Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea - 02

invetrate delle officine scorgeva passare sollecita la giovinetta
(e per un caso straordinario la scorgeva sempre) ed entrare nella
casa dei principali, aveva sempre di lì a poco una qualche ragione
per cercare del signor Frangia, e andava a cercarlo così bene che
capitava sempre, sia nella casa, sia nel giardino, dov'erano la moglie
del padrone e la Lucietta. Colà, prima ch'egli avesse domandato e la
signora risposto, passavano sempre alcuni minuti; e il giovane sapeva
trovare appigli tali di discorsi che faceva durare altri pochi minuti
di più il colloquio, e nasceva occasione alla Lucietta, allegra e
scherzosa per natura, di barzellettare e di ridere, ed egli, il giovane
operaio, rientrava all'officina col cuor contento, colla mente serena
e coll'umore più ilare del mondo.
Non andò guari che l'operaio trovò modo di fare stretta relazione con
papà Taddeo, che qualche volta scendeva all'osteria del villaggio a
riconfortarsi lo stomaco mercè un mezzo litro di quel migliore. Un
litro pagato a tempo ne fomenta dimolte di codeste amicizie cercate con
premeditazione da una delle parti. Atanasio forte, robusto, audace, con
un fare tra franco e riservato, piacque assai al vecchio militare.
L'operaio beveva bene e lo faceva ber bene; si lasciava da Taddeo
raccontare, anzi ce lo incitava, tutti gli aneddoti della sua campagna
e della sua vita da cacciatore; non andò guari che il padre di Lucietta
proclamò Atanasio il più piacevole compagno che si potesse trovare.
Atanasio allora impiegò tutto il suo talento diplomatico a riuscire
in un intento che gli stava a cuore quant'altro mai: quello di farsi
invitare dal veterano ad andarlo a vedere lassù. E il furbo ci riuscì.
Cominciò per andarvi raramente; seppe piacere alla madre di Lucietta,
come aveva piaciuto al padre. La fanciulla stessa mostrò vederlo di
buona voglia; e non andò gran tempo che quasi tutti i giorni Atanasio
capitava alla casetta e vi era accolto con un amichevole sorriso e con
cordiali strette di mano da tutti.
A quel felice momento in cui poteva correre lassù, alle belle, ma
troppo rapide ore ch'egli ci passava, Atanasio pensava tutto il
giorno; lavorava con più ardore ed alacrità, quasi volesse col suo zelo
guadagnarsi il premio di quella gioia, quasi, affrettandosi nel suo
còmpito, affrettasse pure il passare del tempo.
Certe volte in mezzo al più vivo del lavoro, sentiva ad un tratto
venirgli su, come dal cuore al cervello, una subita ilarità, e si
metteva a ridere d'un nonnulla, e intonava allegramente colla sua
voce robusta, una gaia canzone. I suoi compagni, avvezzi a vederlo per
l'innanzi sempre taciturno e imbroncito, lo guardavano meravigliati;
alcuni gli chiedevano il perchè di quel buon umore inaspettato di cui
non sapevan trovare ragione; egli rideva più forte, crollava le spalle
e tirava via a lavorare con più ardore. Gli era che, a quei momenti,
egli, tutto annerito dal fumo, dalla polvere, dal fuoco, vedeva
comparirsi, in mezzo alle fiamme accecanti del metallo incandescente,
le vaghe forme gentili d'una giovinetta tutta sorrisi, e sognava mille
immagini beate di un desiato avvenire.
