Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 10

figliuola e con modi e con parole tutt'altro che da ispirar fiducia
e destar tenerezza, l'interrogò sulla verità di quello che gli era
stato riferito. Anna, troppo franca per negare, confessò schiettamente
l'amor suo; e il padre, salito in una maledetta collera, minacciatala e
peggio, giurò che non avrebbe mai concessa la sua figliuola ad uno che
non sapeva chi fosse, e sentenziò irrimediabilmente che i due giovani
non si avrebbero a vedere mai più.
È cosa conosciuta da tutti come l'amore contrastato si accende vieppiù,
così da predominare ogni volere ed ogni riguardo negli amanti. La
ragazza pregò, pianse, languì; il giovane affrontò la collera del padre
di lei, supplicò, umiliossi, tutto fu inutile; e allora vedendo senza
speranze il caso loro, con quell'esaltamento che dà alla gioventù
la passione, i due innamorati si appigliarono ad una risoluzione da
disperati com'erano, e fuggirono insieme.
In quel pacifico villaggio fu uno scandalo inaudito: il padre di Anna
montò su tutte le furie e fece giuramento che non avrebbe mai perdonato
la colpevole, ingrata figliuola; Marta, alla quale un eccesso simile
pareva una cosa impossibile, vide già la nipote perduta per l'eternità
nelle fiamme dell'inferno.
I giovani si sposarono, e siccome erano buoni tutti e due e si amavano
davvero, furono una eccezione alla regola generale che converte questi
maritaggi d'amore in una infelicità piena di rimpianti e di rimorsi.
Ma, per quanto facessero, il padre morì senza voler perdonare e
rivedere l'Anna; nessuno de' congiunti s'era intromesso a favore della
fuggita figliuola, e questa dimenticò per la nuova dimora e pei nuovi
affetti il paese natio e la gente del suo sangue.
E di questa, parecchi anni dopo, non rimaneva che Marta, vedova, e con
una bambina nata da un'unica sua figliuola morta soprapparto.
Le condizioni di Marta erano tutt'altro che prospere. Il marito
non le aveva lasciato niente: il genero, il padre della nipotina,
era stato uno scaldapanche d'osteria; non aveva essa altro mezzo di
sostentamento che il suo lavoro, e pensate voi che gran guadagni possa
fare il lavoro di una donna ormai vecchia. Fu peggio ancora quando
la salute, che veniva indebolendosi da assai tempo, l'abbandonò del
tutto; e la povera Marta dovette mettersi a letto, col convincimento
che, trascinando per più o men tempo una vita stentata e di tormenti,
per lei la era finita. Allora, pensando all'avvenire di Maria, la sua
nipotina, la quale, morta lei, sarebbe rimasta sola nel mondo, bene
aveva avvisato di ricorrere alla figliuola di suo fratello, di cui non
aveva ricevuto più novella, ma supponeva buone e prospere le fortune;
però un delicato scrupolo ne l'aveva sempre trattenuta. In gran parte
era essa la Marta, che aveva conferito ad accrescere l'avversione del
padre di Anna per l'unione di costei col pittore; dei dispiaceri e
dei danni che la figliuola di suo fratello da ciò aveva sofferti, in
qualche modo ella poteva pure accagionarne la zia; e che avrebbe detto
l'Anna, che pensato, se ora, trovandosi nel bisogno, dopo non essersi
fatta viva per tanto tempo, la zia ricorresse a lei supplicando? Non
avrebbe forse risposto: «Voi non avete avuta compassione per me, ed io
non ne voglio avere per voi; voi non vi siete mai più interessata dei
fatti miei, ed io non voglio darmi pur un pensiero dei vostri!» Esitò a
lungo; ma quando sentì proprio che la morte s'avvicinava, il bisogno di
Maria vinse ogni altra considerazione, e pregò il parroco di scrivere
a quell'unica parente che le rimaneva.
