. Ora tutto il suo sapere
fu per lei dolce e generoso soddisfacimento comunicare a quell'anima
novellina; e fu un orgoglio il vedere come là dove avevano fallito e
i maestri chiamati all'uopo e suo figlio medesimo, ella ci riuscisse
colla sua amorevolezza e colla sua pazienza. Ciò accrebbe di vantaggio
nella affettuosa madre di Guido quell'amore per Maria, cui già le
avevano ispirato e le misere condizioni di questa e le prove tacite,
modeste, ma non meno reali nella fanciulla, della sua gratitudine. Tale
affetto prese alcun che di materno; se non la vita del corpo, era essa,
Anna, che dava e schiudeva a quella creatura la vita dello spirito. Ci
si adoperò, la brava donna, con quel calore di tenerezza, che ognuno
mette per sempre nelle cose sue.
A poco a poco la condotta delle faccende domestiche era passata
intieramente nelle mani di Maria; Anna non aveva più da prendersi briga
di sorta, ma da desiderare soltanto; tutto sollecitamente era fatto
dalla fanciulla, e con una tranquilla facilità e con un'opportunità che
non lasciavano scorgere l'opera e solo facevano apparire gli effetti.
La giovane aveva preso assai gusto alla lettura; e molte ore del giorno
soleva passarle leggendo. Anna aveva fatto trasportare al villaggio
tutti i libri di Guido: storia, viaggi, poesia, romanzi, critica; e
Maria, un dopo l'altro, lesse tutti quei volumi, e poi rilesse da capo.
Che impressioni venissero in lei facendo tali letture nessuno potè
saperlo, perchè ella non ne parlava mai, e per leggere si ritirava
sempre nella solitudine della sua stanza, come vergognosa di lasciarsi
vedere in tali momenti.
Maria con tutto questo era sempre taciturna come prima. Parlava non più
del necessario, senza calore, senza commovimento mai, senza effusione:
la collera, il trasporto dell'allegria e l'abbandono delle confidenze
erano estranei a lei come il pianto e il riso.
La viveva così, chiusa in una superba indifferenza onde appariva
diversa, e quasi direi, superiore alla comune dell'umanità. Quel suo
contegno non più impacciato, ma serio e riflessivo, riusciva ben tosto
ad imporne a chiunque l'accostasse; e siccome quando diceva il suo
parere parlava sempre assennatamente, aveva acquistata su coloro che
l'attorniavano un'autorità tacitamente riconosciuta, per cui, quando
Maria aveva detto una cosa questa era risoluta.
Era dunque una persona affatto diversa da quella che Guido aveva
lasciata partendo, la Maria che ora gli stava dinanzi e gli aveva fatto
mandare esclamazioni di meraviglia.
“Maria! Maria!” ripetè lo scultore mirandola quasi estatico. “Sei tu?
oh chi t'avrebbe riconosciuta?”
La fanciulla ebbe un lieve sorriso che le sfiorò le labbra, fissò
i suoi occhi freddamente limpidi in volto al cugino, e con una voce
armoniosa, ma non commossa dal menomo tremito d'affetto, nuova ancor
essa per Guido, rispose placidamente:
“Sì, son io. Mi sono mutata dimolto eh?... Te pure, Guido, hanno
cambiato alquanto gli anni.”
Guido pensò tosto alle poche rughe della sua fronte, ai pochi suoi
capelli canuti, e senza capirne bene il perchè, arrossì e sentì
entrargli nell'animo un sentimento di scontentezza.
Primo di lui proposito, nel movere incontro alla cugina, era stato
quello di abbracciarla come una sorella; ma la vista di quella
bellezza, subito lo aveva sbalordito, poi la fredda gravità di
quell'accoglimento lo aveva sconcertato. Il sorriso indifferente di
Maria, le poche di lei parole erano state per Guido come acqua fredda
gettatagli in volto: invece di abbracciarla, egli le tese una mano.
Maria pose in quella di lui la sua destra, una mano piccola, esile,
lunghetta, morbida e cedevole alla pressione, ma fredda come lo
sguardo, indifferente come l'accento; e senza rispondere alla stretta,
ne la tolse poi tosto.
“Ogni cosa è preparata nella tua stanza:” disse ella, “e tu hai certo
bisogno di andarti a riposare.”
La sera, prima di addormentarsi, Guido ebbe con insistenza innanzi a
sè, nella sua fantasia d'artista, l'immagine della cugina.
«Che bella figura! Che strano tipo e stupendo! Chi si sarebbe sognato
mai che da quel mostricciuolo saltasse fuori una tale perfezione
di forme? La è una figura che ogni artista sarebbe ben lieto di
riprodurre. Servirebbe a meraviglia per una testa di Venere la sua....
no, meglio di Giunone.»
Addormentatosi, dopo non breve dar di volta qua e là, sognò di trovarsi
in un ampio e grandioso studio, attorniato dai migliori capolavori
dell'arte greca e italiana; e là in mezzo nell'ardore d'una ispirazione
feconda, quale non aveva avuta mai, senza punto aver modellato la
creta, far egli di botto risaltare a colpi di scarpello da un gran
masso di marmo una statua d'insuperabile bellezza: e tale statua, che
sotto i colpi della sua mano febbrilmente concitata, pigliava forma e
mossa ed espressione, aveva i lineamenti, il portamento e il contegno
di Maria.
Il giorno dopo si agitò fra madre e figlio una grande quistione: dove