Appena finita la giornata, correva a nettarsi per bene, cambiarsi
la biancheria, mettersi la tunica pulita; e poi s'affrettava col suo
passo lungo e svelto su per la cima del colle. Non aveva tanta pazienza
da prendere la strada comune che girava e rigirava per la costa, ma
tirava via dritto, traverso i boschi, in linea retta, senza seguir
sentiero tracciato, arrampicandosi da albero ad albero, e sbucava
fuori sulla piccola aia innanzi alla casetta. Vi arrivava sorridente:
lo accoglievano sorridenti; perfino la cagnetta di Taddeo — una brutta
bestiola, che il Guardaboschi in una delle sue innocenti escursioni
aveva raccattata su per la strada mezzo moribonda di fame; — perfino
lei gli faceva festa. Atanasio aiutava la vecchia alle faccenduole
di casa, spaccava le legna per accendere il focherello della cena,
strappava dalle mani di Lucietta il secchiolino per attingere acqua e
correva a riempirlo alla fontana, diceva scherzando al veterano Taddeo:
“Oh che non volete credere che io, quantunque non sia stato a mangiare
il pan di munizione, son capace di ripulirvi quello schioppo intorno
a cui sudate lavorando per renderne le canne così lucenti che il più
schizzinoso caporal di settimana non vi avrebbe a ridire? Il ferro ed
io ci conosciamo, e state a vedere...”
E anche dalle mani del vecchio strappava lo schioppo e gli stracci
ingrassati e la spazzoletta e il piattellino dell'olio, e si metteva a
far egli il lavoro del Guardaboschi, tanto bene e sollecito che questi
lo guardava ammirato, e sclamava ridendo che sembrava non avesse mai
fatto altro. Era insomma diventato così di casa, che un congiunto
non avrebbe potuto di più; e nella famigliuola non solo s'era usi ad
aspettarlo e riceverlo con gioia, ma ad ogni lavoretto un po' faticoso
che avvenisse di dover fare, si soleva dire gli uni agli altri: — Eh!
lascia stare; ci verrà stasera Atanasio e farà lui. —

IV.
Quelli furono i migliori tempi della vita dell'operaio. Sotto
l'influsso del suo tanto nobile e purissimo amore, egli sentiva a
poco a poco svanire, proprio come la nebbia al sole, i suoi invidiosi
pensieri, il suo maligno talento, la sua rabbia di proletario. Non
gli pareva più d'essere condannato ad invidiar tutto agli altri;
non trovava più che questo mondaccio fosse così male ordinato che
impossibile lo starci un po' bene a chi non possedesse ricchezze:
la sera, quando seduto sull'aia, alla porta della bianca casetta,
vedeva la bella fanciulla correr di qua e di là, immaginava una vita
bellissima, che gli sembrava proprio a gittata di mano, insieme con una
compagna e con dei figliuoli; capiva allora il diritto di proprietà e
la famiglia; sognava economie e risparmi, e si riconciliava mentalmente
col capitale. Aveva disertato l'osteria, metteva più attenzione alle
cose sue, al suo vestiario, ai suoi diportamenti, al suo parlare:
era più umano e servizievole, più allegro e garbato con tutti: poteva
proprio dirsi un altr'uomo.
A Lucietta, nè ai genitori di lei, non aveva ancora parlato nemmeno
alla lontana de' suoi disegni. L'eloquenza non era il suo forte, e
nell'audacia della parola ei ci valeva poco. Ma pure non dubitava
punto che la cosa avrebbe da riuscire a seconda de' suoi desiderii.
Aveva tanta coscienza di quel ch'egli valeva, da credersi non
indegno di Lucietta; le condizioni sociali ed economiche dall'una
parte e dall'altra si pareggiavano; capiva d'essere ben visto, anzi
aggraditissimo al padre e alla madre di lei; non vedeva intorno
alla ragazza pur l'ombra d'un rivale; poteva senza soverchia
illusione scambiare per indizio di più tenero affetto la cordialità
dell'accoglimento e il sorriso di fraterna amicizia che aveva per lui
la Lucietta. Quindi, tutto ben considerato, aveva risoluto che alla
prima buona occasione che gli si presentasse, avrebbe, come si dice,
saltato il fosso e parlato chiaro.