Ma la nonna di Maria aveva gran torto di dubitare del cuore di Anna.
Questa aveva infinitamente sofferto del negato perdono paterno; e
chiunque della famiglia le aprisse le braccia, essa era disposta a
gettarvisi colla gratitudine di chi ne riceve la più generosa delle
grazie; la sola idea poi di poter essere utile in alcun modo a qualcuno
di suo sangue le sarebbe stata una gioia.
Lei, poveretta, le disgrazie non l'avevano risparmiata. Suo marito,
cui essa amava e che l'amava cotanto, giovane ancora, dopo non molti
anni di matrimonio, erale morto, lasciandola con mediocri fortune e con
un bambino in tenerissima età. Qual immenso dolore sia nella vita la
perdita di quell'essere che si ama supremamente, unicamente, ben lo sa
chi ebbe la grande sciagura di provarlo. Tutti i suoi affetti, tutta la
sua ragion di vivere, tutto il mondo, Anna aveva fino allora raccolto
nell'uomo dell'amor suo. Mancatole costui, credette tutto finito per
sè, le parve impossibile il vivere, a tutta prima desiderò di morire.
Ma era madre! Poteva ella abbandonare quel misero orfanello? Nel suo
figliuolo, nel suo Guido, concentrò tutti gli affetti suoi, tutta la
sua potenza d'amore, ogni interesse, ogni sentimento. E chi non sa come
ami una madre? Per suo figlio ebbe la forza di tutto sopportare, ebbe
il coraggio così della rassegnazione, come dell'opera. Poche erano le
fortune che l'artista lasciava; Anna sostenne ogni privazione; lavorò
indefessa per poter allevare ed educare il figliuolo, ornargli la mente
ed il cuore, farlo degno di suo padre.
Dalla famiglia del marito Anna non aveva ricevuto che disprezzi, per
quello stupido orgoglio de' borghesi, il quale vedeva offesa la dignità
del lignaggio dal matrimonio di un loro congiunto con una contadina;
finchè lo sposo era vissuto, Anna a codeste punture non aveva nemmeno
badato; lui morto, quando la infelice vedova, per cagion di suo figlio,
dovette necessariamente umiliarsi, invece che aiuti, non n'ebbe che
disdegni e contrasti. La misera madre si ristrinse in sè stessa; si
disse che da sola avrebbe bastato al nobile ufficio di allevare il
figliuolo e di farne un uomo, e Dio la compensò di tanto, che il suo
Guido riuscì il più virtuoso, bello ed educato giovane e il più amoroso
e riconoscente de' figli.
Quando la lettera del parroco giunse ad Anna, questa trovavasi
per disavventura inferma ancor essa: perchè la sua salute, fatta
cagionevolissima per gli affanni sofferti, era assalita da frequenti
malattie. Avrebbe ella voluto che Guido partisse tosto pel villaggio;
ma il figliuolo non aveva acconsentito a niun patto di abbandonare la
madre inferma, da lui tenerissimamente amata.
Si attese adunque che la convalescenza fosse progredita così da
permettere ad Anna il viaggio non breve; e la madre di Guido, appena si
sentì bastevoli forze, non volle più saperne d'indugi, e partì sperando
giungere ancora in tempo di vedere un'ultima volta la sorella di suo
padre e di ricevere da lei quella benedizione e quel perdono che dal
padre non aveva potuto; parendole che, per essa, anche il genitore
dalla tomba l'avrebbe perdonata e ribenedetta.
Ed ecco come avvenisse che la carrozza da viaggio incominciava appunto
a salire la cresta della collina su cui si trovava il paesello, quando
la campana della parrocchia mandava alle aure della sera i tristi
rintocchi che annunciavano la sepoltura della vecchia Marta.

III.
Madre e figlio si rassomigliavano, non solo di aspetto ma di anima;
se non che alla grazia ed avvenenza materna, Guido aveva aggiunto
l'energia, la forza e il prepotente amore dell'arte cui aveva ereditati
da suo padre.
Il giovane volle essere artista, nè la madre glielo contrastò,
quantunque l'utile consigliasse la scelta d'un lavoro men gradito
ma più proficuo. Mercè la virtù del risparmio, seppe ella bastare a
tutto con quei pochi redditi che loro rimanevano. Guido fu scultore,
studiò, lavorò, e animato da uno zelo impareggiabile, afforzato da una
volontà potente e dominatrice, favorito dalle migliori disposizioni
dell'ingegno, in breve, per l'eccellenza delle sue opere, mandò intorno
il suo nome con una certa fama, e giunse eziandio ad ottenere dal suo
scalpello compenso di non ispregevoli guadagni.
Nell'accostarsi al suo villaggio, che da tanto tempo non aveva più
visto, nel ritrovare man mano a uno a uno que' luoghi, i quali tutti
avevano per lei una memoria della sua adolescenza o dell'infanzia,
Anna erasi venuta rianimando, e una viva commozione le faceva brillare
gli occhi e le arrossava d'alquanto le guancie abitualmente pallide,
rendendole così un aspetto quasi giovanile.
Ella veniva raccontando al figliuolo, che la guardava con tenerezza,
tutte quelle innocenti memorie, e si commoveva narrandogli le più
indifferenti storielle fatte preziose dal prestigio dell'età trascorsa.
A un punto le lagrime, che più volte già le erano venute in pelle in
pelle, sgorgarono abbondanti da' suoi occhi, e abbandonandosi della
persona sopra i cuscini, ella si coprì colle mani la faccia.
“Madre!” esclamò Guido con caloroso affetto, prendendole tutt'e due le
mani, staccandogliele dalla faccia e ritenendole fra le sue con dolce
pressione, mentre i suoi occhi s'affissavano con immensa tenerezza in
quelli di lei: “Madre, a che pensi?”
“Penso a mio padre;” rispose ella, sforzandosi a dominare la sua
emozione, “penso ch'egli non è più nel salotto a terreno della nostra
casa dove soleva stare nell'ora di riposo della giornata; penso che
non può venire sulla soglia a ricevermi col perdono sulle labbra.... e
fosse pur anche collo sdegno e col rimprovero!... Penso che quel buon
vecchio non l'ho visto più, e che è morto corrucciato con me....”
Guido la interruppe con vivacità.
“Non parlare così, non dire di queste cose, non pensarle, madre mia. Se
tu hai commesso qualche fallo verso tuo padre, non fosti tu esemplare
fra le ottime mogli, e la più tenera, la più santa delle madri? E lo
sai bene che questa è principalmente la missione della donna! Tuo padre
in vita, offuscata la mente dalla passione, ha forse disconosciuto e
te e il vero dover suo, ma nel mondo di là, dove meglio splende allo
spirito nostro la luce del vero, egli ti ha perdonato e benedetta, di
certo, come sempre ti benedisse il compagno della tua vita, come ti
benedico io, tuo figlio.”
Anna, attraverso le lagrime, rispose con un sorriso; e Guido, per
isviarne dai tristi pensieri la mente, dopo breve pausa, soggiunse
esclamando con ammirazione, come sorpreso d'un tratto alla veduta che
aveva dinanzi:
“Oh vedi, come man mano che ascendiamo sulla collina, la pianura si
amplia e si stende, e si rivela ai nostri sguardi! E che variazione
di linee e di terreno! Che ricchezza di tinte e quanta leggiadria
di disegno! Quanta grazia e quanta imponenza insieme in tutto il
complesso! Come mi piacerebbe vedere questo paese illuminato dalla luce
d'uno splendido sole, invece che da quella grigiastra del nuvoloso
crepuscolo! È un bel paese il tuo, mamma, che, al vederlo, non so
perchè, mi fa battere il cuore, come se in esso ci avessi anch'io e
memorie e legame d'affetti.... Certo perchè esso è tuo; perchè qui mio
padre ti ha vista ed amata; perchè alcuna cosa di quest'aura, di questo
cielo, di questa terra è rimasta nella tanta bontà dell'anima tua, e
un briciolo dell'amore a questi luoghi, quell'amore che ogni gentile ha
pur sempre per il cantuccio del mondo dov'è nato, tu me l'hai trasmesso
col sangue. Sì, davvero; sento come se io pure avessi avuto la vita in
questo remoto e stupendo seno delle Alpi. E vorrei pure che così fosse.