Ma questa benedetta occasione tardava a venire, od almeno pareva sempre
a lui che non fosse abbastanza buona; e frattanto chi venne fu Pietro,
il quale, finiti i suoi studi alla città, se ne tornò alla casa paterna
a prendere la direzione delle officine.
Atanasio a questo ritorno provò strane e contradittorie sensazioni.
L'assenza gli aveva pure fatto conoscere, che in realtà egli lo amava
qual suo compagno d'infanzia, il quale era pur sempre stato così buono
ed amichevole per lui; e sapendo ch'egli ritornava, il giovane operaio,
fatto dalla sua passione più inchinevole alla tenerezza, ebbe un vero
rallegramento. Ma quando il giovane principale fu giunto, più bello
di quel che fosse quando era partito, avendo preso dal soggiorno della
città non so qual grazia nel portamento, vestito con eleganza di gusto,
fornito insomma di tutti quei vantaggi che danno la ricchezza e il
praticare colla società eletta, una specie di presentimento assalse
Atanasio, che quella venuta e quel giovane così caro e leggiadro gli
sarebbero fatali.
Primo danno che glie ne toccò fu intanto che dovette rinunciare a
vedere così di frequente e per sì lunghe ore la Lucietta. Il signor
Pietro era venuto con una quantità di ordinazioni di lavoro e di
grandiosi progetti da dare nuovo slancio all'industria. Agli operai fu
aumentato il salario, ma fu diminuito il tempo libero: l'ebbe diminuito
più di tutti Atanasio, al quale Pietro fece il meritato onore di
nominarlo capo d'officina.
Parecchi giorni passarono per ciò, senza che l'operaio potesse correre
alla bianca casetta: di che il suo umore tornò a intristirsi non poco;
finalmente, quando a forza di industriarsi, potè strappare alle ore di
lavoro e dei suoi pasti un briciolo di tempo per correre lassù, erano
sì brevi momenti quelli, che pel gran desiderio da lui provato erano
come un sorso d'acqua a chi muore di sete.
La Lucietta veniva essa ancora in casa dei padroni, e con che
frequenza? Atanasio non lo sapeva e gli premeva di saperlo, e moverne
domanda se ne vergognava. Già di spiare le venute della fanciulla non
era più il caso, e meno ancora quello di correre in traccia di lei col
pretesto di cercar del principale. Il padre di Pietro aveva smesso del
tutto ogni ingerenza nell'opificio; la direzione l'aveva il figliuolo,
il quale era sempre lì e non s'allontanava d'un passo e non permetteva
che nessuno s'indugiasse pure un momento nel suo ufficio, e quanto era
buono e generoso verso gli zelanti operai, altrettanto era severo e
implacabile verso i negligenti.
Atanasio s'arrabbiava maledettamente. Fu peggio quando, in quelle corte
scappate che poteva fare ad intervalli alla casa di Taddeo, gli parve
accorgersi che Lucietta erasi d'assai mutata nel suo contegno. La non
rideva quasi più; il giovane non sentiva più, arrivando, di mezzo
agli alberi del bosco, l'allegra di lei canzone che gli annunciava
la vicinanza della casa; parlava poco, ascoltava distratta, dava ad
Atanasio la mano più freddamente di prima, trovava frequenti pretesti
per ritirarsi nella sua cameretta e non lasciarsi veder più.
“Voi non istate bene?” le chiese un giorno l'operaio.
“Benissimo,” rispose ella: “perchè mi fate questa domanda?”
Atanasio le disse del cambiamento che aveva notato in lei: Lucietta
arrossì fino sulla fronte, non rispose parola e s'allontanò.
Il nostro operaio ci pensò ben bene un giorno e una notte, e ancora
un altro giorno; e la sera dipoi, in cui s'era procacciata un'ora di
libertà, s'avviò verso la dimora di Taddeo con una gran risoluzione.
Però non prese la scorciatoja, non allungò il passo delle sue lunghe
gambe, e, quantunque fosse già tardi, andò su lentamente per la
stradicciuola comune, fermandosi tratto tratto a meditare. Egli
s'era deciso a svelar finalmente il suo segreto e chiedere Lucietta
in isposa. Per quanto adagio camminasse, e' ci arrivò pure a quella
benedetta casina bianca. Vi regnava un silenzio che gli parve di
malaugurio; nessuno era di fuori, la porta socchiusa; una riga di luce
rossigna, che filtrava dall'uscio in sull'aia già quasi ottenebrata
dalla sera, indicava che nella stanza terrena eravi il fuoco od un lume
acceso. Atanasio si accostò piano col cuore che gli palpitava, e per la
fessura guardò dentro. Taddeo, seduto sopra il suo vecchio seggiolone
di cuoio a bracciuoli, sonnecchiava innanzi al fuoco; sua moglie,
accoccolata presso al camino, guardava per entro ad una pentola;
Lucietta non c'era. Fra le gambe del Guardaboschi dormiva accovacciata
la cagnetta di razza inqualificabile.
Atanasio quasi rallegrossi di non vedere colà in quel momento la
ragazza; avrebbe osato parlare più franco, non essendoci lei presente.
Sospinse pian piano l'uscio ed entrò. La cagna fu sola ad accorgersi
della venuta di qualcheduno; la si drizzò a sedere puntando le piote
anteriori per terra, e cominciò ad abbaiare; ma visto subito che
egli era l'amico di casa, si levò di tratto e gli mosse incontro
scodinzolando.
Taddeo si svegliò, la moglie si riscosse dalla sua contemplazione della
pentola e si volse verso il nuovo venuto.
“Ah, siete voi Atanasio?” diss'ella. “Da bravo! venite, sedete qui;
mangiate un boccon di cena con noi.”

V.
Atanasio s'inoltrò, sedette, ringraziò, e si pose a tormentare la cocca
della sua tunica, come se da essa volesse far venir fuori le parole del
discorso.
“Bel tempo d'autunno!” disse Taddeo.
“Bel tempo!” rispose Atanasio, guardando il fuoco.
“Fatto apposta per andare a caccia.”
“Già!”
“Guardate: se ci aveste un giorno di libero, che poteste venir meco
di buon mattino con un bravo schioppo, sì che vi menerei io in certi
luoghi dove i tordi vi parrebbe che fioccassero.”
Atanasio mandò un sospiro.
“Ma io non ho di giorni liberi.”
Guardò intorno, come se cercasse di qualche cosa.
“E.... e la vostra Lucietta?” finì per dire.
Fu la madre di lei che rispose:
“È giù al villaggio, in casa dei padroni.”
Il giovane fece un sobbalzo sulla seggiola di legno su cui era seduto.
“Dei padroni?” ripetè, come se dubitasse di non aver capito bene.
“Sì, dei signori Frangia.... Sono tanto buoni! La signora vuole alla
mia figliuola un bene da non si dire, e la desidera frequentemente con
sè.”
“Ma gli è già tardi,” interruppe Atanasio cui l'appresa notizia
stese un velo di tristezza sul volto; “e come farà a venirsene su la
Lucietta?”
“Per questa sera la non ci vien mica.”
“No?”
“È già da due giorni colà, e vi rimane ancora una settimana. La Signora
ha insistito tanto, che abbiamo dovuto acconsentire a lasciargliela per
un po' di tempo.”
Atanasio sorse in piedi tutto turbato; voleva sgridare, rampognare, ma
ebbe ancora tanto buon senso e tanta padronanza di sè da tacere. Con
che diritto poteva egli far rimproveri ed anche semplici osservazioni?
Che cosa era egli per quella gente, per quella ragazza? I Frangia
erano i protettori di quella famiglia; v'era forse alcun male che la
Signora tenesse presso di sè la giovane che aveva fatto educare, a'
cui bisogni, in varia forma era venuta sovvenendo? L'operaio non disse
adunque nulla; ma sentì la sua anima diventar buia come una notte
senza stelle, e a un tratto gli andarono via il coraggio e la voglia di
fare la sua dichiarazione. Trovò un pretesto per rifiutare la cena, e
partissene subito, e ridiscese il poggio coll'inferno nel cuore.