In una popolosa città, fra il tumulto e il viavai della gente, in mezzo
ad oggetti che mutano sempre con vertiginosa instabilità, le prime
memorie o non si possono imprimere profonde o presto si scancellano.
Tante vicende, tanti guai, tanta folla ci passano e ripassano dinanzi!
Qui invece!.... Qui ogni albero mi pare debba avere una parola da
ridire al passaggio del montanino che torna dopo lunga assenza al suo
paese; ogni uscio di casa una confidenza da richiamare, ogni cantonata,
ogni volto d'abitante, ogni sasso un ricordo da evocare.”
“Sì, sì, è vero!” esclamava la madre.
“E ti giuro” continuava Guido “che questo paese non mi è nuovo,
benchè io non ci sia stato mai. Io l'ho vista di belle volte nelle mie
fantasticaggini questa tranquilla vallata; io l'ho sognata le mille
fiate questa solitudine, rallegrata dai più sacri amori della terra: la
madre, la compagna della nostra vita e i figli. Gli è in un paese come
questo che io credo la migliore delle sorti quella di finire i nostri
giorni.”
Ciò che diceva il figliuolo era il pensiero appunto della madre; pure
essa crollò il capo e il suo sorriso si fece più mesto.
“Che parli tu di finire,” disse, “tu che li hai appena incominciati
i tuoi giorni? Certo a me tornerebbe come una ventura il ridurmi qui
dove nacqui, e qui estinguermi dove tutti morirono i miei; e forse meno
tormentati dai mali sarebbero qui, nelle mie aure native, gli anni che
mi rimangono.”
“E si faccia:” proruppe Guido. “Tu sai, madre, che io non ho altro
desiderio che il tuo. Veniamo pure a vivere nel tuo villaggio, e s'io
ti vedrò lieta, sarò il più lieto uomo del mondo.”
“No, no;” esclamò Anna con risoluta fermezza d'accento. “A te ben
d'altro è mestieri per l'arte tua; e la tua giovinezza non deve
segregarsi dal mondo e togliersi a quel moto per cui è fatto, a quel
destino che le è assegnato. Sarebbe un soverchio e ingiusto sacrifizio
che io t'imporrei, e di cui a me chiederebbe severo conto tuo padre, il
quale può rivivere nella tua futura gloria d'artista.”
Guido chinò il capo e si tacque.
La salita intanto si faceva sempre più ripida, e i cavalli trascinavano
a stento la carrozzona, eccitati dalla voce grossa e dalle frustate
sonore del vetturino, sceso di cassetta. Il giovane aprì lo sportello,
e saltò giù ancor egli sulla strada, dicendo a sua madre:
“Farò a piedi questo tratto di via; ho giusto bisogno di sgranchirmi un
poco le gambe.”
Anna tirò giù il cristallo, per veder meglio la campagna.
“Bada che avrai freddo,” le disse Guido: “l'aria è frizzante.”
“Lascia, lascia:” rispose la donna con voce animata: “sto tanto bene;
e quest'aria, anzi, mi sarà giovevole.... Vedi se non ti sembro già
tutt'un'altra!”
Ed era vero che gli occhi le brillavano maggiormente, e un caro rossore
era venuto a colorirle leggermente le guancie. Il figliuolo venne ad
avvolgerle bene intorno alla persona lo scialle e la coperta, e poi si
pose a camminare accanto alla carrozza, tenendo una mano sull'apertura
dello sportello.