Si era fatto notte interamente. Di gran nuvoloni s'aggiravano in
cielo, e fra loro splendeva con un limpido chiarore la luna quasi
piena, nascosta di quando in quando da qualcuno di essi che le passava
dinanzi. Atanasio camminava senza saper ben preciso in qual direzione;
ma le gambe lo portarono alla fonderia, e precisamente da quella parte
dove era la casa dei proprietari.
Era una casa non molto alta, ma piuttosto vasta, che formava tre
lati d'un quadrilatero, spingendone due verso le officine che stavano
in fondo al cortile, le quali, dopo un intervallo di una ventina di
metri, chiudevano il quadrato, allungandosi però dall'una e dall'altra
parte in una linea più estesa. Dinanzi alla facciata della casa, che
guardava sopra la strada, si stendeva una terrazza, lunga poco meno
della facciata medesima, alta un metro dal suolo, sulla quale dal
salotto e dalle altre stanze del pian terreno davano adito delle alte
porte-finestre.
Atanasio venne da quella parte, passò lentamente innanzi a quella
facciata, con lo sguardo fisso nel chiarore che usciva da que'
cristalli.
La luna in quel momento batteva di pieno sul terrazzo; l'operaio ci
vide l'ombra d'un uomo che andava e veniva; poi quell'uomo si fermò, si
appoggiò coi gomiti alla ringhiera e la luna ne illuminò completamente
la faccia ch'ei volse in su: era Pietro Frangia che fumava un sigaro a
quella brezza notturna. Atanasio si voltò per allontanarsi, ma il suo
principale l'aveva visto.
“Olà! Ehi!... se non m'inganno, tu se' Atanasio:” gli gridò. “Alto,
Atanasio!”
Questi, benchè a malincuore, dovette fermarsi.
“Buona sera, sor Pietro, sono appunto io.”
“Vieni qua. Dove vai girando? Le serate incominciano ad esser freddine.”
“Non mi pare:” rispose Atanasio, che in verità non sapeva bene che
si dicesse, tutto preso da un nuovo e molesto impaccio in presenza
al suo giovane padrone. “A me piace il fresco.... Ho il sangue acceso
addosso.”
“Eh! lo capisco. Il fuoco della fucina!... Ma io pure ho una smania
questa sera.... To'! mi arrivi proprio a tempo. Ho bisogno di prender
aria e di far moto; e ho bisogno d'un confidente. Tu mi accompagnerai
a passeggiare; e qual confidente migliore posso io avere di te, che mi
sei come fratello?”
Atanasio sentì che avrebbe pur dovuto rispondere qualche parola, ma non
seppe cosa dire; e pensava frattanto:
— Confidente!... che confidenze vuol egli farmi? —
Pietro in un attimo scese dal terrazzo e fu al fianco dell'operaio: ne
prese il braccio con amorevole domestichezza e lo fece avviare di buon
passo giù della strada.
Camminarono un bel tratto senza parlare. Atanasio non si avventurava
ad interrogare; Pietro pareva provasse alcune difficoltà non leggiere a
cominciare il discorso. Fumava rapidamente, guardava intorno, sospirava
forte; finalmente ruppe il silenzio dicendo con un risolino forzato:
“È strana! sai tu che in questo momento io ho addosso un'ansietà che
mi dà un'agitazione delle maggiori ch'io abbia provato mai? Questo non
l'avrei creduto.”
“Che cos'è?” domandò Atanasio, tanto per dir qualche cosa. “Le capita
forse alcuna contrarietà?”
“No, contrarietà.... quello che provo io, vuoi che te lo dica?... è
timore.”
“Timore!... di che?”
“Gli è che adesso adesso si sta decidendo la sorte della mia vita e
dipende da una parola la mia felicità.”
Atanasio si fermò su due piedi, stranamente turbato a un tratto.
“Oh come mai?” dimandò egli.
“Eccoti le confidenze.... sarai il solo che le abbia ricevute, fuori
de' miei genitori. Amo Lucietta, e l'amo tanto che nol posso dire.”
Per fortuna le nubi in quel punto avevano coperto la luna e l'oscurità
era sì fitta da non potersi vedere il pallore e la contrazione dei
muscoli che vennero a sconvolgere la faccia dell'operaio.
Pietro, chiacchierone come tutti gl'innamorati, sentì il bisogno di
raccontare più particolareggiate le semplici vicende dell'amor suo.
“Quando sono partito di qua, Lucietta era già una cara fanciulla
che prometteva diventare un tesoretto bello e buono; ma ora che l'ho
rivista al mio ritorno, ora sì che la mi parve aver superate tutte le
sue promesse! E nota che io ne aveva pure la grande aspettazione: mia
madre mi scriveva sempre tanti prodigi di lei!... Ebbene, la trovai
superiore a tutti gli elogi.... Che ti vo dicendo di più? Mi accorsi in
breve che n'ero pazzamente innamorato. Ah! non esitai un momentino. Mi
stimerai abbastanza, spero, da non supporre nemmeno che mi sia venuto
un cattivo pensiero a tal riguardo. È una povera giovane che non ha
nulla; e tanto essa quanto la sua famiglia devono dimolto a noi....
ragione di più per averne ogni rispetto. Parlai a mio padre e a mia
madre che mi amano tanto da consentire a tutto quello che può farmi
felice. Essa non è mia pari per condizione nè per fortuna; ma che
importa? Fu allevata a meraviglia, ha talenti come poche ne hanno, è
virtuosissima; tutto la fa degna del nostro grado. Della sua povertà
non abbiamo da averne pensiero; non siamo noi ricchi abbastanza? Mia
madre accettò il carico di scrutare il cuore della giovane questa
sera medesima, e in questo stesso momento. — Va' via, — mi disse, — e
lasciami sola con lei una mezz'ora: al tuo ritorno l'avrò confessata, e
saprò dirti il tuo destino. — Uscii sul terrazzo, agitato come Dio tel
dica. Mi è sembrata una buona fortuna vedere a passar te, così buono
mio amico. Per occupare questa benedetta mezz'ora, avevo bisogno di
camminare, di sfogarmi con qualcheduno.... E niuno meglio di te poteva
convenire al mio caso.”
Atanasio camminava a capo chino senza far parola, senza batter
palpebra, quasi avreste detto senza tirare il fiato. Stringeva così
forte le mani serrate a pugno, che le unghie delle dita gli entravano
nelle carni della palma; teneva i denti stretti che più non potrebbe
una morsa di ferro.
Quando aveva udito Pietro parlare di benefizi fatti dalla sua famiglia
a quella di Lucietta, e poi della disparità di condizioni fra lui e
la ragazza, e dei meriti di costei che la facevano degna di venire
innalzata fino a lui, un amarissimo sogghigno si era disegnato sulle
sue labbra contratte e un'onda di collera eragli salita al cervello.
Tutti i suoi pregiudizi contro la ricchezza, tutte le sue antipatie
contro i ricchi, tutto il suo odio contro la società e le sue smanie
furibonde di ribellione gli erano tornati, e più intensi e più vivaci
a un tratto. Colui ricco, colui superiore, colui tutti i vantaggi; ed
egli?... Si riscosse e volse al figlio del suo principale un'occhiata
bieca, in cui traboccava l'idea orribile della violenza: ma Pietro,
assorto tutto nella propria emozione, non vide per fortuna quello
sguardo, come non avvertiva il cupo silenzio dell'operaio.
Il giovane ricco si fermò di colpo.