Dopo un poco, una viuzza serpeggiante sul fianco della collina gli
apparve da quella parte appunto della strada dov'egli si trovava. Il
sentieruolo s'avvolgeva graziosamente traverso una china erbosa tutta
smaltata di fiori azzurrognoli, che i botanici battezzarono col nome
di colchici autunnali, e i nostri montanari con poetico vocabolo, come
annunziatori dei primi freddi, chiamano _freddolini_; e poi si perdeva
in un castagneto.
Il giovane l'additò a sua madre.
“Quel sentiero conduce al villaggio per più breve e più ripido
tragitto:” disse Anna. “Mentre la via carrozzabile gira intorno al
colle, quella stradicciuola lo traversa dritto al culmine. Quando si
è giunti alla cima della collina, vi si gode una veduta di paese che
poche o nessuna se ne ha di più belle al mondo.”
“Allora, se tu non hai bisogno di me,” disse Guido, “io piglio questa
viuzza, e ti aspetto poi all'entrar del paese.”
“Fa' pure. Giunto in alto del colle, ti vedrai il villaggio a' piedi.”
Guido fece un cenno di saluto col capo a sua madre, che gli rispose con
un sorriso, e si slanciò con passo affrettato su pel sentiero, traverso
la falda erbosa della collina. In poco di tempo fu, oltre il bosco
dei castagni, al culmine. Come gli aveva detto la madre, vide colà
aprirsi tutt'intorno una di quelle magnifiche prospettive che non si
possono trovare fuorchè nelle regioni montanine. Un'infinità di valli
e vallette, le une imboccando nelle altre, tutte irrigate da qualche
torrentello spumeggiante, tutte vestite nel declivio da boschi e da
vigne, e coperte al fondo da prati e campicelli, tutte chiazzate dal
bianco di abitazioni sparse qua e là, di paeselli aggruppati più su,
più giù, sulle rive dei corsi d'acqua, nelle più pittoresche giaciture.
Le ombre della sera che s'avanzavano rapide, e parevano dal fondo delle
valli salire su per i fianchi della montagna, la quale si ergeva al
di là di questa catena bene intrecciata di colli, davano a que' luoghi
l'apparenza d'un'ampiezza maggiore, e come una sublimità melanconica e
grave.
Il paesello di sua madre rimaneva giusto ai piedi del giovane artista.
Coll'acuto sguardo, non ostante quelle prime tenebre, egli arrivava
a discernere casa per casa, e vedervi nei cortili in cui entravano
i contadini a riporre i loro stromenti di lavoro, e per le finestre
accesi i fuochi per cuocere la parca cena.
Guido, ansante per la ripida salita, si appoggiò al tronco d'un grosso
castagno che là sorgeva, e stette a contemplare. Gli giunse allora
all'orecchie il suono da morto della campana, il quale, impedito dalla
costa del colle, non aveva potuto prima giungere sino a lui. Guardò
fisso laggiù, e vide un ammasso di persone con ceri accesi avviarsi
dalla piazza della parrocchia verso un'estremità del villaggio.
Indovinò il vero e assai gli dolse, pensando al nuovo dolore che ne
avrebbe sua madre. Poi pensò a quella creatura, che probabilmente era
portata a seppellire in tal momento la quale per sangue a lui, Guido,
era congiunta, che pure, egli non aveva vista mai, e non aveva quindi
amata e alla quale se volgeva un compianto, pure non aveva lagrime da
tributare.... Ma tosto si presentò quindi alla sua mente il pensiero di
quella ragazza che unica era rimasta intorno alla povera vecchia, e che
con la nonna perdeva tutto nel mondo.