“Ma oramai il tempo dettomi da mia madre dev'essere trascorso.... o non
ci mancheranno che pochi minuti..... Torniamo indietro.... io sto come
sulle braci.... ho bisogno, non fosse altro, di vedere la casa dove
Lucietta sta per pronunziare, dove forse avrà già pronunziata la mia
sentenza. Solamente vedendo a traverso i vetri la luce del salotto dove
stanno a discorrere, mi pare che sarò più tranquillo.”
E voltò indietro, rifacendo i passi verso la casa.
Atanasio si diede ad accarezzare la follia di una speranza. Se Lucietta
non lo amasse, quel giovane, benchè ricco? aveva tanto buon senso
quella ragazza! doveva preferire uno sposo della sua condizione: doveva
capire che nessuno l'avrebbe amata mai quanto un bravo operaio....
come lui Atanasio per esempio. Mercè uno sforzo, l'infelice riuscì a
disserrare i denti.
“Ella non ha mai parlato a.... alla giovane?” domandò con voce
soffocata. “Non l'ha mai interrogata?”
“No.... me ne feci uno scrupolo.... ad una giovinetta che veniva come
ospite e protetta in casa di mia madre!... E nella sua ingenua allegria
essa ha una semplice dignità che m'impone.”
Erano giunti nuovamente innanzi alla casa. La luna, liberata dal velo
delle nubi, tornava a splendere brillante. Pietro trasse l'oriuolo e
guardò l'ora.
“Eh! la mezz'ora è passata oramai.... non mancano che tre minuti....
tre minuti più o meno, non monta.... non sarà in questi tre ultimi
minuti che si sarà aspettato a parlare dell'argomento.... io non ci
posso più reggere.... vado.”
Atanasio lo arrestò bruscamente per un braccio. Pietro gli si volse
stupito.
“Che cosa?”
“Un piacere:” disse l'operaio con voce tremante. “Mi faccia sapere....
subito la risposta di lei.... della giovane.... La prego!... una sola
parola.”
“Oh come?” domandò il principale vieppiù stupito. “Oh che tanto ti
preme?”
“Sì.... mi preme sapere se Ella sarà felice;” rispose Atanasio con voce
roca.
Pietro credette in questa spiegazione; strinse con forza la mano
all'operaio dicendogli:
“Grazie mio buon amico. L'ho sempre saputo che tu mi vuoi bene. Or via
aspetta qui un momento e ti comunicherò l'esito....”
Una delle porte-finestre s'aprì, e una donna inoltrata in età si avanzò
sul terrazzo.
“Sei tu Pietro?” diss'ella venendo fino alla ringhiera.
“Mamma! mamma!” esclamò il giovine palpitante.
“Vieni! presto!” disse la donna e rientrò sollecita in casa.
Pietro si slanciò di corsa verso l'entrata.
Atanasio rimase immobile, piantato innanzi al terrazzo. Non era una
sufficientemente chiara risposta il fatto d'esser venuta la madre
medesima a sollecitare il ritorno del figliuolo? Avrebbe ella fatto
così se le parole di Lucietta non fossero state secondo il desiderio di
Pietro? Eppure, vedete quanto è tenace la illusione nel cuore umano!
il povero operaio rimaneva ancora colà, attaccato a un lieve filo di
speranza.
Pietro non obliò Atanasio e la promessa che gli aveva fatto. Dopo un
poco uscì sul terrazzo e le sue sembianze, illuminate dalla luna in
quel momento limpidissima, apparvero all'operaio così piene di gioia
che niuna parola più occorreva ad annunziare la ventura del giovane.
“Atanasio,” gridò Pietro con voce commossa e sonora: “Sono felice....
va', e che ciò possa farti passare una buona notte anche a te!”

VI.
Una buona notte! Quale scherno!