L'idea della giovinetta abbandonata lo intenerì. «Poverina! — pensava;
— ella sì che piangerà, che si dispererà nel massimo dei cordogli su
codesta tomba che le rapisce ogni cosa ed ogni affetto!» E nella sua
fantasia d'artista. Guido travide un'ideale di fanciulla colla ingenua
grazia della prima giovinezza, atteggiata alla mossa più commovente
del dolore, in quella naturale eleganza che seppe dare alle sue opere
perfette, la sublimità dell'arte greca.
Allora un impeto d'entusiasmo caritatevole gl'invase il nobile animo. A
sua madre ed a lui, anzi più a lui, perchè sua madre infermiccia aveva
bisogno ella medesima di riguardi e di soccorsi; a lui si apparteneva
di recar sollievo a sì aspra ferita del dolore che tormentava
quell'anima sì nuova ancora alla vita; a lui di creare intorno alla
misera derelitta un'atmosfera d'affetto, la quale di certo non poteva
tener luogo di ciò ch'ella aveva perduto, ma che ne temperasse tuttavia
l'angoscia; a lui il difficile ma sublime cómpito di medicare e
risanare un cuore così crudelmente trafitto. Con questo accesso di
zelo, scese precipitosamente la collina, e raggiunse all'entrata del
villaggio la carrozza di sua madre.
“Che hai?” gli domandò la madre, che vide negli occhi di lui una luce
più viva.
“Penso a Maria:” disse Guido con nuova espressione. “Povera orfana!”
“Orfana!” ripetè Anna con voce che suonò come un singhiozzo. “La povera
zia, adunque?...”
Si perdevano nell'aere vespertino gli ultimi rintocchi della campana.
Anna si abbandonò nel fondo della carrozza, e si coprì il viso col
fazzoletto. La casa che era stata del padre di Anna, era venuta in
mano di estranei; non avevano l'Anna e suo figlio dimora alcuna in quel
paese, che fosse pronta ad accoglierli. Guido, salendo nel legno presso
la madre, ordinò al vetturino di condurli alla miglior locanda. Colà il
figliuolo volle che Anna si mettesse a letto, e capitatogli un monello,
lo aveva mandato, come abbiamo visto, ad avvisare il parroco del loro
arrivo.
Mezz'ora dopo, la voce del vecchio sacerdote diceva all'uscio della
stanza in cui erano Anna coricata e Guido a tenerle compagnia:
“Si può?”
“Avanti, avanti!” rispondeva sollecito il giovane, e si alzava con
premura a muovere incontro alle due persone che entravano.

IV.
Il parroco entrò primo, e dietro lui, tirata per mano, Maria, la quale
camminava con evidente ritrosia, gettando tutt'intorno sguardi quasi
atterriti coi suoi grandi occhioni selvaggi. Dopo aver chinato la sua
bianca testa in un saluto a Guido e alla donna, che s'era levata con
vivace mossa a sedere sul letto, il Prevosto disse:
“Riverisco, signor mio; signora, le son servo.”
“Oh sor Prevosto! La non mi riconosce più?” esclamò Anna, i cui occhi
andavano cercando con desiosa curiosità la fisonomia della giovinetta,
la quale, visto gente, aveva chinato il viso più che mai e lo teneva
basso con molta vergogna.
“Sì, sì, certo che la riconosco;” disse il vecchio curato con ilare
bonarietà nell'aspetto e nella voce; e tornando alla sua radicata
abitudine di dar del voi a tutti i suoi parrocchiani: “che? non siete
mutata di molto voi, e se non foste un po' smagrita e pallidina, direi
che siete ancora l'Anna d'una volta.... Ma intanto eccoci qui: vi ho
condotta la povera Maria.”
La madre di Guido tese le braccia alla giovinetta.
“Maria!” diss'ella con molto affetto: “vieni, vieni qui ch'io
t'abbracci.”