La luna erasi nascosta di nuovo, e pareva definitivamente. In quella
lotta fra la luce e le tenebre, queste sembravano aver vinto, e regnava
sulla natura una fitta oscurità. Ma più oscuro ancora era l'animo
d'Atanasio. Quali orrende idee gli passassero per la mente, quali
spasimi gli torturassero il cuore, fu sempre un segreto fra lui e il
Cielo. Non rientrò nella sua povera abitazione che il mattino: ma a chi
lo vide, egli ebbe a parere invecchiato di anni.
Da quel giorno egli non fu più visto a ridere e nemmeno a sorridere.
Tornò a frequentare l'osteria, ed anzi più assai di prima; il suo
umore ridivenne peggiore che non fosse stato mai, rabbioso, maligno,
scontroso, insofferente. Sfuggiva tutti: più di tutti gli altri Taddeo,
Lucietta, e Pietro medesimo, quando le faccende dell'opificio non
l'obbligassero a trovarsi con lui. Costoro, nel colmo della loro gioia,
non s'accorsero pure menomamente della nuova selvatichezza d'Atanasio.
Nella fonderia, tra gli operai, nel villaggio e nelle vicinanze fra
tutti gli abitanti non v'era più altro discorso che quello del prossimo
matrimonio del giovane e ricco padrone delle officine colla povera
figliuola del veterano. Tutti lodavano a cielo la generosità del
giovane; le ragazze invidiavano un po' indispettite la fortuna della
fanciulla. Quando udiva che s'incominciava a parlar di ciò, Atanasio
tirava via senza dir nulla. Fu visto, il disgraziato, parecchie volte
ubbriaco fradicio — la qual cosa prima non gli capitava mai — correre
per la campagna gridando parole incomposte, urlando vaghe minaccie, per
cadere poi come morto in un fosso. Aveva bandito da sè ogni nettezza,
viveva disordinatamente come il più vizioso degli operai: ogni giorno
più sembrava imbestialirsi.
Pietro, nell'eccesso della sua gioia, aveva ben altro a cui pensare,
che i diportamenti del suo compagno d'infanzia; ma pure non potè a
meno di accorgersi di tanta mutazione, e un giorno, avutolo a sè,
glie ne fece amorevoli rimproveri; gli ricordò la sua buona condotta
d'un tempo, gli rammentò come coll'economia, colla sobrietà, potesse
procurarsi un migliore avvenire.
“Che la vuole?” rispose l'operaio con voce rauca, a testa bassa, senza
guardare in faccia il suo principale. “La vita è una cosa tanto breve,
e tanto da nulla; io sono così solo e così senza conforti di sorta!
La parsimonia, la temperanza, l'economia, la virtù a che cosa mi
meneranno? Io non sono fatto per essere stipite d'una famiglia.... sono
solo, vivrò sempre solo, creperò solo....”
“E perchè?” interruppe il sor Pietro con qualche vivacità. “Un
onest'uomo ha il dovere, e ci trova la sua felicità, di mettere al
mondo dei figliuoli che saranno galantuomini come lui.”
“E se invece diventassero birbanti?... Lo so io stesso per sicuro
d'essere un onest'uomo?”
“Atanasio!”
“Eh! mi scusi.... Ciascuno ha le sue idee.... Finchè non faccio male a
nessuno mi lasci divertire a mio modo, finchè la duri.”
E s'allontanò senza più voler ascoltare parola.
Era stato quindici giorni senza metter piede alla casetta bianca. La
vigilia proprio delle nozze si decise a recarvisi. Taddeo gli fece
gentilmente rampogna della sua mancanza; Lucietta, fatta più bella che
mai dalla sua felicità, gli venne incontro salutandolo colla medesima
cordialità di prima.
“Caro Atanasio,” gli disse, “finalmente eccovi qui di nuovo. Non
vi si vede più! E sì che avevo bisogno di dirvi tante cose, di
ringraziarvi....”
“Ringraziarmi!” interruppe Atanasio stupito e corrugando le
sopracciglia.