Ma la fanciulla invece d'abbandonarsi sul seno di colei che pur ve
l'invitava con sì dolce suono di voce, con sì amorevole espressione,
si trasse indietro e si nascose dietro il buon prete; e siccome questi
aveva lasciato andare la mano per cui la teneva introducendola, ella si
attaccò ad una falda del lungo di lui soprabito.
“Su via, animo che cosa fai?” — badava a dire il curato: “va' innanzi,
Maria, che queste le sono sciocchezze; qui vedi i tuoi parenti, gente
che ti vuol bene, e in quella buona signora troverai una madre.”
“Sì, sì, davvero; farò di tutto per esserti come una madre;” diceva
col medesimo affetto Anna, tendendo sempre alla fanciulla le braccia
amorosamente.
Ma era come dire al muro.
Allora il parroco, tanto per iscusarla, mentre di soppiatto colla
destra tentava di tirare innanzi la ragazza e spingerla verso il letto,
disse:
“Vedete, la è un tantino selvaticuccia.... sì, anche un po' troppo,
se volete.... Ma che s'ha da fare? È vissuta fin'ora in compagnia
delle sue capre sulla montagna e nella casa della sua nonna, e non con
altri.... E poi la è così novellina e sempliciotta, come un agnello
appena nato, ve lo assicuro io; è una di quelle creature del buon Dio,
che hanno la fortuna dell'innocenza.”
Per Guido, che colla sua artistica immaginazione di quella giovinetta
s'era formato un tipo, fu quella una disillusione completa. I raggi
delle candele che illuminavano d'una luce rossiccia la stanza, cadendo
di sbieco sul corpo magro e disadatto della giovinetta, ne facevano
risaltare più sfavorevolmente che mai i contorni angolari; la testa
grossa, con una massa enorme di capelli in disordine, pareva una
matassa arruffata senza forma e senza figura; le membra gracili e
tirate avevano un'infelice durezza di linee; la gonnellucciaccia che
le pendeva dai fianchi malamente sfilacciata, a brandelli, era fatta
apposta per accrescere l'aspetto disavvenente della sua persona.
L'avreste detta una selvaggia di quelle tribù a cui non sono concesse
le soavi grazie che fan leggiadro il sesso femmineo della razza
indo-europea.
“Vieni,” ripeteva ancora la madre di Guido, “siamo tuoi congiunti,
noi; io sono tua cugina, e questi, che è mio figlio, è tuo cugino ancor
egli.”
“Sì,” disse il giovane avvicinandosi alla ragazza e tentando di
pigliarle una mano: “siamo cugini.”
Ma ella ritrasse vivamente la destra che Guido cercava, e si tirò in là.
“La è semplice, la è semplice;” tornò a ripetere il parroco, dondolando
la testa, “bisognerà aver pazienza; ma è buona come il pane e
ubbidiente a dovere. La nonna ne faceva ogni sua volontà.”
Poi volgendosi a Maria:
“Questi signori ti vogliono bene, sai, e tu hai da voler bene a loro.
Sono venuti qui apposta per te, ed è la nonna che loro ti affida e che
per mezzo mio ti comanda di amarli.”
La fanciulla nè si scosse nè parlò.
“Maria,” riprese a dire Anna con affettuoso calore, “noi ti amiamo
davvero come t'amava la povera Marta.... Ah! perchè non è ella più qui
a conoscer quale affetto io avessi tuttavia per lei! Ah! perchè non
l'ho potuta almeno abbracciare anche una volta!...”
E sopraffatta dall'emozione ruppe in pianto.
Guido le si fece dappresso sollecito, ammonendola amorevolmente.
“Via, non far così, mamma.... Lo sai che ti fa male.... Un po' di
coraggio, te ne prego.... anche per questa poveretta che certo non ha
mestieri la si stimoli al pianto.”
Volse gli occhi verso la fanciulla, e il contegno come la faccia di
costei parevano voler dare la più ampia smentita alle ultime di lui
parole. Essa, all'udir piangere, come tirata dalla curiosità, s'era
fatta un poco innanzi, sporgendo il collo, aveva levato alquanto la
testa e diretto lo sguardo sul volto della donna giacente; ma tale
sguardo era senza espressione, pari a quello delle pupille di vetro in
una statua di cera; e Guido che lo incontrò, ebbe la mente attraversata
da un subito sospetto.
“Ma questa ragazza è scema:” pensò.
Maria, accortasi d'essere osservata dal giovane, chinò ratto gli occhi
e si trasse nuovamente indietro, facendosi riparo delle spalle del
parroco.
“Mia buona signora,” disse questi, commosso più che non volesse
lasciare scorgerlo: “le lagrime non giovano a nulla, ed è dovere
d'ogni cristiano rassegnarsi alla volontà del Signore. Marta visse una
vita lunga e da virtuosa donna qual'era; ha fornito molto bene la sua
carriera mortale, e ora riceve il compenso de' suoi meriti. Per tutto
quanto le poteva ancora importare sulla terra, che è questa poveretta,
aveva posto ogni speranza in voi, Anna; e il miglior modo di mostrare
a quell'anima il vostro affetto e il vostro rimpianto è di soddisfare
i suoi desideri.”
“E lo farò nel miglior modo che potrò,” disse la donna vivamente; “e
d'ora innanzi Maria la considero come figliuola.”
Il parroco tolse commiato. Quando lo vide avviarsi, la ragazza si mosse
ella pure per seguirlo e tornò ad afferrargli la falda del soprabito,
come per farsi condur seco.
“No,” disse il sacerdote, “tu devi rimanere colla tua nuova famiglia.”
Maria supplicò mutamente con uno sguardo.
“È la volontà della nonna:” soggiunse il parroco.
Allora la giovinetta lasciò andare il lembo del vestito che aveva
afferrato, e chinò tanto il capo da non potersi più scorgere della
faccia che l'alto della fronte. Fu messa per quella notte in uno
stanzino attiguo alla camera dov'era la madre di Guido; e questa udì
la fanciulla smaniare e sospirare tutta la notte, e la mattina, appena
l'alba, aprir la finestra ed esporsi alla brezza, come farebbe chi
avesse la testa riarsa da febbrile calore.
“La non è dunque insensibile come pare:” disse Anna a suo figlio,
narrandogli ciò: “ma è soltanto timida e selvatichetta.”
La disillusione provata da Guido per le sembianze della giovinetta
avevano un poco ammorzato in lui lo zelo primitivo, ma non estintolo
affatto.
“È un'anima da dirozzare:” s'era egli detto. “Mia madre le educherà
il cuore, ed io l'intelligenza. Sarà una grande soddisfazione e un
prezioso compenso per noi il vedere sorgere da quell'animata macchina
di carne la creatura intelligente ed affettiva della donna; una
soddisfazione uguale a quella che provo, quando dal masso della creta
veggo nascere sotto la mano la statua bella e vera. Tanto meglio che
quest'infelice non abbia il fragile dono della bellezza! Il nostro
interesse per lei mi pare ne sia più santo, e forse tale sventura
sarà compensata in lei da interiori e più preziose virtù che si
svolgeranno.”
Furono fatti vestire a Maria altri panni alla foggia cittadinesca, e
quando la poveretta comparve in una veste lunga, che le si adattava
al corpo magro e stecchito come ad un bastoncino la fodera d'un
ombrello, la era così impacciata e goffamente ridicola che Guido non
potè a meno di rompere in una risata. La giovanetta lo guardò fisso un
pochino con quel suo sguardo senza luce, poi guardò sè stessa nel suo
nuovo acconciamento; e, come vergognosa de' fatti suoi, fuggì via a
nascondersi.
Era intenzione di Anna e di suo figlio di non fermarsi al villaggio
più d'otto giorni; ma l'aria nativa, benchè la stagione fosse poco